CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 7

Rock Jazz e dintorni a Torino: Jovanotti e Jon Gomm

/

GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. Al Dorado è di scena Mark Eitzel. Al Lambic si esibisce Paolo Jannacci in duo con il trombettista Daniele Moretto.

Martedì. Al Blah Blah suona Jesse Dayton. Al Vinile è di scena Alex Vaudano. 

Mercoledì.  All’Inalpi Arena arriva Jovanotti per 6 concerti: 9, 10, 12, 13, 15, 16. All’Osteria Rabezzana suona il quartetto di Dario Lombardo. Al Vinile si esibisce il trio Girinsoliti. Al Blah Blah suonano gli Ora Nefasta.

Giovedì. Allo Ziggy sono di scena Kill Your Boyfriend e Valerian Swing. Al Blah Blah suonano i Bittersweethearts+ Aurora Motel. Allo Spazio 211 si esibisce Massimo Silverio. Al Magazzino sul Po è di scena Cigno. All’Hiroshima Mon Amour si esibisce Dente. All’Osteria Rabezzana suona lo S. Rwe Quintet. Al Cap 10100 si esibiscono i Gazebo Penguins.

Venerdì. Al Texido è di scena Garbo. Al Blah Blah suonano i Monaci del Surf. All’Off Topic sono di scena gli Amore Audio. Al Folk Club si esibisce Michael McDermott. All’Hiroshima sono di scena i Les Votives. Al Circolino suona il Tokyorama Instabile Quartet.

Sabato. Al Magazzino sul PO si esibiscono i Jumpin’Quails. Al Folk Club suona Jon Gomm.

Domenica. Alla Divina Commedia sono di scena i Tramps.

Pier Luigi Fuggetta

Un dramma che spinge una famiglia a confrontarsi con l’Altro

Inattesa”, la presentazione al Circolo dei Lettori il 7 aprile

Una casa. Una casa propria e altrui, soprattutto. Matteo Paola Martina Mattia prima, centinaia migliaia di altre persone, un mondo, un mondo sconosciuto e che non ti aspetti – inatteso, anche questo -, poi. “Un giorno capita un incidente a nostro figlio: una caduta quasi banale – un qualcosa di “imprevedibile”, il 18 novembre 2021, ad un giovane ragazzo di liceo, a tutti i suoi – ma che ha messo a rischio la sua vita e che ha totalmente sconvolto le nostre. Oggi stiamo vivendo una “nuova” vita in cui vogliamo dare un aiuto concreto a chi, come noi, si è trovato in una situazione difficile.” Nasce la Fondazione Morandi, “una realtà che sostiene la formazione di nuovi medici all’avanguardia, dalla chirurgia d’urgenza all’educazione, supportando sanità, scuola e sport sul territorio. Capace di creare connessioni e opportunità, realizzando progetti innovativi che diano velocemente risultati inattesi, rendendo accessibili percorsi formativi innovativi a chiunque senta l’esigenza di portare aiuto concreto.”

Succede questo un giorno all’interno della famiglia Morandi, del capofamiglia Matteo che è manager di grandi aziende, un episodio drammatico e una decisione, un grave incidente in moto del figlio e il coinvolgimento di altre persone, professionisti e medici e chi sappia “sentire” secondo i loro medesimi sentimenti. Nasce anche un libro a narrare quei momenti e quella disperazione, quella speranza continua che non abbandona e un nuovo orizzonte, “Inattesa”, scritto da Matteo Morandi con Lidia Labianca, edito dalla Egea Edizioni (casa editrice dell’Università Bocconi), un titolo sospeso che si presta a una doppia lettura. Verrà presentato lunedì 7 aprile alle 18,30 nella Sala Grande del Circolo dei Lettori: una testimonianza a chiedersi ancora tanti perché, a ricordare, a descrivere quello che l’autore chiama “l’Evento”, magari ad agguantare quel trauma che ha sconvolto delle vite ma che è stato la spinta, il punto di partenza per un nuovo confronto con l’Altro, per rivedere le proprie convinzioni e l’indirizzo più consapevole della propria economia, per dare un senso maggiore alla propria esistenza e al proprio lavoro. Progetti sfide traguardi da raggiungere, in quella “inattesa” disponibilità a cui l’Evento ha spinto una intera famiglia.

Elio Rabbione

Nelle immagini, la copertina di “Inattesa” e l’autore Matteo Morandi.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: Einaudiani inconsapevoli? – Cardini, la mascotte pluralista – Lettere

