CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 644

Anacronismi, lentezze e mancanza di autenticità per il rapimento del rampollo Getty

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

Ci può essere la curiosità, di derivazione gossipara, di andare a vedere Tutti i soldi del mondo per rendersi conto di quanto Ridley Scott abbia lavorato (9 giorni di riprese aggiuntive per 17 ore a giornata, non tacendo i dieci milioni di dollari sborsati per coronare l’impresa, già impiegati i trenta precedenti) cancellando e rigirando il ruolo del vecchio Paul Getty che era appartenuto a Kevin Spacey prima che i lampi del mondo hollywoodiano non esplodessero e non si tornasse a essere improvvisamente puritani, scacciando lontano da sé il reprobo macchiatosi per anni di abusi sessuali: sacrosanto dubbio finale, facciamo del cattivone tabula rasa perché con l’aria che tira gli incassi potrebbero andare un po’ storti, non per ansiosità morali. Così, come tutti ormai sanno, la palla è passata a Christopher Plummer che ha calzato come un soffice guanto il ruolo granitico, scolpendo tutta l’avidità (con la a minuscola) grigia di un uomo che si crede la reincarnazione dell’imperatore Adriano e si fa costruire la villa di Malibu ad immagine di quella antica diTivoli, che in albergo si lava calzini e mutande per risparmiare sulla lavanderia e in casa ha fatto installare una cabina telefonica semmai gli ospiti dovessero fare un’interurbana. E rendendo viva e vivifica una interpretazione che è un’ancora di salvataggio per l’intero film. Perché non sono soltanto le traversie della produzione a interessare, ma vivaddio pure quei risultati che colano allo stesso tempo buona professionalità e dabbenaggini, disaccordi temporali e narrativi, ridicolaggini, per non parlare di quel procedere lento e ripetitivo che esclude una guida che ben più fermamente, bisturizzando all’interno della vicenda, della società dell’epoca, dei rifiuti e dei compromessi, delle cilecche delle forze dell’ordine, avrebbe

dovuto reggere il gran materiale di cronache, di ricordi e di testimonianze a disposizione. Perché alla base ci sta la biografia Painfully Rich: the Outrageous Fortunes and Misfortunes of the Heirs of J.Paul Getty di John Pearson, inedita in Italia, cui s’aggiunse nel 2013 Uncommon youth scritto da Charles Fox, ovvero il giornalista statunitense che già all’epoca s’era occupato del caso, avendo di prima mano le parole degli inquirenti e dei famigliari, e raccolse poi dal rampollo della dinastia ad alto sapore petrolifero il racconto autentico e monologante del rapimento, sino al 2011, anno in cui – colui che aveva riempito le pagine dei giornali con la sua faccia, con il suo orecchio mozzato, con l’iniziale sospetto di un teatrino personalmente tirato su alla spicciolata per spillare un bel gruzzolo al nonno – era scomparso, cieco paralizzato e disartrico a seguito di un ictus che lo aveva colpito trent’anni prima.Questa la storia, che avrebbe potuto rivestire una incisiva correttezza cinematografica. Invece. Invece Ridley Scott dice di essersi ritrovato tra le mani una “splendida” sceneggiatura, quella di David Scarpa e di aver dato corpo a un soggetto che da anni avrebbe voluto affrontare. E allora disturbano perché davvero riempitive e non necessarie le scene iniziali nel deserto a spiegare come la ricchezza del Grande Vecchio abbia avuto origine; disturbano anche i particolari, se si pensa che il diciassettenne fu prelevato la sera del 10 luglio del ‘73 in piazza Farnese (sarebbe stato rilasciato il 17 dicembre, sulla Salerno-Reggio Calabria, scoperto tutto solo da un camionista di passaggio) e non di fronte a ruderi romani che fanno tanto affresco della capitale e in mezzo a un crocicchio di puttane dispensatrici di consigli morali, a protezione dell’infanzia; disturba, s’è detto, la lentezza e la ripetitività con cui è trascinata la vicenda, le telefonate tra mamma e rapitore (anche dal cuore tenero), gli incontri senza eccessivi scossoni emotivi dei tanti incontri tra mamma (papà, il II° della serie, è troppo occupato in Marocco a farsi di droga con l’amico Mick Jagger) e vecchio genitore, l’una troppo trattenuta, studiata a tavolino (Michelle Williams), l’altro un incrocio troppe volte tra un racconto natalizio di Dickens e Paperon de’ Paperon di disneyana memoria. Disturbano le scene ad effetto, il taglio dell’orecchio su cui la macchina da presa indugia o il disperdersi nel plumbeo cielo inglese dei fogli di giornale che la mater dolorosa ha mandato in regalo perché la controparte si possa rendere conto dello stato del sangue del suo sangue; sono fuori luogo, da cartolina del sud, i rapitori con aria truce ma anche con tarantella e tamburello neppure in grado di calarsi una calzamaglia sul viso quando accompagnano alla latrina il prigioniero, da debole raccontino come le comparse italiane ingaggiate per l’occasione. Siamo in pieno ridicolo con la scampagnata nel covo delle Brigate Rosse dello svogliato negoziatore Mark Wahlberg, pregasi suonare il campanello per ritrovare foto di Lenin e gagliardetti autoreferenziali, siamo all’imbroglio cinematografico se si pretende di far crepare, immerso tra i propri fantasmi notturni e tra i bagliori horror del camino, Getty I che invece se ne andrà al Creatore due anni dopo, con molte colpe (all’inizio fu la frase “ho 14 nipoti, se comincio a pagare per uno, finirà che me li rapiranno tutti quanti”) e poco ravvedimento: richiedendo indietro al nipote la somma sborsata (si era partiti da 17 milioni di dollari, si arrivò a poco meno di due miliardi di lire) con gli interessi del 4%. Ci si stupisce in ultimo che l’autore di Thelma & Louise, del Gladiatore e di Alien si sia lasciato aggrovigliare in un finale da copione televisivo, con vittime carnefici e soccorritori che si mettono a giocare a guardie e ladri sotto il protettivo suono delle pale degli elicotteri, che più arrivano i nostri! non potrebbe essere. È mancato lo studio di un grande tema come quello dell’Avidità (con la a maiuscola), analizzata con il Denaro che si fa Essere umano e privata di tutto un contorno che continua a saper troppo di facile caricatura, è mancata la profondità del racconto, pubblico e privato. O anche soltanto il buon senso.

Il cinema del reale in Piemonte

Ripartono gli appuntamenti della rassegna gLocal Doc / Il cinema del reale in Piemonte, realizzata da Associazione Piemonte Movie, Museo Nazionale del Cinema e Film Commission Torino Piemonte nell’ambito del Piemonte Cinema NetworkgLocal Doc è una vetrina del documentario e dei documentaristi piemontesi con incontri, presentazioni di progetti e proiezioni con l’obiettivo di valorizzare il ricco panorama del cinema del reale girato e prodotto in regione.

 

Le prossime proiezioni in programma al Cinema Massimo di Torino:

 

– Venerdì 12 gennaio 2018, ore 20.30

I’m in Love With My Car di Michele Mellara e Alessandro Rossi (Italia, 2017, 72’)

Proiezione introdotta dai registi con Paolo Manera, Gaetano Capizzi, Stefano Boni, Enrico Miletto e Donatella Sasso (autori del libro Torino città dell’automobile), Elena Testa e Alessandro Gaido.

