CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 676

Oggi al cinema

LE TRAME DEI FILM NELLE SALE DI TORINO

A cura di Elio Rabbione

 

A voce alta – La forza della parola – Documentario. Scritto e diretto da Stéphane De Freitas. Premiato al TFF. Ogni anno, nella periferia nord di Parigi, presso l’Università di Saint Denis, ha luogo la gara di oratoria in cui viene premiato “il miglior oratore del ’93” dove il numero sta a significare il distretto di Seine- Saint Denis. Gli studenti sono affiancati da consulenti, riflettono le loro diverse estrazioni sociali, ambiscono al premio affilando le leggi della vecchia e nuova oratoria ma soprattutto ponendosi di fronte alle proprie risorse, ai propri caratteri, alle sane ambizioni. Durata 99 minuti. (F.lli Marx sala Harpo anche V.O.)

 

Dont’t worry – Drammatico. Regia di Gus Van Sant, con Joaquin Phoenix e Rooney Mara e Jonah Hill. Un’altra grande prova d’attore per Phoenix, Palmarès lo scorso anno a Cannes, uno sguardo profondo – non soltanto introspettivo ma costruito a partire dal cambiamento fisico – sulla vita di John Callahan, fumettista di Portland, distrutta da un incidente d’auto dovuto all’alcool, e basato sulla biografia del 1989. La voglia di costruirsi una nuova esistenza e di riaffermarsi, la paralisi che lo costringe a vivere su una sedia a rotelle, la lotta alla depressione, l’aiuto degli amici, specialmente di Donnie, membro del gruppo Alcolisti Anonimi, e di Annu, giovane volontaria svedese. Film a lungo rimandato, il primo progetto vedeva la firma di Robin Williams. Durata 114 minuti. (Ambrosio sala 2, Eliseo Blu)

 

Le fidèle – Drammatico. Regia di Michael R. Roskam, con Matthias Schoenaerts e Adèle Exarchopoulos. Quando Gino incontra Bénédicte, è amore a prima vista, appassionato, incondizionato. La ragazza lavora nell’azienda di famiglia e guida anche auto da corsa. Gino è quel tipo di ragazzo normale, attraente che tuttavia nasconde in sé un segreto. Quel tipo di segreto che può mettere in pericolo la propria vita e quella delle persone vicine. Gino e Bénédicte dovranno lottare contro il destino, la ragione e le proprie debolezze per salvare il loro amore. Durata 130 minuti. (Classico anche V.O.)

 

Gotti – Il primo padrino – Drammatico. Regia di Kevin Connolly, con John Travolta e Stacy Keach. Presentato a Cannes fuori concorso, fortemente voluto da Travolta, occasione per Al Pacino e Joe Pesci per darsela a gambe a lavorazione iniziata, questo è il classico esempio di film schiacciato dalla critica, in special modo quella statunitense, che ha visto una buona dose di ambiguità in quell’alternarsi di scene pronte a tratteggiare con amore un buon padre come il benefattore per cui i questuanti della grande città stravedono e il lato buio delle sparatorie, delle successioni a sangue freddo, dei processi in tribunale. Vedere e ricalibrare. Come l’interpretazione del divo: applaudita per le tante sfaccettature del personaggio o accusata di portare per tutto il film la stessa maschera, immobile e incartapecorita. Durata 112 minuti. (Massaua, Lux sala 1, Reposi, The Space, Uci)

 

Hotel Transilvania 3 – Animazione. Regia di Genndy Tartakovski. Terzo capitolo, doveroso considerando il successo dei due che lo hanno preceduto, per l’occasione il conte Dracula si regala un periodo di vacanza con i suoi fedelissimi. Durata 97 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 1, The Space, Uci)

 

Lucky – Drammatico. Regia di John Carroll Lynch, con Harry Dean Stanton e David Lynch. Stanton è scomparso un anno fa, a 91 anni, eccellente caratterista e indimenticabile interprete di Paris, Texas di Wenders nell’84. Questo film è il suo definitivo crepuscolo, anche un omaggio che passa attraverso le piccole azioni quotidiane di Lucky, ateo, che ha combattuto nel secondo Conflitto Mondiale, che ha trovato il proprio esclusivo angolo di mondo in Arizona, che quasi in un magico ed eterno rituale incontra il mattino con i suoi esercizi yoga, i cruciverba, prosegue con i bar e gli incontri con gli amici, mentre la sua giornata si chiude immancabilmente con un vecchio buon Bloody Mary. E’ l’inno al trascorrere lento della vita, alle abitudini ormai solidificate ma mai pesanti, all’amicizia e al piccolo divertimento: anche al confronto quotidiano con la paura del distacco, della morte. Durata 87 minuti. (Due Giardini sala Ombrerosse, F.lli Marx sala Chico anche V.O.)

 

Il maestro di violino – Commedia drammatica. Regia di Sergio Machado, con Làzaro Ramos. Da anni intenzionato ad entrare a far parte della più prestigiosa orchestra sinfonica dell’America Latina, il violinista Laerte, al momento dell’audizione si blocca e vede il suo sogno svanire. La sua nuova vita sarà il nuovo insegnante di musica in uno scuola di Heliopolis, problematico quartiere di San Paolo. Durata 102 minuti. (Romano sala 3)

 

Mamma mia! Ci risiamo – Commedia musicale. Regia di Ol Parker, con Amanda Seyfried, Meryl Streep, Colin Firth, Andy Garcia e Cher. La stessa isola greca, per fortuna ancora le musiche e le canzoni degli Abba, passato e presente si rincorrono intorno alla vita di Donna, Cher chiamata a travestirsi da nonna, qualche vistosa forzatura per ripetere il successo del precedente appuntamento. Durata 114 minuti. (Ambrosio sala 3, Massaua, Ideal, Lux sala 2, Reposi, The Space Uci)

 

Mission Impossible – Fallout – Azione. Regia di Chrisopher McQuarrie, con Tom Cruise, Henry Cavill, Simon Pegg e Rebecca Fergusson. Si inizia a Belfast per il ritrovamento di una valigetta che contiene tre bombe al plutonio: ma ahimè soltanto una finirà nelle mani di Ethan Hunt e dei suoi amici eroi. Poi s’aggiunge al gruppo il personaggio ben solido che ha i tratti di Cavill (non per nulla Superman: qui da tenere parecchio d’occhio), un atterraggio sui tetti vetrati del Grand Palais parigino in notturna, la ricerca di John Lark colpevole d’aver rapito il barbuto scienziato terrorista Solomon Lane, già conoscenza nostra in Rogue Nation, una Vedova Bianca che pare Veronica Lake, epidemie scongiurate, voli in elicottero mozzafiato, lotte all’ultimo sangue sul ciglio del burrone, eccetera eccetera. Una gran bella materia, uscita dalla mente e dalla gran voglia di stupire del regista qui anche in scoppiettante veste di sceneggiatore, un’invenzione dall’inizio alla fine di trovate del tutto inattese, di sbandate intelligenti della storia, di personalità e facce che sono ben lontane dall’essere in realtà quelle che sino a quel momento abbiamo visto sullo schermo. In successone. In cui chiaramente si calano le acrobazie di Cruise che, non più verdissimo all’anagrafe, senza nessuna controfigura si lancia da altezze non indifferenti, guida mezzi nel cielo, corre a perdifiato tra i tetti londinesi sino a rimetterci una caviglia, si scazzotta in modo vertiginoso senza fare una grinza. Sempiterno. Da vedere per la gioia dei fan, per il ritmo che questa volta – più di ogni altro episodio – fa faville. Durata 147 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 3, Reposi, The Space, Uci)