Einaudiani inconsapevoli?
È  stata davvero un po’  penosa la vicenda del cambio del direttore del Circolo dei lettori perché è venuta fuori in tutta la sua evidenza la forte politicizzazione del contrasto che si era determinato. Culicchia non può certo essere considerato un direttore neutrale o tecnico, ma marcatamente politico, anche se oggi è  appoggiato dalla destra.
La cosa più curiosa è la vicenda della laurea che non è stata considerata dirimente come avviene in tutti i pubblici concorsi. Sembra quasi che sia stato inconsciamente applicato il principio einaudiano che nega il valore legale dei titoli di studio, una annosa questione di cui si è discusso per decine d’anni. In questo caso avere o non avere una laurea è stato considerato indifferente. La cultura, d’altra parte, anche quella fatta da libri e da lettori  (e ovviamente lettrici !, come ha voluto sottolineare il neo direttore) non può basarsi su un banale pezzo di carta.
.
Cardini, la mascotte pluralista
Alla Biennale della democrazia non sono stati totalmente di parte nell’invitare ospiti di un solo orientamento politico perche’ hanno invitato anche l’ottuagenario prof. Franco Cardini, storico insigne del Medio Evo che come Barbero si diletta  spesso a praticare scorribande sulla storia  contemporanea. Cardini è  stato in giovinezza per non molto tempo iscritto al MSI  e quindi rappresenta l’altera pars che manca.
foto: francocardini.it
Ma in effetti è difficile catalogare oggi Cardini un uomo di destra, anche se in tempi recenti sembra aver riscoperto le sue lontane origini giovanili. Anche al festival della storia di Genova dove tutto il programma è stato monopolizzato da storici della stessa appartenenza, è  stato invitato Cardini che costituisce un alibi per chi monopolizza iniziative pubbliche, realizzate con denaro pubblico, per fini politici più che evidenti.
.
quaglieni penna scritturaLettere scrivere a quaglieni@gmail.com
.
Scuola di ateismo?
Ho ascoltato un pezzo di intervista con Papa Giovanni Paolo II che, ricordando le sue origini polacche e l’ateismo di Stato vigente nell’Est, sosteneva che la scuola più che laica era “ateizzante”, negatrice cioè di ogni valore religioso.
Cosa ne pensa?    Giuseppe Giani
Il  grande Papa polacco si spingeva a ritenere che la scuola dovesse essere anche luogo di catechesi, persino a livello universitario. Ascoltai questa affermazione  in un discorso papale all’Università di Torino dove udii una tesi tanto coraggiosa quanto temeraria che portò i docenti laici più settari   addirittura a disertare  preventivamente l’incontro con il Pontefice, già dando per scontato in partenza  quanto avrebbe detto. L’idea del Papa era in effetti  un’idea non conciliabile con la laicità intesa come premessa di  una libera circolazione delle idee e delle fedi. Ma io andai egualmente all’incontro col Papa. Non appartenevo già allora a quella schiera di professori che alla “Sapienza” di Roma vietarono al  successore di Wojtyla  di parlare. Ma era ed è anche oggi fuor di dubbio che il Papa avesse ragione nel sostenere che certo laicismo diventasse ateizzazione, cioè scuola di un  ateismo negatore di ogni fede. Il laicismo attuale che vede le religioni come il retaggio di un passato oscurantista non ha nulla a che vedere con la laicità liberale fondata sulla pluralità e sul rispetto. La laicità non si limita alla tolleranza settecentesca, ma difende e pratica il rispetto delle diverse fedi, come insegnava il grande Francesco Ruffini, oggi del tutto dimenticato. La libertà di credere e  di non credere, come diceva il Maestro piemontese del secolo scorso.
.
Dazi trumpiani
Dev’essere chiaro che dopo i dazi di Trump più nessuno in Italia, che si dica anche solo  lontanamente liberale, possa dirsi Trumpiano. La sua è una politica volta a sovvertire gli equilibri mondiali con finalità distruttive simili ad una guerra.     Pietro Angeli
Concordo con Lei. Trump  è  un flagello che andrebbe messo a tacere. Sta rovinando rapporti storici con l’Europa con la prepotenza del pirata. E sta danneggiando in primis gli USA. Chi in Italia continua ora a considerarsi trumpiano va considerato per quello che è: un traditore della Patria italiana ed europea. Il dramma è che noi abbiamo ai vertici dell’Europa una piccola donna tedesca inadeguata al ruolo, che andrebbe mandata a casa al più presto. Lo stesso va detto di Macron. Mattarella si sta rivelando  inaspettatamente un gigante.
.
Unitre
L’unitre è un’ottima iniziativa che occupa il tempo libero degli anziani con conferenze e lezioni su tante materie, ma non è certo una Università, anche se di Università private l’Italia è piena e putroppo alcune “facilitano” il conseguimento di lauree honoris causa o con titoli riconosciuti senza adeguati controlli. L’Unitre è cosa seria e non contrabbanda titoli  non riconosciuti.
A Torino c’è anche la vecchia Università popolare  nata da ambienti filantropici filo massonici agli albori del secolo legati alla famiglia Bachi padre e figlio. Anche qui non si parla di titoli di studio rilasciati dall’Universita’ popolare tanto criticata ingiustamente da Gramsci. Non ho capito come mai il non laureato Culicchia abbia dichiarato che frequenterà l’Unitre. Una battuta, una provocazione o un’irrisione verso chi è dottore veramente.     N. De Santi
Non so che dirle. Lei fa un resoconto perfetto della situazione torinese fondata su Unitre e Università popolare. Su Culicchia non saprei dirle nulla perché vuole supplire alla mancata laurea con la frequenza dell’ Unitre. Forse come dice Lei è una battuta. Se posso dire, di pessimo gusto.