Ingresso 6 € (ridotto 4 €)

Usando materiali d’archivio e interviste a scienziati, ingegneri, antropologi e piloti, il film indaga come le automobili hanno cambiato le nostre città, ma anche il modo di vivere e di pensare il mondo: il primo bacio sui sedili dell’utilitaria, i pomeriggi cullati dal ronzio della Formula1, il primo viaggio alla scoperta del mondo, l’esodo estivo, Stanlio e Ollio sulla piccola Ford T, il taxi giallo di De Niro, la spider in bianco e nero di Gassman e Trintignant e le auto nere di 007.

Più di ogni altra invenzione, in 100 anni, le automobili hanno antropologicamente cambiato la natura umana, ma l’uomo che si è modificato per adattarsi all’autovettura, presto dovrà nuovamente mutare: inquinamento, aumento dei costi dei carburanti e danni alla salute stanno accelerando questo processo di trasformazione sociale e sarà un cambiamento di vastissima portata.

I’m in Love With My Car è sviluppato con il contributo del Piemonte Doc Fund di Film Commission Torino Piemonte.

Il documentario sarà in replica lunedì 15 gennaio, ore 18.00, presso la Sala ‘900 del Polo del ‘900.

Materiale stampa completo > https://goo.gl/7MDTnH

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 Domenica 14 gennaio 2018, ore 20.30

Cinematografica Perona di Azzurra Fragale e Mauro Corneglio (IT, 2017, 41’)

ANTEPRIMA ASSOLUTA introdotta dai registi e da Lorenzo Ventavoli. Ingresso 6 € (ridotto 4 €)

I​l film ​delinea una riflessione sul rapporto tra cinema e comunità attraverso la storia della famiglia Perona, che da quattro generazioni gestisce cinema a Cuorgnè e da quasi un secolo è il punto di riferimento per tutti gli appassionati della settimana arte del Canavese. Seguendo Vilma, Gabriella, Chiara e Fernando Perona in un percorso di riscoperta di luoghi e memorie, il film racconta le storie di una famiglia che ha segnato la vita di un’intera comunità, attraverso le tre sale attive a Cuorgnè nel corso del ’900.

Nel Teatro Comunale ottocentesco si schiudono i ricordi dei film muti degli Anni ’20, con gli spettatori che incitano i cowboys durante gli inseguimenti. Al Cinema Perona, nuova sala all’avanguardia inaugurata nel 1949, approdarono i grandi film americani la stagione neorealista e la magia dei cartoni animati. La magia del cinema oggi continua al Margherita, dedicato alla memoria della nonna, che mantiene gli ampi spazi degli Anni ’70.

Cinematografica Perona è prodotto da Collettivo Cromocinque e con il contributo di Fondazione Sviluppo e Crescita CRT e Archivio Mario L. G. Ceretto.

Riprende la stagione del BTT

LAVANDERIA A VAPORE SAB 13 GENNAIO / h 21 Prima nazionale

Coreografia Josè Reches

Musiche  Balenescu Quartet, Aaron Martin & Machine, Amon Tobin

Costumi La Piel
Disegno luci Davide Rigodanza
Danzatori Luis Agorreta e Jose Reches

 

Riprende il 13 gennaio la Stagione del BTT  che accanto al lavoro ‘made in Lavanderia’ – di produzione dei propri spettacoli,  porta avanti da sempre un’interessante discorso di ospitalità, rivolto in particolare proposte di giovani e di gruppi emergenti. Apre il 2018 il 13 gennaio la prima assoluta di “ Como Perros”  con la compagnia La Piel, dello spagnolo attivo a Madrid José Reches.  Il lavoro coreografico è pensato per due interpreti maschili e parla di una relazione in cui sentimenti e fisicità  si ispirano all’istinto animale, vero, viscerale, carnale … Immerso in uno spazio sonoro e luminoso, lo spettatore è emotivamente coinvolto da una coreografia forte e aggressiva. Dalla parola al corpo e dal corpo alla parola.

 

“Andaré el camino de vuelta, con una nueva piel, con un desconocido gesto de luz en la cara. Sentiré tu aliento provocándome nuevas dimensiones en las que moverme, cantarás mi nombre por las calles hasta que mi piel sea la tuya. Estás tan dentro de mí que no sé cómo sacarte, ni si puedo, ni si quiero. Me haces no ser yo… y me gusta”

Josè Reches

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Per informazioni

Biglietti acquistabili sul sito vivaticket

Presso InfoPiemonte (p.zza Castello, Torino)

Oppure un’ora prima degli spettacoli presso la biglietteria della Lavanderia a Vapore
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LAVANDERIA A VAPORE, Corso Pastrengo 51 10093 COLLEGNO (TO)

 

“Il Piccolo Principe”, non solo per i più piccoli

Al teatro Gobetti in scena  il testo dell’umanista e aviatore Antoine de Saint-Exupery, capolavoro assoluto della letteratura

A Torino è in scena al teatro Gobetti, fino al 7 gennaio prossimo, il celebre testo di Antoine de Saint-Exupery, Il Piccolo Principe, per la regia dell’attore e regista etneo Giovanni Calcagno, che ne ha portato in giro per l’Italia una versione dialettale in siciliano, dal titolo “Piccolo Principe. U principuzzu Nicu”. Per i tanti bambini presenti in scena la versione torinese sarà in italiano per essere più comprensibile. Il romanzo è il secondo libro più tradotto al mondo e il regista siciliano, che ha curato questo allestimento in endecasillabi e settenari, vi si è accostato per la prima volta nel 2009, quando da Rai Gulp gli giunse l’invito a realizzare un cortometraggio e un audiolibro proprio dal Piccolo Principe. Nel lavoro coinvolse allora Luca Mauceri e Salvatore Ragusa, entrambi presenti in scena, ed attivi anche in altri campi dello spettacolo, il primo come compositore delle musiche, il secondo come scenografo. Tutti e tre si sono poi occupati del comparto tecnico, dalle luci all’audio, ricreando un modo di fare teatro che si richiama a quello degli antichi giullari di corte, povero di ornamenti e volutamente privo di ridondanza.

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La scena è versatile, ricorda un grande libro, per poi trasformarsi, nel finale, scomposta e riassemblata dagli stessi protagonisti, nell’aereo su cui l’aviatore prenderà il volo.”Sono parole, quelle contenute nel Piccolo Principe – afferma il regista Giovanni Calcagno – che, per quanto ormai conosca bene, non smettono di interrogarmi su temi importanti, quali la morte, la trascendenza, la cura e la capacità di vedere con il cuore”. Esiste un vecchio detto ebraico che recita: “Mentre l’uomo pianifica, Dio ride”. Il senso della vita che rende l’opera di Antoine de Saint-Exupery un testo di alta letteratura sta in quell'”essenziale” che l’autore identificava nella capacità di sentire, di non ridurre l’uomo a un mero ingranaggio. Questo messaggio lo rende un’opera di formazione e di carattere universale. Qualche mese dopo l’apparizione del suo capolavoro l’autore, che era, oltre che umanista, anche aviatore, scomparve in aereo sul mar Mediterraneo. Ma il Piccolo Principe fu destinato a sopravvivergli.

