SOMMARIO: Il nuovo mostro di Firenze – Pavese dimenticato – Lettere


Silenzio su Pavese
Salvo “ Il Torinese”, che gli ha dedicato un bell’articolo di Marco Travaglini, ed altri quotidiani, un certo relativo silenzio ha circondato i 75 anni dalla morte di Pavese arcicelebrato in passato in modo persino fastidioso. Ebbi un premio “Pavese” insieme ad Asor Rosa e colsi come a Santo Stefano Belbo il culto Pavesiano resistesse al tempo molto più che a Torino dove il liceo d’Azeglio lo ha messo in naftalina. Solo il preside Ramella seppe ricordarlo in modo degno.

Il premio Pavese ha perduto quasi ogni visibilità. L’oblio è in parte dovuto al Taccuino pubblicato con decenni di ritardo da Lorenzo Mondo da cui viene fuori un Pavese non antifascista e certamente non comunista che addirittura ha simpatia per la Germania hitleriana. L’editore Aragno ha ripubblicato l’esile Taccuino, ma l’ ha fatto precedere da un numero spropositato di pagine di Angelo D’Orsi e di un curatore che si perdono in una serie di “avvertenze per l’uso” del Taccuino al fine di mettere in guardia il lettore e ribadire ancora una volta la solita vulgata. Una cosa vergognosa come vergognose furono le reazioni di Pajetta, della Ginzburg, della Pivano e di altri. La verità è che Pavese non era un “compagno” per citare un suo titolo , forse non era neppure interessato alla politica . Prese la tessera del PNF e andò al confino. Poi durante l’occupazione tedesca scrisse il Taccuino e secondo alcuni prese anche la tessera del PFR. Oggi bisogna concentrarsi sullo scrittore, ma gli storici e i critici letterari non si interessano più alle sue opere. Forse anche i lettori lo hanno dimenticato. I tempi in cui il falegname Nuto, amico di Pavese, veniva intervistato come un oracolo sono finiti non solo perché anche lui è morto. Oggi si scrive più di una Murgia qualsiasi che di uno scrittore e poeta che ha segnato almeno in parte il Novecento italiano.
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Dopo i successi lavorativi, nel 1962, Calvino incontra l’amore, conosce infatti Esther Judith Singer, una traduttrice argentina con cui si sposa – a Parigi- nel 1964. Italo rimane con la compagna nella capitale francese fino al 1980, anno in cui si trasferisce a Roma e pubblica “Palomar”. Nel 1984 lascia Einaudi e passa a Garzanti. Nel 1985 riceve il riconoscente invito da parte dell’Università di Harvard a tenere una serie di conferenze. Italo accetta e inizia a preparare le sue lezioni, ma, purtroppo, viene colto da un ictus improvviso nella sua casa a Roccamare, presso Castiglione della Pescaia. Muore pochi giorni dopo a Siena, nella notte tra il 18 e il 19 settembre. I testi tuttavia vengono pubblicati postumi nel 1988 con il titolo “Lezioni americane: sei proposte per il prossimo millennio.” Per quel che mi riguarda, Calvino l’ho scoperto per caso, curiosando tra i molti libri che a casa ci sono sempre stati, giocando a leggere titoli che mi suggerivano storie elaborate e fantasiose. Ricordo una copertina sul verde, leggermente consunta, avvolgeva delle pagine ingiallite: era la trilogia de “I nostri antenati”. È stata una delle prime opere che ho letto con attenzione e totale trasporto, ho da subito amato lo stile lineare e lucidissimo dell’autore, il suo modo semplice di raccontare con misurato rigore, le parole fluide che si dispongono quasi in automatico a comporre le frasi, come pezzi di un puzzle che per forza così si devono incastrare.
Il suo essere narratore peculiare è evidente già dal suo primo romanzo, edito nel 1947, titolato “Il sentiero dei nidi di ragno”, un testo inseribile all’interno del filone neorealistico. Il libro affronta la tematica della Resistenza, argomento caro a molti altri suoi contemporanei, ma che Calvino espone secondo la sua ottica innovativa e inaspettata, così il lettore si trova catapultato non in un “semplice” romanzo storico, ma in una sorta di “favola a lieto fine”. Protagonista del romanzo è Pin, un bambino maturato velocemente, costretto a conoscere la violenza e la durezza della vita per strada. La vicenda ci è raccontata attraverso il suo sguardo di fanciullo cresciuto, che certo si inserisce nelle vicende degli adulti, ma che comunque non riesce a comprendere del tutto.
Il complesso architettonico si trova all’imbocco della Val Susa, poco sopra la borgata San Pietro, il suo aspetto è maestoso e poetico, imponente e romantico. Apprezzo molto il fascino di questo luogo, soprattutto in alcune giornate autunnali, quando la nebbia avanza e la Sacra sembra sporgersi da tutto quel bianco fumoso, come fosse il soggetto di un quadro di Caspar David Friedrich.
In seguito fu l’abate Adverto di Lezat ad amministrare lo stabile. Egli chiamò l’architetto Guglielmo da Volpiano, a cui si deve il progetto della “chiesa nuova”, che sarebbe sorta sulle fondamenta della primitiva chiesetta.