 

La profezia dell’armadillo – Drammatico. Regia di Emanuele Scaringi, con Simone Liberati, Valerio Aprea, Pietro Castellitto e Laura Morante. Zero è un disegnatore ma non avendo un lavoro fisso si arrabatta con ripetizioni di francese, cronometrando le file dei check-in all’aeroporto e creando illustrazioni per gruppi musicali punk indipendenti. La sua vita scorre sempre eguale, tra giornate spese a bordo dei mezzi pubblici attraversando mezza Roma per raggiungere i vari posti di lavoro: quando torna a casa, lo aspetta la sua coscienza critica, un Armadillo in carne e ossa, o meglio in placche tessuti molli, che con conversazioni al limite del paradossale lo aggiorna su cosa succede nel mondo. Alla notizia della morte di Camille, una compagnadi scuola e suo amore di adolescente mai dichiarato, lo costringe a fare i conti con la vita e ad affrontare, con il suo spirito dissacrante, l’incomunicabilità, i dubbi e la mancanza di certezze della sua generazione di “tagliati fuori”. Durata 99 minuti. (Nazionale sala 2, The Space)

 

La ragazza dei tulipani – Drammatico. Regia di Justin Chadwick, con Alicia Wikander, Dane Dehann, Judy Dench e Christoph Waltz. Nella Amsterdam del 1634 una giovane donna viene strappata al convento e data in moglie ad un vecchio mercante, desideroso di accumulare ricchezze e di un figlio sopra ogni cosa. L’incontro con un giovane pittore farà scattare la passione tra i due, innestando una storia di sotterfugi, false gravidanze, fughe e false morti assai poco credibili ma regalate allo spettatore come se fossero le cose più normali di questo mondo. Nel pasticciaccio brutto che ne deriva, gli attori sono immancabilmente coinvolti, sia quelli che recitano in maniera piuttosto anonima (i giovani) sia i più vecchi che con un gran mestiere tentano si salvare la baracca. Non si resta che apprezzare costumi e ambientazioni, pollice verso per la fastidiosa voce fuori campo e il montaggio convulso. Tratto dal romanzo Tulip Fever di Deborah Moggach. Durata 107 minuti. (Due Giardini sala Nirvana, Massimo sala 2)

 

Resta con me – Drammatico. Regia di Balthasar Kormàkur, con Shailene Woodley e Sam Claflin. L’autore di Everest porta sullo schermo un’altra storia vera, quella che Tami Oldham Ashcroft ha narrato nel libro omonimo. Il suo incontro nel 1983, a Tahiti, con il giovane Richard, il colpo di fulmine e la comune passione per le barche e i viaggi in mare, la proposta da parte dei proprietari di riportare il loro lussuoso yacht sino a San Diego, la furia dell’Uragano Raymond, il compito della donna di salvare se stessa e il compagno gravemente ferito deviando il percorso in direzione delle Hawaii. Durata 96 minuti. (Massaua, Reposi, Uci)

 

Revenge – Horror. Regia di Coralie Fargeat, con Matilda Lutz, Vincent Colombe e Kevin Janssens. Richard è un ricco uomo americano prossimo alle nozze ma trova anche il tempo di portare la giovane amante Jen nella sua villa sperduta nel deserto. Non tutto va liscio come si vorrebbe, due ceffi dalle brutte intenzioni irrompono all’interno: e la ragazza non ci sta ad esser

e l’ennesima vittima di violenze e scatta la vendetta del titolo. Durata 108 minuti. (Uci)

 

Separati ma non troppo – Commedia. Regia di Dominique Farrugia, con Gilles Lellouche e Louise Bourgoin. Delphine e Yvan divorziano. Poiché la situazione economica di lui non gli permette di trovare una nuova sistemazione, si ricorda che in realtà è detentore del 20% della casa in cui vive ancora la ex moglie. Torna allora a vivere sotto lo stesso tetto con Delphine, in quel 20% che gli spetta: sarà in questya situazione particolare e per molti versi assurda che i due ex si renderanno conto della bellezza dei piccoli momenti di felicità in questa convivenza forzata. Durata 93 minuti. (Eliseo Rosso, Romano sala 2)

 

Sulla mia pelle – Drammatico. Regia di Alessio Cremonini, con Alessandro Borghi, Jasmine Trinca, Max Tortora e Milvia Marigliano. Una tragedia dell’Italia recente, la tragedia della morte di Stefano Cucchi a soli 31 anni in un carcere italiano. L’arresto, il susseguirsi dei giorni di prigionia, il passato e il presente, il grande coinvolgimento della famiglia, soprattutto della sorella Ilaria. La prova di Borghi che si è ricreato appieno nel fisico (perdendo 18 chili) e nel calvario del ragazzo, come nella sua psicologia, la stagione dei premi cinematografici dovrà guardarlo con un occhio di riguardo. Da vedere per discutere. Durata 100 minuti. (Ambrosio sala 1)

 

The Equalizer 2 – Senza Perdono – Azione. Regia di Antoine Fuqua, con Denzel Washington e Melissa Leo. Agente della CIA ora in pensione, vive a Boston, porta avanti la sua vita in modo tranquillo dopo che s’è inventato un impiego di taxista, impensabile ma legge anche Proust, dà una mano ad un ragazzino che la solita giovane gang vorrebbe portare dalla sua. I guai ci sono, gli aleggiano attorno, ma cerca di restarne fuori. Ma se una vecchia amica viene uccisa tra le strade di Bruxelles, Robert sa che deve pareggiare il conto. Regista e interprete di Training day nuovamente insieme per il divertimento degli spettatori amanti degli eroi raddrizzatori di ogni torto. Durata 121 minuti. (Massaua, Ideal, Reposi, The Space Uci (anche V.O.)