 

Mara Martellotta

Seeyousound, ecco il Music Film Festival

 

Sarà Ingeborg Holm, opera di Victor Sjöström considerata il primo film realista della storia del cinema, ad aprire la quarta edizione di SEEYOUSOUND International Music Film Festival, che si terrà a Torino dal 26 gennaio al 4 febbraio.

 L’EVENTO

L’opera svedese, film muto del 1913, sarà musicata dal vivo da un ensemble di artisti poliedrici in occasione della serata di venerdì 26 gennaio alle ore 21.00 presso la Sala 1 del Cinema Massimo, organizzata in collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema. A dare suono alla pellicola saranno il chitarrista Corrado Nuccini, cantante e fondatore della band Giardini di Mirò, il cantautore e produttore Iosonouncane, ex membro degli Adharma, ed Enrico Gabrielli, polistrumentista, compositore e membro di diversi gruppi.

 

«Per la sonorizzazione di Ingeborg Holm – ha spiegato Corrado Nucciniho scelto di lavorare con Iosonouncane e Enrico Gabrielli perché ne apprezzo non soltanto la musica, ma l’attitudine e l’approccio. L’intenzione è portare in scena una trama musicale che renda giustizia alla bruciante attualità del social drama di Sjöström. Dal 1913 a oggi sono passati più di cento anni, ma non per le tematiche, quindi la musica sarà contemporanea: pulsazioni elettroniche, sintetizzatori, riverberi e delay, ma anche sassofoni e chitarre elettriche. Una trama sonora avvolgente dall’elettronica minimale all’ambient, passando per il post rock, un unico suono che ben si sposi con la pellicola».

 

 IL FILM

Ingeborg Holm, interpretata da Hilda Borgström, è la moglie di Sven. Insieme vivono a Stoccolma con i tre figli, ma quando il marito muore, la vita di Ingeborg precipita. Il loro negozio fallisce e la famiglia finisce sotto sfratto, i bambini vengono affidati ad altre famiglie e Ingeborg viene ricoverata. Diversi anni più tardi, il figlio maggiore cercherà la madre ormai fuori di sé per i troppi dolori sofferti.

L’opera è considerata una pietra miliare della cinematografia mondiale per la capacità di raccontare le emozioni, innovativa per l’epoca, e per le tematiche ancora oggi attuali. L’uscita della pellicola fu accompagnata dalle polemiche delle case di assistenza ai poveri, che si ritenevano diffamate dal film, fino a costringere il regista e lo sceneggiatore, Nils Krok, a discolparsi attraverso i giornali. Non riuscirono però a sminuire il valore del film che fu un vero e proprio successo a livello internazionale.

 

I MUSICISTI

 

Corrado Nuccini è chitarrista, cantante e fondatore della band Giardini Di Mirò. Dai primi anni 2000 ha realizzato 13 album e suonato in più di 1000 concerti in Italia e all’estero. Ha sonorizzato Il fuoco di Giovanni Pastrone e Rapsodia Satanica di Nino Oxilia. Col Centro Musica di Modena cura il corso “Soundtracks – musica da Film” e fa parte del progetto Cinema Misterioso.

 

Enrico Gabrielli è polistrumentista, arrangiatore, compositore, fulcro di innumerevoli progetti e collabora con svariati gruppi e musicisti, tra cui PJ Harvey, Afterhours, Mariposa, Mondo Cane, per circa 200 dischi in 15 anni di attività. Con i Calibro 35 ha rinverdito la memoria delle colonne sonore dei poliziotteschi anni Settanta.

 

Jacopo Incani, dopo l’esperienza con la band Adharma inizia a pubblicare come IOSONOUNCANE, pezzi interamente composti e suonati con loop e campionatori. Nel 2010 pubblica La Macarena Su Roma, mix di elettronica lo-fi, cantautorato classico e uno sguardo acuto sulla cronaca attuale. Segue DIE, affresco lirico, che racconta dell’uomo, di un uomo e una donna, archetipi immersi nella natura.

 

 

SEEYOUSOUND International Music Film Festival è organizzato dall’Associazione Choobamba in collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema, con il supporto del Circolo dei Lettori e grazie al contributo di Fondazione CRT.

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INFO: www.seeyousound.org | info@seeyousound.org

Venerdì 26 gennaio 2018, ore 21.00

Cinema Massimo – Sala 1

IV edizione 26 gennaio – 4 febbraio 

Flop Musei civici. Quando dal male può nascere un bene

L’OPINIONE di Enzo Biffi Gentili

 

Il decano dei critici d’arte italiani, Gillo Dorfles, nel suo libello Conformisti (Donzelli 1997) ci insegna che il giudizio estetico del pubblico “si uniforma alla tendenza più diffusa e più banale”. Ciò nonostante sono apparsi salvifici a Torino, nel XXI secolo, gli Impressionisti, tanto cari a sindaci e assessori ex comunisti, rivelatisi appunto conformisti (e senza badare, come si è visto, ai costi). Oggi non più sostenibili

 

Dal male può nascere un bene (copyright Paolo di Tarso). Vien così da commentare la precipitazione dei numeri dei visitatori dei musei civici torinesi: 200.000 in meno tra 2016 e 2017. Ma attenzione: non è vero che il bene per i musei sia esclusivamente rappresentato dallo sbigliettamento, e che le arti siano da considerare solo come strumenti di consenso. Eppure a Torino da troppo tempo si pensa che la cultura debba produrre affollati eventi, graditi ai “clienti”, con qualche eccezione: è il caso di Remo Bassetti con il suo libro Contro il target (Bollati Boringhieri, 2008). Dove l’autore afferma che il target aziendale -anche quello della politica locale e culturale- “si propone di offrire ai consumatori non tanto ciò che essi desiderano ma ciò che essi sono”. Quindi “si costruisce un pubblico su misura che riconferma nelle opinioni che già possiede”. Anche il decano dei critici d’arte italiani, Gillo Dorfles, nel suo libello Conformisti (Donzelli 1997) ci insegna che il giudizio estetico del pubblico “si uniforma alla tendenza più diffusa e più banale”. Ciò nonostante sono apparsi salvifici a Torino, nel XXI secolo, gli Impressionisti, tanto cari a sindaci e assessori ex comunisti, rivelatisi appunto conformisti (e senza badare, come si è visto, ai costi). Oggi non più sostenibili: quindi si capisce la svolta grillina, e l’attuale, impopolare, politica della lesina. Ma non basta. Si invoca da più parti anche un progetto, e solo qualche timido tentativo si intravvede… Per quanto riguarda la GAM è importante il lavoro sulla storia e sulla memoria di quell’edificio compiuto da una ricercatrice eccellente, Giorgina Bertolino; per quanto concerne altri spazi come Palazzo Barolo è stata notevole la mostra Fuoriserie, dedicata a pratiche artistiche borderline, produttrici di disagio e dissenso, non appartenenti all’ufficialità del sistema. Tuttavia l’esposizione è durata solo poco più di un mese, e nonostante che una delle due brave curatrici, Tea Taramino, lavori per il Comune di Torino, non è stato fatto un adeguato lavoro di comunicazione. Per il futuro in questa direzione di lavoro, da perseguire, ci si ricordi di coinvolgere figure eclettiche come quella Alfredo Accatino, autore di grandi eventi internazionali e di programmi televisivi, esperto di culture giovanili, di tutela delle professioni creative e, last but not least, di artisti non conformi. Si tratterà pure di temi di nicchia -di “micchia” direbbero ex sinistri citando Checco Zalone- ma coerenti con un’ immagine storica di città laboratorio che va rilanciata, nella penuria. Al contrario, altre recenti mostre alla GAM, come L’emozione dei COLORI nell’arte, che sin dal titolo e per la notorietà degli invitati destano il sospetto di un tentativo furbesco di “piccionare” un tipo di visitatore più tradizionale, non solo non hanno ammortizzato la caduta in picchiata del pubblico, ma non hanno dimostrato sufficiente scientificità. Insomma, occorre che Appendino e Leon si dimostrino “donne di conseguenza” e non provino anche loro a sbigliettare. Perché, come dice un vecchio proverbio, profano, è dal falso bene -il botteghino- che viene il vero male.

