C’è un brano al quale sono particolarmente legata, fa parte dell’album Cattura pubblicato nel 2003 da un artista che non sono solita seguire molto. Lui è Renato Fiacchini, in arte Renato Zero. Istrionico, provocatore, trascinatore, ha scritto più di 500 canzoni affrontando tematiche di tutti i tipi davvero. Con quasi 50 milioni di dischi venduti è tra gli artisti italiani che hanno venduto il maggior numero di dischi ed è l’unico ad aver raggiunto il primo posto nelle classifiche italiane ufficiali di vendita in cinque decenni consecutivi. All’inizio della sua carriera la frase che si sente ripetere più sovente è: ”sei uno zero”, e vorrei esserlo io uno zero come lui. Nell’atmosfera dei tardi anni sessanta, che si sta impercettibilmente spostando dalla ingenua fase del beat all’impegno politico, Renato è ancora alla ricerca di un’identità. Sarà nei primi anni settanta, con lo sviluppo completo del glam rock, caratterizzato da cipria e paillettes, che potrà proporre senza problemi il suo personaggio. Questo personaggio provocatorio ed alternativo verrà raccontato in pezzi come Mi vendo e nell’intero album Zerofobia, da Morire qui a La trappola, da L’ambulanza al brano-emblema della filosofia zeriana, Il cielo. Ma in Cattura, molti anni dopo, in quell’album, c’è una traccia che io amo alla follia: Magari. Magari mi entra nelle ossa, per la sua malinconica incertezza. Una voce narrante. Una nostalgia totalizzante. Dettagli di un caffè mai preparato. Complimenti mai realizzati. Un amore che non è potuto sbocciare. Un amore che non è potuto essere. Una speranza contraria e disperata per un amore che non sarà mai: “Mi amerai mai?” Magari. Magari toccasse a me prendermi cura dei giorni tuoi, svegliarti con un caffè e dirti che non invecchi mai, sciogliere i nodi dentro di te le più ostinate malinconie…magari. Amatevi, non vivete di magari, non fateli morire certi amori, vi renderanno felici. Magari non ve ne pentirete.
Chiara vi segnala i prossimi eventi… mancare sarebbe un sacrilegio!
LA PREMIAZIONE SABATO 25 E DOMENICA 26 AGOSTO, A SANTO STEFANO BELBO NEL CUNEESE
Giunto alla sua trentacinquesima edizione, quest’anno parla anche cinese ( aprendosi ad orizzonti internazionali di assoluta levatura, non solo sotto l’aspetto squisitamente letterario ma anche socio-politico ), il “Premio Cesare Pavese 2018”, presieduto dal professor Luigi Gatti e nato a Santo Stefano Belbo (Cuneo) nel 1984, per rendere omaggio al grande scrittore di Langa attraverso l’assegnazione di un particolare riconoscimento, ogni anno in agosto, a scrittori, intellettuali e personaggi di spicco del mondo culturale internazionale. Per la sezione “Opera Straniera”, la Giuria – presieduta dalla professoressa Giovana Romanelli – ha infatti convenuto di premiare quest’anno, il volume “Governare la Cina” (Giunti, Forein Languages Press, 2016) scritto da Xi Jinping. Sì, proprio lui: il Segretario Generale del Partito Comunista Cinese nonché Presidente della Repubblica Popolare Cinese dal 14 marzo 2013. Membro del Gruppo dei “Taizi”, ovvero dei “principi rossi” figli e nipoti dei protagonisti della “Lunga Marcia” e della vittoria del ’49, Xi Jinping “affronta nel suo libro le questioni economiche, sociali e politiche più rilevanti del momento e presenta la filosofia che ha guidato gli uomini di governo del gigante dell’Asia: il cambiamento nella continuità promosso da un partito centralizzato ma attento alle sfide della politica globale”. Il linguaggio è semplice, privo di retorica e affascinante per la capacità di evidenziare la grande