CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 68

Duplice Concerto venerdì 5 settembre per MITO SettembreMusica

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Al teatro Gioiello alle 17e alle 20 all’Auditorium Giovanni Agnelli

Venerdì 5 settembre per MITO SettembreMusica si terrà  alle 17 al teatro Gioiello un concerto all’interno del programma “Mitja e gli altri” con il Quartetto Gama che eseguirà di Clare Grundman la  Bagatella, di Alfred Uhi Divertimento, di Ferenc Farkas  le antiche danze ungheresi, di Gariel Fauré “Après un rêve”, di Giacomo Puccini “E lucevan le stelle” da Tosca, per la trascrizione di Andrea Pongiluppi “Crisantemi, elegia per quartetto”, e di Clare Grundman il “Caprice”.
Il Quartetto Gama è un Quartetto di clarinetti fondato nel 2024 da quattro giovani musicisti e amici, studenti al Conservatorio Guido Catelli di Novara, sotto la guida di Roberto Bocchio.
I brani per pianoforte verranno eseguiti  da Matteo Buonanoce  e sono la Sonata n. 7 op 10 n. 3 di Ludwig van Beethoven, di Fryderyk Chopin la Ballata n. 1 in sol minore op. 23, di Franz Liszt Funérailles da “Harmonies poétiques et réligieuses”, di Sergej Rachmaninov l’Etude Tableaux op. 39 n. 5 e di Ferruccio Busoni  la Fantasia sulla Carmen di Bizet.
Matteo Buonanoce si è  laureato con il massimo dei voti e la lode e frequenta i corsi al Conservatorio di Torino con Marina Scalafiotti e il Master di Alto perfezionamento presso l’Accademia Perosi di Biella con Maria Meerovitch.

Secondo Concerto di MITO della giornata sarà alle 20 all’Auditorium Giovanni Agnelli del Lingotto, all’interno del percorso “Mjtia e gli altri” . L’esecuzione è  affidata alla London Symphony Orchestra diretta dal maestro Antonio Pappano, al pianoforte Seong-Jin Cho.
Verranno eseguiti l’Ouverture da Semiramide di Gioachino Rossini, il Concerto n. 2 in fa minore per pianoforte e orchestra op. 21 di Fryderyk Chopin, la Sinfonia n. 9 in mi bemolle maggiore op. 70 di Dmitri Sostakovič e di Victor de Sabata ‘Juventus’, poema sinfonico per orchestra.

Mara Martellotta

La rassegna dei libri del mese

Il Libro del Mese – La Scelta dei Lettori

 

Il più discusso tra i titoli presenti sul nostro gruppo FB visto quello che sta succedendo nella Striscia di Gaza non poteva che essere Quando il mondo dorme. Storie, parole e ferite della Palestina, di Francesca Albanese, relatrice speciale dell’Onu per il territorio palestinese, ora sanzionata dal governo americano ma anche proposta per il Premio Nobel per la Pace

 

Settembre, tempo di letture: che siate già tornati alla quotidianità della vita lavorativa o siate appena andati in vacanza, un buon libro non può mancarvi e, allora, ecco qualche consiglio per scegliere la prossima lettura.

E’ già uscito in Italia Il Tempo Degli Eroi (Nord, 2025) nuovo atteso thriller storico di Frank Schatzing che ci riporta nell’Inghilterra del secolo XIII.

 

Per chi ama il melodramma, Garzanti ha da poco pubblicato Il Loggionista Impenitente, guida  all’ascolto dell’opera lirica di Alberto Mattioli.

 

Torna in libreria Ann Tyler con Tre Giorni Di Giugno (Guanda, 2025) la storia di un nuovo inizio per chi ama i romanzi dall’umorismo velato di malinconia.

 

 

Consigli per gli acquisti

 Questa è la rubrica nella quale diamo spazio agli scrittori emergenti, agli editori indipendenti e ai prodotti editoriali che rimangono fuori dal circuito della grande distribuzione.

Asimmetrie Dei Giorni Pari (Bertoni, 2025) è il nuovo romanzo di Valentina di Ludovico (Comuni-CareLa Vertigine Del Tutto) un romanzo che fa sentire lo scricchiolio dell’esistenza e apre una riflessione sulla salute mentale e la sua influenza sui ruoli che siamo chiamati a interpretare nella vita di tutti i giorni.

 

Una storia di rinascita che nasce dalla lotta contro una malattia rara e l’isolamento è Un Amico Invisibile (Bertoni, 2025) il nuovo romanzo di Gina Scanzani: un libro che tocca il cuore e dimostra come, anche nei momenti più bui, sia possibile trovare la luce.

 

 

Incontri con gli autori

Sul nostro sito potete leggere le interviste agli scrittori del momento: questo mese abbiamo incontrato: Elisabetta Flumeri e Gabriella Giacometti e abbiamo discusso del loro recente romanzo, Nessun Perdono (Guanda, 2025) che inaugura una nuova serie di gialli.

 

Alice Bassoli ci parla, invece de Le Streghe Non Dormono (Corbaccio, 2025), il suo nuovo romanzo che appartiene al genere, tutto italiano, del  “gotico rurale”.

 

Infine, Gian Marco Griffi ha pubblicato un romanzo di tipo introspettivo, Digressione (Einaudi, 2025) e ce lo ha presentato in un’intensa chiacchierata.

 

 

 

Per rimanere aggiornati su novità e curiosità dal mondo dei libri, venite a trovarci sul sito www.ilpassaparoladeilibri.it

Torino e i suoi teatri. Il fascino dell’Opera lirica

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Torino e i suoi teatri


1 Storia del Teatro: il mondo antico
2 Storia del Teatro: il Medioevo e i teatri itineranti
3 Storia del Teatro: dal Rinascimento ai giorni nostri
4 I teatri torinesi: Teatro Gobetti
5 I teatri torinesi :Teatro Carignano
6 I teatri torinesi :Teatro Colosseo
7 I teatri torinesi :Teatro Alfieri
8 I teatri torinesi :Teatro Macario
9 Il fascino dellOpera lirica
10 Il Teatro Regio.