Furto a Venezia in stile Topkapi

Non è una riedizione del colpo del mitico pugnale al Topkapi di Istanbul immortalato nel celebre film del 1964 ma il clamoroso furto di alcuni gioielli della collezione dello sceicco del Qatar Al Thani a Palazzo Ducale a Venezia ci ricorda, con un po’ di immaginazione, la memorabile pellicola anni Sessanta con Peter Ustinov, Maximilian Schell e Melina Mercouri in cui i ladri si calano da un lucernario della cupola della sala e riescono, tra acrobazie notturne mozzafiato, a rubare il prezioso pugnale ornato di smeraldi e rubini, custodito nella sala del tesoro del Topkapi, l’antica residenza dei sultani da dove si ammira il panorama più bello della Turchia, con i ponti sul Bosforo, la Moschea Blu, Santa Sofia e piazza Sultanahmet. Ieri invece alcuni gioielli indiani, altrettanto pregiati, della mostra “Tesori dei Moghul e dei Maharaja”, ospitata a Palazzo Ducale a Venezia, sono stati rubati da una teca. I monili sottratti, almeno una spilla in oro e un paio di orecchini, avrebbero un valore reale di qualche milione di euro. La mostra, allestita nella sala dello Scrutinio, presenta, per la prima volta in Italia, 270 tra gemme e gioielli indiani dal XVI al XX secolo. Nel giugno del 2005 una banda di ladri cercò di imitare davvero gli autori del film del ’64 calandosi dal tetto del palazzo imperiale a Istanbul e svuotando la sala del tesoro. Furono ben nove gli oggetti rubati, tra cui il sigillo di un sultano con smalti e diamanti, il monogramma del sultano Abdulhamit I (1774-1789) e un paravento in madreperla. Ma il famoso pugnale rimase al suo posto, troppo complicato portarlo via senza innescare gli allarmi. In realtà quel pugnale, dal Topkapi, non si è mai mosso. La leggenda narra che il pugnale fu realizzato per lo Scià persiano Nadir nella prima metà del Settecento alla fine della lunga guerra tra gli ottomani e i persiani. Fu Mahmud I (1730-1754) a regalarlo allo scià ma i corrieri del sultano non arrivarono mai alla corte di Isfahan perchè Nadir Scià venne ucciso in una congiura di Palazzo e il pugnale più prezioso del mondo, dal valore inestimabile, tornò tra le mani del sultano a Costantinopoli. 

Filippo Re

Oggi al cinema

TUTTE LE TRAME DEI FILM NELLE SALE DI TORINO

A cura di Elio Rabbione

 

Assassinio sull’Oriente Express – Giallo. Regia di Kenneth Branagh, con Judi Dench, Michelle Pfeiffer, Johnny Depp, Penelope Cruz e Branagh nelle vesti di Hercule Poirot. Altra rivisitazione cinematografica del romanzo della Christie dopo l’edizione firmata da Sidney Lumet nel ’74, un grande Albert Finney come investigatore dalle fiammeggiati cellule grigie. Un titolo troppo grande per non conoscerlo: ma – crediamo, non foss’altro per il nuovo elenco di all star – resta intatto il piacere di rivederlo. Per districarci ancora una volta tra gli ospiti dell’elegante treno, tutti possibili assassini, una partenza da Istanbul, una vittima straodiata, una grande nevicata che obbliga ad una fermata fuori programma e Poirot a ragionare e a dedurre, sino a raggiungere un amaro finale, quello in cui la giustizia per una volta non vorrà seguire il proprio corso. Durata 114 minuti. (Ambrosio sala 1, Massaua, Eliseo Blu, Ideal, Lux sala 1, The Space, Uci)

 

50 primavere – Commedia. Regia di Blandine Lenoir, con Agnès Jaoui, Pascale Arbillot e Thibault de Montalembert. Raggiunta l’età del titolo, Aurore non vive proprio quel che si potrebbe definire un periodo felice, senza problemi. Si ritrova separata dal marito, a dover fare la cameriera in una piccola città di provincia anche per dare una mano alle due figlie. Come se non bastasse, il lavoro va in fumo e bisogna mettersi alla ricerca di un altro, una figlia aspetta un bebè che la chiamerà nonna e le vampate della menopausa sono sempre più lì ad aggredirla. Ritroverà un amore di gioventù e pensa di poter ricominciare. Ma non è così semplice. Durata 89 minuti. (F.lli Marx sala Harpo, Nazionale sala 2)

 

Coco – Animazione. Regia di Lee Unkrich e Adrian Molina. Fa parte di una famiglia che certo non stravede per la musica il piccolo Miguel e lui non ha altro sogno che diventare chitarrista. Questo il preambolo; e a dire quanto la Pixar guardi allo stesso tempo ad un pubblico di bambini (ma, per carità, senza nessun incubo) e di adulti, ecco che Miguel si ritrova catapultato nel Regno dei Morti a rendere omaggio ai tanti parenti che non sono più attorno a lui. Durata 125 minuti. ((Massaua, Ideal, Lux sala 2, Reposi, The Space, Uci anche in 3D)

 

Come un gatto in tangenziale – Commedia. Regia di Riccardo Milani, con Paola Cortellesi, Antonio Albanese, Claudio Amendola e Sonia Bergamasco. Quando gli opposti si attraggono. Ovvero l’incontro tra Giovanni, intellettuale di sinistra, abitazione nel centro di Roma, tutto quadri e libri, in riunione a Bruxelles a parlare di periferie e di quanto sia opportuna la contaminazione tra l’alto e il basso, e Monica, borgatara di una periferia stracolma di extracomunitari, piena di tatuaggi, dal più che dubbio gusto nel vestire, consorte in perenne debito con la giustizia: incontro che nasce quando i due ragazzini dell’una e dell’altra parte iniziano un filarino che punta deciso al futuro. E se l’incontro portasse l’intellettuale e la borgatara a rivedere le loro antiche posizioni? Durata 98 minuti. (Massaua, Greenwich sala 1, Ideal, Reposi, The Space, Uci)

 