“Sarabanda”, il male di vivere e altre tragedie

L’ultima opera di Ingmar Bergman al Carignano, sino a domenica 6 aprile

Con “Sarabanda”, girato per un pool di televisioni europee, tra cui la Rai, con tecniche digitali, l’ineguagliato Ingmar Bergman firmò nel 2003, a quattro anni dalla morte, il suo testamento artistico, tornando a visitare i personaggi di “Scene da un matrimonio”, a distanza di trent’anni. Ancora Marianne e Johan, ancora Liv Ullman e Erland Josephson. Marianne è tornata, all’improvviso, senza un vero perché (o, al contrario, in una opposta visuale, c’è in quella visita qualcosa di precostruito, il desiderio di mettersi ancora una volta nella vita del suo uomo? “pensavo che tu mi stessi chiamando”, una sua suggestione), da quell’uomo da cui da decenni s’è divisa, con cui ha trascorso tradimenti e desideri affettuosi e fisici di ricongiungersi, vivendo e dimenticando (“l’arte di nascondere la spazzatura sotto il tappeto” s’intitolava uno degli episodi di quella serie televisiva); lo ritrova chiuso e solitario nella propria casa tra i boschi, agguerrito misantropo, circondato dai libri, vicino di casa di un figlio, Henrik, chiuso anch’egli in una piccola proprietà con la figlia diciannovenne Karin, con cui non colloquia, alimentandosi tra gli squarci di incomprensioni e di autentico odio che potrebbero sfociare anche nella violenza. Di entrambi è forte l’amore per la ragazza, del primo affettuoso (per vero affetto? o per una qualche inconfessata convenienza?), dell’altro, musicista e facilmente improvvisatosi ferreo insegnante, oltremodo ossessivo e soffocante, ore di studio per l’implacabile perfezione del violoncello. Prove difficili, un obbligo a primeggiare – un futuro da solista – a cui Karin sente che non sarà mai pronta, il desiderio di fuggire, di viaggiare a scoprire nuovi giovani colleghi, luoghi diversi, atmosfere ben lontane da quella in cui è cresciuta: mentre sui loro momenti aleggia il sospetto di un suggerito incesto.

Un abbandono che su Henrik ha traumi di autodistruzione – “maledetto Henrik maledetto, povero idiota” urlerà il vecchio patriarca -: e Marianne che continua a osservare quel gioco al massacro, nel trascorrere dei giorni e delle stagioni, coinvolta e muta, a correggere, a sostenere, a tentare di costruire un’affettuosità che non potrà mai esistere. Ad intromettersi, la presenza sospesa di Anna, la moglie scomparsa di Johan (in un incidente), un’assenza ingombrante, una fotografia poggiata sul tavolino che ha il peso dell’immagine sacra sopra un altare. La disperazione, un rinfacciare continuo, le continue incomprensioni e il rancore, un’angoscia che s’è ormai impadronita e non si può più cancellare e che alla fine esplode, il tentativo d’imporsi sempre, la fuga, gli acidi sentimenti e la rabbia che si spargono attraverso dieci scene, più un prologo e un epilogo, omaggiando altresì musicalmente, tra Bach e Brahms, quella “sarabanda” che oltre a suonare come titolo è un movimento di danza rispettato nella presenza, durante i cento minuti della durata, sempre, di due soli personaggi, scena dopo scena. È il rapporto guasto di padri e figli, del frantumarsi della famiglia, quei dolorosi pezzi di vita e quelle ferite che non si rimarginano. Tutto si anima di urla e di parole e di silenzi, di sguardi e di piccoli gesti, ogni cosa pronta a investire quel quartetto che tenta di risorgere ma che nel finale è ancora lì a contorcersi e a buttar fuori lamenti muti. Portando la vicenda sul palcoscenico (con la traduzione di Renato Zatti), Roberto Andò – uomo di teatro e di cinema (dal “Manoscritto del principe” sino agli ultimi successi “La stranezza” e “L’abbaglio”, passando attraverso quella “Storia senza nome” che s’ispirava al furto nel ’69 della “Natività” di Caravaggio mai più ritrovata) e di lettere (il suo più recente romanzo è “Il coccodrillo di Palermo”, edito dalla Nave di Teseo) -, con una coproduzione dei Teatri di Genova e Napoli e del Biondo di Palermo, sino a domenica 6 aprile presenta al Carignano, nella stagione dello Stabile di Torino – Teatro Nazionale, l’ultima fatica del regista svedese.

La sua direzione, dalle cadenze precise, lavorando sempre in levare, geometrica e prosciugata dei gesti e delle parole, cadenzate una a una, limpide, e di tutte le conclusioni che potrebbero suonare superflue, non soltanto s’impagina tra le tavole di un palcoscenico ma prima di tutto guarda al cinema, quasi un meccanismo inventato, quasi un susseguirsi di piani cinematografici, di dissolvenze e di primi piani, come del resto le scene spoglie, da Gianni Carluccio, nel preciso svolgersi dei vari capitoli aperti e richiusi da pareti mobili, orizzontali e in verticale, quasi musicalmente un movimento che s’incunea nel movimento successivo. All’interno, tra luci catturate nel loro intrecciarsi di luci e di zone oscure dalle opere caravaggesche (certi tagli in obliquo da cappella Contarelli) e da quanti tra i seguaci al pittore possano essere riferiti, operano quattro attori in vero stato di grazia. Renato Carpentieri crede di essere l’uomo ormai staccato da tutto e da tutti ma in realtà è il padre che si sta consumando nell’angoscia, grande attore capace di costruire scena dopo scena un prova eccellente, Caterina Tieghi che preferiamo nella contenitura del suo dramma, a tratti un po’ troppo sopra le righe, Alvia Reale nel ruolo della eccellente osservatrice. La mia personale palma va alla prova di Elia Schilton, di cui alla prima si sono ammirati appieno la pacatezza e gli scatti di rabbia, le parole rotte o trattenute, il ricamo che riesce a imprimere al proprio Henrik di gesti che sono un raro esempio di equilibrio e di calibratura, visibilmente il più disperato componente di questo gruppo di famiglia dentro a un nerissimo interno, espressione tutti del male di vivere. Le musiche che accompagnano lo spettacolo sono di Pasquale Scialò, da centellinare, come ogni momento che ci ritroviamo ad applaudire: uno dei migliori, affascinanti, intelligenti spettacoli visti sin qui nella stagione, decisamente.

Elio Rabbione

Le immagini dello spettacolo sono di Lia Pasqualino.

