CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 7

Roberto Demarchi: “Hamas e Netanyahu sono i nuovi Erode”

La mostra del maestro Roberto Demarchi, inaugurata giovedì 5 dicembre 2024 alle ore 18, nella sede dell’atelier del pittore in corso Rosselli 11, reca il titolo “Montagna e avvento”.

Roberto Demarchi, pittore astratto , dichiara, a poche ore dell’inaugurazione di questa sua nuova mostra : “ I Vangeli ci narrano che, poco più di Duemila anni or sono, una piccola famiglia di ebrei, per sfuggire alla ferocia che il Potere scatena quando ha paura, lasciò nottetempo Betlemme per trovare rifugio in Egitto. Percorsero quella che allora si chiamava la via Maris ( che tra l’altro passava per Gaza). Subito dopo ci fu la strage degli Innocenti, innumerevoli bambini al di sotto dei due anni furono trucidati perché Erode temeva che tra di loro si celasse colui che, male interpretando le Sacre Scritture, avrebbe potuto prendere il suo posto. I Vangeli, se letti lontano da una esasperazione fideistica, parlano di verità che sopravvivono al Kronos, al microtempo. Ci dicono che l’uomo, con tutta la sua paura e con tutto il suo coraggio di vivere, è sempre lo stesso. I luoghi sono sempre gli stessi, Gaza ieri, Gaza oggi. I trucidatori sono sempre gli stessi, Erode ieri, Hamas e Netanyahu oggi”.

La mostra del Maestro Roberto Demarchi, intitolata “Montagna e Avvento” vuole essere un percorso ispirato all’Avvento e alla montagna ritratta da Cézanne, il tutto reinterpretato con il linguaggio astratto e suggestivo del maestro.

Mara Martellotta

“Questa è pittura”… perdersi nella totale libertà del colore

Il “Forte di Bard” presenta una grande retrospettiva dedicata ad Emilio Vedova fra i nomi più prestigiosi dell’ Arte Informale

Fino al 2 giugno 2025

Bard (Aosta)

Il colore, soprattutto. Il colore su tutto. A imprigionare forme, a dettare le regole irregolari di una dialettica fra gesto, segno e materia che coinvolge lo stesso pittore, diventando prova di forza, corsa a tutto campo, senza limiti né confini fra l’artista stesso e l’opera, concepita come bersaglio (pur sempre calibrato nella sapienza del complessivo rapporto compositivo) di violente emozioni e di impreviste improbabili fantasie. Il colore. La materia. Magma incandescente che avvolge lo stesso pittore. Che si fa colore. Si fa materia. Nel corpo e nell’anima. C’è tutto questo, la potenza del gesto e del segno della pittura di Emilio Vedova (Venezia, 1919 – 2006), al centro della retrospettiva “Questa è pittura” allestita nelle “Sale delle Cannoniere” al valdostano “Forte di Bard”fino a lunedì 2 giugno del prossimo anno.

Promossa dall’“Associazione Forte di Bard”, in collaborazione con “24 Ore Cultura” e “Fondazione Emilio e Annabianca Vedova” (istituita dall’artista con la moglie nel 1998 e attiva dal 2006), la mostra è curata da Gabriella Belli e  “vuole presentare – precisa la stessa Belli – l’opera di Vedova nella sua valenza pittorica, sfuggendo da ogni tentazione di lettura dettagliatamente storica o socio-politica, per indirizzare lo sguardo verso l’eccellenza della sua pittura, che sempre stupisce per la folgorazione del colore e la vitalità della sua materia, espressione tra le più alte dell’Informale europeo”.

Emilio Vedova, per molti “il fratello italiano di Jackson Pollock”, è stato uno degli artisti d’avanguardia più influenti del ‘900. Libero, dissidente, curioso e ribelle (fervente antifascista, partigiano a Roma e sulle colline piemontesi, nonché fra i firmatari nel ‘46 del manifesto “Oltre Guernica” e fra i fondatori del “Fronte Nuovo delle Arti”) ha tradotto nelle sue opere il suo impegno civile. Un intreccio per certi aspetti indissolubile che restituisce il profilo di un artista di altissimo talento e nello stesso tempo dotato di una rara capacità d’essere dentro il “farsi della storia”.

