CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 7

Le biblioteche storiche di Torino, patrimonio dei cittadini

Il Salone del libro è  importante per Torino, ma anche per l’Italia tutta. L’affluenza e’sempre in aumento e questo vuol dire che leggere è una attività fondamentale a cui non si rinuncia, fortunatamente; attraverso i libri ci arricchiamo, sono uno strumento essenziale per la nostra crescita intellettuale,  morale e spirituale, ogni volume che leggiamo lascia una traccia, sempre.

Torino e’ nota anche per le sue diverse e straordinarie biblioteche e alcune, oltre che rappresentare luoghi di culto per il lettore e lo studioso, rivestono una grande importanza storica e monumentale.

Tra le molte esistenti eccone alcune molto importanti, simbolidella Torino dedita alla cultura e alla formazione.

Biblioteca Reale conserva circa 200.000 volumi, una ricchezza voluta da Carlo Alberto di Savoia-Carignano. La prestigiosa collezione di volumi e disegni importanti come i 13 autografi di Leonardo Da Vinci e il suo Codice del Volo degli uccelli. Nel 1942 venne inaugurata la nuova sede con importanti e preziosi arredi, dopo la Seconda Guerra Mondiale divento’ una biblioteca pubblica. Fanno parte del complesso museale anche il Palazzo reale, L’Armeria, la Cappella della Sindone, la Galleria Sabauda, il Museo di Antichità e i Giardini Reali.

Biblioteca Nazionale Universitaria

Fondata all’incirca nel 1723 per volontà di Vittorio Amedeo II di Savoia che realizzò l’accorpamento della raccolta del Comune, quella della Regia Università e i libri della corona, oggi e’ una biblioteca statale pertinente alla direzione del Ministero della Cultura. Nel 1957 comincio’ l’edificazione della sede attuale, in piazza Carlo Alberto, che terminò nel 1973 con il trasferimento del patrimonio dai locali di via Po, dove si sviluppò il grave incendio del 1904 che distrusse molte delle 4.500 unita’ presenti. Nella collezione attuale troviamo manoscritti in lingua ebraica, in greco, in latino, 1600 incunaboli che ci riportano agli albori della stampa e quindi alle meta’ del 1450, incisioni e disegni di inestimabile valore.

Archivio di Stato

Composto da 4 sezioni e’ risultato di una storia secolare che in origine era il Tesoro di carte dei Conti Savoia risalente al XII  secolo anche se  i primi atti che ne documentarono l’esistenza sono del XIV.

La biblioteca oggi e’ suddivisa in 3 settori: quella antica che custodisce volumi dal Medioevo al 1800, la nuova che contiene libri fino al 1930 circa e la corrente che arriva all’epoca attuale.

Sono conservati anche periodici, riviste scientifiche, dossier e studi culturali italiani e stranieri stampati dal 1593 fino ai giorni nostri.

Biblioteche Civiche Torinesi

Con 18 sedi in citta’ e punti di servizio in  2 ospedali e  3  carceri, le Biblioteche Civiche Torinesi rappresentano un patrimonio  condiviso di saperi e  un ponte tra culture e generazioni. Sono a disposizione oltre 500.000 libri, un tesoro di inestimabile di ricchezza culturale messo a disposizione dei cittadini. Spiccano tra le varie sedi edifici storici come Villa Amoretti, il Mausoleo della Bela Rosin o Andrea della Corte e altri piu’ moderni come il Dietrich Bonhoeffer, Natalia Ginzurg e poi il Bibliobus che sosta ogni giorno in diverse parti della citta’. Oltre alla consultazione e al prestito librario la biblioteca organizza eventi, corsi e laboratori dedicati alle varie fasce d’eta’ e diversi gruppi di lettura.

Centro Studi Piemontesi

La biblioteca  e’ nata nel 1969 in concomitanza con la fondazione del centro stesso che raccoglie volumi relativi alla cultura piemontese come la sua storia, la letteratura, il teatro, l’economia, l’arte, la civilta’.  La racconta e’ di circa 18.000 volumi moderni e 400 edizioni antiche, con un catalogo in costante aggiornamento anche in digitale su cui sono gia’ stati caricati 8.000 libri. E’ articolata in differenti fondi particolari legati ai maggiori  donatori come Mario Becchis o Renzo Gandolfo.

Centro Gobetti

Con una collezione, tra monografie e opuscoli, di 75.000 testi il centro e’ specializzato su alcune figure e correnti della cultura e della politica italiana del Novecento, sulla vicenda nazionale dall’Unità ai giorni nostri e sulla storia del pensiero politico contemporaneo. E’ un punto di riferimento per gli studiosi dell’antifascismo in chiave liberaldemocratica, per i cultori del pensiero di Piero Gobetti, Ada Prospero e Norberto Bobbio. Dal 1998 il centro e’ inserito nel Sistema Bibliotecario Nazionale e nel 2016 alcuni dei fondi librari sono stati trasferiti al Polo al ‘900 insieme a una parte della sua biblioteca generale.

Maria La Barbera

Antologia di 32 talenti poetici che sono o saranno famosi

“Trentadue talenti della Poesia che saranno famosi (o forse lo sono già)” è il titolo di una nuova antologia di poesia italiana, pubblicata la vigilia di Natale. Il volume raccoglie altrettante voci poetiche e oltre 70 liriche. Pietro Scullino è il curatore della raccolta, nonché l’autore della selezione dei poeti, avvenuta secondo la peculiare modalità dello scouting sui social. “Trentadue talenti della Poesia che saranno famosi (o forse lo sono già)” è un volumetto di 74 pagine. Particolarmente rappresentata la poesia torinese e piemontese, con diversi nomi più o meno noti agli appassionati di poesia, ciascuno con la propria nota biografica. Il curatore ha assicurato al “Torinese” che, visto il carattere non esaustivo della prima edizione, una seconda edizione, con nomi nuovi di poeti, potrà essere pubblicata in futuro, per continuare a rispondere alla domanda che sta alla base di questa interessante operazione culturale: “Avreste riconosciuto Leopardi, Baudelaire, Montale, Merini o Valduga prima che diventassero famosi?”
Il libro, dal costo di 12,38 euro, si può acquistare su Amazon al link che segue: https://www.amazon.it/dp/B0DRCCTFMB.