 

9 Il fascino dellOpera lirica

 

Cari lettori, eccoci quasi arrivati al termine di questo ciclo di articoli dedicati ai maggiori teatri di Torino.
Manca tuttavia uno dei fiori allocchiello della nostra città, il più che famoso Teatro Regio, importante centro nevralgico per lintrattenimento culturale torinese, un cuore che pulsa al suono dellorchestra e dei cantanti lirici che lì si esibiscono.
Così come vi ho proposto una breve Storia del Teatro prima di affrontare nello specifico le vicende del Gobetti, del Carignano, del Colosseo, dellAlfieri e dellormai abbandonata Bombonieradi Macario, ora mi accingo a presentarvi un sunto – ridotto ma esaustivo al meglio delle mie capacità –  della storia dellopera lirica, che precede il prossimo ed ultimo pezzo dedicato al Regio.
Le informazioni che vorrei fornirvi sono tante, è quindi il caso di smettere di cincischiaree avviare il nostro percorso.
Con il termine operasi indica un peculiare genere teatrale e musicale, in cui lazione scenica si abbina alla musica e al canto.


Il vocabolo, di uso internazionale, come ci dimostra ad esempio la titolazione delliconico album dei Queen A Night at the Opera(1975), è la forma abbreviata di opera lirica; vi sono diverse parole o locuzioni che possono essere adoperate come sinonimi, tra le quali melodramma, opera in musicao teatro musicale, espressioni largamente utilizzate nel linguaggio comune o mediatico.
Mi preme altresì sottolineare che, a partire dal 2013, l’Associazione Cantori Professionisti d’Italia ha depositato presso il MIBACT il dossier per la Candidatura UNESCO per l’opera italiana, con l’intento di iscrivere l’opera all’interno del Patrimonio dell’Umanità protetto da UNESCO.
Possiamo inorgoglirci un po, dato che la vera patria dellopera è proprio la nostra bella Italia. Tale forma artistica si sviluppa nella penisola a forma di stivale in tempi assai lontani; solo a partire dal Seicento il gusto per il melodramma si espande nel resto dellEuropa, consolidandosi con caratteristiche proprie nei vari Stati.
Nel corso del tempo si sono formati diversi generi di opera lirica, tutti in continua contaminazione reciproca e sempre sottoposti a modifiche, per accontentare i gusti scostanti del pubblico e lego smisurato degli artisti. Fanno parte di tali tipologie: l’“opera seria, una rappresentazione incentrata sui drammi e sulle passioni delluomo; l’ “opera buffa, che nasce a Napoli verso la metà del XVIII secolo, ma presto si diffonde anche a Roma e nel nord della penisola; diversi compositori famosi, come Mozart, Rossini o Donizetti, contribuiscono al diffondersi di questa modalità operistica. Vi è poi il melodramma giocoso, un intreccio sentimentale che si conclude con un lieto fine, lespressione è utilizzata per la prima volta da Cosimo Villafranchi (1646-1699) nella prefazione del suo Lipocondriacoe diventa in seguito di largo uso grazie a Carlo Goldoni, che inizia a impiegarla regolarmente a partire dal 1748. Vi è poi la farsa, che piace soprattutto a Venezia e a Napoli, e si presenta come unopera di carattere buffo con un solo atto, a volte rappresentata insieme a dei balletti.
Tipiche della Francia sono invece l’ “Opéra-comiquee la Grand opéra. La prima è un genere operistico che deriva dal vaudevilledei Theatres di St Germain e St Laurent; la seconda domina la scena dagli anni Venti agli Ottanta dellOttocento, sostituendosi alla tragédie lyrique; grandi esempi inscrivibili in questa categoria sonoLa muette de Porticidi Auber (1828) e Guillaume Telldi Rossini (1929).

Nellarea tedesco-austriaca troviamo il Singspiel, letteralmente recita cantata, diffusosi tra il XVIII e il XIX secolo e costituito dallalternanza di parti cantate e recitate; la peculiarità del Singspiel” è luso della lingua tedesca al posto di quella italiana durante i recitativi. Ancora nel valchirico nord si diffonde anche il Musikdrama, termine tedesco che definisce lunità di prosa e musica; a coniare lespressione è Theodor Mundt, nel 1833, in seguito sarà poi il compositore Richard Wagner (1813-1883) ad utilizzare questa stessa terminologia per identificare le proprie opere, come L’olandese volante, Tristano e Isotta,  o il Parsifal.
Risulta difficoltoso indicare quale sia lorigine esatta del genere operistico.
Alcuni studiosi riconducono le radici della lirica alla tradizione del teatro medievale e fanno riferimento ad autori quali Guido dArezzo o alla religiosa  Ildegarda di Bingen, autrice del dramma Ordo Virtutum(1151). Non di meno va ricordato che nel Cinquecento luso delle canzoni è presente nella Commedia dellarte, nel ballet de courtfrancese o nella masqueinglese, mentre per quel che riguarda  limportanza dellimpiego degli spazi musicali è opportuno menzionare i drammi pastorali.