Valdengo, un baritono alla corte di Toscanini 

 

Nato a Torino nel 1914, Giuseppe Valdengo iniziò gli studi da privatista al Conservatorio Giuseppe Verdi, prima come strumentista di oboe ed in seguito come cantante. La prima apparizione avvenne nel 1936 a Parma nel Barbiere di Siviglia e l’anno successivo fu scritturato per 180 lire nel teatro sperimentale di Alessandria per interpretare Germont nella Traviata. Le eccellenti doti canore gli consentirono di replicare l’opera verdiana debuttando nel 1938 alla Scala di Milano. La sua ascesa fu interrotta per tre anni dal servizio militare dove fu direttore della banda musicale.
Dopo il congedo riprese l’attività concertistica alla Scala con seconde parti accanto alla mezzosoprano Giulietta Simionato. Nel 1942 si esibì ancora a Parma nella Bohème e nel 1946 alla Fenice di Venezia nel Faust. Nello stesso anno avvenne la svolta della carriera esibendosi alla Opera House di New York nella Madama Butterfly e nel ruolo di Marcello nella Bohème. Il grande baritono fu richiesto dal Metropolitan per interpretare Tonio nei Pagliacci e la vertiginosa conferma internazionale ebbe inizio quando il direttore Arturo Toscanini lo scelse per Otello nel 1947, Aida nel 1949 e Falstaff nel 1950, interpretazione che lo rese famoso nel mondo avviando la collaborazione decennale con il famoso teatro di New York.
La cura dei particolari, la sensibilità e la memoria incredibile permisero a Toscanini di dirigere senza partitura, caratteristiche che lo inserirono tra i migliori direttori d’orchestra del mondo con Bernstein e Von Karajan. Forse Valdengo non possedeva il timbro come altri suoi colleghi ma l’intonazione, la precisione negli attacchi vocali sicuri, audaci e scrupolosamente musicali, il volume, il colore di cantante moderno, l’estensione della voce, l’articolazione e la pronuncia perfetta garantivano la capacità di rilevare i contorni umani dei personaggi dove l’interpretazione è indispensabile.
Le prove e le concertazioni delle opere avvenivano al pianoforte con due cantanti per volta per poi riunire tutti i solisti, trascinati dalla forza d’insegnamento di Toscanini senza varianti o tagli alla scrittura originale per non tralasciare l’attività affettiva dell’anima del compositore. Il direttore d’orchestra non amava ripetizioni pericolose al termine delle opere e regie esagerate per non interrompere il dialogo teatrale. Il successo ormai mondiale di Valdengo lo portò ad esibirsi a San Francisco, Parigi, New Orleans, Bilbao, Mexico City, Philadelphia, Napoli, Venezia e Bologna specializzandosi nel repertorio verdiano, ottenendo la medaglia del cavalierato di Verdi e collaborando con i grandi del momento, Giuseppe Di Stefano e Mario Del Monaco.

Partecipò con la Cetra e la Columbia-Philips alle incisioni in studio, con la RCA dal vivo e la NBC per la radio con Toscanini, al film della MGM sul grande Caruso del 1951 interpretato da Mario Lanza e nel 1962 scrisse il volume autobiografico “Ho cantato con Toscanini”. Nel 1966 abbandonò le scene per dedicarsi all’insegnamento del canto. Il 5 maggio 2011 la città di Casale, dove trascorse gli ultimi anni, dedicò alla gloria dell’artista scomparso nel 2007 una lapide nel ridotto del Teatro Municipale, grazie all’interessamento dell’allora assessore alla cultura Giuliana Romano Bussola.
Armano Luigi Gozzano

Rassegna mensile dei Libri più letti e commentati

MARZO 2025

Il Libro del Mese – La Scelta dei Lettori

Il libro più discusso nel gruppo Un Libro Tira L’Altro Ovvero Il Passaparola Dei Libri nel mese di marzo è stato I Giorni Di Vetro, di Nicoletta Verna, un romanzo corale, ambientato in Romagna,  dalle molteplici trame ispirate a vicende reali.

Appuntamento mensile con le novità da leggere: seguite il nostro sito e i nostri canali e scoprirete titoli e autori di ogni genere.

Amate il genere romantico? L’amante Perduta Di Shakespeare di Felicia Kingsley (Newton Compton) sarà in libreria dall’8 aprile e promette di essere  una storia che mescola passioni e intrighi con un  ladro gentiluomo –  assoldato da un ricco collezionista di libri rari per recuperare un prezioso volume – che si imbatte in un’affascinante ereditiera…

Siete interessati ai romanzi storici? In libreria troverete M. La fine e il principio di Antonio Scurati (Bompiani)

Scurati ci narra il tragico epilogo del Duce, scrivendo il capitolo finale di una saga che ha fatto molto parlare di se’.

Per chi ama leggere storie di vita quotidiana che siano adatte anche ai lettori più giovani, segnaliamo Max E Nigel di Antonio Manzini (Sellerio): un romanzo che vede protagonisti  due indimenticabili ragazzini che si mettono spesso nei guai ma che, immancabilmente, riescono sempre a destreggiarsi tra genitori che credono di capire tutto, tetri professori e compagni gradassi.

 

Consigli per gli acquisti

 Questa è la rubrica nella quale diamo spazio agli scrittori emergenti, agli editori indipendenti e ai prodotti editoriali che rimangono fuori dal circuito della grande distribuzione e questo mese abbiamo selezionato tre auto-produzioni.