Corpo e anima – Drammatico. Regia di Ildiko Enyedi, con Alexandra Borbély e Géza Morcsànyi. Un film dove si mescolano realtà e sogno, immerso nella cruda realtà quotidiana (pur con qualche momento d’ironia) ancora più acida se si pensa all’ambientazione in un mattatoio. Una coppia “lontana”, lui direttore di quel luogo, lei addetta al controllo qualità, introversi entrambi, chiusa nelle proprie solitudini, scoprono di condividere ogni notte lo stesso sogno, essere una coppia di cervi in un bosco invernale. Orso d’oro all’ultima Berlinale, “Corpo e anima” è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani: “Un film capace di tracciare il racconto della storia d’amore che unisce due solitudini, sospendendolo con lucidità visiva tra la materialità della vita reale e l’impalpabile spiritualità del sentimento”. Durata 116 minuti. (Classico)

 

Dickens: l’uomo che inventò il Natale – Commedia. Regia di Bharat Nalluri, con Dan Stevens, Christopher Plummer e Jonathan Pryce. Trentunenne, nel 1843, il giovane scrittore Charles Dickens deve far fronte ad alcuni insuccessi letterari, a cinque figli da mantenere e ad un tenore di vita del padre che è prodigo di operazioni finanziarie al limite del baratro. In sole sei settimane, attingendo alla vita di ogni giorno e riandando allo stesso tempo ai personali ricordi di un tempo, in un perfetto quadro dell’epoca vittoriana, tra ingiustizie sociali e ricchezze, darà vita ad una novella che rappresenta appieno lo spirito del Natale, incentrata sul carattere dispotico e cinico del vecchio Ebeneezer Scrooge come sulla sua piena conversione alla bontà. Era nato “Il racconto – o canto – di Natale”. Durata 114 minuti. (Uci)

 

Ferdinand – Animazione. Regia di Carlos Saldahna. Non ha mai avuto vita facile il libro dell’americano Munro Leaf da cui oggi nasce questo cartoon di Saldahna (già premiato autore di “Rio” e dell’”Era glaciale”), libro del ’36 su cui franchisti prima e nazisti poi non poco s’accanirono (era, inevitabilmente, nell’animo di Gandhi). La vicenda del toro decisamente pacifista diverte oggi bambini e anche adulti dal cuore pronto a rilassarsi, pronti a simpatizzare con un animale che è destinato a combattere nell’arena ma che al contrario preferisce circondarsi di fiori, fugge da chi gli impone quelle regole, stringe amicizia con una piccola animalista. Lieto fine che s’impone, al fianco del “pericolosissimo” toro altri simpatici personaggi, tra cui da non lasciarsi sfuggire la capra Lupe. Durata106 minuti. (Massaua, Ideal, Uci)

 

L’insulto – Drammatico. Regia di Ziad Doueiri, con Adel Karam e Kamel El Basha (Coppa Volpi a Venezia). A Beirut, un incidente tra due uomini, un operaio palestinese che è caposquadra di un cantiere con l’incarico di una ristrutturazione e un meccanico di religione cristiana. Quando costui, Toni, rifiuta di riparare una vecchia grondaia che ha bagnato la testa di Yasser, questi lo insulta, e gli insulti si accompagnano alle percosse, per cui l’incidente finirà in tribunale: situazione aggravata dal fatto che la moglie di Toni ha per lo spavento dato alla luce prematuramente una bambina che lotta tra la vita e la morte. Un caso particolare che adombra un conflitto molto più allargato e mai cessato: come ancora dimostra il processo, dove un padre e una figlia, difensori dell’una e dell’altra parte, esprimono due diverse generazioni e un giudizio diametralmente opposto. Durata 110 minuti. (Nazionale sala 1)

 

Jumanji – Benvenuti nella giungla – Avventura. Regia di Jake Kasdan, con Dwayne Johnson, Karen Gillan e Jack Black. Un fenomeno che ha più di vent’anni (eravamo nel 1996) e che ricordiamo ancora oggi per il personaggio, Alan Parrish, interpretato dal compianto Robin Williams, attore al culmine del successo dopo la prova in “Mrs. Doubtfire”. Hollywood non dimentica e rispolvera un passato di ottimi botteghini. Messi in punizione nella scuola che frequentano, quattro ragazzi scoprono un vecchio videogame. Una volta dato il via al gioco, essi vengono catapultati all’interno del sorprendente meccanismo, ognuno con il proprio avatar. Assumeranno altre sembianze, entreranno nell’età adulta: ma che succederebbe se la loro missione fallisse e la vita di ognuno finisse intrappolata nel videogame? Durata 119 minuti. (Massaua, Greenwich sala 2, Ideal, Reposi, The Space, Uci anche in 3D)

 

Loveless – Drammatico. Regia di Andrei Zvyagintsev, con Alexei Rozin e Maryana Spivak. Premio della giuria a Cannes. Un uomo e una donna, dopo anni di matrimonio, si dividono, hanno già costruito altre relazioni. Una separazione carica di rancori e recriminazioni. Nella loro vita Alyosha, un figlio non amato, vittima dell’indifferenza e dell’egoismo, che dopo l’ennesimo litigio, scompare. Supplendo al lavoro della polizia, un gruppo di volontari si mette alla ricerca del bambino, senza risultati. Durata 127 minuti. (Romano sala 3)

 

Morto Stalin se ne fa un altro – Commedia. Regia di Armando Iannucci, con Steve Buscemi, Micael Palin, Olga Kurylenko, Simon Russel Beale. Scozzese di nascita ma napoletanissimo per origini paterne, Iannucci ci ha dato una delle opere più godibili degli ultimi anni, ricca di effetti sulfurei, di una sceneggiatura che supera con facilità la risata fine a se stessa per immergersi nella satira più corrosiva, per graffiare e far sanguinare un mondo ben sistemato sugli altari. Il vecchio castiga ridendo mores, in folclore politico. Ovvero la morte del baffuto Stalin, che ha appena impartito l’ordine che gli sia recapitata la registrazione di un concerto che però registrato non lo è stato. Orchestra, pubblico e pianista dissidente, tutti di nuovo al loro posto. Ma le preoccupazioni sono e saranno ben altre: quella sera stessa, era il 28 febbraio 1953, il dittatore è colpito da un ictus e le varie epurazioni delle vette sanitarie in odore di tradimento fanno sì che le cure non possano arrivare che in ritardo e infruttuose. Cinque giorni dopo, passato lui a miglior vita, può così cominciare l’arrembaggio alla poltrona tanto ambita da quanti tra i collaboratori l’hanno vistosamente sostenuto o tacitamente avversato, a cominciare da un atterrito Malenkov chiamato da un ridicolo Consiglio a reggere le sorti dei popoli. Senza dimenticare, tra il tragico e il ridicolo, le mosse dei tanti Mikoyan, Zukov, Bulganin, Molotov e Berija in atteggiamenti da vero macellaio sino a Nikita Kruscev (un impareggiabile Steve Buscemi, ma ogni personaggio si ritaglia un momento di gloria), astutissimo nel saper raccogliere le tante intenzioni, lotte, sospetti, accuse, sparizioni dei propri colleghi, e capace di afferrare il primo posto. Tutto questo sullo schermo, applaudito al recente TFF, risate e sberleffi come non mai: apprezzato, ma allo stesso temo ti chiedi quanto sia stato giusto cancellare la vena tragica di quelle giornate. E del poi. Durata 106 minuti. (Centrale, anche in V.O.)