In mostra (che approda in Vallée a quasi cinquant’anni dall’esposizione “Emilio Vedova. Grafica e Didattica” presentata nel ’75 alla “Tour Fromage”, sotto la curatela di Zeno Birolli e dello stesso Vedova) troviamo esposti, 31 grandi dipinti e 22 opere su carta dell’artista veneziano, in maggioranza provenienti dalla “Fondazione Emilio e Annabianca Vedova”. L’odierna retrospettiva “vuole aggiungere – replica Gabriella Belli – un tassello alla conoscenza dell’artista, attraverso un itinerario di approfondimento del suo lavoro diviso in otto tappe, che corrispondono a momenti in cui lo sforzo creativo si dibatte attorno a questioni esistenziali”. La sequenza non è strettamente cronologica, ma va invece a rimarcare, attraverso le sue opere, quei “periodi/episodi” della vita artistica di Vedova strettamente dedicata al mestiere e alla ricerca pittorica, lasciando in ombra il suo pur sempre forte impegno civile e “la sua ben nota, carismatica voce di protesta davanti alle tragedie della storia e agli eventi di cronaca quotidiana”“Questa è pittura”, solo e intimamente pittura, recita bene, dunque, il titolo della rassegna, partendo dagli esordi dell’avventura artistica del pittore : “La nascita di un pittore. I Maestri”, la lezione trasmessa a Vedova dai grandi pittori di quel passato veneziano, alla sua quotidiana portata di mano e di vista, scritto dai vari TintorettoVeronese e Tiepolo, ammirati per poi sfuggirli (ma mai dimenticarli) abbracciando (“Cercare una via”) l’emergente “geometria astratta” di cui troviamo significativi esempi in mostra. Nella terza tappa “Astrazione per sempre”, già si fa luce il passaggio dalle strette “velleità geometriche” al desiderio di una pittura per vocazione “gravida di gesto e materia”, che s’alimenta nell’invenzione dei suoi “Plurimi” (quarta tappa), nuove forme dipinte, legni carichi di materia pittorica e assemblate con cerniere, “inquietanti costruzioni tridimensionali” che “deflagrando dalla parete, invadono lo spazio”. E l’iter prosegue nel continuo “lasciar libero il  segno” fino alle opere più strettamente connesse al suo personale “tragico esistenziale” sublimato in quella esemplare “Vertigine Piranesi” (settima tappa) che pare rievocare le “Carceri” (invenzione di luoghi “insieme inferi e architettonici”) del suo conterraneo, fra gli iniziatori dell’immaginario gotico, Giambattista Piranesi“Circolare infinito” è il titolo dato, infine, all’ottava tappa, con i tre grandi “Tondi”, disallineati al centro della Sala, che gridano tutta “l’irriverenza inquieta e geniale di un artista che ha sempre sfidato sé stesso”. E il mondo intero.

Gianni Milani

“Questa è pittura”

Forte di Bard, via Vittorio Emanuele II, Bard (Aosta); tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it

Fino al 2 giugno

Orari: mart. e ven. 10/18; sab. dom. e festivi 10/19; lunedì chiuso

 

Nelle foto: Emilio Vedova “Al lavoro su ‘Non Dove’”, 1988 (Ph. Aurelio Amendola): “Poemetto della sera”, olio su tela, 1946; “Plurimo – A”, acrilici, pastello su elementi di legno, 1962; “Ciclo”, tecnica mista su tela, 1962

“Arte e Carità”: oltre 120 opere in mostra a “Casa Francotto” di Busca

Dal patrimonio artistico delle “Confraternite” ai capolavori moderni e contemporanei

Dal 16 novembre al 9 febbraio 2025

Busca (Cuneo)

Sono oltre 120 le opere esposte, a firma di circa sessanta artisti operanti in un arco temporale che abbraccia più di sei secoli di storia dell’arte. Eccellente il luogo espositivo, gli eclettici spazi di “Casa Francotto”, nel centro storico di Busca (Cuneo), che da sabato 16 novembre a domenica 9 febbraio 2025, ospiteranno la mostra “Arte e Carità. Dal patrimonio delle Confraternite ai capolavori moderni e contemporanei”. Particolarmente ricco e suggestivo, il percorso espositivo appare suddiviso in due parti, dal “globale” al “locale”.