Oggi vi proponiamo la lettura di:  Manifestazione, di Andrea Costa (Protos Edizioni), una storia intensa ma allegra che parla del pressante bisogno di cambiamento di un Paese in crisi e del forte potere di comunicazione dei canali sociali, raccontata con leggerezza e umorismo; Il Barone Di Palagonia, di Giuseppe Saglimbeni (Albatros), un romanzo che vede protagonista  Francesco, un bambino  costretto a lavorare nel Feudo dei Palagonia come pastore e valletto del giovane baronello Giovanni, con cui sviluppa un’amicizia profonda e complessa… La Tela Di Archimede di Riccardo Mangiacapra, (Spirito Libero Edizioni), un romanzo che esplora il sogno del successo, il peso del passato e il desiderio di trovare un proprio posto nel mondo.

 

Incontri con gli autori

Sul nostro sito potete leggere le interviste agli scrittori del momento: questo mese abbiamo scambiato due chiacchiere con Maurizio de GiovanniMarco Vichi e Sacha Naspini.

Per rimanere aggiornati su novità e curiosità dal mondo dei libri, venite a trovarci sul sito www.ilpassaparoladeilibri.it

Come si tradisce lo spirito del Martinetto

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
Il baldo direttore del Centro Gobetti non finisce  mai di stupire. Adesso ci dà lezioni sullo spirito del Martinetto, facendone una descrizione geografica e pseudo storica. Va bene che anche lui scriva del Martinetto perché  a 81 anni dalla morte gloriosa del Gen. Giuseppe Perotti e degli uomini del Comitato Militare del CLN Piemontese è  giusto che a tutti indistintamente sia garantito il diritto di scrivere liberamente. Ma due cose non dovrebbero essere permesse al direttore: ignorare in primis il racconto straordinario di Valdo Fusi “Fiori rossi al Martinetto” che esprime come nessun altro lo spirito di quel tragico evento a cui egli stesso partecipò come testimone straordinario e quasi vittima predestinata. Il libro di Fusi è uno dei più belli della Resistenza che travalica la politica e gli odi, rivelando  il patriottismo senza retorica  delle vittime fucilate al Poligono nel 1944. Ebbe la prefazione di Alessandro Galante Garrone e poi di Marcello Maddalena. Come curatore di quel libro sono indignato dell’oblio riservato ad esso. Il direttore evidentemente non sa o non vuol sapere, chiuso come è nel suo settarismo politichese chi sia stato Valdo Fusi morto nel 1975.  Quegli uomini del Martinetto  gridarono viva l’Italia, un grido geneticamente estraneo a certo culturame, come avrebbe detto Mario Scelba che conobbe da vicino il clima post resistenziale comunista.
Quegli uomini erano innanzi tutto dei patrioti, altra parola estranea al culturame. Ma giungere a dimenticare  anche il nome di un eroe sublime come il capitano Franco Balbis, medaglia d’oro al Valor militare, appare un oltraggio alla Resistenza e a tutti i Martiri del Martinetto. Il capitano Balbis reduce di El Alamein camminò  sulla via dell’onore come gli riconosce Aldo Cazzullo, restituendo dignità ed onore all’Esercito italiano come Perotti e Montano.

Il 650° della nascita del pittore Giacomo Jaquerio

Sabato 5 e domenica 6 aprile, i Comuni di Buttigliera Alta, Rosta ed Avigliana e la Fondazione Ordine Mauriziano celebreranno il 650° anniversario della nascita del pittore Giacomo Jaqueriomassimo rappresentante in Piemonte dell’arte tardo-gotica, attivo tra Torino, Ginevra e la Savoia, noto soprattutto per gli affreschi che realizzò a partire dal 1410 per decorare gli interni della Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso.

 

I BUS NAVETTA PER RAGGIUNGERE SANT’ANTONIO DI RANVERSO

 

Le persone che non intendono o non possono raggiungere la Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso con mezzi propri, potranno usufruire gratuitamente dei bus navetta in partenza da Avigliana e da Rivoli per iniziativa della Città metropolitana di Torino e della Città di Rivoli. In entrambe le giornate il bus navetta da Avigliana, programmato dalla Città metropolitana di Torino nell’ambito del PUMS-Piano Urbano per la Mobilità Sostenibile, partirà dalle 14 in avanti da piazza De Andrè alla volta del Santuario della Madonna dei Laghi, per consentire la visita ai dipinti di Jaquerio. Il bus raggiungerà poi la Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso. È prevista una corsa ogni ora e mezza circa. La navetta Rivoli-Sant’Antonio di Ranverso partirà invece da piazzale Mafalda di Savoia dalle 14 in avanti, per iniziativa della Città di Rivoli, che dal punto di vista organizzativo si appoggia al Consorzio Turismovest. L’ultima corsa è prevista per le 19.

 

LA RIQUALIFICAZIONE DEL COMPLESSO E IL PROGRAMMA DEGLI EVENTI

 

Gli eventi del 5 e 6 aprile si inseriscono in un progetto di riqualificazione del polo artistico e culturale di Sant’Antonio di Ranverso, oggetto di importanti investimenti e restauri curati dalla Fondazione Ordine Mauriziano, che comprendono anche l’Ospedaletto e la Cascina Bassa.

Sabato 5 aprile si terrà la conferenza celebrativa, che si aprirà alle 9,30 con il saluto delle autorità, seguito dagli interventi delle storiche e critiche dell’arte Cristina Scalon e Arabella Cifani, che si soffermeranno sul polo di Ranverso nelle carte dell’Archivio della Fondazione Ordine Mauriziano e sulla rivalutazione della figura di Giacomo Jaquerio. Seguirà l’intervento dell’architetto Luigi Valdemarin sui restauri del complesso monumentale. Alle 15 è in programma un momento dedicato alle scuole, curato da Serena Fumero. Alle 17 si terrà un concerto del coro degli Alpini di Rosta e della corale “Il bramito” di Bussoleno.