 

Napoli velata – Drammatico. Regia di Ferzan Ozpetek, con Giovanna Mezzogiorno, Alessandro Borghi, Beppe Barra, Luisa Ranieri, Anna Bonaiuto. In una Napoli piena di ambiguità e di misteri, in bilico tra magia e superstizione, tra follia e razionalità, Adriana, ogni giorno a contatto con il mondo dei non-vivi per la sua professione di anatomopatologa, conosce un uomo, Andrea, con cui trascorre una notte di profonda passione. Si sente finalmente viva ed è felice nel pensare ad un prossimo appuntamento. A cui tuttavia Andrea non verrà: è l’inizio di un’indagine poliziesca ed esistenziale che condurrà Adriana nel ventre della città e di un passato, dove cova un rimosso luttuoso. Durata 110 minuti. (Eliseo Grande, Ideal, Massimo sala 1, Reposi, Romano sala 1, The Space, Uci)

 

Natale da chef – Commedia. Regia di Neri Parenti, con Massimo Boldi, Biagio Izzo, Dario Bandiera, Rocìo Munoz Morales, Paolo Conticini e Milena Vukotic. Immaginate i quattro peggiori cuochi non stellati sulla madre terra coinvolti nel G7. Riusciranno a far passare nelle bocche dei grandi (?) schifezze e intingoli. Per chi vuol ridere alla maniera dei soliti, vecchi, poco digeribili cinepanettoni. Ma tant’è, vengono una volta l’anno e poi non più. Durata 97 minuti. (Uci)

 

Poveri ma ricchissimi – Commedia. Regia di Fausto Brizzi, con Christian De Sica, Anna Mazzamauro, Enrico Brignano, Lucia Ocone. Per le risate degli aficionados, ma rimane pur sempre l’Oscar annuale del gossip e della scalogna: quel po’ po’ di tornado che s’è abbattuto sull’innominato regista, da cui la Warner s’è affrettata a prendere le distanze, e le botte sulla povera e antica signorina Silvani di fantozziana memoria, taciute prima e squadernate poi. Per poi, alla fine, forse, tanto rumore per nulla, per ritrovarci tra i piedi, dopo il lauto botteghino del passato Natale, ‘sta banda de burini che a forza di mettere in banca preziosi euri e cucinare supplì si comprano pure un castello. E chi li tiene più. Ma se il non trascurabile malloppo va mantenuto, non resta che fare del borgo nato uno stato indipendente, dopo referendum d’obbligo manco fosse la Catalogna, girare le spalle all’Italia e uscendo dall’euro dare nuova vita alla moneta locale. Nel frattempo, si ritrova l’occasione per inalberare De Sica con una capigliatura bionda grano che manco Donald e lasciare la nuova first lady tra le braccia e le manette e le fruste di Massimo Ciavarro manco tra le stanze del piacere di “Cinquanta sfumature…”. Di qualsiasi colore siano. Durata 96 minuti. (Uci)

 

Il ragazzo invisibile – Seconda generazione – Fantasy. Regia di Gabriele Salvatores, con Ludovico Girardello, Valeria Golino, Galatea Bellugi e Xsenia Rappoport. Perseverando all’interno di un filone che pare non appartenere al cinema di casa nostra, l’autore premio Oscar di “Mediterraneo” offre a distanza di tre anni, con la crescita del protagonista, il secondo capitolo di Michele, ancora tra le strade e i cieli di Trieste, ancora nella tristezza per la perdita della madre adottiva e ancora alla ricerca di un qualcosa che gli permetta di conoscere appieno i suoi superpoteri. Entrano in gioco, incontro alla necessità, la conosciuta sorella gemella e la madre naturale, entrambe decise a rapire un cattivassimo magnate russo e costringerlo a liberare altre persone pure esse dotate di quegli stessi poteri, tra le quali lo stesso padre dei ragazzi. Già non eravamo stati del tutto soddisfatti della fase iniziale: e il seguito è messo lì per dirci che dovremmo aspettarci una terza puntata? Durata 96 minuti. (Massaua, F.lli Marx sala Chico, Greenwich sala 3, Reposi, The Space, Uci)

 

La ruota delle meraviglie – Drammatico. Regia di Woody Allen, con Kate Winslet, Justin Timberlake, James Belushi e Juno Temple. Inizio anni ’50, pieni di colore nella fotografia di Vittorio Storaro o rivisti in quelli ramati di un tramonto, un affollato parco dei divertimenti a Coney Island, quattro destini che s’incrociano tra grandi sogni, molta noia, paure e piccole speranze senza sbocco. Ginny è una ex attrice che oggi serve ai tavoli, emotivamente instabile, madre di un ragazzino malato di piromania, frequentatore di assurde psicologhe; Humpty è il rozzo marito, giostraio e pescatore con un gruppo di amici, che ha bevuto e che ancora beve troppo, Carolina è la figlia di lui, rampolla di prime nozze, un rapporto interrotto da cinque anni, dopo la fuga di lei con un piccolo ma quantomai sbrigativo gangster che adesso ha mandato due scagnozzi a cercarla per farla stare zitta, ogni mezzo è buono. Rapporto interrotto ma la casa di papà è sempre quella più sicura. E poi c’è il giovane sognatore, Mickey, che arrotonda facendo il bagnino e segue un corso di drammaturgia, mentre stravede per O’Neill e Tennessee Williams, artefice di ogni situazione, pronto a distribuire le carte, facendo innamorare l’ultima Bovary di provincia e poi posando gli occhi sulla ragazza. Forse Allen costruisce ancora una volta e aggroviglia a piacere una storia che è il riverbero di ogni mélo degli autori anche a lui cari, impone una recitazione tutta sopra le righe, enfatizza e finge, pecca come troppe volte nel suo mestiere di regista, non incanta lo spettatore. La (sua) vittima maggiore, che più risente del debole successo è la Winslet di “Titanic”, che pur nella sua nevrotica bravura non riesce (o non può, obbediente alla strada tracciata dall’autore) a calarsi appieno nel personaggio, come in anni recenti aveva fatto la Blanchett in “Blue Jasmine”. Durata 101 minuti. (Ambrosio sala 3, Eliseo Rosso, F.lli Marx sala Harpo, Uci)

 

Star Wars: Gli ultimi Jedi – Fantascienza. Regia di Rian Johnson, con Mark Hamill, Daisy Ridley, Carrie Fisher, Laura Dern, Benicio del Toro e Adam Driver. Luke Skywalker si è ritirato in un esilio volontario, in un nascondiglio segreto ai limiti del pianeta sperduto. La giovane Rey ha bisogno del suo aiuto, nell’incontrarlo gli donerà la vecchia spada laser appartenuta alla sua famiglia. Vecchi e nuovi personaggi, ultima apparizione della Fisher, indimenticabile principessa Leia, ad un anno esatto dalla scomparsa. Immancabile per il pubblico che da sempre segue la saga. Durata 152 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 1, Reposi, The Space, Uci)

 