Legro di Orta, dove il cinema è stato “messo al muro”

Dal 1998 è diventata un’interessante meta turistica grazie a dei bellissimi affreschi che ne colorano il centro storico

Legro è una piccola frazione di Orta San Giulio. A differenza del capoluogo, che s’affaccia sul lago che ne porta il nome e sull’omonima isola, Legro è a monte, all’inizio della strada che sale verso Miasino e Ameno, in corrispondenza della stazione ferroviaria. Dal 1998 è diventata un’interessante meta turistica grazie a dei bellissimi affreschi che ne colorano il centro storico.

Con il titolo “Il Cinema messo al muro”, è entrato con buon diritto  a far parte del circuito nazionale dei “paesi dipinti” che ha censito quasi duecento località italiane con i muri delle case affrescati da artisti di fama nazionale o da sconosciuti amanti di questa tecnica pittorica. Unico esempio tra i tanti, Legro propone una straordinaria galleria d’arte a cielo aperto, dedicata ai film che utilizzarono come set i paesi attorno  al lago d’Orta e le località del Piemonte in genere. I “murales” sono 45 e adornano buona parte dei muri della frazione. Passeggiando per le viuzze di Legro  si possono rivivere, attraverso i fotogrammi dipinti, scene di famosi film che videro il Lago d’Orta e il Verbano come cornice: “Il balordo”, “L’amante segreta”, “Una spina nel cuore”, “La voglia di vincere”, “Il piatto piange” e “La stanza del Vescovo”.

Oltre a questi si possono ammirare la “Freccia Azzurra” di Gianni Rodari che il resista Enzo D’Alò ha trasformato in un film d’animazione o  “Addio alle armi” di Charles Vidor , “La spia del lago” o “I racconti del maresciallo”, di Mario Soldati, con Turi Ferro e Nino Buazzelli. Per non parlare poi dell’immagine fiera e indolente della mondina di “Riso Amaro”, con la sua  maglietta attillata e le calze nere a metà coscia, che hanno fatto diventare Silvana Mangano un’icona del cinema italiano. Legro, durante una gita sul lago d’Orta, val bene una visita. Ma la “mappa” dei paesi dipinti in Piemonte, propone altre 21 località che si fregiano di questo titolo.  Tra queste le cuneesi Bagnasco ( la località del “Bal do Sabre”, le danze degli spadonari ), Roccaforte Mondovì e Vernante ( con le immagini di Pinocchio, omaggio al grande disegnatore Attilio Mussino, forse il più grande illustratore delle avventure del burattino di Collodi) e Gavazzana, nell’alessandrino, con le sue poche case lungo il crinale delle prime colline tortonesi.

In ultimo, vale la pena ricordare l’iniziativa unica e certamente irripetibile che ha coinvolto Torre Canavese,  dove tanti artisti dell’ex Unione Sovietica, con lo scopo di far conoscere l’arte e la cultura dell’Europa orientale: ottantotto opere murali russe, oltre ad alcuni pannelli ceramici ed opere di pittori canavesi, hanno abbellito il suo incantevole borgo, raccolto attorno allo storico castello.

Marco Travaglini

 

(foto: Architempore)

La Fontana del Parco della Tesoriera e il suo fantasma

Oltre Torino. Storie, miti, leggende del Torinese dimenticato

Torino e lacqua

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8. La Fontana del Parco della Tesoriera e il suo fantasma

Quando visitiamo una città tendiamo facilmente a focalizzarci sui quartieri centrali, perché in genere più ricchi di musei e attivitàculturali, ma così facendo corriamo il rischio di perdere le attrazioni che si trovano spostate in altri luoghi della città. Se siamo a Torino e vogliamo fare ad esempio una passeggiata in un parco, certo il primo che salta alla mente è lo splendido e rigoglioso  parco del Valentino, il vero polmone della nostra cittàche, tuttavia, offre anche altre zone verdi. Tra queste, è bene ricordarlo, vi è un ampio giardino carico di fiori e di tenera fauna cittadina, come scoiattoli e varie specie di uccelli di piccola taglia: si tratta del bellissimo ed elegante Parco della Tesoriera, il vasto parco aperto al pubblico che circonda la settecentesca Villa Sartirana, sita lungo corso Francia, nei pressi di piazza Rivoli, nella circoscrizione 4, tra corso Monte Grappa, via Borgosesia e via Asinari di Bernezzo.

La villa venne costruita per il consigliere e tesoriere generale dello stato sabaudo, Aymo  Ferrero di Cocconato (Racconigi 1663-Torino 1718) sui terreni che egli aveva acquistato nel 1713. Larchitetto a cui venne affidato lincarico delledificazione fu Jacopo Maggi, che si ispirò a Guarino Guarini. Il parco in cui sorge la fontana è anche conosciuto con il nome di Giardin dëlDiav, perché un tempo si vociferava che apparisse, su cavalli incitati al galoppo trainanti una grossa carrozza, un cavaliere nero, nientemeno che  il fantasma del tesoriere del re, Aymo Ferrero di Cocconato.

Allinterno del grande giardino si staglia, netta, la splendida costruzione, circondata da un prato verde alla francese, al cui centro, di fronte alla villa, spicca una fontana centrale. La struttura della vasca è ovaleggiante, con tre zampilli centrali più alti; lungo una parte del perimetro della vasca partono altri piccoli getti a cannella che movimentano piacevolmente il disegno dellacqua e danno rilievo artistico e ornamentale al semplice bacino contenitivo.