Domenica 6 aprile si terranno le rievocazioni storiche e, alle 9,30, inizierà una camminata culturale ad anello di 3,5 km, con partenza e arrivo alla Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso e tappa alla cappella di Madonna dei Boschi per visitare gli affreschi della scuola jaqueriana. Chi è più allenato potrà seguire il percorso di 8 km, che prosegue lungo la pista ciclo pedonale “Just the Woman I Am” sino alle scuole secondarie Giacomo Jaquerio e alla Villa San Tommaso nel parco Rosa Luxemburg, sempre con arrivo a Sant’Antonio di Ranverso. Nel pomeriggio alle 16,30 è in programma la sfilata dei gruppi storici “Conte Verde” di Rivoli, “Conte Rosso” di Avigliana, “Il filo della memoria” e “Marchesi Carron di San Tommaso” di Buttigliera. Alle 17 il programma degli eventi si chiuderà con il concerto della Filarmonica San Marco.

 

A giudizio di Marta Fusi, direttrice della Fondazione Ordine Mauriziano, “l’evento organizzato per il 650° anniversario della nascita di Giacomo Jaquerio sottolinea l’importanza della collaborazione e della sinergia tra gli enti, al fine di promuovere e valorizzare un importante bene artistico. La Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso, infatti, custodisce un capolavoro che è una delle poche opere firmate da un pittore che è considerato uno dei maggiori esponenti del gotico internazionale in Piemonte”.

“Abbiamo fortemente voluto promuovere un evento dall’ampio respiro culturale, per porre l’accento sul cuore del patrimonio artistico del nostro territorio, celebrando e contribuendo alla riscoperta di un artista del calibro di Giacomo Jaquerio. – commenta il Sindaco di Buttigliera Alta, Alfredo Cimarella – Da molti anni, le nostre amministrazioni lavorano, in collaborazione con la Regione e la Fondazione Ordine Mauriziano, in direzione della riqualificazione e del rilancio turistico di questo eccezionale complesso monumentale, cerniera tra la cintura metropolitana di Torino e la valle di Susa, punto importante lungo la via Francigena”.

Per il primo cittadino di RostaDomenico Morabito, “le iniziative programmate il 5 e 6 aprile sono un’occasione straordonaria per far conoscere il nostro territorio. Parliamo della meravigliosa cornice della Collina Morenica di Rivoli. È un territorio raggiungibile in treno da Torino e, scendendo alla stazione di Rosta, si può inforcare una bicicletta e scoprire un ambiente meraviglioso. In vista del 5 e 6 aprile, le nostre scuole e le nostre associazioni collaborano con gli uffici comunali, per dimostrare che, oltre ad un territorio bellissimo, da noi c’è una comunità che saprà dare il meglio di sé”.

“Avigliana ha un legame storico con la Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso, voluta dal conte Umberto III di Savoia, nato proprio ad Avigliana. Dietro l’altare del nostro santuario della Madonna dei Laghi vi è un pilone dedicato alla Madonna del Latte, che Umberto III volle far ridipingere in stile jaquariano. – sottolinea il Sindaco Andrea Archinà – La Precettoria fa parte di un nucleo di arte e architettura medioevale di assoluta eccellenza. Da questo punto di vista è importante la sperimentazione da parte della Città metropolitana di un bus navetta che collega i luoghi storici del nostro territorio in modo sostenibile”.

“Le iniziative del primo fine settimana di aprile a Buttigliera Alta, Avigliana e Rosta sono il frutto di un importante lavoro per mettere in rete le eccellenze della Bassa Valle di Susa, al fine di promuovere il turismo lento e sostenibile, su cui il territorio può puntare carte importanti. – sottolineano il Vicesindaco metropolitano Jacopo Suppo e la Consigliera metropolitana delegata allo sviluppo economico e al turismoSonia Cambursano – La Città metropolitana apprezza e sostiene questa impostazione e i bus navetta gratuiti sono il riconoscimento tangibile della validità dei progetti in corso di elaborazione e realizzazione”.

 

VITA E OPERE DI GIACOMO JAQUERIO

 

Giacomo Jaquerio è considerato uno dei maggiori esponenti della pittura tardogotica in Piemonte, attivo nella prima metà del Quattrocento. Nato nel 1375 circa a Torino da una famiglia con una lunga tradizione nella pratica della pittura, visse la prima parte della sua vita tra continui spostamenti fra Torino, Ginevra, Thonon-les-Bains ed altre località d’oltralpe, lavorando come pittore di corte al servizio di Amedeo VIII di Savoia e del principe Ludovico di Acaja e ricevendo commesse da istituzioni religiose e da importanti casate nobiliari. Dal 1429 in poi abitò stabilmente a Torino, dove ricoprì anche le cariche pubbliche di consigliere del Comune e tesoriere. Della sua vasta produzione solo pochissime opere sono documentate e il primo documento certo è proprio la sua firma, scoperta nel 1914 sugli affreschi della Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso, databili intorno al 1410, epoca in cui l’artista doveva già essere a capo di una fiorente bottega. La “Salita al Calvario” è il suo capolavoro caratterizzato da toni marcatamente realistici di crudeltà e dolore. Jaquerio morì tra il 1445 e il 1453, quando i documenti riportano i nomi della moglie vedova e degli eredi. La sua bottega fu ancora attiva nella seconda metà del XV secolo: al suo entourage e ai suoi modelli, costituiti da cartoni e matrici per la realizzazione di motivi decorativi in serie, sono riconducibili numerose opere presenti nei territori del ducato sabaudo e di diretta discendenza dalle pitture della Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso.