Tuttavia è di comune avviso far risalire la nascita dellopera a cavallo tra i secoli XVI e XVII, quando la Camerata deBardi, un gruppo di intellettuali fiorentini, dediti in principal modo allo studio della civiltà classica, vuole realizzare spettacoli similari alle antiche tragedie greche.
I componenti del gruppo in realtà non dispongono di sufficiente materiale storiografico per comprendere come effettivamente venissero inscenate le tragedie nellantica Grecia, né conoscono appieno la musica ellenistica. Ad oggi, lunico esempio di dramma greco pervenutoci è un brevissimo frammento incompleto appartenente ad un coro dell’ “Orestedi Euripide (408 a.C.).
Se con la datazione rimaniamo possibilisti, è pur certo che le rappresentazioni risalenti al periodo rinascimentale avvengono nei palazzi privati, edifici spesso dotati al loro interno di piccoli teatri, utilizzati esclusivamente dalle famiglie reali e dalla nobiltà. Inizialmente dunque assistere ad uno spettacolo lirico è un privilegio del tutto aristocratico.
La questione muta durante lepoca barocca, momento di grande espansione per la lirica, quando vengono inaugurati a Venezia due teatri pubblici, il Teatro San Cassiano (1637) e il Teatro Santi Giovanni e Paolo (1639). Il grande pubblico può ora partecipare a tali tipologie di intrattenimento e gli autori devono dallaltra parte adeguarsi alle esigenze della nuova platea; gli scrittori scelgono di mettere in scena trame vicine alla quotidianità, compongono melodie  più orecchiabili e arie che permettono ai cantanti di dimostrare il proprio talento canoro.
Da questo momento in poi lopera riscuote sempre più successo, si diffonde in Europa, a partire dalla Francia e dalla Germania fino alla Russia, con modalità e caratteristiche specifiche che si rifanno alle tradizioni locali.
In epoca seicentesca i soggetti prediletti sono i poemi omerici, gli scritti virgiliani e le vicende cavalleresche, con una predilezione per Ariosto e Tasso; gli spettacoli sono impreziositi da spunti comici e fantasiosi e caratterizzati musicalmente da un basso continuoaccompagnato da strumenti a fiato e ad arco.
In Italia, a segnare leffettivo stacco dal gusto rinascimentale è Claudio Monteverdi (1567-1643), che propone opere definite da espressioni alte e colte, varietà di musiche e intrecci inaspettati. Con il compositore cremonese le arie, che si fanno accattivanti esibizioni canore, rubano sempre più spazio al recitativo; con Monteverdi infatti laspetto letterario perde dimportanza, mentre diviene centrale lelemento del canto.
In Francia, più o meno nello stesso periodo, è Jean Baptiste Lully(1632-1687)) a dominare la scena. Dopo uninfanzia difficile, Lully emerge dai problemi dovuti alla povertà e grazie al proprio talento e alla buona sorte, riesce a farsi apprezzare dal re in persona. È proprio Luigi XIV che lo vuole prima direttore dellorchestra reale poi sovrintendente della musica di corte e infine direttore del primo  teatro dopera fondato a Parigi. Lully, consapevole del fatto che il pubblico francese non ama la lirica italiana poiché non riesce a comprenderne i dialoghi, si adopera per comporre opere basate su libretti francesi, dando così vita ad un nuovo genere: la tragédie-lyrique. Tali spettacoli presentano uno struttura a cinque atti preceduti da un prologo, inframmezzati da balletti e caratterizzati da canti più vicini alla prosa che al bel cantodellopera italiana. Le rappresentazioni hanno come soggetti prediletti il mito o le gesta di personaggi storici del passato.
In generale possiamo dire che per la prima metà del Seicento è l’ “opera seriaa farla da padrone: gli argomenti sono storici o mitologici, le vicende sono ambientate in epoche indefinite e il vero protagonista dellesibizione è il cantante. Succede spesso che gli artisti, durante lesecuzione dello spettacolo, si cimentino nei propri cavalli di battaglia, proponendo al pubblico spezzonidi altre opere, estranee alla narrazione. Sono le arie da baule, così definite perché gli attori se le portavano dietro in ogni teatro, come una sorta di valigia, da cui di volta in volta estraevano occasioni per mandare in visibilio il pubblico. Tipiche di questo periodo sono anche le cosiddette arie da sorbetto: le arie sono esibizioni canore in cui il cantante dimostra le sue qualità tecniche, ma durante le quali sulla scena non accade nulla, succedeva dunque che i nobili, che avevano già udito numerose volte quei passi, ne approfittassero per farsi servire dai lacchè sontuose coppe di gelato.
A inizio Settecento, in Italia, incontriamo un altro grande nome che ha segnato la storia dellopera lirica: Pietro Metastasio (1698-1782), nominato poeta di corte a Vienna e autore di più di centocinquanta libretti, da cui i compositori suoi contemporanei hanno redatto quasi settecento versioni operistiche.


A metà Settecento inizia a delinearsi il genere buffo, con vicende che si ispirano alla quotidianità, e  melodie specifiche per i diversi personaggi, la trama è zeppa di equivoci da cui si delineano situazioni divertenti, quasi sempre a lieto fine. Farà in seguito parte di questo genere il Barbiere di Sivigliadi Gioachino Rossini (1792-1868).
Non si può proseguire oltre senza chiamare in causa Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791), ragazzo prodigio nato a Salisburgo, autore di opere immortali tra cui Le Nozze di Figaro, Così fan tuttee Don Giovanni. Mi preme ricordare che lartista austriaco era così appassionato alla musicalità della lingua italiana da comporre alcune delle sue opere più celebri proprio nel nostro idioma. Sempre a lui si deve la stesura della coinvolgente fiaba musicale Die Zauberflöte, ossia Il Flauto magico.
Il melodramma raggiunge il massimo splendore nellOttocento, con autori come Gioachino Rossini, Vincenzo Bellini, Gaetano Donizetti e Giuseppe Verdi.
Così come si sono dette due parole su Mozart, credo sia doveroso ricordare qualche breve nozione su questi colossi della lirica mondiale.
Rossini (1792-1868), originario di Pesaro, caratterizza le sue opere con una frizzante vena comica, come si evince dal sovra-citato Figaro qua, Figaro là”, da Il Turco in Italiao dalla fiaba Cenerentola.
Il catanese Bellini (1801-1835) si cimenta invece in opere tragiche, ed è con lui che trionfa quello che viene definito il bel canto; i suoi lavori più noti sono sicuramente La Normae La Sonnambula.
Donizetti (1797-1848) è un instancabile musicista bergamasco, nonché – pare un affascinante conquistatore. Tra i suoi capolavori:Don Pasquale, Lelisir damoree La Fille du Régiment.
Verdi (1813-1901) nato a Roncole di Busseto irrompe nella scena con un folle spirito rivoluzionario e patriottico, a lui si deve il celebre brindisi de La Traviata, e il meraviglioso coro Vapensiero sullali doratede Il Nabuccoo ancora i famosi spettacoli Aidae Rigoletto.
La Francia dellOttocento invece è positivamente segnata dal diffondersi della Grand opéra. Parigi si dimostra una capitale vivacissima sotto il profilo creativo e culturale, tant’è che molti artisti si stabiliscono lì a vivere.
Caratteristica prima della Grand opéra” è lessere grandiosa: tutto è spropositato e sfarzoso, lo spettacolo ha il preciso intento di suscitare stupore e meraviglia in chi guarda il palco. Le scenografie sono imponenti e complesse, le coreografie presentano scene di massa, a cui partecipano anche il coro e numerosi ballerini, lorchestra stessa è costituita da numerosi musicisti, così che il suono risulti per il pubblico ancora più coinvolgente.
Il modello francese ottocentesco ha un impatto decisivo sulla produzione operistica successiva, detta di transizione. Nelle opere che vanno sotto tale definizione decadono le antiche convenzioni che confluiscono nella Grande opera, rivisitazione italiana della Grand opérafrancese.
Musicisti di transizionesono Amilcare Ponchielli, Arrigo Boito e Alfredo Catalani, nonché il francese Georges Bizet (1838-1875), il quale con la sua Carmenapre nuove strade alla lirica europea del tempo.


