“Madeleine” ovvero sullo schermo le tribolazioni per girare, produrre e distribuire un film di quelli “fatti in casa”, da coraggioso cinema indipendente, distribuzione che arriva – finalmente – dopo la partecipazione e i premi a tanti festival. La protagonista, presente alla proiezione per la stampa, non è più l’occhialuta e bionda undicenne che vediamo con simpatia sullo schermo, è una ragazzina molto carina che confessa che se avesse tra le mani una bella storia, lei, a far l’attrice, ci riproverebbe. E i quasi quattro anni tra il girato e il visto sono tutti lì in lei, sul suo viso e sulla sua crescita.
E sulle difficoltà della casa di produzione Ainom che fa capo ai registi Mario Garofalo e Lorenzo Casa Valla superate grazie all’apporto della AmegO Film ungherese di Andrea Osvart e la distribuzione di Obiettivo Cinema di Emanuele Caruso, già artefice di quella scommessa vinta che è stata “E fu sera e fu mattina”. “Madeleine” (in programmazione a Torino ai Fratelli Marx) è il racconto della vacanza estiva di una undicenne, italo-francese, viso buffo, bionda e ingombranti occhiali sul naso, figlia di genitori divorziati, la madre con un nuovo compagno, il padre quasi nascosto nella periferia torinese a tener chiuso il negozio di ottica e a inventarsi chissà quali strani lavori, vacanza trascorsa con la sorella maggiore, da lei fisicamente e caratterialmente diverse (colpiscono i loro dialoghi in francese per sottrarsi agli altri), nella grande casa di campagna della nonna, in qualche angolo del Pinerolese, tra corsi d’acqua dove bagnarsi e macchie di verde. Tra realtà quasi tangibile (la fotografia, scattata dal suo papà quando aveva poco più della sua stessa età, che la bambina ha ritrovato in un vecchio baule, ne è la testimonianza) e fervida immaginazione, nel giardino di casa si nasconde un pavone, “tutti gli sguardi del pavone sono lo sguardo di Dio”, le ha detto la nonna, ne sente il verso verso sera, ma non riesce a scovarlo e la ruota a ventaglio rimane un sogno – forse alla fine raggiungibile.
Gli occhi della protagonista non si caricano di troppi e pesanti simboli ma accompagnano soprattutto con i timori e gli scossoni dell’infanzia il malore della nonna, l’arrivo di un medico più interessato alla sorella maggiore che ad una cura e a un ricovero, ad una vicenda che per un attimo si tinge di giallo, ad un incontro con il padre che dovrebbe iniziare a rimettere al loro posto parecchie cose. Gli autori, forse dopo un inizio che leggermente fatica a mettersi in movimento, si avviano con sicurezza lungo il racconto che si fa sempre più on the road, con una regia dove narrazione e azioni e personaggi prendono sviluppo concreto (la figura del padre affidato a Marco Cacciola, attore di teatro, alla sua prima esperienza cinematografica), contrapponendo gli affetti e le ribellioni delle due sorelle (la maturità delle giovani Chloe Till e Adele Zaglia) con una ricerca di toni che rincuora una sceneggiatura in alcuni tratti un po’ appannata. Un’opera riuscita intorno ad un’umanità catturata da due occhi semplici, caparbiamente spinti a coinvolgere nella vita, curiosi, per molti versi già maturi.