 

VISITARE SANT’ANTONIO DI RANVERSO

 

La Precettoria è visitabile dal mercoledì alla domenica dalle 9,30 alle 13 (ultimo ingresso alle 12,30) e dalle 14 alle 17.30 (ultimo ingresso alle 17). Il biglietto d’ingresso intero costa 5 euro, ridotti a 4 euro per i minorenni, gli over 65 e i gruppi di almeno 15 persone. I bambini fino a 6 anni e i possessori dell’Abbonamento Musei hanno l’ingresso gratuito. Per informazioni e prenotazioni si può chiamare dal mercoledì alla domenica il numero telefonico 011-6200603 o scrivere a ranverso@biglietteria.ordinemauriziano.it e maggiori informazioni sono reperibili nel sito Internet www.ordinemauriziano.it

“Granda in Rivolta” a Fossano

Per i tradizionali incontri letterari, serata di poesia e musica con Francesco Macciò e Carlo Dardanello

Lunedì 7 aprile, ore 21,15

Fossano (Cuneo)

Torna puntuale come un orologio svizzero l’appuntamento del primo lunedì del mese con “Granda in Rivolta”, la rassegna di incontri letterari che “si propone di scuotere la provincia cuneese con la poesia”; intento scritto nero su bianco su un “Manifesto” in versi dagli stessi organizzatori, i poeti piemontesi Elisa Audino e Romano Vola, che condividono la direzione artistica della rassegna con Maurizio Regis, titolare dello storico “Vitriol” di via Ancina 7, a Fossano, dove si tengono per l’appunto le serate culturali.

Di grande interesse l’appuntamento del prossimo lunedì 7 aprile che vedrà la felice accoppiata di Francesco Macciò e Carlo Dardanelloimpegnati in una performance di poesia e improvvisazione polistrumentale.

Partendo dal suo nuovo poemetto “Ritratto di donna al mare con bambino”, da poco uscito per “Puntoacapo”, Macciò si racconterà, attraverso le sue poesie accompagnandosi ai suoni di un tamburo a cornice, intervallato da momenti al “bawu cinese” (flauto realizzato con tubi di bambù) e al “low whistle” (grosso flauto a fischietto di origine inglese). Insieme a lui, Carlo Dardanello farà volare al cielo (con la consueta abilità) le note del suo clarinetto e del suo sax.

Spiega lo stesso Macciò: “Scandire versi accompagnandoli con un suono destrutturato, che può essere una semplice vibrazione prodotta da una corda di cetra o dalla pelle di un tamburo, è un sostegno importante alla memoria, come sa bene chi ne ha fatto diretta esperienza. Si creano degli interstizi ritmici tra i versi, tra le strofe, dei grappoli di suoni e di silenzi che agganciano la memoria e preparano la pronuncia, l’intonazione del verso successivo. Ma il suono, appunto, deve essere ‘destrutturato’, così almeno mi piace definire questo profilo di note disancorate dai sistemi tonali ed eseguite a sostegno della parola poetica e allo stesso tempo capaci di fondersi con essa. Disegnare una precisa linea melodica, infatti, genererebbe confusione, sovrapponendosi alla musica che ogni poesia reca sempre con sé ed entrando inevitabilmente in conflitto con essa”.

Poche, doverose, note biografiche del duo Macciò – Dardanello:

Francesco Macciò è ligure di Torriglia e oggi vive a Genova, dove ha insegnato italiano e latino in un Liceo cittadino. Fra le sue opere, ricordiamo la pubblicazione del volume di saggistica “L’universo in periferia. S-Oggetti sparsi intorno alla Poesia” e, sotto pseudonimo, il romanzo “Come dentro la notte”. Molte le raccolte di poesia. L’ultima, la citata “Ritratto di donna al mare con bambino”. Ha vinto il “Premio Cordici” di poesia mistica e religiosa (2009), il “Satura Città di Genova” (2012) e il “Carlo Bo – Giovanni De Scalzo” (2024). E’ ideatore della Rassegna “Incontri con gli scrittori” presso il Liceo “Sandro Pertini” di Genova.

Da Vicoforte (Cuneo) arriva invece Carlo Dardanello, già avvocato ecclesiastico e consulente welfare e previdenziale in Istituti di Credito. All’attivo ha, anche lui, svariate pubblicazioni di opere poetiche sia in italiano sia in lingua “naturale” ed i suoi scritti compaiono su riviste e antologie in Italia ed in Francia. A partire dal 2012 ha intrapreso studi musicali con i maestri Gianni Virone, Fabio Gorlier e Roberto Regis con cui ha studiato “armonia” ed “improvvisazione jazz”. Allo studio del sax, del clarinetto e del clarinetto basso, ha affiancato lo studio della musica elettronica con una ricerca rivolta soprattutto all’improvvisazione esplorata nei suoi rapporti con la parola e nella creazione di paesaggi sonori.

In tal senso l’accoppiata Macciò – Dardanellofunziona che è un vero piacere.

L’appuntamento al “Vitriol” sarà come semprealle 21,15, ma organizzatori e autori saranno già presenti al civico 7 di via Ancina a partire dalle 19,30 a completa disposizione del pubblico.

Si consiglia di prenotare al numero telefonico 389/2595316

g. m.