 

La stanza delle meraviglie – Drammatico. Regia di Todd Haynes, con Julianne Moore, Michelle Williams, Millicent Simmond e Oakes Fegley. Presentato in concorso lo scorso anno a Cannes, dall’autore di Carol e Lontano dal paradiso, sceneggiato da Brian Selznick dal proprio romanzo. Rose e Ben sono due ragazzini che vivono in epoche diverse, lei del New Jersey, lui del Michigan, lei sul finire degli anni Venti, lui oggi. Due vite lontane, ma che viaggiano su binari paralleli. Entrambi sordi (la Simmond lo è realmente nella vita). Entrambi, segretamente, desiderano una vita diversa dalla propria. Sognano. Ben cerca il padre che non ha mai conosciuto, Rose sogna una misteriosa attrice di cui raccoglie foto e notizie nel suo album. Quando Ben scopre in casa un indizio sconcertante e Rose legge un allettante titolo di giornale, i due ragazzi partono alla ricerca di quello che hanno perso, di una verità, di un angolo di mondo che possa essere davvero loro. Durata 117 minuti. (Massimo sala 3 V.O.)

 

Un affare di famiglia – Drammatico. Regia di Kore’eda Hirokazu. Palma d’oro a Cannes lo scorso maggio. Nella Tokio di oggi, una famiglia (ma la considereremo così fino alla fine?) sbarca il lunario facendo quotidiane visite ai supermercati: per rubare. Ruba il padre che si porta appresso il figlio (?), torna a casa da una moglie che ha accanto una ragazza che potrebbe essere la sorella minore e una vecchia dolcissima che tutti chiamano nonna. Sentimenti, aiuti reciproci, l’arte di arrangiarsi, il coraggio di tentare a vivere insieme. Finché un giorno il capofamiglia porta a casa togliendola al freddo e alla solitudine una ragazzina, abbandonata da una madre forse violenta che non si cura di lei. Il mattino si dovrebbe riconsegnarla, ma nessuno è d’accordo: la nuova presenza farà scattare nuovi meccanismi mentre un incidente imprevisto porta definitivamente alla luce segreti nascosti che mettono alla prova i legami che uniscono i vari componenti. Durata 121 minuti. (Eliseo Grande, Nazionale sala 1)

Anema e core

Oggi si parla di un brano napoletano, dalle dinamiche tanto nostalgiche quanto delicate. Struggente e malinconica melodia del musicista Salve D’Esposito e del paroliere Tito Manlio, Anema e core fu composta nel 1950, riscuotendo fin da subito un grande successo sia in Italia che all’estero. Il titolo originale della canzone doveva essere Che matenata ‘e sole, ma il compositore Salve D’Esposito pensò che, dopo il successo di Me so ‘mbriacato ‘e sole, sarebbe stato meglio abbandonare quel soggetto. Fu così che, anche grazie all’ispirazione fornita da un episodio personale (l’autore Tito Manlio aveva avuto un piccolo alterco con la moglie, a cui era poi seguita la pace) Na matenata ‘e sole divenne Anema e core. Anema e core, con cui Salve diede inizio a un nuovo discorso musicale, è uno slow, un ritmo lento e sincopato. Fu battezzata dal grande tenore Tito Schipa, amico e artista eccellente che, con la sua voce e la sua dizione chiara e perfetta, ne fece un autentico capolavoro: nello stesso periodo la cantò alla radio, per la prima volta accompagnato da Salve D’Esposito (da questo momento non più Salvatore). Le parole di Anema e core sembrano ispirate ad un bisogno, insoddisfatto e crescente, senza tregua, di dolcezza e di tenerezza. La melodia è comparabile ad un bacio purissimo o ad una capigliatura di donna che un amante accarezza innamorato e timoroso.

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Tenimmoce accussì, anema ‘e core,

nun ‘nce lassammo cchiù, manco pe’ n’ora,

‘stu desiderio ‘e te, me fà paura…

Campa cu tte sempe cu tte pe’ nun murì!…

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Perdersi, riprendersi, fuggire e ritornare, l’amore che ci unisce è più forte dell’orgoglio, delle parole amare e delle ingiurie, amarci è l’unica soluzione possibile per poter sopravvivere

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Che ce dicimmo a ffà, parole amare,

si ‘o bbene po’ campà cu nu respiro?

Si smanie pure tu pe’ chist’ammore,

tenimmoce accussì… anema e core.

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Tra gli aneddoti che Salve, commosso, raccontava spesso, c’era questo: un giorno giunse una telefonata dalla SIAE (Società Italiana Autori ed Editori), che lo avvertiva del fatto che era arrivata una cartolina indirizzata a suo nome. Ritira la lettera incuriosito, lesse: “In piena Giava ci siamo fermati ed abbiamo pianto, da lontano ci giungevano le note di Anema e core. Grazie maestro!”. Era firmata da quattro ufficiali della Marina italiana, che per ragioni di lavoro, si trovavano su una nave in quel lontano punto della terra! Anche la famiglia reale inglese si innamorò di Anema e core e quando la squadra italiana di calcio si recò in Inghilterra per un incontro, venne accolta da una banda militare proprio con le note di quella stessa canzone. Nel 1955 si venne a sapere che Anema e core aveva battuto il record delle incisioni, 58 solo in Italia. A chi gli chiedeva “Cosa ha determinato il successo di Anema e core?”, Salve D’Esposito rispondeva: “12 versi e 32 battute“. Vi suggerisco un ascolto in chiave un po’ blasfema della canzone originale …mi piace cosi tanto!!

https://www.youtube.com/watch?v=lx0M4j_fxY8

Chiara De Carlo

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Chiara vi segnala i prossimi eventi …mancare sarebbe un sacrilegio!

Scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!

Una storia tutta sbagliata e attori che non convincono

Nelle sale “La ragazza dei tulipani” di Justin Chadwick

 Non credo davvero che il pasticciaccio che è diventato La ragazza dei tulipani sia soltanto il fatto di essersi ritrovato invischiato nel terremoto del pianeta Weinstein – giunto con l’occasione al capolinea del suo tragitto di produttore arrapato e onnipotente -, qualcuno alla fine deve essersi per forza accorto che il tessuto cinematografico non era dei migliori. Per carità, la gestazione del progetto è stata lunga e stiracchiata. Un progetto che veniva alla luce nel 2004, che vedeva John Madden dietro la macchina da presa e Spielberg produttore, la coppia Jude Law/Natalie Portman nelle vesti dei due giovani innamorati: stoppato a poche settimane dalle riprese a causa dell’abolizione della legge sulle agevolazioni fiscali in Inghilterra, colpevoli di aggiungere una buona fetta al budget iniziale. Il tycoon hollywoodiano, colui che fece man bassa di Oscar per Shakespeare in love, ricomprò i diritti del romanzo di Deborah Moggach nel 2013, dando il via alla nuova avventura.