Una sezione è infatti dedicata a grandi artisti del passato, della modernità e della contemporaneità, con una settantina di opere che vanno (si citano solo alcuni nomi) dal Bellini al Correggio su su fino a Picasso, Fontana, Martini, Manzù, Cassinari e Mastroianni, accompagnate, nella seconda sezione, ai capolavori – depositari di settecento anni di storia con inediti di straordinaria bellezza – custoditi dalla due “Confraternite” cittadine, la “Bianca” (dal colore degli abiti degli iscritti) e la “Rossa” (dei “Battuti Rossi”), la “SS. Annunziata” e la “SS. Trinità”. Ad unire idealmente e operativamente tutte le opere in esposizione il loro attenersi scrupolosamente al binomio “Arte e Carità”. Curata da Cinzia Tesio, Rino Tacchella, Bruno Raspini e Dario Lorenzati, la rassegna è organizzata dal “Comune” e dall’“Ospedale Civico” (1698) di Busca. A completarne l’allestimento, curato da Maurizio Colombo, pannelli, documenti storici, codici “QR CODE” e tre “video”, uno dei quali dedicato al dottor Ernesto Francotto (1883 – 1968) che, alla sua morte, lasciò tutti i suoi beni, tra cui la casa natale, alla Città di Busca che ne fece un prezioso spazio espositivo nel rispetto della memoria del benefattore, il quale coltivò, accanto alla sua professione di medico condotto, l’arte della pittura, della poesia e della musica.

 

“La rassegna – spiegano i curatori – vuole approfondire il tema della carità, grazie al linguaggio universale dell’arte, stimolando una riattivazione della circolarità che la storia ci ha insegnato, senza tendere ad un ritorno al passato ma sfidando il futuro”. E, su questa linea, prosegue Luca Gosso, ex sindaco di Busca, già presidente per i “Serivizi Socio-Assistenziali” delle Valli Grana e Maira, oggi giornalista e attento divulgatore degli eventi di “Casa Francotto”: “Ritrovarsi di fronte a un crocifisso di Lucio Fontana o alle sculture di Giacomo Manzù, così come al presepe di Emanuele Luzzati e alla straordinaria ‘Via Crucis’ di Mario Tallone o all’ ‘Albero della carità’ di Mario Gosso, ci fa vivere emozioni forti facendoci pensare al desiderio di farsi prossimo, come diceva il Cardinale Carlo Maria Martini, alla ricerca di una speranza, di un nuovo umanesimo e di una sostenibilità che vuole rimettere al centro l’uomo e coniugare l’arte, la cultura e la carità”. Grandi nomi. Per una mostra che pienamente riesce a coniugare nel gesto estetico, il “fare arte” e la spirituale ricchezza del professare “Carità”. Ha ragione Gosso, “straordinaria” la “Via Crucis”del semplice grande scultore del ferro di Paesana, scomparso tre anni fa, Mario Tallone.

 

In essa la forza della materia si piega al sussulto di emozioni che si fanno “carnale spiritualità”. Come le non poche “Madonne con Bambino”, dalla terrena “Maternità” di Pablo Picasso(“Mother and Child”) olio su cartoncino del ’21 a quella in bronzo del ’20 di Leonardo Bistolfi  fino alla “Ceramica incisa e smaltata” di Ugo Nespolo e alla “Madonna di Loreto” di Umberto Mastroianni, eredi delle più antiche “Maternità” di Antonio Allegri il “Correggio” (“il portatore più moderno e ardito degli ideali del Rinascimento” ) e del veneziano Giovanni Bellini, dove si ritrova quella particolare capacità del Maestro (e dell’allora pittura veneta) di stabilire una particolare, simbolica relazione tra i protagonisti e lo sfondo paesistico.

E accanto alle “Maternità”, ecco l’inconfondibile iconografico “Cardinale seduto” in bronzo (1990) di Giacomo Manzù, l’informale “Cristo” in terracotta di Lucio Fontana, la fiabesca “Natività” di Emanuele Luzzati, la “Deposizione” in terracotta (1926) di Arturo Martini via via per arrivare (e il percorso continua ancora a lungo) al delicato, luminoso “Piccolo altare barocco”, in pastelli a cera su carta di Enrico Paulucci e al nervoso “Studio per Crocifissione” del ’93 di Giorgio Ramella. Una grande mostra, per ricordare l’infinita grandezza e bellezza della “Carità”.