attenzione nei confronti di un popolo e di un Paese incondizionatamente amati. Italianissimi, giornalisti e scrittori (soggiogati pur anche dalle insidiose sirene del mondo politico) e un poeta che è anche ricercatore di marketing, sono invece gli altri quattro vincitori – una donna e tre uomini- della sezione “Opere Edite”. I loro nomi: Lidia Ravera, scrittrice giornalista e sceneggiatrice, con il romanzo “Il terzo tempo” (Bompiani, 2017) dedicato all’invecchiare, al trascorrere del tempo, ma anche alla volontà di rinnovarsi attraverso l’esperienza ad esempio (per lei, in verità, assai poco felice e di cui si parla nel libro) di assessore regionale alla Cultura e alle Politiche Giovanili della Regione Lazio, prima Giunta Zingaretti; Corrado Augias, giornalista scrittore conduttore televisivo ma anche parlamentare europeo dal ’94 al ’99, con il saggio “Questa nostra Italia” (Einaudi, 2017), il libro forse più intimo e personale dell’autore romano, “che scava alla ricerca di un’identità le cui radici affondano nei mille diversi volti di un paese grande, bellissimo e tormentato”; Antonio Polito, giornalista, ma anche Senatore della Repubblica dal 2006 al 2008, con il saggio “Riprendiamoci i nostri figli” (Marsilio, 2017), in cui Polito si prefigge di “smascherare” quelli che ritiene essere oggi i veri nemici dei genitori, dai social alla scuola, dalla politica alla Chiesa, dai cattivi maestri fino alla famiglia stessa “che ha commesso gravi errori, importando stili di vita che ne minano il ruolo”; e infine il poeta sanremese (ma anche ricercatore di marketing) Riccardo Olivieri con la silloge “A quale ritmo, per quale regnante” (Passigli, 2017), in cui si palesa la necessità profonda del dare un senso alla vita, “attraverso un continuo interrogare e interrogarsi del poeta e dell’uomo su temi quali l’amore familiare, il rapporto coi padri e le madri, il lavoro, i propri luoghi”. L’appuntamento per la premiazione dei vincitori di questa sezione è per domenica 26 agosto, ore 10, presso il Cepam – Centro Pavesiano Museo Casa Natale, a Santo Stefano Belbo, in via Cesare Pavese, 20. L’ingresso è libero. Saranno letti brani dei testi vincitori dall’attrice Chiara Buratti. Un premio verrà anche assegnato alla rielaborazione della tesi di laurea di Alberto Comparini edita dalla casa editrice “Mimesis”, con il titolo “La poetica dei ‘Dialoghi con Leucò’ di Cesare Pavese”. Per quanto riguarda, invece, la sezione “Opere Inedite”, la premiazione si svolgerà sabato 25 agosto, ore 17, sempre presso il Cepam. Questi i premiati:
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Narrativa: Claudia Cravero (Carmagnola, Torino), “Mosca garibaldina”;
Narrativa in lingua piemontese: Attilio Rossi (Carmagnola, Torino), “El Perfum ed le coline”;
Poesia in lingua piemontese: Lorenzo Vaira (Sommariva del Bosco, Cuneo), “La ca ‘de nòna Irma”;
Saggistica: Achille Guzzardella (Milano), “Decadenza sociale e artistica: testimonianza di uno scultore”;
Poesia Giovani: Andrea Francesco Carluccio (Lecce), “Dove nascono i silenzi”
Poesia: I Premio a Giuseppe Chiatti (Viterbo), “Parola”; II Premio a Franca Maria Ferraris (Savona), “A Cesare Pavese, mentre il cielo”; III Premio a Bruna Cerro (Savona), “In una notte di silenzio”.
Sempre sabato 25 agosto, ore 21, si terrà inoltre un incontro, coordinato da Eleonora Fiorani, epistemologa e saggista, con i vincitori Lidia Ravera, Corrado Augias, Antonio Polito e Riccardo Olivieri sul tema “Crisi dei valori e nuovi valori”.
Per info: tel. 0141/844942 – www.centropavesiano-cepam.i
G.M.
