Va in scena dal 19 al 21 dicembre la pièce teatrale “Ubi maior” di Franco Bertini, con protagonisti Leo Gassman e Sabrina Knaflitz, per la regia di Enrico Maria Lamanna. Nei panni della mamma Lorena ci sarà la nota attrice Sabrina Knaflitz che, nella realtà, è madre del giovane Gassman.
Tito ha vent’anni ed è molto più di un campione di scherma, è un giovane brillante e carismatico che ha conquistato il gradino più alto del podio olimpico con sacrificio e dedizione. Il successo lo ha reso celebre, gli sponsor lo corteggiano, ma lui non si lascia sedurre dalle lusinghe e dal denaro del mondo dell’intrattenimento. La sua vita è scandita da allenamenti, competizioni, spostamenti continui, tanto da non aver bisogno di una casa tutta sua. Quando decide di farlo, resta comunque vicino alla famiglia. Un giorno, un messaggio di suo padre lo richiama a casa perché un guaio serio e pericoloso è comparso. Un guaio che nessuna vittoria sportiva può risolvere. Il problema più insidioso riguarda una leggerezza da parte della madre Lorena, che si trova ad avere a che fare con un personaggio poco raccomandabile. Tito si trova davanti alla sfida più difficile della sua vita, ma questa volta non potrà combattere sulla pedana, non vi saranno regole di gioco. I suoi genitori, da sempre punti di riferimento, si rivelano sotto una luce inedita, e lui stesso scopre un lato di sé fino a quel momento nascosto. Per proteggere la sua famiglia, Tito dovrà compiere una scelta: restare fedele ai suoi principi morali o infrangerli. In questa partita conterà solo ciò che si è disposti a sacrificare. Ubi maior, minor cessat.
Teatro Gioiello: via Cristoforo Colombo 31, Torino
Venerdì 19 e sabato 20 dicembre ore 21 – domenica 21 ore 16
Mara Martellotta


Qualcosa prende ad agitarsi alla notizia del suicidio di una paziente, la bionda Paula, quando l’attività muta del tutto e da psichiatra si passa comodamente a giocare all’investigatore privato, con un’area di ricerca che altalena tra i toni drammatici a quelli (quasi) divertenti, allorché alla zelante Poirot s’affianca quel Watson di marito (di professione oculista, un Daniel Auteuil ancora innamorato e pronto di risate e carezze) trascinato allo svelamento di indizi e prove, essendosi convinta la nostra che di omicidio si tratti e che il colpevole vada ricercato tra le fredde mura domestiche della defunta. Anche il buon vecchio Hitchcock sobbalzava con momenti “divertenti”, inventava gag, incollava sui visi di Stewart o di Grant insuperabili intervalli di leggerezza dopo averli spremuti e terrificati a dovere: e qui, finché percorre i binari della descrizione dei caratteri e degli ambienti, finché inquadra l’avvio e il primo procedere della vicenda la regista Rebecca Zlotowski (franco-polacca, quarantacinquenne, anche sceneggiatrice qui con Anne Berest) non se la cava troppo male. Snella, veloce, essenziale, precisa: anche se l’indagine investigativa vera e propria vanta altri sapori, più profondi, più maturi.
Rubrica settimanale a cura di Magda Jasmine Pettinà