In questa fase gli operisti italiani accantonano i soggetti storici e si dedicano alla creazione di drammaturgie di tipo realista o verista.
Nominando importanti autori ed elencando insostituibili opere, siamo arrivati agli inizi del Novecento. È Giacomo Puccini (1858-1924) a segnare questi anni, con le sue indimenticabili eroine tragiche, e con i suoi inestimabili componimenti, tra cui Turandot, Tosca, Bohèmeo ancora la delicata Madama Butterfly” – che è anche la mia opera preferita .
Cari lettori, eccoci dunque arrivati al termine di questo mio breve excursussullopera lirica, volutamente incentrato su alcuni autori ed epoche, prima di arrivare al nostro regale Teatro Regio.
Meritano ancora un cenno le zone dellEst, dove prende forma uno stile musicale che racconta la storia del paese, traendo i suoi elementi dalla tradizione popolare, come danze e melodie. Tra i più noti compositori russi va almeno  citato Rimskij-Korsakov (1844-1908), che, insieme a Glinka (1804-1857), fa parte del famoso Gruppo dei Cinque, grandi compositori classici i quali, a far data dal 1856, a San Pietroburgo danno vita a un filone musicale tipicamente russo.
Sarebbe però imperdonabile non riprendere almeno in chiusura Richard Wagner (1813-1883), il rivoluzionario artista tedesco originario di Lipsia, uno dei più importanti musicisti di ogni epoca. Il compositore introduce il Wort-Ton-Drama, (Parola-Suono-Dramma), un genere musicale in cui si fondono insieme tutte le forme darte, dalla pittura alla recitazione, dallarchitettura alla musica al canto. Il suo amore per la mitologia germanica medievale è evidente nelle trame delle sue opere, dominate da personaggi come valchirie, principesse nordiche, filtri magici e valorosi guerrieri.
I tempi cambiano, i gusti si modificano e anche le forme di spettacolo devono adeguarsi allincombere del tempo che fugge.
La storia dellopera si affievolisce a partire dal XX secolo, quando la produzione di nuovi melodrammi si riduce sensibilmente.
Il pubblico è volubile e subito si appassiona ad altre forme di intrattenimento, quali la cinematografia, la radiofonia e, in tempi più recenti, la televisione, ma è anche vero che alcune cose non temono confronti, e ciò che si prova a teatro lo si sente solo lì.
I secoli si susseguono, la tecnologia avanza, dal bianco e nero si arriva agli schermi al plasma, eppure il teatro e lopera non smettono di incantare.

Alessia Cagnotto 

S.O.N.O.G.E.O.M.E.T.R.I.A. Alice Cattaneo alla Gam


Un’azione condivisa tra scultura e suono, sguardo e corpo.

In occasione del Finissage della mostra
Alice Cattaneo. Dove lo spazio chiama il segno

Venerdì 5 settembre 2025 dalle ore 18:30

GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea
Ingresso libero fino a esaurimento posti

Intervento sonoro di Alice Cattaneo, Chiara Lee e freddie Murphy
Performer: Camilla Soave

All’interno della mostra a cura di Giovanni Giacomo Paolin dedicata al lavoro di Alice Cattaneo, Dove lo spazio chiama il segno, S.O.N.O.G.E.O.M.E.T.R.I.A. è un intervento site-specific a sei mani (e molti speaker) che mette in dialogo le sculture dell’artista con una tessitura sonora, composta da gesti, materiali e frammenti d’ambiente.

Nessuna messa in scena, nessuna interpretazione: piuttosto un attraversamento diretto e spaziale, materico e organico.

Una performer, corpo consapevole, interagisce con le opere tramite una serie di azioni minime: attivazioni sonore che si espandono nello spazio attraverso dieci casse Bluetooth, ognuna depositaria di un suono-ombra. Sono i suoni delle opere stesse, raccolti e registrati — lo spostamento, la caduta, il trascinamento, la frizione con il suolo — e poi lavorati per essere reimmessi nello spazio come eco materiche. Una forma di campionamento ambientale che si fa geografia, archivio, presenza.

Durante l’intervento, il suono si dispone nello spazio, si sedimenta, si sovrascrive negli interstizi dell’ambiente. L’interfono — come gesto finale e intrusivo — interrompe e ridefinisce il paesaggio acustico, mentre la performer raccoglie e riposiziona le casse in un nuovo assetto.

Il giardino che ne emerge, o foresta sonora, diventa un’ulteriore opera, effimera ma concreta, in cui tutto si stratifica e si tiene: corpo, gesto, materia, voce degli oggetti.

L’installazione sarà visitabile fino al 7 settembre.

GAM – GALLERIA CIVICA D’ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA – Via Magenta, 31 – 10128 Torino

Orari di apertura: martedì – domenica: 10:00 – 18:00.
Chiuso il lunedì. La biglietteria chiude un’ora prima.

Mirabilia 2025, “People have the power”

Il Mirabilia International Circus & Perfoming Arts Festival approda mercoledì 3 settembre a Cuneo, per l’evento clou, che sarà  in programma fino al 7 settembre.
La diciannovesima edizione di quest’anno è intitolata “People have the power” ed è ideata e organizzata dall’Associazione IdeAgorà, che ha riunito 56 compagnie provenienti da diverse parti del mondo, Italia, Francia, Svizzera, Spagna, Ucraina, e Cile, con un focus particolare  rivolto al Cile. Saranno cinque giorni dedicati al circo, alla danza e al teatro urbano con 150 repliche programmate, di cui undici prime assolute o nazionali, 16 debutti regionali in cinquanta location.
“People have the power” rappresenta un inno alla libertà, alla collettività, alla potenza dei sogni condivisi. Un omaggio a tutti i popoli della Terra, dall’Asia alle Americhe, che lottano per la democrazia. Si tratta di una riflessione sul nostro tempo e sulle sue fragilità.
Il titolo della diciannovesima edizione vuole anche essere un tributo a Patti Smith, a una delle figure femminili più dirompenti della storia del rock, alla potenza suggestiva delle parole nelle sue canzoni. Questo titolo è visione, azione, dichiarazione e fiducia nella forza collettiva della cultura.
Il festival Mirabilia a Cuneo sarà un’edizione capace di rafforzare i legami con il territorio, con la natura, la collettività, in una mappa di luoghi trasformati in palcoscenici, cortili, giardini, piazze, musei, tendoni e boschi.