Suburbicon – Drammatico. Regia di George Clooney, con Matt Damon, Julianne Moore e Oscar Isaac. Una storia scritta anni fa dai fratelli Coen. Al centro le case e i viali ordinati du Suburbicon, cittadina americana emersa negli anni Cinquanta. Da un lato, il personaggio di Matt Damon, ineccepibile padre di famiglia, che nasconde sotto le buone maniere e tutto l’affetto il desiderio di far fuori la moglie, con l’aiuto della cognata con cui vuole iniziare una nuova vita (entrambi i personaggi affidati alla Moore). Dall’altro, la comunità tanto perbene che accende le polveri allorché quell’angolo di paradiso vede all’improvviso la presenza di una famiglia di colore. L’intolleranza razziale esplode. Durata 105 minuti. (Massimo sala 3)

 

The greatest showman – Biografico/musicale. Regia di Michael Gracey, con Hugh Jackman, Michelle Williams, Zac Efron, Zendaya. La vita di Phineas Taylor Barnum, l’uomo che inventò il grande circo, figlio di un povero sarto, da sempre innamorato di Charity che diverrà sua moglie (pur non disdegnando un occhio ad altre relazioni) e che fu il sostegno della sua attività imprenditoriale, l’uomo che con fatica e lungimiranza seppe far fonte ad un destino che allineava frettolosamente successi e batoste, l’uomo che raccolse con dignità sotto il suo tendone uomini altissimi e nani e donne barbute. Come sotto vicenda, accanto a lui, il ricco Phillip (Efron) capace di fuggire dalla sua condizione agiata per rifugiarsi nel mondo circense che gli farà conoscere l’amore di una trapezista. Durata 110 minuti. (Ideal, Lux sala 2, Reposi, Uci)

 

Tutti i soldi del mondo – Drammatico. Regia di Ridley Scott, con Mark Wahlberg, Michelle Williams, Charles Plummer e Chistopher Plummer. Il film già celebre ancora prima di uscire sugli schermi: per la velocità con cui il regista ha ricompattato set e troupe per tirare ex novo le scene in cui compare il vecchio e arcigno Paul Getty che ha lasciato i tratti di Kevin Spacey straccusato di molestie sessuali da mezza Hollywood di stampo maschile per acquistare quello altrettanto marmorei e forse più puliti di Plummer, che in quattro e quattr’otto s’è candidato ai Globe. Cambio di casacca per narrare del rapimento del rampollo Getty (per cui il nonno, l’uomo più ricco del mondo, non avrebbe messo a disposizione un solo penny, la prima richiesta fu di 17 milioni di dollari, avendone altri 14 di nipoti chissà come sarebbe stato per lui il futuro!) nel luglio del 1973 – era il tempo dei figli dei fiori, dell’amore libero e della droga a gogò – ad opera dell’ndrangheta. La parte dell’eroe positivo va alla madre del ragazzo che lotta con ogni mezzo per la sua libertà mentre il negoziatore con i delinquenti è il paratone Wahlberg. Durata 132 minuti. (Due Giardini sala Nirvana, Romano sala 2, The Space, Uci)

 

Vi presento Christopher Robin – Drammatico. Regia di Simon Curtis, con Domhnall Gleeson, Margot Robbie e Kelly MacDonald. A.A. Milne, l’inventore delle storie che hanno come protagonista l’orsetto Winnie The Pooh, dopo aver combattuto nel 1916 la battaglia della Somme e aver visto coi i propri occhi di uomo e di combattente tutte quelle vittime lasciate sul terreno, fece ritorno a casa in stato di shock, incapace di inventare vicenda che portassero il sorriso. Solo dopo molto tempo, ritiratosi in campagna con il figlio Robin, tornò a scrivere dando vita al personaggio e alle storie che lo consacrarono al successo. Durata 107 minuti. (Ambrosio sala 2, Uci)

 

Wonder – Drammatico. Regia di Stephen Chbosky, con Julia Roberts, Owen Wilson e Jacob Tremblay. Auggie è un bambino di dieci anni, una malformazione cranio facciale ha fatto sì che non abbia mai frequentato la scuola. Quando i genitori prendono la decisione che è venuta davvero l’ora di affrontare il mondo degli altri, per il ragazzino non sarà facile. Al tavolo di Auggie, in refettorio, nessuno prende posto, un gruppetto di compagni continua a divertirsi a prendere in giro il suo aspetto. Poi qualcuno comunicherà ad apprezzarlo e ad avvicinarsi a lui. Durata 113 minuti. (Massaua, Due Giardini sala Ombrerosse, F.lli Marx sala Groucho, Lux sala 3, Massimo sala 2, Reposi, The Space, Uci)

 

Apollinaire e l’invenzione ‘surréaliste’

Fino al 24 febbraio 2019

E’ una “mostra dossier” quella presentata nella “Wunderkammer”, al piano interrato della GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, a ricordo del centenario della morte – avvenuta a Parigi il 9 novembre del 1918 – del poeta scrittore critico d’arte e drammaturgo francese Guillaume Apollinaire,

nato “per caso” a Roma nel 1880, figlio naturale di un ufficiale svizzero che non lo riconobbe mai e di una nobildonna polacca, con la quale si trasferì giovanissimo in Francia. Curata da Maria Teresa Roberto con Virginia Bertone, Franca Bruera e Marilena Pronesti, la rassegna intende rinnovare la stretta collaborazione con la Fondazione Ferrero di Alba, che in questi giorni presenta la mostra dei capolavori dadaisti e surrealisti del Museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam, creando pur anche un significativo collegamento con il convegno internazionale “Métamorphoses d’Apollinaire”, promosso dall’Università di Torino in collaborazione con le Università del Kent e di Paris – Nanterre. Obiettivo della mostra alla GAM, quello di ricostruire le basi, l’antefatto (umano e culturale) da cui presero origine proprio quei movimenti dadaisti e surrealisti caratterizzanti l’avanguardia parigina degli anni Dieci del Novecento. E ciò alla luce del fatto che il termine “surréaliste” fu proprio coniato da Apollinaire (il cui interesse per la “modernità” lo portò anche a sostenere il Cubismo nella sua fase germinale, così come il Futurismo di Marinetti e la Metafisica di de Chirico) per descrivere in modo sintetico il suo “Les Mamelles de Tirésias”, dramma in due atti sospeso fra il tragico e il comico-grottesco, messo in scena per la prima volta al teatro “Maubel” di Parigi nel giugno del 1917 e che rappresenta il fulcro dell’attuale rassegna torinese. Grazie alla disponibilità dei parigini Archives Férat, sono infatti esposti alla GAM i bozzetti delle scene e dei costumi di quel “dramma surrealista”, realizzati dal pittore cubista, nobile di origini russe, Sérge Ferat, pseudonimo appioppatogli proprio da Apollinaire in buona compagnia con Picasso. L’iter espositivo ricostruisce inoltre, attraverso lettere e disegni, la fitta rete di rapporti e di scambi che univa – intorno alle riviste “Les Soirées de Paris”, “SIC” e “Nord-Sud” – il folto gruppo di scrittori e pittori vicini ad Apollinaire, con un’attenzione particolare per il poeta André Salmon, fra i grandi sostenitori, insieme allo stesso Apollinaire e al critico d’arte Maurice Raynal, di Picasso e dell’estetica cubista. E proprio grazie alla disponibilità degli Archivi Salmon di Torino, troviamo anche esposte in mostra alcune interessanti caricature raffiguranti i personaggi centrali per la formazione dell’avanguardia parigina, fra cui spicca il creatore della cosiddetta “Patafisica” (o “scienza delle soluzioni immaginarie”) Alfred Jarry, venerato da dadaisti e surrealisti. A chiudere la rassegna, l’omaggio che nel 1930 Giorgio de Chirico volle dedicare all’amico dei suoi anni parigini, illustrando con una serie di 68 litografie l’edizione “Gallimard” dei “Calligrammes”, i componimenti poetico-visuali realizzati da Apollinaire fra il 1913 e il 1916, la cui raccolta completa fu pubblicata per la prima volta nel 1918.