Gianni Milani

“Arte e Carità”

Casa Francotto, piazza Regina Margherita, Busca (Cuneo); tel.371/5420603 o www.casafrancotto.it

Fino al 9 febbraio 2025

Orari: ven. 15,30/1830, sab. 10/12 e 15,30/18,30, dom. 10/12 e 14,30/18,30

Nelle foto: Pablo Picasso “Mother and Child”, olio su cartoncino, 1921; Mario Tallone “Via Crucis – Stazione 4”; Giovanni Bellini “Madonna con Bambino”, ca. 1510; Giorgio Ramella “Studio per Crocifissione”, 1993

Il mistero del Triangolo delle Bermuda, 5 dicembre 1945

ACCADDE OGGI

Forti tempeste, errori nella navigazione, problemi tecnici, addirittura forze paranormali o extraterrestri presenti in quella zona colpita da violenti e improvvisi uragani che sconvolgono mare e cielo e poi si disperdono rapidamente. Si è detto di tutto, lasciando spazio, anche troppo, all’immaginazione e fantasticando sulle possibili cause di quella tragedia. E se ne parla ancora, ogni anno, il giorno dell’anniversario. Sta di fatto che cinque aerei con 14 aviatori della Marina degli Stati Uniti scompaiono nel famoso Triangolo delle Bermuda, nell’Oceano Atlantico, durante un’esercitazione e non vengono mai più ritrovati. È passato quasi un secolo, era il 5 dicembre 1945. Come è potuto accadere? I racconti emersi in questi decenni sono tra i più svariati e alcuni anche molto strampalati. Si parla di onde gigantesche che emergono all’improvviso dagli abissi proiettando in aria le barche con una forza impressionante ma si narra anche di eruzioni di metano dalle profondità in grado di alterare la densità dell’acqua rendendo impossibile la navigazione. O perfino di attacchi di mostri marini e di calamari giganti che inghiottono i velivoli. Più realisticamente potrebbe invece trattarsi di un errore umano o di un difetto nella progettazione. È vero inoltre che nell’area specifica si trovano alcune delle fosse sottomarine più profonde al mondo e i relitti potrebbero trovarsi a molti chilometri dalla superficie dell’oceano. Il fondale marino si trova infatti a 6000-8000 metri sotto il livello del mare. Per le imbarcazioni il rischio di naufragio c’è sempre stato ma come è possibile far sparire anche gli aerei?
Le ipotesi sulle cause della scomparsa di aeroplani e navi nel Triangolo delle Bermuda sono molte ma cosa abbia causato queste sparizioni resta un mistero. Quasi 80 anni fa cinque aerei americani, conosciuti come Volo 19, decollarono dalla loro base in Florida per un normale addestramento e scomparvero inspiegabilmente nel Triangolo delle Bermuda. Né i velivoli né l’equipaggio furono mai più ritrovati. Quel giorno nacque la leggenda su cui si discute ancora oggi. Il Triangolo delle Bermuda è un’area oceanica di un milione di chilometri quadrati compresa tra Miami, l’arcipelago delle Bermuda e l’isola di Porto Rico. C’è da dire che si tratta di una zona dove spesso il meteo desta allarme e le condizioni del tempo sono pessime perché la corrente del Golfo crea vaste masse d’aria calda che generano onde alte parecchi metri e vere e proprie tempeste e bisogna aggiungere che molte di queste sparizioni misteriose sono avvenute in un periodo in cui le operazioni di salvataggio erano antiquate e poco efficaci. Sulla carta geografica quel triangolo è diventato il “triangolo maledetto”, un mistero che continua tra leggenda e realtà e che ha ispirato film, romanzi e serie televisive a non finire. All’interno di questo braccio di mare nel Novecento numerosi aerei e navi sono scomparsi senza lasciare traccia. Non è però un fenomeno solo novecentesco: gli storici ricordano che proprio in quest’area già Cristoforo Colombo annotò sul suo diario di bordo “strani e insoliti fenomeni” durante la navigazione.
I piloti degli aerei in volo sull’oceano potevano affidarsi esclusivamente alla bussola ma pare che quel giorno le bussole non funzionassero bene e le condizioni del tempo stavano peggiorando. Tanto è vero che il tenente istruttore Charles Taylor, a capo della missione, si perse un’ora dopo il decollo. Tragedia nella tragedia, anche uno degli idrovolanti di soccorso scomparve insieme ai 13 membri dell’equipaggio. Fu un disastro, relitti e corpi non furono mai trovati. Si trattò di un errore di valutazione del pilota secondo la Marina americana ma in seguito il verdetto fu cambiato in “cause sconosciute”. La Guardia Costiera ha comunque sempre fatto presente che il problema più grande in quell’area sono gli uragani con onde alte diversi metri. Le tempeste tra i Caraibi e l’Atlantico sono improvvise e possono dar vita a trombe d’acqua con effetti tragici per piloti e marinai. La sorte della Squadriglia 19 resta uno dei più grandi enigmi nella storia dell’aviazione.     Filippo Re