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Nelle foto:
Musica e cabaret a Zero Beer Festival
Il Festival che azzera le bollette azzerate raccoglie fondi per il ‘Museo del Grande Torino’. Il 27 Luglio grande attesa per Fede Poggipollini con i grintosi ‘Liga Revolution’
E’ partita all’insegna del grande pubblico la kermesse gratuita ‘ZERO FESTIVAL BEER’ a Pianezza (TO), in Via Torino 29/B presso l’area spettacoli ‘Vertigo’ la Sesta Edizione dello ‘ZERO Festival Beer’, affermata rassegna divenuta con successo parte integrante del circuito delle grandi manifestazioni estive piemontesi che quest’anno prende il nome proprio da ‘ZERO’, il primo social utility network della storia nato a Torino da un’idea dell’imprenditore Cristiano Bilucaglia (www.ubroker.it) che, dal 2015, riesce ad azzerare le bollette di luce e gas, canone Rai e accise comprese, per la gioia dei consumatori. Il 23 Luglio è la volta degli ‘Standing Ovation’, storica e affermata tribute band di Vasco Rossi guidata dal grintoso Andrea ‘Innesto’ Cucchia. Martedì 24 spazio alle danze caraibiche con ‘Noche Latina Live’, e l’esibizione delle migliori scuole di ballo di Torino. Giovedì 26 è di scena Ivan Cattaneo, mentre il 27 arriva l’energia di Fede Poggipollini, storico chitarrista di Luciano Ligabue, con un omaggio al rocker di Correggio insieme alla virtuosa e apprezzata formazione torinesi dei bravi e seguitissimi ‘Liga Revolution’. Appuntamento col revival il 28 luglio: attesi sul palco Gianni Drudi e i Radiostar’ per la ‘Fiki Fiki Night’, dal nome del più grande successo degli anni ’90 del celebre cantautore romagnolo. Gran Finale con ‘Torino Sotterranea’ il 29 luglio. Importantissimo: lunedì 30 Luglio si recupera lo show di grande cabaret d’autore (annullato il 20 luglio scorso causa maltempo) di Beppe Braida con ‘Gli Sconnessi’ (simpatico gruppo di affermati attori comici torinesi): con loro sul palco anche l’altrettanto apprezzato Gianluca Impastato e ‘I 60 Beat’. Conduce la manifestazione Claudio Sterpone, attore cinematografico e stimato cabarettista già nel cast di ‘Colorado Cafè’, ‘Zelig Off’ e molti altri. Media partner dell’evento è ‘Radio GRP’, storicamente la Radio più ascoltata e seguita in Piemonte, mentre la Direzione Artistica porta la firma di Andrea Carbonara e Marco D’Angeli. Tutte le informazioni sul sito www.scelgozero.it, o allo 011 044.88.26. Il Festival sostiene la raccolta fondi in iuto del prezioso ‘Museo del Grande Torino e della Memoria Storica Granata’ di Grugliasco, presente con un proprio ricco e gustoso stand di street food all’interno dell’area spettacoli.
Nei giorni scorsi al Museo del Cinema, è stata presentata alla stampa la ventunesima edizione del Gran Paradiso Film Festival , che si svolgerà a Cogne dal 23 al 28 luglio e in altri sei Comuni di tre valli del Parco ( Rhemes- Notre Dame, Rhemes- Saint-Georges, Introd, Aymavilles, Valsavarenche, Villeneuve ) tra il 4 e il 23 agosto. Il Direttore Artistico del Gran Paradiso Film Festival Luisa Villermoz ha presentato una ricca programmazione articolata in 13 giornate, 22 eventi e 57 proiezioni tra film, documentari e cortometraggi selezionati tra 140 opere provenienti da 27 paesi e 5 continenti, a conferma della dimensione internazionale a cui il Festival intende aprirsi.
” CONFINI è il tema che questa edizione intende proporre – spiega Luisa Villermoz – Un tema molto attuale inteso come visione dinamica di soglia e non di limite. Creare un festival significa mettere insieme dei racconti che spaziano geograficamente , che utilizzano linguaggi disparati , un festival in cui la Natura in tutte le sue forme va in scena “. La cerimonia inaugurale del Festival si terrà lunedì 23 luglio alle ore 17 a Cogne, alla presenza delle autorità istituzionali e con il concerto di Naif Hérin, cantautrice e musicista polistrumentista valdostana. Il Festival comprende diverse sezioni : le competizioni cinematografiche ” Concorso internazionale” e ” Corto Natura ” , il ciclo di incontri ” De Rerum Natura ” , eventi alla scoperta del territorio del Parco ” Aria di Festival ” e
” GPFF in mostra “. Portavoce del messaggio del Festival e personaggio – simbolo della ventunesima edizione sarà Don Luigi Ciotti : ” In natura non esistono confini ma solo relazioni . Notte e giorno, cielo e terra, piante e animali…Non c’è forma di vita o espressione del creato che non richiami una relazione e da quella relazione sia nutrita”. Tra gli ospiti di questa edizione molti i personaggi di rilievo : da Giuliano Amato a Flavio Caroli e Fabio Fazio, da Marta Cartabia a Luciano Violante.
La Cerimonia di Premiazione si terrà nella serata di sabato 28 luglio, con l’attribuzione del ” Trofeo Stambecco d’Oro”, alla presenza di Paolo Cognetti, vincitore del Premio Strega 2017.