Il festival Mirabilia ha già attraversato sette località  della Granda, Rittana, Savigliano, Alba, Busca Vernante, Chiusa Pesio. Dal 26 al 28 settembre sarà  a Dogliani.
Il percorso che compirà a Cuneo sarà itinerante, da Via Roma a piazza Virgilio. A dare il via al Festival mercoledì 3 settembre,  a partire dalle 17.30, sarà la compagnia La Huella Teatro e il suo “Ckuri Limpiadores de pueblos”. Alle 18 seguirà il taglio del nastro e alle 19.30, l’attesa prima nazionale di Cie Responso, che presenta “Hourvari”, unica tappa italiana della creazione di Marie Molliens. Si tratta di una creazione acrobatica monumentale sotto chapiteau, prima italiana e unica data in Italia. La prima si terrà nello Chapiteau della discesa del gas.

La contaminazione tra i vari linguaggi è fondamentale secondo il direttore artistico Felice Gavosto e rappresenta una delle forze generative più potenti nello spettacolo dal vivo. Molti i protagonisti di questa kermesse nella pausa cuneese. Nell’ambito del Circo la Cie de Chaussons Rouges, presente per la prima volta in Italia, proveniente da Francia e Belgio, con Epiphites, installazione acrobatica, Artemachia e la Compagnia Madame Rebiné. Per la danza si esibiranno i ballerini del Balletto Civile, della Compagnia Twain, della EgriBianco Danza tra gli altri. Dall’Ucraina saranno presenti i Dekru con Virtual Reality, mimo contemporaneo e visual comedy. Dall’Italia in arrIvo  Matteo Galbusera, con ‘The white lord’, clown teatrale internazionale partecipato e sconvolgente. UpArte è  in arrivo dalla Spagna con DESproVISTO, acrobatica pura e corale, sinfonia di corpi nell’aria.

Dalla Svizzera proviene il Théâtre Circulaire, con “Porte  á faux”, poesia in sospensione,  musica e clown. Torna il miglior spettacolo Mirabilia 2024, che nella precedente edizione ha entusiasmato molto il pubblico. Dall’Italia proviene Abbondanza/Bertoni, con la creazione della nuova Epifania, con i grandi maestri di danza in anteprima sul territorio.

Frutto di un percorso biennale avviato con il programma “Circostrada- Global Crossing” nel 2023, già nel 2024 una delegazione del Ministerio de las Culturas del Cile ha visitato il festival Cuneese.  Quest’anno uan delegazione del Ministero della Cultura del Cile accompagnerà tre spettacoli selezionati tramite bando nazionale, uno spettacolo di grande formato, con circa 15 artisti, uno di medio formato e uno di piccolo formato, partecipativo e site specific  che prevederà  prima un periodo di residenza a Cuneo con il coinvolgimento della cittadinanza.
Si consolida e si amplia la collaborazione con l’Università degli Studi di Torino e, grazie all’accordo quadro stretto con l’Ateneo, la XIX edizione di Mirabilia accoglie il progetto UTPLay Università di Torino Performance  & Digital Playground, con uno spazio dedicato in esclusiva all’Università, che offre agli Studenti del Dipartimento di Studi Umanistici l’opportunità di presentare al pubblico i progetti didattici elaborati durante i loro percorsi di studio. 1450 mq. del Festival,  l’intera area della Tettoia in piazza Virgilio a Cuneo per cinque giorni diventano sede di 11 eventi progetti che spaziano  dalle sperimentazioni audiovideo, agli incontri, alle esperienze immersive ai progetti cross disciplinari. Fra gli eventi proposti, uno è  realizzato in collaborazione con il Conservatorio Ghedini di Cuneo.

Un’altra novità di Mirabilia 2025 è  “Into the woods”, una sezione di spettacoli site specific realizzati in ambienti naturali. Si tratta di un modo per connettere l’arte al paesaggio, sperimentando nuovi formati e immaginando un festival sempre più sostenibile. Si tratta di un progetto di spettacoli nei boschi e nei parchi, con alimentazione e energia solare e batterie, mobilità dolce per artisti e spettatori, un format sostenibile che unisce tecnologia green, comunità e paesaggio, realizzato grazie al sostegno della Fondazione CRC.
Mirabilia, oltre ad essere un festival di diffusione, una vetrina in cui molti artisti e programmatori si incontrano, è  attento alle novità, ai nuovi linguaggi, agli artisti emergenti, che sostiene tutto l’anno in residenze artistiche, in cui artisti da varie parti del mondo si incontrano  e sviluppano nuovi progetti di spettacolo.

Mara Martellotta

“Il Federiciano” al poeta Salvatore Seguenzia

PREMIO INTERNAZIONALE 

Il poeta augustano Salvatore Seguenzia, in occasione della XVII Edizione, è stato insignito del premio Internazionale «IL FEDERICIANO» per “chiara fama” che si è tenuto ad Augusta (SR) a fine agosto. La sua poesia “L’isula ‘nta l’Isula”, in lingua siciliana, è stata riprodotta sulla stele realizzata dal maestro ceramista Orazio Costanzo. Da anni il Poeta Salvo Seguenzia, accademico emerito, è noto per il suo contributo alla scrittura siciliana.

È inoltre destinatario del ruolo di Custode ufficiale del “Paese della Poesia”, progetto realizzato appunto nella splendida Augusta con la kermesse Federiciana sin dal 2023. A seguito del riconoscimento ricevuto, lo stesso poeta ha dichiarato: «Ieri sera (sabato 30 ndr) ho ricevuto il mio primo premio internazionale per ‘chiara fama’ durante il festival “Il Federiciano”, con tanto di stele dove è stato posto il mio sonetto endecasillabo in vernacolo “L’isula ‘nta l’Isula” dedicato alla mia Augusta. Mi corre il dovere di porgere un sentito e profondo ringraziamento al mio mentore poetico, il Maestro Giuseppe Aletti, che continua a credere nella mia parola. Sono veramente orgoglioso per quanto mi ha riconosciuto perché è un Premio dal valore inestimabile sia per la mia persona che per il poeta che c’è in me.