Lo Stradivari di Ferràndez sul podio dell’OSN Rai insieme al direttore Andrés Orozco – Estrada

Giovedì 5 dicembre, alle 20.30, all’Auditorium RAI Arturo Toscanini, si terrà il concerto che vedrà protagonista Pablo Ferràndez, uni dei violoncellisti definito da Le Figaro “il nuovo genio del violoncello”. Suona il preziosissimo Stradivari “Archinto” del 1689, prestato da un Maestro della Stretton Society. Pablo Ferràndez torna a suonare con l’OSN Rai, giovedì 5 dicembre, in un concerto che sarà trasmesso in diretta su Radio 3 e in live streaming sul portale di Rai Cultura. In replica venerdì 6 dicembre alle ore 20. Per il suo ritorno con l’OSN Rai, con la quale aveva debuttato giovanissimo nel 2017, propone il Concerto per violoncello n.2 in si minore op.104 di Antonin Dvořák, pagina fra le più note del compositore boemo, scritta intorno al 1895, verso la fine del suo soggiorno americano. Capolavoro della letteratura violoncellistica, è amato dai grandi solisti per l’esuberante virtuosismo e l’immediata presa emotiva dei temi di ascendenza folklorica tra Vecchio e Nuovo mondo. La sua prima esecuzione fu a Londra nel 1896, con lo stesso Dvořák sul podio e Leo Stern come solista.

Sul podio dell’Orchestra Rai è chiamato il direttore principale Andrès Orozco-Estrada. Nato a Medellin, in Colombia, nel 1977, ha debuttato con l’OSN nel maggio 2022, e nell’ottobre 2023 ha iniziato la sua collaborazione come direttore principale. Nella seconda parte della serata Orozco-Estrada propone il poema sinfonico di Richard Strauss “Tod und verklärung” (morte e trasfigurazione), che illustra i temi dell’agonia umana e della salvezza ultraterrena, muovendosi tra l’esasperazione materialistica di stampo decadente e l’eterna aspirazione romantica.

La scena finale dell’opera, il canto di Isolde sul corpo di Tristano, cerca la soluzione al conflitto tra amore e morte nella trascendenza, nel passaggio a una forma altra, diversa da quella umana, di concepire quel desiderio di vita che costituisce la fonte inesauribile dell’eros. Mahler e Strauss concepiscono il proprio mondo in sintonia con la cultura del loro tempo, in cui le voci moderne sono Shopenhauer, Wagner e Nietzsche. “Morte e trasfigurazione” op.24 è un breve poema per grande orchestra di Richard Strauss, che iniziò a comporre nella tarda estate del 1888, e completò il 18 novembre 1889, dedicandola all’amico Friedrich Rosch.

In chiusura un’altra pagina di Strauss, ma all’insegna del divertimento, il poema sinfonico “Till Eulenspiegels lustige Streiche” ( I tiri burloni di Till Eulenspiegel), definito dallo stesso autore molto allegro e spavaldo. Fu composto tra il 1894 e il 1895, ha avuto la prima assoluta a Colonia il 5 novembre 1895 sotto la direzione di Franz Wüllner. Racconta gli scherzi e le avventure di un personaggio di fantasia molto popolare in Germania, Till Eulenspiegel. I due temi che rappresentano Till sono interpretati dal corno e dal clarinetto; il tema del primo è una melodia che procede cadenzata fino al suo culmine, per poi ricadere e terminare in tre note lunghe e forti, decrescenti in scala. Il tema del clarinetto è più complesso, come a suggerire un burlone intento a preparare i suoi scherzi.

Biglietteria: biglietteria.osn@rai.it e online sul sito dell’OSN Rai

 

Mara Martellotta

 