Nelle foto: Francesco Macciò e Carlo Dardanello, Macciò al tamburo e Dardanello al sassofono

Un’artista da riscoprire, tra bronzi e materiali intrisi di ricordi

Alla Galleria del Ponte, sino al 9 maggio
Sta nelle ultime pagine, prima della bibliografia, del bel catalogo approntato per la
mostra che guarda all’opera di Clotilde Ceriana Mayneri, artista a tutto tondo
scomparsa un paio d’anni fa. È il riquadro che contiene le risposte alle ventuno
domande degli “artisti spiegati dagli artisti”, dove s’apprende che “il tratto principale
del mio carattere” è il buonumore, che “il mio principale difetto” suona “se posso
rimando”, che “il mio eroe nella storia” è la Montessori, che il colore preferito è
l’azzurro e la stagione la primavera, che “i miei artisti preferiti” sono Pontormo ed
Emily Dickinson, che il libro più amato è “La lunga attesa dell’angelo” della Mazzucco
e che adora “la pasta, in ogni declinazione”. Il dono di natura che vorrei avere?
“Bellissimi denti per sorridere meglio”.
La mostra, curata da Armando Audoli (sino al 9 maggio nelle sale della Galleria del
Ponte), ha un sottotitolo doveroso, “Molti l’hanno guardata, nessuno l’ha vista”, un
atto di risarcimento, la presa di coscienza del visitatore di fronte alla dimensione
poliedrica della Ceriana.
Lasciando da parte la riservatezza dell’artista, ma
raggiungendo un approfondimento, quel riconoscimento che le è dovuto. Nascita nel
marzo del 1940, natali illustri, una famiglia che annovera generali di cavalleria,
deputati e industriali che contribuiscono alla nascita, nell’ultimo anno dell’altro secolo,
della Fabbrica Italiana Automobili Torino – il cambio dei tempi, quanto era lontana e
impensata Stellantis! – e diplomatici, capitani d’industria che danno vita a una banca,
la giovane contessina Clotilde frequenta l’Accademia Albertina avendo come
insegnanti Umberto Baglioni (pupillo di Edoardo Rubino) e Giovanni Chisotti e si
diploma ventitreenne, saggiando tra gli altri anche l’arte di Mario Calandri e
inaugurando un lungo cammino. “La plastica a tutto tondo della scultrice – scrive in
catalogo Audoli – si indirizza verso volumi e forme di maggiore sintesi e dal modellato
più asciutto, con aperture e sfrangiature di ascendenza ‘spazialista’, presenti tanto
nelle terrecotte, smaltate e non, quanto nei bronzi”, al visitatore il compito di
ammirare alcune tappe nel percorso espositivo: per passare, con estrema delicatezza,
quasi in punta di piedi, a quella “biblioteca ideale di epigrafi mai scritte”, poco oltre le
soglie degli anni Ottanta, a costruire estreme leggerezze, intimiste e di non semplici
letture, tra reminiscenze trasportate con gli anni, “attraverso materiali meno aulici”,
racchiusi anche in una personale intimità, che in elenco annoverano “oggetti trovati
sul cammino come rametti e legni naturali, frammenti di canna di bambù, placche di
corteccia di acero, fili di saggina, fili di canapa, fili di rame, corde, viti ottonate,
vecchie provette, lacerti di aquiloni giapponesi, carte umili o preziose, pagine di libri
antichi.”
In una mostra che per la prima volta vuole suggerire uno sguardo completo alla
parabola artistica della Ceriana, si fanno ammirare le “forme” in bronzo, le “Tracce per
Emily” (1986) e la “Figura prona” che sono terrecotte, soprattutto quel “Vaso di
Pandora” (1987), letteralmente esploso, con le sue impercettibili grafie, le pagine
strappate, primaverili o autunnali, che giocano con i materiali più improbabili, la
“Cattedrale gotica” o l’”Arcipelago” o “La fossa delle viole”, bianchi piani di pagine che
nel 2011 hanno raccolto ricordi che non saranno mai scritti.
Sono ricordi tutti colti per intervalli, suggestioni, incontri fortuiti, scelte improvvise,
affermazioni di sensazioni, emozioni che nessun altro capirebbe, sono il filo rosso che
la lega alla sua scrittrice dell’animo, la Dickinson; quasi la ricerca musicale all’interno
del mondo della natura, “ma lo spartito – annotava Andrea Balzola in occasione di una
mostra del ’91 – non è il risultato di un puro artificio, di una progettata astrazione, né,
tantomeno, di un semplice assemblaggio; il materiale colto nel magazzino della natura
o nel deposito privato degli oggetti porta con sé frammenti di racconto che vanno
ascoltati, interpretati, montati e manipolati, insomma ‘riscritti’ su nuove pagine per
nuovi destinatari.” Raffinatezza e invenzione, ricerca continua, il piacere dell’unire
materiali man mano che sono scoperti, una cinquantina di opere tra le più differenti,
distribuite lungo un arco cronologico di mezzo secolo, ogni prova – di qualsiasi
materiale – amata e affinata, disseminando il percorso di opere che all’apparenza
possono sembrar appartenere a “un registro umile” lontane da quante si preferirebbe
elevare a uno più “elevato”. Tutte appartengono all’unico abbraccio delle “creature”.
Scriveva Clotilde Ceriana in occasione di una mostra del 1989, nella Saletta rossa di
corso Valdocco: “Dall’ombra quita dello studio così affollato, così canoro, io ascolto.
Frammenti di tempo, di spazio, di cose.Tempo ne ho tanto, so aspettare, raccogliere,
collezionare. Mi piace pensare che la neve stia turbinando in me. Il mondo, qui dentro,
è pieno di sogni. Il mondo, là fuori, racconta storie di piccole immensità. C’è ancora
molto da cogliere lungo la vita, basta guardare indietro.”
Elio Rabbione
Nelle immagini, di Clotilde Ceriana Mayneri: “Reticolati aperti”, 2011, polimaterico;
“L’istinto sulla ragione”, 2016, polimaterico; “Incontrarsi nel vento e riconoscersi”,
1990, polimaterico.