La Fondazione CRT contribuisce alla realizzazione di questa importante manifestazione attraverso il contributo alla Fondation Grand Paradis,”un sostegno per quattro anni consecutivi in linea con alcuni punti fermi della nostra attività filantropica – come afferma Annapaola Venezia, Vice Segretario Generale della Fondazione CRT – che vanno dalla promozione della cultura di qualità e del talento creativo al coinvolgimento dei bambini e dei ragazzi in iniziative capaci di incidere sulla loro formazione, dalla tutela del patrimonio paesaggistico alla sensibilizzazione al rispetto dell’ambiente”.
Helen Alterio
Piero Chiara, il “mago del lago”
Marco Travaglini
Dovettero rinunciare ai Beach Boys…
Ada Reed! Chi era costei? Incipit “manzoniano” a parte, è necessario ricordarla, dal momento che in quest’area (“Indian Territory”) dell’Oklahoma di stanziamento dei Chickasaw (allontanati da Alabama, Mississippi e Tennessee) fu proprio dalla figlia del colono bianco Jeff Reed che prese il nome l’agglomerato di case che dal 1891 in poi si sarebbe chiamato “Ada”; negli anni Settanta del Novecento la cittadina sarebbe diventata quartier generale della Chickasaw Nation. Ad Ada i cugini Jerry e Gary Sims fondarono “The Dimensions” nel 1964, band che costituiva il nucleo originario dei futuri “The Monuments”, che dal 1965 avrebbero reso frenzied le feste e le serate dell’area tra Ada, Shawnee, McAlester, Muskogee e Tulsa. I componenti furono (con varianti) Jerry (b) e Gary Sims [poi Tom Wilds] (chit), Howard Collings (V), Burl Moore (org) [poi il rientrante Gary Sims], Terry Bell (batt) [la formazione che incise il 45 giri nel 1966 comprendeva Wilds e Moore]; le influenze musicali comuni erano varie, dai Kingsmen a Paul Revere & The Raiders, dagli Hollies agli Animals a Lonnie Mack. Monte Bell, padre del batterista Terry, era il manager della band e programmava personalmente la promozione del gruppo e gli svariati gigs in Oklahoma. Si spaziava dai balli di fine anno alle feste per eventi sportivi, dai frat parties agli eventi in licei e college, anche nell’area ovest a Stillwater, Edmond e attorno Oklahoma City; luoghi di riferimento erano frequentemente “The Attic” a McAlester e “The Vendome” a Sulphur, ma The Monuments si spinsero fino a Denison in Texas e in Colorado. La band partecipò (vittoriosa nella propria settimana di esibizione) alla Battle of the bands (sponsorizzata da Pepsi e Guitar House) tenutasi a Tulsa nel 1966, con fase finale presso “The Cimarron Ballrrom”. L’esito positivo fece da trampolino di lancio per alcune apparizioni televisive a Tulsa, Ada ed Oklahoma City e per entrare in sala di registrazione ed incidere il primo (ed unico) 45 giri nel febbraio 1966: “I Need You” [H. Collings] (Alvera 677A-5216 (M-65); side B: “African Diamonds” [H. Collings], 1966), etichetta Alvera Publ. Co., inciso a Tulsa negli studi della KVOO (Radio) [The Voice Of Oklahoma]. In particolare “African Diamonds” ebbe buon successo a livello radiofonico locale, sostando stabilmente nella Top 10 di KAKC (la popolare “The Big 97”) di Tulsa e nelle radio KADA di Ada e KKAJ di Ardmore. Oltre al 45 giri, restarono sotto forma di acetati e di demo altri brani originali scritti da Collings, tra cui “Where Bad Boys Go”, “Don’t Blame Me”, “You Always Hurt The Ones You Love”, “Cold Winds Of March”. Una clamorosa opportunità sfiorò The Monuments probabilmente nel periodo luglio-agosto 1966, allorquando The Beach Boys erano in fase di spostamento dal New Jersey al Colorado durante il proprio tour; alla band fu offerta la possibilità di fare da support band ai Beach Boys in apertura ai loro concerti autunnali successivi. Purtroppo impegni di studio improrogabili e impedimenti di vario tipo costrinsero The Monuments a rinunciare a malincuore e a fare ritorno sommessamente ad Ada. Tale rinuncia inevitabilmente segnò anche l’inizio del declino; Tom Wilds lasciò il gruppo, che continuò in formazione di 4 elementi. Dopo un breve lasso di tempo tuttavia anche il batterista Terry Bell e il main songwriter Howard Collings (arruolati per il Vietnam) abbandonarono la band, che finì per sciogliersi subito dopo, presumibilmente tra fine 1966 ed inizio 1967. Anche in questo, come in numerosi altri casi di “bands meteora”, nessuno può ipotizzare cosa sarebbe successo se… l’attimo fosse stato colto.