Questo elogio non è l’approdo ad un traguardo ma il proseguimento del mio viaggio per tenere sempre alto il valore storico, civico e culturale della lingua siciliana. Ora il mio sonetto sarà eternamente presente nell’agorà della mia città. Anche quest’anno si richiude la ‘Porta Spagnola’ sperando in una prossima avventura ma comunque vada sono orgoglioso di aver permesso a tanti poeti Federiciani e a tanti appassionati e curiosi di far conoscere la mia ‘isola nell’Isola’».

‘Il Federiciano’ non si spiega ma si vive.

Aletti Editore

Bosnia, il primo stipendio

A Sarajevo l’Obala Meeting Point era un cinema di Skenderija. Lì, in una serata di fine ottobre di quasi vent’anni fa, ho assistito alla proiezione di otto cortometraggi realizzati da giovani cineasti bosniaci selezionati nel progetto denominato Conflitto/Risoluzione. Le opere erano già state ospitate, un mese prima, sugli schermi di Torino. Ma vederle a Sarajevo vi fu tutta un’altra cosa. L’evento era promosso nell’ambito delle iniziative collegate alla tregua olimpica in previsione dei giochi invernali di Torino 2006. Quello che in greco si chiama “ekecheiria” (“le mani ferme”), è un concetto che risale a un’antica tradizione ellenica che prevedeva la cessazione di tutte le ostilità e delle inimicizie durante i Giochi Olimpici.

Tra le tante iniziative di quel tempo c’era anche questa, mirata a sostenere l’arte e il talento dei giovani bosniaci. In un paese dove pesavano un passato doloroso, un presente difficile e un futuro imprevedibile, un motivato moto d’orgoglio era offerto proprio dal cinema. Un amico sarajevese mi raccontò che in Bosnia Erzegovina erano stati prodotti solo centoventi lungometraggi in più di un secolo di cinema ma nonostante questo, aggiunse, “siamo in una terra che può vantare registi conosciuti in tutto il mondo come il pluripremiato Emir Kusturica, autore di Underground, il vincitore dell’Oscar 2002 Danis Tanović con No man’s land o la vincitrice dell’Orso d’Oro a Berlino Jasmila Žbanić con il drammatico Grbavica”. Sembrava un paradosso ma non lo era se si prestava una certa attenzione al lavoro di quei giovanissimi registi, ricchi di fantasia e veramente capaci di comunicare con le immagini. Ragazzi all’epoca poco più che ventenni, formatisi alla scuola di scenografia, cinema e teatro di Sarajevo o in quella di arte cinematografica di Banja Luka. I loro corti esprimevano con straordinaria efficacia il racconto del difficile passaggio alla normalità in quel lacerato e tribolatissimo dopoguerra balcanico. Che età potevano avere, nei primi anni novanta? Dieci, dodici, quindici anni? Età da adolescenti, strappati ai loro giochi e alle fantasie per essere costretti a diventare adulti in fretta in un paese in guerra. Nelle loro opere s’avvertiva una miscela di eccessi, un amaro sarcasmo e i cenni che non lasciavano nulla all’immaginazione nei confronti della triste realtà che si viveva ogni giorno da quelle parti. In alcuni casi sembra accantonato, se non addirittura cancellato, ogni riferimento alla speranza. Ma non c’era nulla di cinico in quanto comunicavano. Semmai, questo sì, traspariva un forte disincanto che, a tanti anni di distanza, si comprende come fosse motivato. Non era che a colori la crudezza dei fotogrammi fosse più attenuata ma è indubbio che in quelli girati con la pellicola in bianco e nero le scenografie erano ancor più livide e angoscianti. Mi colpì, in modo particolare, la prima proiezione. Il titolo del breve film era Prva plata, traducibile ne Il primo stipendio. Il regista, Alen Drljevic, un magrissimo giovane con gli occhialetti e un accenno di barba su un volto da bravo ragazzo, era un esordiente con delle ottime idee. Il filmato, che si può trovare anche su You Tube, durava meno di un quarto d’ora ed era estremamente coinvolgente. La scena si svolgeva, com’è ovvio, in Bosnia-Erzegovina, circa otto anni dopo la fine del conflitto, vale a dire tra il 2002 e il 2003. In un giro di scommesse illegali era stato organizzato un nuovo modo per far puntare i soldi alla gente: delle gare motociclistiche da disputare su un campo minato, in una specie di roulette russa in salsa balcanica. C’era chi scommetteva sull’esplosione e sulla morte e chi invece confidava nella fortuna del pilota perché, in quel caso, l’abilità era un fatto relativo, del tutto residuale. Del resto, in un paese dove la maggior parte della gente viveva al di sotto della soglia di povertà, non era cosa difficile trovare dei piloti pronti a gareggiare con la morte per portarsi a casa ” il primo stipendio”. Ricordo di essere uscito dal cinema a tarda sera, dopo le premiazioni e i saluti finali. C’era la luna a Sarajevo, una bella luna piena per la gioia degli innamorati lungo le passeggiate che costeggiavano le due rive della Miljacka. Forse perché avevo ancora negli occhi i fotogrammi appena visti, ma quell’astro d’argento mi rammentò un passaggio di Cupe Vampe, canzone che i CSI dedicarono all’assedio della città e al rogo della biblioteca nazionale: “piena la luna, nessuna fortuna”. La mente evocava immagini di disperate corse notturne per chi era costretto ad uscire di casa, cercando di non finire nel mirino dei cecchini. Gli snipers, in quel tragico tiro al bersaglio, cercavano la complicità dell’astro più cantato dai poeti. Non per declamare versi ma per vomitare addosso a persone ignare e inermi la loro giornaliera razione di odio, terrore e morte.

Le terre blu di Nico Orengo

Vengo da un paese di mare; un paese che si confonde e affonda in quel giardino”. Con queste parole lo scrittore Nico Orengo si presentava nel suo racconto Terre blu.