La Tesoriera è un esempio di villa suburbana settecentesca  erispetta fedelmente le linee strutturali dei più noti palazzi barocchi torinesi. Realizzata ex novo e non su fondamenta preesistenti, essa presenta la copertura del primo piano con eleganti volte in muratura. Il  progetto si concretizzò nel 1713 quando AymeFerrero di Borgaro e signore di Cocconato, tesoriere e generale dei redditi del Duca, fece edificare una cascina e acquistò i beni circostanti. Logica la connessione tra la professione del suo fondatore e la denominazione Tesoriera. La villa fu inaugurata dal duca di Savoia  Vittorio Amedeo nel 1715.  Gli avvenimenti storici  segnarono il lento decadimento artistico della villa  che solo nel 1844, sotto la guida di Ferdinando Arborio Gattinara Duca di Sartirana Marchese di Breme, entomologo e politico italiano, subì sostanziali mutamenti e conobbe per un breve periodo fasto e splendore. Allora, la villa era chiamata con il suo vero nome, Sartirana, e vantava una biblioteca di circa 1500 volumi di storia naturale e botanica, oltre ad una collezione ornitologica con rarissimi esemplari di uccelli esotici e arredi. A metà Ottocento la Tesoriera era un delizioso giardino botanico con camelie, rododendri, azalee, melograni, conifere e querce.  Nel 1934 la Villa fu acquistata da Amedeo duca dAosta che affidòallarchitetto Giovanni Ricci il compito di apportare delle modifiche nellala ovest .

La ricchezza botanica venne compromessa durante la seconda guerra mondiale, e in seguito, nel 1962, con la vendita dellarea  passata dallamministrazione  dei Duchi dAosta  allIstituto Sociale dei Gesuiti, che abbatterono molti alberi secolari. Nel 1976 varie manifestazioni di protesta e raccolta firme dei cittadini portarono il comune di Torino ad espropriare il parco e poi ad acquistare la villa. Dopo gli importanti restauri del 2009-2011 che hanno restituito la villa al suo antico splendore, la Tesoriera oggi accoglie la biblioteca musicale Andrea della Corte (dedicata al critico musicale e musicologo) ed è sede rappresentativa comunale. Nel parco vi è un ricco patrimonio di alberi, arbusti e fiori, con specie tipicamente italiane e altre che si sono acclimatate, come la quercia rossa. Ci sono anche esemplari di noce nero, faggio, frassino, tiglio acro, olmo, tasso bagolaro e magnolia. Una particolare pianta della Tesoriera, unica a Torino, ci parla dei climi mediterranei: a destra, lungo il viale che parte quasi dallingresso di corso Francia, si può scorgere il tronco inclinato di una quercia da sughero. Vicino allingresso, il gigantesco platano di quasi otto metri di circonferenza, forse piantato nel 1715, è lalbero più vecchio della città.

Alessia Cagnotto

 

Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce

Il fil rouge di questa serie di articoli su Torino vuole essere lacquaLacqua in tutte le sue accezioni e con i suoi significati altrilacqua come elemento essenziale per la sopravvivenza del pianeta e di tutto lecosistema ma anche come simbolo di purificazione e come immagine magico-esoterica.

1. Torino e i suoi fiumi

2. La Fontana dei Dodici Mesi tra mito e storia

3. La Fontana Angelica tra bellezza e magia

4. La Fontana dellAiuola Balbo e il Risorgimento

5. La Fontana Nereide e lantichità ritrovata

6. La Fontana del Monumento al Traforo del Frejus: angeli o diavoli?

7. La Fontana Luminosa di Italia 61 in ricordo dellUnità dItalia

8. La Fontana del Parco della Tesoriera e il suo fantasma

9. La Fontana Igloo: Mario Merz interpreta lacqua

10. Il Toret  piccolo, verde simbolo di Torino

Atteso ritorno di Arturo Brachetti al teatro Alfieri con “Cabaret” 

 

 

Dal 9 al 19 gennaio prossimi il teatro Alfieri di Torino ospiterà il Kit Kat Club con lo show musicale Cabaret, condotto dal trasformista Arturo Brachetti. Il musical, tratto dal romanzo “Goodbye to Berlin” di Christopher Isherwod e ispirato all’omonimo musical ideato nella Broadway inglese, narra le gesta di un giovane scrittore americano, Cliff Bradshaw, che si muove nella Weimar tedesca degli anni Trenta, in cerca di ispirazione, e dove incontra una protagonista del club Sally Bowles e l’Emcee, che invita a lasciare le varie preoccupazioni al di fuori, concentrandosi sulla bella musica, le belle donne, la bella vita, mentre al di fuori dilaga la pericolosa influenza nazista. I personaggi presenti sul palco sono Herr Schultz, fruttivendolo ebreo e spasimante dell’anziana affittuario dell’appartamento in cui il protagonista potrà cogliere una Berlino in cambiamento, Fraulein Schneider, e Ernest Ludwig, il primo tedesco che il giovane scrittore protagonista incontra al suo arrivo.

La trasposizione italiana nel 2023 aveva ottenuto un grande successo da parte del pubblico, che ha definito il musical sorprendente, anche grazie alla versatilità del trasformismo di Brachetti, un vero e proprio mago nel cambio degli abiti e nelle arti delle varie performance musicali.

Molto valida la costumista Maria Filippi, che anche questa volta vestirà attori e ballerine, ricreando quell’atmosfera che richiamerà l’ambientazione dei tavolini del Kit Kat Club.

Cabaret cambia ad ogni finale e soltanto gli spettatori che assisteranno allo spettacolo potranno scoprire quale finale decideranno di adottare Arturo Brachetti e il coregista Luciano Cannito. Solo allora gli spettatori scopriranno se i protagonisti che prima ignoravano l’insidiosità dei nazisti ne risulteranno vittime o vincitori.