Gianni Milani

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“Apollinaire e l’invenzione ‘surréaliste’”

GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, via Magenta 31, Torino; tel. 011/4429518 o www.gamtorino.it

Fino al 24 febbraio Orari: mart. – dom. 10/18, lunedì chiuso

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– Guillaume Apollinaire: copertina de “Les Mamelles de Tirésias”, con disegni di Serge Férat, Paris, édition “Sic”, 1918
– Irène Lagut: “Ritratto di Apollinaire”, con versi tratti da “Madeleine”, un “Calligramme” composto dal poeta  nel 1915, mentre si trovava al fronte. Rielaborazione a colori di Antonella Angeloro

 

Odissee: in mostra il cammino dell’umanità

 

FINO AL 19 FEBBRAIO 2018

Mostra decisamente da lode. Di grande interesse storico e culturale. Concepita e strutturata sulla base di un allestimento tanto funzionale quanto suggestivo, curato con minuta attenzione, genialità d’intuito e abilità di mestiere. “Odissee. Diaspore, invasioni, migrazioni, viaggi e pellegrinaggi” è dunque appuntamento da non perdere il cui scopo, attraverso un centinaio di opere provenienti dalle raccolte di Palazzo Madama e da vari musei del territorio e nazionali (dipinti, sculture, ceramiche antiche, reperti etnografici e archeologici via via fino alle oreficerie longobarde e gote, alle armi e armature, agli avori e ai libri antichi, agli argenti ebraici e ai vetri e a tanto altro ancora), è quello di raccontare il “cammino dell’Umanità” sul pianeta Terra nel corso di una Storia plurimillenaria. Ospitata fino al 19 febbraio 2018 nella “Corte Medievale” di Palazzo Madama a Torino e ideata e curata dallo stesso direttore Guido Curto, insieme agli storici dell’arte operanti nel Palazzo di piazza Castello, la rassegna si caratterizza come “un viaggio schematicamente suddiviso in dodici sezioni, disposte non solo in rigorosa sequenza cronologica, ma anche in base a nessi di consequenzialità contenutistici”. Sezioni molto simili a “Vetrine” “ o meglio ancora ad Acquari’ – precisa Curto dentro ai quali ‘galleggiano’ i reperti artistici esposti in primo piano sullo sfondo di un diorama costituito da grandi carte geografiche e da mappe rielaborate graficamente in modo da mettere in massima evidenza le linee guida degli spostamenti”. Il lungo percorso narrativo prende il via dal lento processo di diffusione della specie umana sulla Terra, iniziato 60-70mila anni fa dall’Africa verso gli altri continenti, per proseguire con la “mitologia del viaggio” ben rappresentata nei racconti dell’“Odissea” e dell’ “Eneide”, per i quali meritano una particolare menzione il bellissimo “Vaso con accecamento di Polifemo”, ceramica a figure nere di pittore aquilano, risalente al 520 a. C. ca. e l’imponente vigoroso “Enea che fugge da Troia in fiamme”, olio su tela del lucchese Pompeo Batoni (databile 1754 – ’56), ispirato al secondo libro dell’Eneide e conservato ai “Musei Reali – Galleria Sabauda” di Torino. I passaggi successivi si focalizzano nello specifico sulla “diaspora ebraica” dall’antichità al XIX secolo d. C., sull’espansione dell’impero romano lungo le vie consolari (con lo scontro Romani e Barbari, la cui drammaticità è ben evidenziata in uno straordinario pettorale da cavallo in bronzo o “balteo”, del II secolo d. C.) e sulle successive “invasioni barbariche” testimoniate da alcuni reperti di arte ostrogota e longobarda rinvenuti in Piemonte e databili fra il V e il VII secolo d. C. Ben evidenziato in mostra é anche il confronto fra la grande tradizione della “cultura islamica” e le élites europee avvenuto con le “Crociate”, così come la pratica – comune a tutti i tempi e a tutte le religioni – del “pellegrinaggio”, fenomeno che porta ogni anno a spostamenti di milioni di fedeli alla ricerca di “un contatto più diretto con il sacro”. Il racconto prosegue poi con i “viaggi di esplorazione” verso l’Africa che portarono alla scoperta dell’America e, in seguito, a una massiccia politica di “colonizzazione” di nuovi territori da parte delle potenze europee: “vetrina” in cui ci piace ricordare il materico olio su tela “Pozzo al villaggio indigeno Armorin, Mogadiscio” del 1926, a firma del biellese Lidio Ajmone, che nella Somalia italiana ebbe l’incarico di decorare il Palazzo del Governo, il Circolo Coloniale e il teatro di Mogadiscio. Gli oggetti in vetro provenienti dal “Museo dell’arte vetraria” di Altare (Savona) e un prezioso “pianoforte meccanico a cilindro”, in legno scolpito e dipinto di inizio Novecento, prestato dal “Musée Savoisien” di Chambéry, vogliono invece rammentare l’emigrazione italiana a cavallo fra Otto e Novecento, direzione Francia e Sud America. A conclusione dell’iter espositivo, troviamo infine un accenno alle “migrazioni di oggi” emblematicamente rappresentate da un’opera del 2002 di Michelangelo Pistoletto intitolata “Love Difference”, smalto acrilico su   lastra d’acciaio lucidata a specchio che raffigura il bacino del Mediterraneo sullo sfondo di una bandiera immaginaria. Bellissima, al centro dell’allestimento l’antica “Piroga di Panama orientale” ante 1887, proveniente dai depositi del “Museo Civico di Arte Antica di Palazzo Madama” ed emblema di forte spessore emotivo (per gli occhi e per il cuore) del viaggio nei secoli. A corollario della mostra, è anche previsto un fitto calendario di conferenze, laboratori per le scuole, con stranieri aderenti ai “Centri Provinciali Istruzione Adulti” e di educazione alla cittadinanza in collaborazione con “Onlus” del territorio.

 

Gianni Milani

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“Odissee. Diaspore, invasioni, migrazioni, viaggi e pellegrinaggi”

Palazzo Madama – Corte Medievale, piazza Castello, Torino, tel. 011/4433501; www.palazzomadamatorino.it

Fino al 19 febbraio 2018

Orari: lun. – dom. 10/18; chiuso il martedì

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Le foto:

– Pittore dell’Aquila: “Vaso con accecamento di Polifemo”, ceramica e figure nere, 520 a.C.

– Pompeo Batoni: “Enea che fugge da Troia in fiamme”, olio su tela, 1754-56
– Una “Vetrina”
– “Astrolabio Planisfero Latino”, ottone inciso, Italia, XV secolo
– “Piroga di Panama Orientale”, ante 1887
– “Piano meccanico a cilindro”, Manifattura di Buisson-Rond, 1913 – ’30