Quel giardino” dove si sentiva a casa erano i Giardini Botanici Hanbury che si distendono dal promontorio della  Mortola verso il mare di Ventimiglia, a pochi chilometri dal confine francese. Diciotto ettari sull’estrema punta del Ponente ligure al quale dedicò la sua opera letteraria, ambientando racconti e poesie. Un gioiello naturalistico prezioso, uno dei giardini di acclimatazione più belli e preziosi d’Europa e dell’intero bacino mediterraneo. Orengo raccontava che sono blu le terre della Liguria quando fioriscono i carciofi, quando il mare “rimbalza il suo colore sotto i pini, quando si alza il fumo degli sterpi sulle fasce, quando la campanula buca i rovi e quando la bungavillea e il glicine sui muri incontrano il tramonto”. In questo modo il blu si imprime indelebilmente nella memoria, trasformandosi nel colore del ricordo e della terra. Quella terra “aspra e dolce della Liguria di Ponente che da Imperia a Ponte San Luigi corre anguillesca sul mare e su, verso l’interno di paesi d’incanto, umidi e solari”. Con Terre blu Nico Orengo raccontava una geografia sospesa tra la realtà e l’immaginazione come può essere solo quella di “un viaggiatore che ritorna sui suoi passi per constatare che c’è un albero in più e una pietra in meno, che il pollaio è una villetta, o che quel tal orto si è fatto casa”. Alla terra di confine dove ambientò quasi tutti i suoi romanzi Nico Orengo rimase sempre legatissimo. La sua Liguria non era solo uno spazio naturale pieno di odori e colori, suggestioni straordinarie sospese tra il blu del mare e i colori forti dell’entroterra  ma anche un luogo della memoria, degli anni della giovinezza e dell’adolescenza. Un mondo intero dove si intrecciavano indimenticabili ricordi che rievocò nei suoi romanzi (Dogana d’amore, Il salto dell’acciugaLe rose d’EvitaLa guerra del basilicoRibesLa curva del latte) con la sua scrittura lieve e ironica. Nel suo penultimo romanzo, Hotel Angleterre, accompagnò i lettori in un viaggio della memoria rimescolando ricordi, rievocando la figura della nonna paterna, la contessa Valentina Tallevitch, che, nelle fredde sere invernali, mentre gettava bucce di mandarino nel fuoco acceso nel camino, narrava ai nipoti vecchie storie della nobiltà russa in Costa Azzurra e nella Riviera di Ponente, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. Nell’ultimo, Islabonita, ambientato a metà degli anni Venti, usa l’espediente narrativo del bestiario e di una figura antropomorfica di anguilla voyeur, per raccontare un epoca che stava per lasciare una traccia dolorosa e indelebile sulla pelle della nazione. Spesso nei suoi libri riecheggia l’amarezza per il  tramonto della società contadina e il declino dei suoi umanissimi valori a scapito  del rapido imporsi del modello industriale e urbano che il boom economico avrebbe poi codificato nell’avvento della società dei consumi. E la natura e l’ambiente, entrambi da difendere e tutelare, rappresentano desideri che emergono in molti racconti come Gli spiccioli di Montale dove, in un tratto di mare al confine con la Francia, un uliveto che rischia di scomparire, provocando uno strappo violento nella memoria, quasi come se un ricordo venisse rubato. Ci restano in eredità i suoi versi, le filastrocche ( A-ulì-ulè ) , i racconti, le battaglie contro la speculazione edilizia e per la salvaguardia dell’ambiente e delle tradizioni culturali, il bellissimo ritratto delle langhe fissato nelle pagine del romanzo Di viole e liquirizia. Nico Orengo morì a Torino, nella mattinata di sabato 30 maggio 2009, all’ospedale delle Molinette dove era stato ricoverato dopo una crisi cardiaca. Aveva 65 anni. Al capoluogo piemontese ( vi era nato il 24 febbraio del 1944)  era legato per l’intensa collaborazione con Einaudi e la lunga direzione di Tuttolibri, il settimanale letterario de  La Stampa, quotidiano per cui scriveva. Non casualmente scelse come ultima e definitiva dimora il piccolo cimitero dei Ciotti tra La Mortola e Grimaldi, aggrappato alla roccia e affacciato sul mare blu cobalto. Come scrisse lui stesso nell’agosto  del 2000, lo scenario non poteva che essere quello di “ una Liguria favolosa di sapori, fico polveroso e gelsomino stordente, di buganvillea e cappero, di garofano, calendula e rose, mirto e rosmarino”Un buon modo di ricordarlo è quello di leggere le sue opere magari accompagnandone il piacere con un buon bicchiere di vino, preferibilmente rossese o vermentino, secondo le antiche ricette della cucina ligure.

Marco Travaglini

La ragazza dei lupi

La mia vita selvaggia fra i lupi italiani

Molto interessante il saggio di Mia Canestrini, giovane ‘lupologa’ italiana, sia per professione, che per indole personale.

In un non lunghissimo testo, con il tratto veloce e conciso di chi sa comunicare, c’è tutto sulla sua vita, il contatto con la natura e un’infanzia passata in un paradiso ambientale come l’appennino tosco-emiliano.

E’ un’esistenza già segnata dalla sua infanzia, anni verdi con le orecchie già accarezzate da storie di lupi, avvistamenti, pericoli, leggende, paura e fascinazione. Si tratta di tratti ancora infantili e in seguito adolescenziali, che tracceranno però solchi profondi sulla sua vita di adulta.

Nel volume c’è infatti molto sulla vita di una ragazza intelligente, avventurosa, colta e capace, quanto della realtà di un animale immaginifico come il lupo, da sempre lontano e vicino di vita con noi umani, con le sue realtà e le fantasie sulla sua supposta ferocia.

Iscritta alla facoltà di Scienze Naturali e poi specializzata in Conservazione della biodiversità animale, Mia passa oltre dieci anni principalmente nel Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-emiliano con il ruolo di Tecnico per i progetti LIFE dell’Unione Europea, la salvaguardia dei lupi e loro coesistenza con le persone che vivono su alpi e appennini.

Con il coinvolgimento emotivo di un romanzo, viene tracciata la sua vita operativa in mezzo a boschi e montagne, seguendo gli spostamenti dei branchi, ricercando resti escrementizi dei lupi da gestire in laboratori attrezzati per mapparne alimentazione, età e malattie; e poi cuccioli da salvare, adulti da curare, verifiche sui danni da predazione.