 

Mara Martellotta

La grande performance di Angelina tra canto e Oscar, la prevedibile debolezza di Alba

Sugli schermi dei cinema torinesi

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

Si apre e si chiude, in un cerchio perfetto di arte e d’amore, di realtà e di sospiri che si sono poco a poco spenti, di malinconia, di una alta sensibilità e di una cruda solitudine, la mattina del 16 settembre 1977, nell’appartamento parigino al 36 di avenue George Mandel – una curiosità che tutti conoscono, abitava al piano di sopra il nostro Mastroianni con la figlia Chiara che di tanto in tanto orecchiava quella splendida voce -, la vita di madame Callas, all’età di 53 anni, una vita ormai ripudiata, e non sarà neppur bello chiedersi ancora se si sia trattato di suicidio, subito allora smentito, o di un infarto risultato inevitabile dello sfinimento e di tante concause, non ultima l’abuso di quel Mandrax che si procurava illegalmente e che con parecchio altro nascondeva per la casa, nei cassetti e nelle tasche degli abiti: il corpo disteso sul pavimento, i due domestici affranti, le sporte della spesa lasciate cadere e una sola telefonata, il medico tante volte allontanato, due poliziotti e due barellieri, la macchina da presa che osserva ogni cosa di lontano, quando ormai ha esposto ogni cosa e non ha più nulla da raccontare. L’inizio e la fine di “Maria”, dentro cui Pablo Larraìn, altalenante regista cileno che ha raggiunto ormai la cinquantina giungendo al suo undicesimo titolo – lo avevamo entusiasticamente conosciuto al Torino Film Festival nel 2008 con “Tony Manero” -, ha raccolto e raccontato con appassionata vicinanza l’ultima settimana di vita della Callas, affidando la propria “inchiesta” alla presenza di un giovane giornalista, attento a non turbare ma altresì capace ad azzardare ricordi e un passato che possono far riaffiorare dolori antichi (“La posso chiamare Maria o la Callas?”, ottenendo una opposta risposta secondo l’umore e i desideri della giornata; e ancora lei: “Voi non sapete quanto è difficile far passare la musica dalla pancia in platea!”), attraverso la sceneggiatura dovuta a Steven Knight e chiudendo (ma siamo davvero sicuri che in prossime prove non scoprirà altri ritratti a cui dare vita?) quella trilogia (al) femminile che era iniziata con “Jackie” (la vedova Kennedy) e “Spencer” (Lady Diana): con la soddisfazione che il terzo tassello risulti assai migliore dei precedenti, concreto, significativo, emozionante, di una scrittura che agisce in profondità e con estrema intelligenza.

 

Dentro un film sulla Callas non possono mancare i brani famosi e Larraìn li sparge attraverso quella settimana e in un passato che ha visto la cantante nascere a New York e crescere ad Atene, dove la madre in periodo bellico esponeva lei e la sorella Yakinthī (Valeria Golino, in un fugacissimo incontro) ai militari tedeschi, offrendone voce e movimenti di ballo, l’incontro a Venezia nel ’47 con Meneghini che non avrebbe mai amato e con il brutto Aristotele che sarebbe stato il grande amore di una vita, predatore capace di spostarsi con grande libertà tra nuovi passioni e camere da letto e appuntamenti galanti, pronto a spodestarla chiamando sul podio Jacqueline Bouvier (ad Ari la coppia Knight/Larraìn affida una delle battute più succose, e sono tante, del film: “Ci si sposa perché un giorno non si ha niente da fare”): da “Gianni Schicchi” ai “Puritanti”, da “Tosca” all’”Ave Maria” dall’”Otello, da “Anna Bolena” alla “Traviata”, con un piccolo capolavoro tecnico laddove alle registrazioni originali s’è unita la voce di Angelina Jolie, accanita studiosa e fervida reinterpretatrice. Sino a che tutto esplode nel “Vissi d’arte” in quel mattino di morte, con il pubblico sotto le finestre dell’appartamento, attonito e in adorazione come lo fu quello della Scala e dei tanti altri teatri, lei lassù tra accanimento e spasimi. Tutto si è concluso, il pubblico e il privato, Maria ha finito di aggirarsi tra le stanze della casa, anche lì come una diva, di giocare a carte (paiono le atmosfere dello “Scopone scientifico” di Comencini) con i suoi fedeli angeli custodi, Marta – una Alba Rohrwacher ingrigita e indaffarata a prepararle le omelette che tanto le piacevano – e Ferruccio – Pierfrancesco Favino, più convincente in quel muoversi colpito dai dolori alla schiena, “Fatti vedere dal medico che sei tutto storto”, nel muovere e rimuovere il pianoforte di casa, nell’inchinarsi, nel pronunciare “madame” e nel disporre rose nei grandi vasi.

Si è concluso il privato della sofferenza, del bruciare i vecchi abiti di scena (“Non c’è vita fuori del palco”), delle ultime fiammate (“Decido io cosa è reale e cosa no”), delle ultime prove con il pianista a saggiare una voce che non è più la stessa (“Scusami, sono in ritardo”, “Non sei mai in ritardo, sono gli altri ad essere sempre in anticipo”), del trovare rifugio nel caffè davanti a un alcolico ordinando di zittire quel disco che ancora una volta le riporta una voce perfetta e sublime. Immagini in bianco e nero si alternano al colore, sui titoli di coda altre che sono autentici documenti, diversità di formati dal quadrato al grandangolo che abbraccia panorami e platee e i viali ingialliti di Parigi (la eccellente fotografia è di Edward Lachman), tutto ruota attorno alla Maria che Angelina Jolie ha saputo costruire. Forse gioca anche lei sul suo privato e pubblico di grande diva e offre una performance del tutto convincente, recita e soprattutto vive in maniera autentica con gli occhi al riparo degli inconfondibili occhiali, con le mani che hanno un qualcosa di scheletrico, con il corpo che si muove in tutta la propria fragilità, con il passo maestoso o stanco, con l’autorità o la remissione: ogni gesto in previsione – forse? – di quell’Oscar che qualcuno ha già detto essere suo di diritto.