 

Che è la classica ciambella venuta davvero male. Navigando all’interno del secolo d’oro olandese (siamo ad Amsterdam, nel 1634), in atmosfere che tentano di farci intravedere in grande lontananza il mondo di Vermeer e quel piccolo capolavoro della Ragazza con l’orecchino di perla – il film come il libro della Chevalier – Justin Chadwick tiene dietro ad un plot che più surreale non si potrebbe, condanna il per altre volte geniale sceneggiatore Tom Stoppard al vituperio perpetuo, non sa, con grande imbarazzo, che strada narrativa scegliere, se abbracciare gli elementi pittorici o la commedia o il dramma amoroso, naufraga, con gran disastro, nel feuilleton finale, strizza l’occhiolino provocatore ad una nuova avventura tra il boccaccesco e il più drammatico “la sventurata risposa” di manzoniana memoria. Avendo voglia di entrare più nel dettaglio e accantonando per un attimo il desiderio di dimenticare tutto al completo, c’è la giovane orfana che, risucchiata dal convento, va sposa ad un mercante ricco quanto vecchio, che esige un figlio e che per tramandare ai posteri la bellezza della sposa (e l’immagine delle proprie sostanze) chiama un giovane pittore a ritrarre la coppia. Colpo di fulmine tra i due giovani che cercando di approfittare delle febbre dei tulipani che ha invaso cuori e saccocce, prima speculazione della storia, tentano di arraffare il grosso gruzzolo e fuggirsene via: mentre in un gran bailamme è tutta un’invenzione di gravidanze e doglie e parti della serva della signora, di darla a bere al vecchione (che ha visto “crescere” la pancia della sua signora) che la pargoletta nuova arrivata sia sua, della fedigrafa pronta a farsi chiudere in una bara pur di raggiungere il ritrattista di turno e di pentirsene subito dopo amaramente, dell’occasione di una spiccia badessa a ricongiungere le due anime belle verso un domani di cui nemmeno vogliamo sapere. Se non fosse la Moggach di oggi sarebbe la Carolina Invernizio di ieri, poco importa. Ovvero si corre verso il ridicolo, le sottostorie appesantiscono e a volte rubano spazio alla trama principale dove i giovani Alicia Vikander (che ci accorgiamo sempre più sopravvalutata) e Dane De Haan (espressivo quanto un foglio di carta bianco) non funzionano e non riescono a farci respirare emozioni. Christoph Waltz come l’intera vicenda non riesce a prendere corpo, soltanto una sempre grande Judy Dench si fa ammirare nel suo piccolo personaggio a lato. A volte, si ha – per finire con i peccatacci di Chadwick – l’impressione di ritrovarci in una confusione mentale che scomoda anche gli intermezzi comici (il ginecologo, l’amico ubriacone che non arriverà mai con il guadagno) per posizionarli malamente, ci si imbatte in un montaggio, di Rick Russell, a singhiozzo, e in una voce fuori campo, fastidiosa, superflua come tante pagine del film. Possiamo le scenografie e i costumi: ma rimangono davvero ben poca cosa.

Quanti appuntamenti al Circolo dei lettori

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Grandi ospiti, incontri, una serata-tributo e due festival: ecco il ricco carnet settembrino del Circolo dei Lettori di Torino, sempre più punto di riferimento culturale della città. Al rientro dalle vacanze parte in quarta con tanti appuntamenti non solo nelle sale del Circolo (Via Bogino 9) ma anche in altri luoghi cult di Torino e nella sede di Novara. Tra i tanti ospiti del mese la giornalista Eliana Lotta autrice del best seller internazionale “La dieta Smartfood”, Marco Belpoliti con il 3° volume delle “Opere complete di Primo Levi” (Einaudi) da lui curato, l’economista Carlo Cottarelli, lo psichiatra Vittorio Lingiardi e lo scrittore Enrico Brizzi.

“Wallace Experience. A special Indie night” è il titolo della serata che il Circolo dedica allo scrittore David Wallace suicidatosi 10 anni fa. L’appuntamento è mercoledì 12 settembre dalle ore 18 in poi, con Davide Ferraris, Sara Lanfranco e Francesca Marson che ci guideranno nei meandri della vita e della mente geniale di questo scrittore, per molti un autentico genio contemporaneo. Un’ occasione da non perdere per saperne di più e capire a fondo la depressione e i tormenti dell’autore di “Infinte Jest” e –tra gli altri- “Questa è l’acqua” e “Interviste a uomini schifosi”.

 

Due i festival di questo mese

Dal 26 al 30 settembre “Torino Spiritualità”che quest’anno è dedicato ai “Preferisco di no” pronunciati da chi non vuole soccombere all’opacità dei tempi. Lezioni, dialoghi, letture e spettacoli, laboratori e camminate spirituali per affermare che l’essere umano può anche scegliere al di là del conformismo. La XIV edizione al via il 26 settembre con due ospiti eccezionali. Nella Chiesa di San Filippo Neri, alle 18,30, Asha Phillips -autrice del long-seller “I no che aiutano a crescere”- tiene una lezione su “Il no che unisce”; mentre alle 21 al Teatro Carignano il fondatore di Emergency, Gino Strada, invita a non rassegnarsi alle guerre e alle diseguaglianze con l’intervento dal titolo “Verso una nuova resistenza”. Il programma è davvero vastissimo e affronta più temi, tra i quali: “I no della religione” in cui la negazione si intreccia con la spiritualità; un ciclo di incontri intorno al Diavolo e le sue imprevedibili forme; un altro dedicato alle storie di vite non allineate di artisti, eretici, dissidenti vari e martiri, un altro ancora ai ribelli nei libri. Moltissimi gli ospiti: tra i grandi nomi di richiamo, François Jullien, il parroco di Aleppo Ibrahim Alsabagh, Enzo Bianchi, Vito Mancuso, Alessandro Bergonzoni, Massimo Recalcati, Andrea Riccardi fondatore della comunità di Sant’Egidio, il monaco benedettino Michael Davide Semeraro, la teologa Stella Morra, giornalisti e scrittori.