Gian Marchisio
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Ballantini al Parco Dora Live
Grande musica e cabaret sul palco della rassegna estiva gratuita più grande del Piemonte
Proseguono gli appuntamenti di rilievo a Torino (nell’area eventi tra Via Livorno e Via Treviso) del cartellone di eventi del ‘#Parco Dora Live’, la kermesse estiva di spettacoli gratuiti di musica, teatro e cabaret più grande del Piemonte. Per il gran finale di un calendario di azzeccatissimi shows tutti ‘sold-out’ settimana (8 weekend in tutto, per un totale di ben 24 shows), venerdì 20 luglio è la volta del divertentissimo spettacolo ‘Cab 41 Show’, affidato alle punte di diamante dell’umorismo e delle risate d’autore torinesi. Sabato 21 Luglio, invece, arriva il bravo e simpaticissimo Antonello Costa. Domenica 22 Luglio, invece, introdotto e presentato dal conduttore radiotelevisivo Wlady, grande protagonista per la musica con cui si chiude alla grande la rassegna è il poliedrico Dario Ballantini, con l’attesissimo spettacolo: ‘Da Balla a Dalla: Storia di un’emozione vissuta’, un omaggio che l’artista rende all’amico e grande cantautore bolognese, reinterpretando una parte scelta della sua straordinaria produzione artistica. E’ uno spettacolo intenso e ricco di emozioni che ricorda l’indimenticato Lucio Dalla attraverso il racconto di vita vera che lo stesso Dario Ballantini, da fan imitatore giovanissimo e pittore in erba, aveva scelto il cantautore emiliano come soggetto di mille ritratti e altrettante rappresentazioni da imitatore fino all’incontro di vent’anni dopo in cui i ruoli si sono, come in un sogno, ribaltati facendo sì che Lucio diventasse un sostenitore del successo di Dario, come pittore e trasformista. Tutti gli spettacoli sono gratuiti, e iniziano alle 20.30. Informazioni sul sito www.parcocommercialedora.it, e sulla relativa pagina Facebook. La prestigiosa rassegna culturale sostiene il Comitato Locale di Moncalieri della ‘Croce Rossa Italiana’.
Pippo Leocata. I luoghi della memoria
FINO AL 29 LUGLIO Rapallo (Genova)
“La memoria di ogni uomo è la sua letteratura privata”, annotava lo scrittore britannico Aldous Huxley. E, in tal senso, la memoria va scrupolosamente curata e protetta. E custodita, se esibita in pubblico, in uno “scrigno” che ha da essere prezioso. Prezioso – e prestigioso – qual è sicuramente l’antico Castello sul mare di Rapallo che la storia ci racconta essere stato edificato nella seconda metà del Cinquecento e dove Pippo Leocata ha voluto avvedutamente portare le suggestioni e l’infinita poesia dei suoi personalissimi “luoghi della memoria”. Evento che si ripete. Non è infatti questo il primo Castello che vede esposte le mirabolanti architetture e creature – improbabili e vere quanto il più concreto dei sogni – dell’eclettico artista di origini siciliane ma torinesissimo d’adozione, che già anni fa aveva esposto i suoi cavalli e cavalieri, le sue rocche, il suo vulcano dal ventre gonfio capace di lanciare al cielo e regalare alla terra il magma infuocato di lontanissime e misteriose vite sotterranee, cosi come bianche e rigonfie lune o soli accecanti, gialli o rosso fuoco o neri da paura, nelle sale del Castello Normanno di Adrano, sua terra natia alle falde dell’Etna, fatto erigere nel Mille dal Conte Ruggero I di Sicilia.