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“Le cose della vita” le avrebbe chiamate Claude Sautet, grande indagatore di sentimenti, pur con quei racconti intimi che paiono sparati con il cannone avrebbe sottolineato il tutto Lelouch con lo sguardo fissato su un uomo e una donna. Stéphane Brizé, conoscitore attendo del mondo del lavoro (“La legge del mercato”, “In guerra”) sposta adesso la macchina da presa sulla coppia, spiata tra le case sbarrate di un inverno nella penisola di Quiberon, nel nord della Francia – “Hors saison” suona il titolo originale del suo ultimo “Le occasioni dell’amore”. Mathieu, attore di cinema che gode di un buon successo e di un buon pubblico, fugge a gambe levate dalla sua prima esperienza teatrale ritenendosi del tutto inadeguato, a quattro settimane dal debutto, lasciando compagni e regista a leccarsi le ferite chissà come. Lui lo fa rifugiandosi in un elegante centro di talassoterapia, non avendo fatto i conti che a due passi ci abita, stancamente coniugata e con una figlia, una vecchia che non rispolvera da una quindicina d’anni. Tutto pare previsto. Riassunto dei rispettivi passati, un po’ di colpa a me e un po’ a te, passeggiate davanti alle onde alte del mare, silenzi e sguardi, transitamento per la camera da letto di lui, qualche spiegazione, lasciamoci così senza rancor. Tutto elegante, tutto sussurrato, tutto incredibilmente déjà vu, tutto condito di tempi lunghi e di momenti altrui che hanno proprio la sembianza di dover riempire e slungare una storiella a tutti i costi, con il vuoto della anemica vicenda che si fa sempre più vuoto e con i dialoghi messi sulla pagina dal regista che li sparpaglia qua e là al colmo dell’avarizia.

Senza partecipazione, troppo in punta di piedi, a un risparmio che non costruisce, che non s’insinua, che non spiega mai. E tutto resta asfittamente in superficie, con una disarmante inutilità. Se Guillaume Canet tenta di variare tra pianto e sorrisi il suo Mathieu, Alba Rohrwacher mantiene su suolo d’oltralpe quella eterna sbiaditezza che le conosciamo da noi, la debolezza e il passo indietro nel porsi di fronte ai suoi personaggi, prevedibile di voce e di gesti, di quegli sguardi che rimangono eguali e bloccati davanti a un panorama che dovrebbe suggerirle un pensiero e un ricordo, davanti a un uomo che dovrebbe ispirarle un sentimento.

L’isola del libro

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RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

Jane Smiley “Erediterai la terra” -La nuova frontiera- euro 22,00

Con questo romanzo, pubblicato in patria nel 1991, Jane Smiley (nata a Los Angeles nel 1949), autrice di una ventina di opere di narrativa e saggistica, ha vinto il Premio Pulitzer nel 1992;

il libro ha anche ispirato il film con Michelle Pfeiffer e Jessica Lange.

Dopo generazioni che hanno sudato fatica e duro lavoro, la famiglia Cook è riuscita nell’ardua impresa di trasformare una terra inospitale in una delle tenute più floride della contea di Zebulon, nell’Iowa.

Il romanzo racconta cosa accade dopo che l’anziano proprietario decide improvvisamente di dividere il terreno tra le figlie. E’ l’innesco perfetto che fa esplodere rivalità, segreti, tradimenti e violenze che tornano a galla.

Il corposo testo, ambientato in pieno Midwest, è il resoconto della battaglia ingaggiata da Ginny, Rose e Caroline nel momento in cui il padre Larry Cook, vedovo da decenni, divide tra loro tre i mille acri della sua fattoria. Le sorelle si amano e si odiano allo stesso tempo, ed hanno con il genitore rapporti grevi e conflittuali.

L’io narrante è quello della 36enne primogenita Ginny: la più remissiva, con la vita segnata dal padre-padrone e da 5 aborti spontanei, dei quali due taciuti a tutti, marito compreso.

Poi c’è Rose, che da sempre ha cercato di ribellarsi al genitore violento; è moglie di un uomo affascinante e madre di due figlie.

L’ultima, Caroline, è l’unica che, pur di non restare impigliata nella ragnatela familiare, è andata lontano, in città, dove fa l’avvocato ed ha sposato un collega senza neanche dirlo in famiglia.

Un romanzo strepitoso che corre nel solco di quelli di Faulkner, in cui la terra è il fulcro di tutto, con corollario di sentimenti contrastanti ed imperiosi.

 

 

Andrea De Carlo “La geografia del danno” -La nave di Teseo” euro 18,00

Siamo padroni del nostro destino? Quello che siamo, pensiamo, scegliamo, il nostro carattere, affondano radici profonde nella famiglia e alla latitudine del globo in cui nasciamo?

Il timone della nostra vita lo prendiamo a un certo punto, ma più che altro conta da dove arriviamo.

Sembra essere questa la risposta di Andrea De Carlo nel 23esimo libro della sua carriera di scrittore, lunga 43 anni. Il testo, più che un romanzo, è la biografia della sua famiglia, una vera e propria indagine che lo conduce a rivelazioni sorprendenti.

L’albero genealogico che ricompone è la mappa della geografia del danno, e descrive soprattutto la ricerca di sé.

Inizia dalla scoperta che la nonna paterna sarebbe vissuta due volte….e via a seguire altre ricerche sugli antenati. Un passato in cui si sono incrociati i destini di migranti siciliani in Tunisia e di migranti cilene a Genova; tra teatranti, ingegneri navali e un fattaccio che stravolge il destino delle persone. La scoperta è che la realtà supera l’immaginazione.

L’eredità più profonda è quella del sangue, di cosa ci è stato trasmesso; scopriamo che le nostre predisposizioni sono solo in parte il risultato dell’ambiente e dell’educazione ricevuta. La verità è che, se indaghiamo i tratti del nostro carattere o le nostre doti, scopriamo che appartenevano a qualche nostro antenato, magari saltando una o più generazioni.

E questo vale per ogni famiglia, tutte hanno molto da raccontare se si scava nella notte dei tempi. Ognuno di noi è figlio, nipote, pronipote di storie straordinarie….cercare per credere.

 

 

Angela Frenda “Una torta per dirti addio. Vita (e ricette) di Nora Ephron” -Guido Tommasi Editore- euro 18,00

A 13 anni dalla scomparsa (nel 2012) della brillante scrittrice e sceneggiatrice newyorkese Nora Ephron, stroncata da leucemia fulminante, questo libro è la prima biografia italiana che ne ripercorre la vita in modo anomalo, ovvero attraverso un ricettario. Scritta dalla responsabile editoriale di Cook, Angela Frenda, ci racconta l’esistenza, i tormenti e le delusioni, ma anche i piatti tanto apprezzati dalla scrittrice.