“Scarabocchi. Il mio primo festival” dal 20 al 23 settembre, nella seconda sede del Circolo dei Lettori, a Novara: 4 intensi giorni di laboratori per grandi e piccini, lezioni ed esperienze per sondare i tanti significati reconditi dello scarabocchio, gesto semplice e spontaneo che esprime molto più di quel che sembra a prima vista. Tra gli ospiti che aiutano a decifrare i nostri scarabocchi il pittore e disegnatore Tullio Pericoli, il matematico Piergiorgio Odifreddi, la Psicologa Anna Olivero Ferraris e l’illustratore Guido Scarabottolo. Inizia a settembre, ma dura fino a maggio, il fiore all’occhiello tra le tante iniziative del Circolo dei Lettori di Torino, “Giorni selvaggi” . Dopo lo strepitoso successo dell’anno scorso si riconferma con la 2°edizione grazie alla quale all’ombra della Mole convergeranno scrittori che rappresentano il meglio della letteratura mondiale. Il primo appuntamento lunedì 10 settembre alle ore 18 è con la scrittrice Premio Pulitzer Jhumpa Lahiri, nata a Londra da genitori bengalesi, cresciuta negli Stati Uniti, ma con lunghi soggiorni anche a Roma. Oggi insegna a Princeton e a Torino parlerà del suo ultimo libro, il primo da lei scritto in italiano “Dove mi trovo”, Guanda editore (che ha pubblicato anche i precedenti 7 libri dell’autrice). Al centro della narrazione la solitudine di una donna sullo sfondo dei tanti luoghi della sua esistenza….strade, negozi, ufficio, bar e la piscina dove «…i pensieri si fondono, filano senza ostacoli…».

Nel palinsesto degli incontri:

-Il 15 settembre lo sceneggiatore e scrittore americano Chris Offutt, dopo l’esordio fulminante della raccolta “Nelle terre di nessuno” (minimum Fax), torna a raccontare il suo Kentucky in “Country Dark”, nel solco della grande tradizione del racconto targato USA.

-8 ottobre sarà la volta di Zadie Smith, quarantaduenne scrittrice saggista britannica che dopo 5 romanzi ambientati a Londra, ora in “Feel free. Idee, visioni e ricordi” (Edizioni Sur) raccoglie 26 articoli e saggi scritti tra 2010-17 che spaziano tra analisi politica, critica culturale, autobiografia e riflessioni.

-25 ottobre in occasione dell’uscita del suo“L’uomo bianco” (Feltrinelli) il giornalista Ezio Mauro porta a Torino un reportage inedito che racconta la radicalizzazione delle paure sconfinanti nel razzismo nel nostro paese.

-16 novembre plana al Circolo lo scrittore inglese Jonathan Coe la cui cifra stilistica è la brillante satira con cui ha descritto il contesto storico-politico del suo paese negli ultimi 30 anni. Nell’ultimo tragicomico romanzo“Middle England” (Feltrinelli) ritroviamo alcuni personaggi de “La banda dei brocchi” e “Circolo chiuso”.

-17 novembre da non perdere è l’appuntamento con la scrittrice canadese rivelazione degli ultimi anni Miriam Toews. Dopo autentiche perle narrative come “In fuga con la zia” o “I miei piccoli dispiaceri”, a Torino presenterà il suo ultimo “Donne che parlano” (Marcos y Marcos), drammatica storia vera di una violenza inaudita e testimonianza della forza femminile.

– e per finire in bellezza ma in date ancora da destinare le scrittrici nostrane Serena Vitale e la sua traduzione del racconto “La mite” di Fëdor Dostoevskij (Adelphi) e Rosella Postorino con “Le assaggiatrici” (Feltrinelli) sulle donne che dovevano assaggiare per prime il cibo destinato Hiltler, scongiurando così i tentativi di avvelenamento.

Laura Goria

 

 

Cromie presenta “Veronica ed io” di Tamara Brazzi

L’Associazione Cultural-sociale Cromie-Vivere a colori, con il patrocinio della Città Metropolitana, presenta, con un reading-spettacolo, “Veronica ed io” di Tamara Brazzi, edizioni La valigia rossa, romanzo dal contenuto storico su Veronica Franco, cortigiana del Cinquecento veneziano. Durante l’incontro, l’attrice Vanessa Giuliani leggerà alcuni passi tratti dal libro, mentre il noto musicista Walter Matacena – recentemente impegnato nel tour estivo di Max Gazzè alle Terme di Caracalla e all’Arena di Verona – eseguirà al violino pagine di classica.A seguire, piccolo rinfresco gentilmente offerto dall’Osteria Rabezzana e dalla Compagnia dei Caraibi che farà degustare agli ospiti il Vermouth Gran Riserva Carlo Alberto.L’ingresso è gratuito, i posti sono limitati, occorre prenotare al 338/2539740. I soci di Cromie hanno la priorità.

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Palazzo Dal Pozzo della Cisterna

Via Maria Vittoria 12 – Torino

Ingresso gratuito

Martedì 18 settembre, ore 18

La magia del colore tra Torino e Bangkok

I MAESTRI DELL’ACCADEMIA ALBERTINA. CESARE FERRO MILONE

 