Mario Odasso, ufficiale alpino in Albania e Russia

Giorgio Ferraris, maestro elementare in pensione, da tanti anni sindaco di Ormea in alta Val Tanaro, al confine con la Liguria, autore di libri importanti sugli alpini al fronte russo tra il 1942 e il 1943 (Alpini dal Tanaro al Don, In prima linea a Nowo Postojalowka, Le ultime tradotte per la Russia), ha pubblicato per l’editore Araba Fenice un interessante profilo dell’ufficiale delle penne nere Mario Odasso. Nato a Garessio il 7 dicembre del 1898, Odasso prese parte come giovane ufficiale di complemento al primo conflitto mondiale e ricoprì un ruolo di grande rilevanza su tutti i fronti dove vennero impegnate le truppe alpine nella Seconda Guerra mondiale. Con il grado di maggiore  comandò il Battaglione Intra, inviato in Albania con la Cuneense dopo il fallito tentativo di occupazione della Grecia. In quella circostanza condusse personalmente una delle poche operazioni militari dell’esercito italiano coronate da successo di quella guerra, prima dell’intervento delle truppe germaniche. Il comando del Battaglione degli alpini Intra fu un esperienza importante considerato che rappresentava, nella storia delle penne nere, il più antico corpo di fanteria da montagna attivo nel mondo, quasi una leggenda. Costituitosi nel 1908 con il nome di Pallanza, assunse un anno più tardi la denominazione che lo rese famoso tra gli alpini. La nappina che distingueva questi alpini era verde e il loro motto era tutto un programma: “O u roump o u moeur !”, “O rompo, o muoio”. Odasso, promosso tenente colonnello, prese successivamente parte alla campagna di Russia come Capo dell’Ufficio Operazioni del Corpo d’Armata Alpino e, all’inizio della ritirata, svolse una delicata e fortunosa missione speciale. Nominato Capo di Stato Maggiore del Corpo Alpino, dopo aver organizzato il rientro in patria dei soldati italiani sopravvissuti alla disastrosa ritirata, venne gravemente ferito da un bombardamento aereo russo e i postumi della ferita lo costrinsero al ritiro dalla vita militare, conclusa con il grado di generale. A guerra finita, il Battaglione Intra, a quel tempo inquadrato nel 4° Reggimento Alpini della Divisione Taurinense, non venne più ricostituito, restando così nei ricordi di coloro che ne fecero parte, in pace come in guerra. Va sottolineato che al rientro in Italia, nella sua casa a Intra, Mario Odasso non solo non aderì alla Repubblica di Salò ma avviò i contatti con il Cln clandestino di Verbania e con le formazioni della Resistenza, preparando la calata al piano dei partigiani e assumendo il comando della piazza militare verbanese. Quando si costituì la prima amministrazione comunale di Verbania dopo la Liberazione fu chiamato dal sindaco socialista Andreani a far parte della giunta in qualità di vicesindaco, incarico che ricoprì fino alla primavera del 1946. Il libro di Giorgio Ferraris, arricchito da una importante documentazione fotografica sulla campagna greco-albanese del Battaglione Intra, ricostruisce la vita di questo alpino di poche parole e di forte tempra, apprezzato e rispettato dai suoi uomini, che seppe fare scelte importanti a testa alta, dimostrando grandi capacità militari e una forte umanità. Ferraris mette in rilievo, infine i valori che hanno ispirato la vita di quest’uomo tutto d’un pezzo: l’onestà e lo spirito di libertà.

Marco Travaglini

ll libro di Quaglieni su Matteotti presentato ad Albenga

Domenica 8 dicembre alle ore 18,30 ad Albenga, nel Salone del Podestà della Torre Medievale (piazza S. Michele), sarà presentato il libro curato da Pier Franco Quaglieni su “Matteotti”, Pedrini Edizioni, nel centenario del suo assassinio. Il libro, con un saggio introduttivo dello storico prof. Quaglieni, raccoglie l’ultimo discorso pronunciato da Matteotti alla Camera e il libro scritto da Piero Gobetti subito dopo la morte del deputato socialista. Interverrà, con l’autore, Roberto Pirino, Presidente della Fondazione G.M. Oddi.

I mondi di James Cameron prenderanno vita al Museo del Cinema

/

 Dal 26 febbraio al 16 giugno 2025

Il Museo Nazionale del Cinema di Torino dedica una mostra intitolata “The Art of James Cameron” a uno dei più grandi registi, sceneggiatori, produttori e innovatori contemporanei, ideata dalla Cinémathèque Français in collaborazione con l’Avatar Allianz Foundation. Si tratta di un viaggio avvincente nel percorso creativo di uno dei più immaginifici innovatori della storia del cinema. La mostra ripercorre sei decenni di espressione creativa di James Cameron, raccogliendo una straordinaria selezione di opere rare e mai viste prima, tratte dall’archivio privato del regista. Questa esposizione, adattata alla particolare struttura verticale della Mole Antonelliana è unica nel suo genere, e mette in mostra il processo che ha portato alla creazione di classici contemporanei come “Terminator”, “Aliens”, “Titanic”, e la serie di “Avatar”.