Nata a New York nel 1941 e lì morta nel 2012, Nora Ephron è stata regista, produttrice cinematografica, sceneggiatrice, commediografa, giornalista e scrittrice. Tra i fiori all’occhiello della sua poliedrica genialità ci sono le sceneggiature di film cult come “Harry ti presento Sally” e “Affari cuore”; ha diretto commedie romantiche tra le quali “Insonnia d’amore” e “C’è posta per te”.

Una vita entusiasmante, le parole erano il suo mestiere, la cucina la sua passione e il modo di condividere pensieri e vita con chi amava.

Tra egg salade, biscotti, polpettoni e timballi, il cibo per lei era anche il collante che teneva insieme il tutto.

Scrittura e piaceri della tavola hanno sempre accompagnato le fasi più salienti della sua vita; per esempio scrisse il suo primo romanzo “Affari di cuore” dopo ave scoperto che il secondo marito (lei si sposò tre volte), il giornalista investigativo Carl Bernstein (che contribuì a scoperchiare lo scandalo Watergate) la tradiva mentre lei era incinta.

Quando ebbe la nefasta diagnosi del male che l’avrebbe portata via nel pieno degli anni, decise di preparare il suo funerale fin nei minimi dettagli. Ideò un ricettario personalizzato da consegnare agli amici più intimi a fine funzione, con le istruzioni di tutti i piatti che aveva cucinato per ognuno di loro….e quale viatico potrebbe rappresentarla meglio…..?

 

 

Sveva Casati Modignani “Lui, lei e il Paradiso” -Sperling&Kupfer- euro 21,00

Non avremmo mai pensato che un testo come questo fosse nelle corde della scrittrice da 12 milioni di copie vendute, Sveva Casati Modignani; nom de plume di Bice Cairati, classe 1938 e da sempre in vetta alle classifiche con la sua narrativa spesso snobbata dalla critica.

Questo romanzo è ambientato in Paradiso dove avviene l’incontro tra Dino Solbiati, grande imprenditore geniale che ha costruito la sua fortuna dal nulla e la scrittrice Stella Recalcati.

Solbiati rimanda a Silvio Berlusconi e l’idea di ispirarsi a lui ha solleticato l’immaginazione di Sveva Casati Modignani quando ha assistito ai suoi fastosi funerali in tv. Allora ha pensato che le sarebbe piaciuto intervistare il magnate per scoprirne soprattutto il profilo psicologico.

Ed ecco l’escamotage di incontrarlo (nei panni di Stella, suo alter ego) tra nuvole e meraviglie di un Paradiso da spot pubblicitario Lavazza. Solbiati si ritrova sospeso nel nulla a raccontare di se, riannodando i fili della sua vita intensa e vissuta a mille. Balzano tra ricordi delle mogli, tradimenti, la genialità e la sete smoderata di vita, ma anche qualche segretuccio. Insomma le contraddizioni dell’esistenza terrena.

 

Torino policulturale: Porta Palazzo

 

Torino sul podio: primati e particolarità del capoluogo pedemontano

Malinconica e borghese, Torino è una cartolina daltri tempi che non accetta di piegarsi allestetica della contemporaneità.
Il grattacielo San Paolo e quello sede della Regione sbirciano dallo skyline, eppure la loro altitudine viene zittita dalla moltitudine degli edifici barocchi e liberty che continuano a testimoniare la vera essenza della città, la metropolitana viaggia sommessa e non vista, mentre larancione dei tram storici continua a brillare ancorata ai cavi elettrici, mentre le abitudini dei cittadini, segnate dalla nostalgia di un passato non così lontano, non si conformano allirruente modernità.
Torino persiste nel suo essere retrò, si preserva dalla frenesia delle metropoli e si conferma un capoluogo a misura duomo, con tutti i pro e i controche tale scelta comporta.
Il tempo trascorre ma lantica città dei Savoia si conferma unica nel suo genere, con le sue particolarità e contraddizioni, con i suoi caffè storici e le catene commerciali dei brand internazionali, con il traffico della tangenziale che la sfiora ed i pullman brulicanti di passeggeri sudaticcima ben vestiti.
Numerosi sono gli aspetti che si possono approfondire della nostra bella Torino, molti vengono trattati spesso, altri invece rimangono argomenti meno noti, in questa serie di articoli ho deciso di soffermarmi sui primati che la città ha conquistato nel tempo, alcuni sono stati messi in dubbio, altri riconfermati ed altri ancora superati, eppure tutti hanno contribuito e lo fanno ancora- a rendere la remota Augusta Taurinorum così pregevole e singolare.

 

1. Torino capitale… anche del cinema!

2.La Mole e la sua altezza: quando Torino sfiorava il cielo

3.Torinesi golosi: le prelibatezze da gustare sotto i portici

4. Torino e le sue mummie: il Museo egizio

5.Torino sotto terra: come muoversi anche senza il conducente

6. Chi ce lha la piazza più grande dEuropa? Piazza Vittorio sotto accusa

7. Torino policulturale: Porta Palazzo

8.Torino, la città più magica

9. Il Turet: quando i simboli dissetano

10. Liberty torinese: quando leleganza si fa ferro

 

7. Torino policulturale: Porta Palazzo

 

Quanto mi piaceva andare al mercato di Porta Palazzo.
Ci andavo con mio padre, all’inizio, quando abitavo in precollina: si prendeva il tram 3 e si sbarcava direttamente in quel caos olente e chiassoso, un conglomerato multietnico di signore anziane con buste troppo piene e signori eccessivi dietro i banchi che si sgolavano per ottenere l’attenzione dei passanti.
Adoravo la vista di tutte quelle “cose” in simultanea, abiti colorati, formaggi appesi, collanine luccicanti, CD-ROM, videocassette, MP3,
walkman, salumi giganteschi, interi e sezionati, verdure di ogni tipo, spezie, ortaggi e poi d’improvviso quel mefitico odore di pesce.
Un pezzo di città che percepivo come un mondo a parte, un mini-universo intricato e confuso, un bailame da cui si andava e si veniva attraverso le navicelle spaziali che erano pullman e tram.
Ho continuato a fare delle “scappate” con le amiche in seguito, soprattutto in occasione del “Gran Balon”, che ancora oggi si svolge ogni seconda domenica del mese, all’interno del Cortile del Maglio, ad opera
dall’Associazione Commercianti Balon.