FINO AL 9 SETTEMBRE

Da Torino a Bangkok. Per quattro anni, dal 1904 al 1907, Cesare Ferro Milone (Torino, 1880-1934), in quella meravigliosa fetta di Oriente Estremo che fu il Regno di Rattanakosin o del Siam (odierna Thailandia), dovette fare i conti con la terribile afa canicolare intrappolata –tutto l’anno o quasi – nelle strade e fra i palazzi delle città, subire il tormento senza fine (è lui stesso a scriverlo nelle lettere ai famigliari) di implacabili zanzare e l’esplosiva“invasione” degli artigiani cinesi; ma in compenso, alla corte di Rama V, ancora oggi venerato dai thailandesi per il ruolo che ebbe nella modernizzazione e nel mantenimento dell’indipendenza del Paese dalle mire coloniali di Francia e Inghilterra, Ferro   Milone poté ampiamente godere di “quell’arte che si riveste al Siam – sono sempre parole sue – di una più perfetta grazia”, per la quale “la profusione dell’oro e delle ceramiche è ricchezza meravigliosa e non sfarzo, i mille dettagli sono bellezza e non superstruttura”. In Siam, l’artista torinese – che già aveva terminato gli studi all’Accademia Albertina di Belle Arti, allievo di Giacomo Grosso e Pier Celestino Gilardi, e già aveva esordito alla Promotrice nel 1900 e vinto, l’anno successivo, la medaglia d’oro all’“Esposizione Universale” di Livorno – fu invitato dal “grande e amato re” per decorare il Palazzo Reale di Bangkok (dove farà ritorno nel ’24 per lavorare alla decorazione del principesco Palazzo Norashing), affrescando sale, ma anche disegnando servizi da tavola in porcellana e il conio di alcune monete. Di quella prestigiosa attività restano molteplici bozzetti, disegni e acquerelli di intensa policromia che, al ritorno a Torino, il pittore custodisce gelosamente nel suo studio. Memoria di un’esperienza umana e professionale impareggiabile che accompagna in parallelo la ripresa, sotto la Mole, di un’attività pittorica dove alla rigorosa e solida rappresentazione realistica di ascendenza grossiana, si intrecciano spesso cifre stilistiche quasi preraffaellite o simboliste – nella leggerezza dei toni cromatici – accanto a cenni di prezioso “importato” decorativismo. Pittore ancor giovane, ma dal curriculum d’alto blasone (cui contribuì non poco il regal lavoro in Siam) Ferro Milone sarà pure docente di fama alla “sua” Accademia Albertina, di cui divenne anche presidente dal 1930 al 1933, ultimo incarico prima della scomparsa avvenuta nel 1934, a seguito di un incidente d’auto. Cesare aveva solo 54 anni, ma già una carriera altamente prestigiosa alle spalle e il nome inserito nelle principali manifestazioni d’arte a livello nazionale e internazionale. Assolutamente condivisibile dunque l’idea di dedicare a lui (dopo le rassegne su Andrea Gastaldi e Giacomo Grosso) il terzo appuntamento del ciclo “I Maestri dell’Accademia Albertina”, promosso dalla stessa Accademia e dal Museo di Arti Decorative “Accorsi-Ometto” di via Po, a Torino. L’esposizione, a cura di Angelo Mistrangelo, è presentata in tre sedi: alla “Pinacoteca” dell’Accademia Albertina, al Museo “Accorsi-Ometto” e al Museo Civico Alpino “Arnaldo Tazzetti” di Usseglio, nelle amate Valli di Lanzo, dove l’artista era solito trascorrere le vacanze estive, in frazione Quagliera, e dove è sepolto in una cappella voluta dalla moglie Andreina Gritti e da lui affrescata. Ben oltre un centinaio le opere esposte, fra dipinti, disegni, incisioni, affreschi portatili, oggetti d’arte accanto a riviste, giornali d’epoca e raccolte di fotografie eseguite dallo stesso artista. Al Museo “Accorsi-Ometto” troviamo, oltre all’“Autoritratto” del ’33, eseguito per il “Circolo degli Artisti”, il Ferro Milone più intimo e famigliare de “I primi passi” o “La mamma e Checco”, ma anche vivide tracce del periodo siamese, come disegni di oggetti per il re, modelli per monete, preziosi abiti di manifattura cinese, dipinti realizzati in Siam e perfino la spada donata dal Rama V a Umberto I, nel 1897, in occasione del suo primo viaggio a Torino. Negli spazi espositivi della “Pinacoteca” dell’Albertina, prevalgono ritratti di solida impostazione narrativa, nudi e composizioni allegoriche, insieme a sculture, incisioni e, anche qui, immagini del Siam. Da segnalare anche la suggestiva installazione multimediale, realizzata dagli studenti di “Scenografia del Cinema”, che consente un viaggio immersivo nel Siam di oltre un secolo fa e nel “Padiglione Siamese” realizzato per l’Esposizione Universale di Torino del 1911. Il Museo “Tazzetti” di Usseglio propone, infine, esempi significativi della tecnica dell’affresco portata avanti dall’artista con gli studi preparatori delle grandi decorazioni per il Palazzo Comunale di Imperia e delle cappelle funerarie di Vaglio Pettinengo e di Neive. Interessanti anche le opere di proprietà della famiglia o in permanente esposizione al Museo, un grande cartone raffigurante la “Deposizione” e la “Testa di bambino” del ’34, in plastilina e appena abbozzata.

Gianni Milani

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“Cesare Ferro Milone. La magia del colore tra Torino e Bangkok”

Museo “Accorsi-Ometto”, Torino, tel. 011/837688 int. 3; “Pinacoteca” dell’Accademia Albertina, Torino, tel. 011/0897370; Museo Civico Alpino “Arnaldo Tazzetti”, Usseglio (Torino), tel. 0123/83702 – Fino al 9 settembre

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Nelle foto

– “Autoritratto”, 1933
– “I primi passi”, 1923
– “Sorpresa a Pechino”, 1911
– “Autoritratto con oggetti siamesi”, 1928
– “La famiglia”, 1930
– “La mamma e Checco”, 1928

La corrente del Selvaspessa

Il Selvaspessa nasce dal Mottarone. Lì, dalla “montagna dei milanesi“, da rigagnolo si fa torrente mano a mano che scende a valle. Per un bel po’ della sua strada è un lungo, stretto e tortuoso filo d’acqua corrente che prende forza per caduta fino a spegnersi nel lago a Baveno, tra il Lido e il parco della Villa Fedora . Questa villa fu acquistata nel 1904 da Umberto Giordano, autore dell’Andrea Chènier, della Cena delle Beffe e – appunto – di Fedora. E’ lì che per vent’anni, fino al 1924, il compositore visse e lavorò nella pace di questa villa che s’affaccia sul lago Maggiore. Ma a quella villa non sono legati solo ricordi gioiosi. Resta anche l’ombra dei “portatori di morte” dell’Obersturmführer delle SS Herbert Schnelle . A villa Fedora, nel settembre del 1943, era alloggiata la famiglia israelita dei Serman. Era il 17 settembre quando le SS fecero irruzione nella villa , uccidendo quattro dei componenti della famiglia (solo Sofia, assente, si salvò, scampando al massacro). Prima di allontanarsi, le SS fecero razzia di ogni oggetto di valore. I Serman furono tra le prime vittime dell’odio razziale nazista che, dopo aver colpito all’albergo Sempione di Arona ( ad opera del “cacciatore di teste” nazista Krüger , “il biondo capitano dagli occhi azzurri e gelidi” ), continuò nei giorni successivi a Baveno e sul lago Maggiore fino alla strage degli ebrei dell’Hotel Meina.Difficile scordarsi i racconti di chi visse in quei luoghi a quel tempo, riannodando i ricordi dei mesi che seguirono le stragi, quando affiorarono dall’acqua del lago i cadaveri con i piedi e le mani legati con il filo spinato.

Tornando al Selvaspessa, a far da cornice al corso d’acqua, da una parte e dall’altra del torrente,scendono dalla vetta del Mottarone fitti boschi cedui di latifoglie. Castagno, faggio, betulla, rovere, cerro, frassino, acero, ontano, sorbo, robinia si alternano nei boschi misti che arrivavano a lambire le ultime case della Tranquilla, a Oltrefiume. della via Fraccaroli, dietro al cimitero, e ai margini del Bertarello. Al tempo in cui si era ragazzini era quello il nostro campo di gioco e di battaglia. Pietre scagliate nelle pozze, per schizzarci l’acqua addosso; arrampicate sui sassi , spesso verdi di scivolosissima “lita”, attorno ai quali la corrente disegnava dei piccoli gorghi; scorribande d’inverno quando l’acqua era assente e larghe e più o meno spesse lastre di ghiaccio livellavano gli anfratti, collegando i sassi uno con l’altro. Anche la pesca sul fiume era ben diversa da quella di lago. Qui si trattava di misurarsi con le trote di fiume che, a parità di prestazioni, sono più scaltre e smaliziate delle loro consorelle lacustri. Si nascondono sotto i sassi, sospettose. Scovarle è un bell’impegno.