Pur avendo creato e utilizzato tecnologie cinematografiche di altissimo livello durante la sua carriera, il processo creativo di Cameron è iniziato molto semplicemente con penna, matita e colori, prima di prendere in mano una macchina da presa. “L’arte di James Cameron” include tutto, dai suoi primi schizzi ai progetti mai realizzati, fino alle sue opere più celebri. L’affascinante universo de “L’Arte di James Cameron” è diviso in sei aree tematiche: Sognare ad occhi aperti; La macchina umana; Esplorare l’ignoto; Titanic, viaggio nel tempo; Creature: Umani e Alieni; Mondialità selvagge. I più di 300 oggetti in esposizione includono disegni, dipinti, oggetti di scena, costumi, fotografie e tecnologie 3D, realizzate e adattate dallo stesso Cameron, grande innovatore tecnologico in molteplici discipline. La ricerca instancabile di nuove tecniche per realizzare la sua visione creativa si esprime anche nell’esposizione attraverso esperienze multimediali ricche e coinvolgenti. La mostra “The Art of James Cameron” è una sorta di autobiografia attraverso l’arte, come la definisce lo stesso Cameron “un’esperienza unica del suo importante percorso e iter creativo.

Museo Nazionale del Cinema- via Montebello 20, Torino

Info e prenotazioni: prenotazioni@museocinema.it

 

Mara Martellotta

Pietro Baroni: “J’ai plus de souvenirs que si j’avais mille ans”

Alla Galleria “BI-Box Art Space” di Biella, e per la prima volta in Piemonte, una mostra personale del fotografo milanese 

Fino al 21 dicembre

Fino al 7 dicembre ancora visibile la retrospettiva di Letizia Battaglia

Biella

I suoi “attori” sono uomini e donne della porta accanto. Attori improvvisati, ma ben partecipi del compito assegnatogli. Ritratti in bianco e nero, che ti scuotono dentro, forse più di quanto, scossi, lo siano essi stessi. Immagini che ti imprigionano nella più ingarbugliata rete della comprensione e ti fanno, quasi, stare a distanza per non essere coinvolti in situazioni esistenziali quanto meno inquietanti o, al contrario, ti inducono ad avvicinarti per scorgere in quegli occhi, muti di emozioni sensazioni e passioni, le voragini in cui sono inciampati, rotolando in un fitto buio che nasconde loro vie di fuga e di salvezza. Dice l’artista: “Corpo, identità ed emozioni sono le mie parole chiave”. E qui, di quelle parole, non ne manca una. Sono perfetti, in tal senso, gli scatti del fotografo milanese Pietro Baroni(“Emerging Photographer of the Year” 2017 per “Lens Culture”), instancabile viaggiatore in Paesi e in anime di tutto il mondo, “per raccogliere e respirare – racconta – storie umane”. Scatti ospitati fino a sabato 21 dicembre – per la prima volta in Piemonte, dopo essere stati fra le tante città a New York e a Roma – negli spazi della Galleria “BI-Box Art Space” di Biella. Curata da Irene Finiguerra, la mostra mette insieme 40 opere, di cui una dozzina visibili in formato fotografico e le altre attraverso un video.

Da “I fiori del male” (1857) di Charles Baudelaire il titolo della rassegna: “J’ai plus de souvenirs que si j’avais mille ans – Ho dentro più ricordi che se avessi mill’anni”. Ricordi grevi che per il “poète maudit” si fanno “spleen”, “cupa malinconia”, specchio di uno stato d’animo che è “noia e angoscia d’esistere”. Sentimenti da cui appare ammaliato anche Baroni in foto scattate a persone sconosciute, rintracciate (pensate un po’!) tramite una “call online”.  Persone di diverse etnie, ceto sociale, età, diverse tra loro in ogni modo possibile. Al momento dello scatto, il fotografo ha chiesto loro di concentrarsi sui “loro segreti inconfessabili”, quelli che ognuno custodisce dentro di sé. Il risultato è una serie di volti sofferenti, sorpresi, melanconici, in pena, attoniti, arresi. “Queste opere – commenta Enrichetta Buchli, docente e psicoterapeuta – mostrano un grande potere psichico, quello di toccare profondamente le corde emotive dello spettatore. Impossibile rimanere indifferenti o piuttosto pronunciare il solito vago commento, bello, non bello, mi piace o non mi piace”. Sul giudizio critico non ci piove. Baroni conosce bene il suo mestiere. Baroni è un eccellente artista-fotografo.