Con minuziosità, il libro della Canestrini pubblica foto sulle tante fototrappole posizionate sui passaggi di esemplari solitari e branchi, commentando gli appostamenti di volontari e del personale addetto, gli incontri con pastori (spesso vittime economiche delle predazioni) e le operazioni congiunte con i Carabinieri Verdi, verifiche sui resti di razzie su animali domestici, in un ritmo di scrittura affascinante e per niente cattedratico.

Questo libro interessa poi un pubblico non solo residente nei luoghi citati dal libro. Infatti i branchi, inizialmente partiti da est, oltre che scendere sull’appennino, si sono moltiplicati e spostati – lentamente ma progressivamente – verso occidente, arrivando in Val di Susa, Chisone, e la vicina Francia alpina.

Il lupo assurge sempre di più, perciò, a presenza nuovamente globale.

Dietro questi dati statistici, soggiace inoltre la parte più filosofica e archetipica della figura di questo meraviglioso animale (per l’autrice, di un sacro valore esistenziale), da noi temuto, spesso amato, sempre rispettato.

Sono, queste, pagine fitte di incontri e collaborazioni entusiasmanti con le tante persone che hanno interagito con l’autrice per lunghi anni, fino a che .. come in una moderna fiaba, i lupi le hanno fatto trovare l’amore.

FERRUCCIO CAPRA QUARELLI

Mia Canestrini, LA RAGAZZA DEI LUPI, La mia vita selvaggia tra i lupi italiani, Piemme editore, 220 pagine

Ozmo per i 2050 anni di Aosta

In occasione del 2050° anniversario della fondazione di Aosta, il pioniere della street art italiana ha ideato una serie di opere murali che traducono in linguaggio contemporaneo la complessità storica, archeologica, geografica e culturale della città.

 

Il primo lavoro, dipinto sulla parete della Scuola Primaria “Giovanni Pezzoli”, avrà come soggetto la figura di Giano Bifronte, divinità tra le più antiche del culto pubblico romano.

Martedì 2 settembre alle ore 14.30, il contesto urbano di Aosta accoglie una operazione artistica di grande profilo.

 

Ozmo, pseudonimo di Gionata Gesi (Pontedera, PI, 1975) pioniere della street art italiana, artista conosciuto e apprezzato a livello internazionale, ha ideato una serie di opere murali, capaci di tradurre in linguaggio contemporaneo la complessità storica, geografica e culturale della città, che saranno ospitate sulle pareti di alcuni edifici particolarmente significativi, all’interno del tessuto cittadino di Aosta.

 

L’iniziativa, promossa e sostenuta dal Comune di Aosta, s’inserisce nel novero delle manifestazioni di AOSTAE 2025, il palinsesto di eventi organizzato per celebrare il 2050° anniversario della fondazione del capoluogo aostano.

 

Per la prima volta in Italia, un tale progetto è stato affidato a un unico artista che per l’occasione ha creato un itinerario di murali, inizialmente limitato a due pareti, ma che si svilupperà in un futuro prossimo in altri spazi, con lavori che dialogano con il patrimonio identitario di Aosta: il paesaggio alpino (natura), la memoria di epoca preistorica (passato), la condizione di frontiera (identità).

 

L’operazione non è quindi un murale monumentale isolato, ma una regia diffusa che invita lo spettatore a ricomporre i frammenti in un racconto unitario. Ogni parete, pensata in una sorta di proiezione maieutica, non introduce un messaggio esterno, ma fa emergere ciò che già esiste in forma latente nel paesaggio urbano e nella comunità che lo abita.

 

“Nell’anno delle celebrazioni per i 2050 anni della nostra città, Aosta si specchia svelando un suo volto antico e nuovo, trasformando muri in portali nei quali ci immergiamo scoprendo storie che parlano di noi – sottolinea Samuele Tedesco, assessore alla cultura e alle politiche giovanili del Comune di Aosta. Gli interventi di Ozmo, artista internazionale, ci dimostrano che Aosta in questi anni ha saputo rinnovarsi senza paura nei suoi linguaggi e nelle sue forme, senza nostalgia, ma con profondo coraggio. Il Giano, Dio dei Passaggi, diventa dunque un monito per ribadire che le soglie non servono per restare fermi, ma per andare oltre e proseguire nel cammino, nella scoperta di nuove visioni”.

 

“Questo progetto murale – afferma Ozmo – si sviluppa in alcuni luoghi distinti della città, che corrispondono a soglie simboliche che riportano a macrotemi come la natura, l’origine e la storia della città e la sua identità”.

 

Il primo murale è collocato sulla parete della Scuola Primaria “Giovanni Pezzoli” (via Parigi 137), il cui edificio si affaccia direttamente sulla Strada Statale 26, che ripercorre il tracciato della Via delle Gallie romana, segnando un confine simbolico tra Aosta antica – con Porta Praetoria, il criptoportico e l’assetto urbano romano – e la città moderna che si sviluppa lungo nuovi assi e infrastrutture.

 

Il soggetto del murale è la figura di Giano Bifronte, divinità tra le più antiche del culto pubblico romano, solitamente riprodotto come un busto con due volti che osservano in direzioni opposte.

 

Il Giano di Ozmo volge lo sguardo verso la viabilità e verso il complesso scolastico, a significare quanto la figura mitologica non si presenti solo come nume della strada, ma anche iniziatore e protettore del percorso formativo individuale. Giano diventa così una figura di sintesi tra stratificazione urbana e formazione personale, tra infrastruttura antica e individuo in costante divenire.

 

Il secondo sarà posto sul muro della Scuola Cerlogne, in corso Saint Martin de Corléans, nelle vicinanze di una delle più antiche testimonianze simbolico-spirituali d’Europa, ovvero l’area megalitica di Aosta che conserva la stele antropomorfa risalente al terzo millennio a.C., esposta in permanenza al MegaMuseo – Museo Archeologico Contemporaneo, che sorge proprio di fronte al complesso didattico.

 

Proprio questa stele, che si presenterà con una veste che ricorda un personaggio dei fumetti, diventerà ponte tra le varie epoche, lasciando emergere echi di un passato remoto, con trame capaci di connettere i bambini di oggi con le radici preistoriche della città.