La lenza, senza galleggianti e bilanciata con il giusto peso dei piombi, va fatta scorrere nella corrente, mettendo in bella mostra l’esca: un grasso lombrico, infilato sull’amo a regola d’arte. I lombrichi li trovavamo scavando nella fossa del letame che stava pochi passi dietro la grande cascina dove il Guerra teneva le vacche e qualche animale da cortile. Ai vermi s’associavano anche le camole del miele, fornite dal vecchio Brambilla, un milanese che – dopo la guerra – aveva scelto di vivere sul lago dopo esservi arrivato per sfuggire ai bombardamenti alleati. Aveva due dozzine di arnie e produceva un miele dolcissimo e denso. Nel far sparire quelle larve dai bozzoli biancastri e robusti gli facevamo un piacere perché la “galleria mellonella“, la tarma maggiore della cera, più comunemente chiamata camola del miele, è un lepidottero infestante degli alveari. E al Brambilla davano un sacco di noie. Così, riempiti i barattoli di lombrichi o di camole, pescavamo a striscio nelle pozze, seguendo il filo della corrente, fino a quando uno strappo secco ci comunicava la soddisfazione della cattura della preda. Sgusciavano tra la mani, vivaci e ribelli, le “fario” grigio-olivastre sul dorso, argenteo-giallastre sui fianchi e più bianche  sul ventre. Le macchioline nere e rosso-aranciate  che punteggiavano la parte superiore del corpo le distinguevano da quelle di lago, dove le macchie erano nere e irregolari. Eravamo espertissimi in questo tipo di pesca dove la scelta del piombo era importante quanto la scelta dell’amo, perché lungo il torrente dove l’acqua corre veloce è fondamentale riuscire a far lavorare bene l’esca. Al Selvaspessa non si andava solo a “bagnare” la lenza ma anche a prendere il sole, srotolando gli asciugamani sui sassi più larghi e piani , allungandoci sopra come  lucertole al sole. Oppure, come facevo io d’estate, a leggere. Passavo lì le mie vacanze, da luglio a settembre. Il rumore dell’acqua corrente rappresentava il sottofondo ideale per estraniarsi dal mondo. Non disturbava affatto, aiutando la concentrazione, favorendo la riflessione, stimolando la fantasia. E’ lì che ho letto i racconti avventurosi di Emilio Salgari, immaginandomi a Mompracem , nel mar di Malesia,  attraversando il Riff, gli oceani o le praterie del West. Ho conosciuto nei romanzi di Cesare Pavese le langhe,  Santo Stefano Belbo, il mare di Varigotti e il rigore livido dei viali di Torino. Con l’immaginazione ho viaggiato nell’ America di John Steinbeck grazie alle pagine di Furore, Uomini e Topi, la Valle dell’Eden o tra il Vicolo Cannery e Pian della Tortilla . Ho incontrato i moschettieri di Dumas, attraversato le foreste al confine con il Canada insieme all’ultimo dei Mohicani, frequentato pirati e bucanieri all’isola della Tortuga e sognato con Giulio Verne di scendere nel ventre della terra, fuggire con Michele Strogoff, viaggiare verso la luna e navigare ventimila leghe sotto i mari insieme al capitano Nemo. Il fiume – perché definirlo torrente ci pareva riduttivo –  mi faceva dimenticare la predilezione che avevo per gli alberi. Era sui rami bassi di un albero, infatti, che passavo ore e ore a leggere libri e fumetti quand’ero da mia nonna, lontano dall’acqua del Selvaspessa. Ora di quel mondo fantastico e misterioso resta solo un ricordo. La parte bassa del fiume è completamente stravolta e mai nessuno s’avvia in quella direzione con un asciugamano e un libro sottobraccio. E’ un peccato perché la parte a nord del Selvaspessa, merita ancora. Ma oggi, si sa, il divertimento è meno semplice e l’acqua che scorre non accompagna più la fantasia dei ragazzi.

Marco Travaglini

 

“Anche le statue muoiono” prosegue

Grande successo per la mostra nata dalla collaborazione di quattro istituzioni: Museo Egizio, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, i Musei Reali ed il Centro Ricerche Archeologiche e Scavi di Torino, l’esposizione è un invito alla riflessione sull’importanza del patrimonio culturale

Il Museo Egizio annuncia la proroga della mostra “Anche le statue muoiono. Conflitto e patrimonio tra antico e contemporaneo” fino al 6 gennaio 2019.

 

Inaugurata lo scorso 8 marzo 2018, la mostra, è stata visitata da oltre 150.000 persone.La distruzione consapevole del patrimonio culturale è un tema di stringente attualità che, attraverso l’interpretazione di artisti provenienti da paesi in conflitto, ha sensibilizzato il pubblico evidenziando l’interesse dei visitatori a una riflessione più attenta e approfondita.

Il Museo Egizio con “Anche le Statue muoiono” si apre per la prima volta all’arte contemporanea ospitando il dialogo tra nove artisti contemporanei con le loro opere – installazioni, video, fotografie – e reperti millenari. Il percorso inizia con un suggestivo incontro tra sguardi: quelli dei nove volti fotografati da Mimmo Jodice e quelli spezzati dei governatori di Qau el-Kebir (1900 – 1850 a.C). Un importante momento di riflessione sul ruolo dei musei è affidato a opere quali quelle di Ali Cherri, Liz Glynn e Kader Attia. Una sala dell’esposizione è dedicata alle fotografie prodotte dal CRAST a Ninive: il Centro di Ricerche torinesi ha documentato per l’ultima volta – prima che fosse completamente raso al suolo – la bellezza del ‘Palazzo senza Eguali’ di Sennacherib.

 

“Anche le statue muoiono” si fonda sulla convinzione della capacità dell’arte di generare nuovi discorsi, ponendosi un duplice obiettivo: informare e mostrare al pubblico il risultato delle recenti e violente distruzioni che hanno travolto il patrimonio artistico e culturale di molti paesi; ma anche sensibilizzare perché è solo attraverso la conoscenza dei beni culturali che si può giungere a un’attenta tutela del patrimonio, eredità e memoria da tramandare e proteggere.

Il valore aggiunto della mostra, la terza temporanea dell’Egizio, è dato dalla collaborazione con tre importanti istituzioni, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, i Musei Reali ed il Centro Ricerche Archeologiche e Scavi di Torino. Il Museo Egizio crede fortemente nel valore della sinergia tra centri culturali, conscio che il fare rete sia ormai un requisito indispensabile per evolversi e valorizzare il patrimonio artistico e culturale nazionale.

 

Sarà possibile continuare a visitare la mostra anche il venerdì sera, grazie alla proroga della promozione #SpecialeEstate: il 7 e il 14 settembre, il Museo Egizio e la mostra sono aperti fino alle 22:30 e, dalle 18:30, ingresso a tariffa unica € 5,00.