Ma i suoi ritratti esigono pur anche un’interpretazione ed una riflessione di tipo psichico e analitico. E a ciò lo stesso Baroni non si sottrae, ben sapendo di farne cifra stilistica che, ancor più, richiama una curiosa interpretazione delle sue opere. Di quei volti “persi”, fra rughe e imperfezioni della pelle, mentalmente gracili su quelle “spalle nude”, indifese, com’è totalmente indifeso il corpo che nell’abito vede solo “apparenza e mascheramento”. Annota ancora Enrichetta Buchli: “Alcuni ritratti sembra cerchino di comunicare con un invisibile altro, ma senza successo, privi di ascolto, di comprensione. Della presenza empatica dell’altro. E’ decisamente originale l’abilità di Pietro nel far percepire questa invisibile presenza dell’altro, un amico, un partner, un collega, un genitore … magari fonte di dolore. Certo non è l’obiettivo della macchina fotografica”. Verissimo! Baroni non cerca redenzioni. Ai suoi personaggi lascia piena libertà di vivere le loro (e delle loro) impenetrabili assenze e frustrazioni.

Fino a sabato 7 dicembre, “BI-Box” ospita contemporaneamente anche un’altra mostra fotografica, dedicata alla grande, di fama internazionale,Letizia Battaglia (Palermo, 1935 – 2022), prima donna fotografa a essere assunta da un giornale italiano (“L’Ora” di Palermo), famosa per aver documentato dal ’74 gli anni di piombo della sua città, scattando foto dei delitti di mafia e di periferie preda di disperazione e criminalità. Suoi gli scatti, acquisiti al processo, all’“Hotel Zagarella”, con gli esattori mafiosi Salvo insieme a Giulio Andreotti e prima fotoreporter (6 gennaio ’80) a giungere sul luogo dell’omicidio di Piersanti Mattarella. “Fotografa della mafia”, ma non solo, come testimoniano le  ventiquattro fotografie esposte a Biella, già parte della rassega “Passione, Giustizia e Libertà” curata e voluta dalla Compagnia “Viartisti Teatro”, ospitata nel 2006 nelle sale del “Museo Diffuso della Resistenza” di Torino, e poi donate alla regista Pietra Selva.

Gianni Milani

“J’ai plus de souvenirs que si j’avais mille ans”

“BI-Box Art Space”, via Italia 38, Biella; tel. 015/3701355 o www.bi-boxartspace.com

Fino al 21 dicembre

Orari: giov. e ven. 15/19,30; sab. 10/12,30 e !5/19,30

Nelle foto: Pietro Baroni “Souvenirs” e parte dell’allestimento della mostra di Letizia Battaglia

Rassegna mensile dei libri più letti e commentati

Vi piace leggere ma non trovate il libro adatto a voi? Ecco una piccola rassegna dei titoli più commentati dalla community de Il Passaparola Dei Libri nel mese di novembre.

Al primo posto, era immaginabile, Tatà l’ultimo romanzo di Valerie Perrin: riuscirà ad interessare i lettori tanto quanto il suo precedente Cambia L’Acqua Ai Fiori? Per ora le recensioni sono favorevoli…

Il Treno Dei Bambini, di Viola Ardone: torna di grande attualità, grazie a una recente produzione televisiva e  lettori e lettrici tornano a dividersi sul suo impatto narrativo.

 

Il Cognome Delle Donne, di Aurora Tamigio: la più recente vincitrice del Premio Bancarella si sta imponendo sul pubblico della nostra community, vedremo se diventerà uno dei nostri “classici”. Per il momento chi lo ha letto ne parla benissimo.

 

Incontri con gli autori

 

In novembre conosciamo Sonia Rottichieri, autrice de La Mia Vita Con I Cani  (auto-pubblicazione, 2024) un libro che celebra l’amicizia tra uomo e animale e vuole essere, inoltre, una storia di amore e una  lezione sulla lealtà e sul valore della vita.

Torniamo volentieri a intervistare Sylvia Zanotto in occasione dell’uscita del suo primo romanzo Come Nijinskiy (Nardini, 2024) e facciamo la conoscenza con Andrea Polo, adesso in libreria col suo nuovo libro  Storie Di Padri, Storie Di Figli, (Paesi, 2024) nel quale un padre racconta ai figli un’avvincente storia di famiglia.

 

Per questo mese è tutto. Vi invitiamo a seguire Il Passaparola dei libri sui nostri canali sociali e a venirci a trovare sul nostro sito ufficiale per rimanere sempre aggiornati sul mondo dei libri e della lettura! unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it