Torino è tante realtà, c’è la periferia e c’è il centro, c’è la “movida” e c’è il silezio dei parchi e c’è poi un cuore cosmopolita e indaffarato che pulsa brulicante tra lingue differenti e dialetti “impestati”.
Ed è proprio a “Pòrta Pila” -o anche “Pòrta Palass”- per dirla in piemontese, che si cela un altro record torinese: il mercato di Porta Palazzo è infatti il mercato all’aperto più grande d’Europa.
Inoltre, mi pare opportuno menzionare un altro primato del capoluogo, che si trova proprio lì, nei pressi del noto “bazar” locale, ossia la Porta Palatina di Torino, considerata una delle testimonianze di “porta romana” meglio conservate al mondo.
Si sta parlando di una zona dalla forte identità, tant’è che essa viene ritenuta un quartiere a sé stante -anche se non lo è a livello amministrativo-.
La denominazione deriva da una delle porte dell’antica Augusta Taurinorum, mentre l’inizio dei lavori, voluti dal Re Vittorio Amedeo II, avviene nel 1701, nell’ambito di un progetto più complesso il cui scopo era dare un nuovo assetto alla città.
È tuttavia solo dal 1835 che qui si stabiliscono i mercati, a seguito
di un’epidemia di colera che comporta il divieto – almeno in centro città- della macellazione degli animali e della manipolazione dei pesci. Vengono allora edificati due palazzi in stile neoclassico -appositamente per le attività di macello- dei locali sotterranei adibiti a ghiacciaie, a cui si aggiungerà più tardi – molto più tardi in effetti, nel 1916- il padiglione dell’orologio, la più grande costruzione in ferro e vetro di tutta Torino.
Nucleo centrale della zona è senza dubbio “il quadrato” all’imbocco di via Milano, dove, fino al Settecento, si trovava la “posterla” di San Michele, una piccola porta secondaria utilizzata per accedere all’ingresso nord della città, in sostituzione della romana e vetusta Porta Palatina. Tale passaggio scompare a seguito dei progetti di Juvarra, il quale propone la realizzazione di una struttura ad arco trionfale, portici e paraste. L’abbattimento delle mura avviene però nell’Ottocento, per volere di Napoleone, solo a quel punto la piazza assume l’ampiezza attuale, con il prolungamento della piazzetta verso nord e l’aggiunta del grande spiazzo ottagonale che caratterizza l’odierna piazza della Repubblica.
Non cambia nel tempo il segno distintivo del luogo: “l’incontro”. Così infatti ne parla Fiorenzo Oliva ne “Il mondo in una piazza. Diario di un anno tra 55 etnie” (edito nel 2009): “Porta Palazzo è profumo di frutta e verdura, colori vivaci,vociare straniero mescolato agli svariati dialetti italiani, contatto con popoli lontani. A Porta Palazzo vivono, si incontrano e si scontrano l’Europa, l’Africa e l’Asia”.
Non basta tuttavia passeggiare tra le bancarelle, vi sono anche altri punti d’interesse da tenere in considerazione. I Padiglioni IV, II e V ad esempio: il primo è considerato simbolo per eccellenza del grande mercato, edificato nei primi del Novecento, è conosciuto dai torinesi come “l mercà dij busiard” (il mercato dei bugiardi), nonostante il soprannome poco cortese, la struttura è sempre stata zona di grandi affari; gli altri due edifici invece vengono eretti nel 1836, su progetto dell’ingegner Barone, uno dedicato al mercato del pesce e l’altro invece agli altri generi alimentari.
Da non dimenticare assolutamente poi il PalaFuksas, progetto realizzato da Doriana e Massimiliano Fuksas tra il 1998 e il 2005, dopo la demolizione del preesistente “Mercato dell’Abbigliamento” del 1963.
L’edificio, noto anche come “Centro Palatino”, viene inaugurato il 25 marzo 2011, ospita al suo interno
due delle più antiche ghiacciaie sotterranee della piazza, rinvenute durante gli scavi per i lavori.
La struttura presenta una forte estetica contemporanea, caratterizzata dall’utilizzo del vetro e del metallo brunato, a sottolineare l’unione tra il moderno e le architetture eterogeee sviluppatisi nell’area negli ultimi tre secoli.