 

(Foto: il Torinese)

Settembre in giallo

 

“Il sottile confine fra finzione e realtà” è il tema dell’evento, in Banca d’Alba, venerdì 21 settembre alle ore 18, organizzato da Solstizio d’Estate, ideatrice del concorso Il Bosco Stregato. Relatori: Giusto Truglia, Roberto Ponzio, Graziella Naurath, Bruno Vallepiano e Tommaso Lo Russo

Mai come in questa epoca la nostra società vive un momento particolarmente complesso in cui non si riesce a distinguere il discrimine fra quello che è, quello che appare oppure ci viene fatto credere. Con <<Giustizia Spettacolo: quando la televisione si sostituisce ai Tribunali>>, l’avvocato penalista Roberto Ponzio,con una sorta di arringa, cercherà di proporre una soluzione che riconfiguri la separazione fra giustizia e Spettacolo e condanni l’uso della gogna mediatica e del processo in TV che si sostituisce a quello nei tribunali.

Il direttore di gazzetta d’Alba, Giusto Truglia dirà la sua verità su L’informazione al tempo delle Fake news e delle post verità. Se la disinformazione c’è sempre stata, ma mai come ora, al tempo, del villaggio globale della rete, tutti ne hanno una propria versione e l”odio contro tutto e tutti si esercita nei modi più disparati, dalla manipolazione della notizia, reinterpretandola, creandone una falsa, ma facendo attenzione che non si capisca che è falsa, in altre parole una Fake news. Tanto la rete perdona tutto e l’impunità è assicurata.

Graziella Naurath, scrittrice, autrice del giallo “Dimentica” fornirà uno spaccato con <<Sfumature di Giallo>> di come la separazione fra reale e finzione sia sottile “Una costosa cravatta e la scritta “DIMENTICA” su un pezzo di carta accanto al corpo delle vittime, sono gli unici indizi utili al commissario Clerici e alla sua squadra per scoprire il killer che uccide giovani ragazze brune. 

Bruno Vallepiano, scrittore e giallista con <<Il Noir tra realtà e fiction: in nome della verità>> proverà a fornire indizi per separarle. Tommaso Lo Russo, coordinatore de “Il Bosco Stregato” tratterà <<Realtà e mistero>>. Vale a dire il confine fra reale e irreale nell’altra dimensione.

Il giallo, il thriller, il noir sono tre declinazioni dello stesso genere? Non è così, le differenze sono notevoli. Nel giallo, la differenza fra il buono e il cattivo è marcata, nel noir molto meno e il chiaroscuro è l’elemento fondante, fino ad arrivare alla suspense e al terrore del thriller. Se il mondo del crimine diventa una chiave di lettura per rappresentare, in forma narrativa, il nostro presente, le nostre angosce e le nostre ossessioni, la finzione talvolta supera la realtà.

Angelo Malinverni: i fiori, la Grande Guerra, gli Alpini

Verrà inaugurata sabato 15 settembre, alle 17, presso la Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, in piazza Carlo Alberto 3, la mostra «Angelo Malinverni – I fiori, la Grande Guerra, gli Alpini», curata da Angelo Mistrangelo e realizzata con la collaborazione della galleria Berman e il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali

 

Nel centenario della fine della Grande Guerra, la Biblioteca Nazionale celebra questo artista, scrittore, medico e alpino con una rassegna di oltre un centinaio di opere, in cui Malinverni registra le emozioni del fluire dei mesi, delle luci, dei colori di una natura ritrovata, rivisitata, reinterpretata, in rappresentazioni che trovano riscontri all’interno della tradizione pittorica di scuola piemontese di fine Ottocento e dei primi anni del Novecento. Di volta in volta, Malinverni traduce la visione del vero in una raffigurazione dalle cadenze delicate, interiorizzate. Ogni colore, ogni linea, ogni impressione diviene testimonianza di una ricerca che lo ha accompagnato per tutta la vita. L’ampio salone della Biblioteca accoglie l’autore di numerose tavolette rese con un segno che fissa un «Altipiano» e delle betulle, un «Lago montano» e «Il pittore Cavalleri», del 1919, che dipinge davanti allo scenario spettacolare della natura, delle montagne e della luce che illumina alberi e arbusti. Dai «camminamenti» e trincee della prima guerra mondiale a un mazzo di «Rose bianche», si dispiegano le immagini di Malinverni, i ricordi che affiorano alle prime luci dell’alba, gli interni raccolti e arricchiti dalle nature morte o dai mazzi di fiori in un vaso. La retrospettiva permette di entrare in sintonia con una serie di quadri che rivelano la delicatezza delle «Rose avvizzite e mele» o del ritratto di «Maria Rosa» del 1940, in un susseguirsi di paesaggi montani, marine, nature morte, fiori.

Contemporaneamente all’inaugurazione sarà disponibile la ristampa, a 80 anni dalla prima edizione, del libro O luna, O luna, tu me lo dicevi… di Angelo Malinverni, un capolavoro della memorialistica del primo conflitto mondiale. In questo appassionato diario di guerra in prima linea con gli alpini, l’autore racconta episodi della Grande Guerra filtrati da uno spirito poetico con un linguaggio personalissimo e disinvolto. Come asserisce il giornalista Marco Balbi, con questo libro Angelo Malinverni ci ha consegnato una delle testimonianze più sincere, originali e commoventi della letteratura di guerra alpina. Nel catalogo trilingue (italiano, francese e inglese) della mostra, edito come il libro O luna, O luna, tu me lo dicevi… dalla casa editrice torinese AdArte, sono inclusi testi del curatore, di Carla Bertone e di Gianni Oliva.

 

La mostra, con ingresso gratuito, è aperta al pubblico fino al 24 ottobre secondo gli orari della Biblioteca Nazionale: dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 19 e il sabato dalle 8 alle 14.

Biografia di Angelo Malinverni: Angelo Malinverni nasce il 14 febbraio1877 a Torino. L’esperienza della prima guerra mondiale segna una tappa decisiva nella sua vita: si arruola come volontario nel 1915, rifiuta la possibilità di essere assegnato a un ospedale da campo e svolge la sua professione in trincea con gli alpini del Battaglione Ivrea del IV Reggimento. Ferito allo Sleme, durante la degenza realizza numerosi disegni e schizzi con i soldati, le trincee, i reticolati. Grazie alla sua abilità grafica gli viene assegnato il compito di rilevare le posizioni nemiche. Gli viene conferita la Medaglia d’Argento al valore militare per un’azione del dicembre del 1915 sul Mrzli. Rientrato nella vita civile, tralasciando la professione medica anche a causa dell’infermità contratta in guerra, si dedica completamente alla pittura. All’attività di pittore affianca anche quella di scrittore. Muore a Torino nel suo studio il 1°giugno del 1947.