Nel 2019 partono importanti lavori di riqualificazione, dopo la chiusura di diversi punti vendita, viene così inaugurato il Mercato Centrale, che offre numerosi angoli gastronomici e ristoranti tipici in rappresentanza dei vari territori italiani.
Altro riferimento della zona è senz’altro il SERMIG, cruciale per quel che riguarda un concreto aiuto per alleviare le problematiche migratorie e sociali dovute a povertà e degrado.
Dal contemporaneo all’epoca romana, mi pare doveroso citare ancora l’antica Porta Principalis Dextera, “Pòrta Palatin-a o Tor Roman-e” in piemontese, l’originario accesso da settentrione per il capoluogo piemontese. Si tratta della principale testimonianza archeologica dell’epoca romana della città, nonché di una delle porte urbiche del I secolo a.C. meglio conservate al mondo; la struttura è compresa nell’area del Parco Archeologico, inaugurato nel 2006, insieme a Palazzo Reale e al Teatro Romano.
Un tempo nota come “Porta Doranea”, a causa della vicinanza con la Dora Riparia, oggi meglio conosciuta come Porta Palatina, dicitura derivante probabilmente dal latino “Porta Palatii.” I resti dell’architettura sono imponenti ed è più che visibile la somiglianaza strutturale con la Porta Decumana, inclusa nella successiva struttura medievale dell’attuale Palazzo Madama, entrambi gli ingressi rappresentano dunque un tipico esempio di “porta ad cavædium”, ovvero una struttura a doppia porta con “statio”,
un cortile quadrangolare sul lato interno. Vicino è ancora presente parte del basolato, sempre di epoca romana, su cui è ancora possibile visionare i solchi sulle pietre provocati dal transito del carri. È opportuno specificare che le statue bronzee raffiguranti Cesare Augusto e Giulio Cesare non sono originali ma copie risalenti al restauro del 1934.
La struttura si è di recente ritrovata sotto i riflettori, grazie all’opera dello street artist francese Saype, il quale nell’ottobre 2020 ha realizzato un murale lungo il prato del parco. L’opera,
raffigurante una catena di mani e braccia che si stringono tra di loro e che attraversano idealmente la Porta, può essere visualizzata esclusivamente dall’alto e non per sempre, infatti l’utilizzo di vernici biodegradabili la rende sì rispettosa dell’ambiente ma anche destinata a scomparire.
A Torino nulla è banale, nemmeno fare la spesa, ce lo insegna Gozzano: “Passiamo tra banco e banco, tra le cataste di stoffa, tra il gaio sventolare dei nastri e dei pizzi sospesi alle travi, ecco l’odore acre delle stoffe, mitigato, sostituito dall’aroma dei fiori; passiamo oltre, tra le chincaglierie, le terraglie, i vetri; veniamo alla nota vera, predominante di Porta Palazzo: quella gastronomica”.

Alessia Cagnotto

 

 

I concerti di inizio anno. Rock Jazz e dintorni a Torino: Roberto Vecchioni e Luca Barbarossa

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Gli appuntamenti musicali della settimana

Martedì. Al Jazz Club si esibisce Davide Alemanni.

Mercoledì. Sempre al Jazz Club performance dei The Chicago Blues Jam!

Giovedì. Al teatro Colosseo è di scena Roberto Vecchioni. Al Jazz Club si esibiscono i Perchè Concato. Alla Divina commedia suonano i So What Jazz Ensemble.

Venerdì. Al teatro Colosseo si esibisce Luca Barbarossa. All’Hiroshima Mon Amour  è di scena Dottor Lo Sapio e Trio Marciano. Al Jazz Club suonano i Bella Mbriana. Al Folk Club si esibisce Jesper Lindell & Scarlet Rivera. Al Magazzino sul Po è di scena il cantautore Marco Castello con 2 concerti (alle 20 e alle 22.30). Al Blah Blah è di scena Claudia Buzzetti.

Sabato. All’Hiroshima suona La SAD. Al Jazz Club si esibisce il Marco Betti Trio. Al Blah Blah suonano i Dievel.

Domenica. Alla Divina Commedia è di scena la Alchemya City Band. Al Jazz Club suonano gli Only Pop- e De Gruttola Duo. Allo Ziggy si esibisce Aux Animaux.

Pier Luigi Fuggetta

Le ricerche internazionali di Peter Mallat sui Paleologi 

Da Vienna a Casale Monferrato 

Alla fine di ottobre abbiamo ricevuto la gradita visita di Peter Mallat, docente di chimica e maestro onorario dell’Università di Vienna, importante genealogista e membro della Società Bizantina Austriaca. La presidenza assunta da Mallat nel club Skybird dei turisti viennesi gli ha offerto l’opportunità di viaggiare in tutto il mondo e ricercare informazioni utili sui Paleologi, la stirpe bizantina che governò l’impero d’Oriente Mediterraneo e il Monferrato. Nel 1983 l’Accademia di Santa Sofia di Malta gli ha conferito il dottorato honoris causa per le ricerche sulla storia bizantina.
Oltre ad aver scritto in diverse lingue sull’impero di Costantinopoli, a Vienna nel 1984 ha pubblicato in tedesco “I cristiani siro-ortodossi in Austria” e la storia di Costantino Paleologo, nobile del XVI° secolo di origine greca morto nel 1508 che prestò servizio militare allo Stato Pontificio fino a diventare comandante della Guardia papale. Era figlio di Andrea, nipote dell’ultimo imperatore bizantino Costantino IX° Paleologo, famoso regnante in esilio.
Indubbiamente il lavoro più importante di Mallat è “The Palaeologos Family”, pubblicato nel 1985 a Malta dopo due decenni di ricerche in Grecia, Italia, Vaticano, Serbia, Brasile, Malta, Polonia, Inghilterra e Barbados in collaborazione con Charles A.Gauci, medico maltese. Gauci, maggiore della Royal Army, laureato sia alla Royal University di Malta sia in Inghilterra è conosciuto per la pubblicazione araldica delle nobili famiglie maltesi.
Mallat ha raccolto importanti informazioni nell’abitazione veneziana di Carlo Paleologo tramite i manoscritti del 1903 di Arnaldo, bisnonno di Andrea Paleologo che ha visitato Casale nel novembre 2023 con la moglie Gisella. Peter Mallat, nato nel 1944, vive a Vienna con la moglie Sonia Martinu e si è convertito alla fede greco-ortodossa, scelta alquanto insolita nonostante l’essere nato e cresciuto in Austria. Gli antichi legami tra la città imperiale di Costantinopoli e il Marchesato di Monferrato di Teodoro I° Paleologo rappresentano un attuale parallelismo tra Oriente ortodosso ed Occidente latino tramite la visita del prof. Mallat in Monferrato e l’incontro ad Istanbul tra il patriarca Bartolomeo I° ed il vescovo Sacchi di Casale per i 550 anni di istituzione della Diocesi casalese, avvenuti entrambi lunedì 28-10-2024. Il cortile del palazzo San Giorgio Gozzani, ora municipio, è stato intitolato a Flaminio Paleologo (1518-1571) antenato di Andrea e le armi del gonfalone casalese rappresentano i blasoni di Bisanzio e del Monferrato.
Armano Luigi Gozzano