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Ma lì, il nostro Pippo, giocava in casa. Nella sua antica Adranon, dove nel 344 a. C., come raccontano Plutarco e Diodoro Siculo, i guerrieri di Timoleonte da Taormina sconfissero quelli di Iceta da Lentini, liberando gli Adraniti dalla dominazione siracusana. E dunque eccoli ancora quei mitici guerrieri e i cavalli alati e non, le lance, gli scudi e le coriacee armature proporsi nuovamente (a tanto mare di distanza) negli spazi del Castello del Tigullio dichiarato monumento nazionale dal Ministero dei Beni Culturali. “Il mito rivive”, dunque, come recita il titolo di uno dei più recenti oli dell’artista. Colori forti, come sempre. I tratti rigorosi e irrequieti. In tutto sono una cinquantina i pezzi esposti sui due piani della Fortezza, in cui passa tutto il lungo estroso bizzarro e multiforme percorso artistico di Leocata. Sul piano dei contenuti figurali, per un verso, e su quello delle molteplici tecniche, per l’altro. A partire dalla rappresentazione dei “miti”, radicati nella notte dei tempi e spesso legati a quell’indagine archeologica, pane quotidiano di gioventù, oggi riproposta in più opere (dall’omerico “Helios” che “tutti vede e tutto ascolta” al possente “Augusto” fino ai magnifici “Cavalli di Fidia”) riprodotte coniugando il senso del tempo con i crismi di cifre stilistiche pienamente attuali. Ecco allora scorrere al primo piano una buona ventina di opere che raccontano proprio “Il tempo della memoria” (è il titolo di un olio del 2014), ma anche quel felice incontro fra versi e segno e colore che genera la serie dei dipinti arrivati dalla poesia. O la poesia che si fa opera d’arte. Attraverso i testi, “cristallizzati” nell’immagine, dei poeti da sempre corteggiati e per Leocata fonte stupenda di ispirazione: da Cesare Pavese di “Canzone” (schizzi di folla anonima fra le vie di una città dalle architetture barocche sorvegliate da un grande astro nero e “smosse” da nuvole “legate alla terra ed al vento” che “fin che ci saranno…sopra Torino sarà bella la vita”) al “Positivo” spiraglio di luce di Eugenio Montale, fino all’amatissimo (conterraneo e superbo cantore di una terra di Sicilia che per entrambi è “terra impareggiabile” e fuoco di vita e d’arte) Salvatore Quasimodo, profetico in quel suo attuale e drammatico Canto “Ai Dioscuri” (…o Castore e Polluce…a voi è facile salvare i naviganti da pietosa morte…girando luminosi nell’avversa notte intorno alle gomene, portate luce alla nave nera”).
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Millenni di storia, tragicamente riproposti e vivi ancor oggi in questa che è storia di mille Lampeduse, di mille cimiteri d’acqua su cui piangono i Santi del Cielo e, lacrime amare, i Laici buoni della Terra. E l’artista con loro. Che, al secondo piano dell’antico Castello a mare, prosegue il suo dire di sempre, attraverso il supporto del “legno”: tagliato e lavorato e colorato in un certosino sovrapporre “legno a legno”, nell’aggiungere più che nel sottrarre ritagli e profili e scarti riutilizzati “come fossero– racconta lo stesso Leocata – pennellate su tela o segni di matita su carta”. Anche qui trovano rifugio e protezione le sue “memorie”, fatta salva qualche piacevole digressione come gli “Amanti”, in omaggio all’“Olympia” di Manet, e l’intrigante “Fine del ‘68”, omaggio a Montale, con quella grande luna bianca schizzata bizzarra dalla pancia del Vulcano per abbracciare i versi del poeta di “Satura”: “Ho contemplato dalla luna, o quasi, il modesto pianeta…Dentro c’è anche l’uomo, ed io tra questi…Se uno muore non importa a nessuno purché sia sconosciuto e lontano”. Amarezza. Disinganno. Velata malinconia. Anche questo. Tutto questo è Pippo Leocata.
Gianni Milani
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“Pippo Leocata. I luoghi della memoria”
Antico Castello sul mare, Lungomare Vittorio Veneto, Rapallo (Ge); tel. 0185/230346 – www.comune.rapallo.ge.it
Fino al 29 luglio – Orari: dal merc. alla dom. 21/23
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Nelle foto
Cosa c’è di meglio del frequentare una storica libreria in un tardo e afoso pomeriggio d’estate? Perdersi fra gli scaffali di legno gonfi di libri, assaporare la moltitudine di storie pronte ad uscire da quelle pagine, sostare al fresco di quegli antichi muri è un piacere e ancor di più lo è se si fanno incontri importanti e inaspettati. Nel caso di specie con una copia del libro e del film, ancora in formato Vhs, “ Ritratti. Mario Rigoni Stern”. Girato nel 1999 da Carlo Mazzacurati, il regista morto prematuramente a 57 anni nel 2014, questo stupendo documentario di 55 minuti si svolge nell’arco di tre giornate, durante le quali il grande “vecchio” della letteratura montana narra a Marco Paolini, l’attore celebre per le sue “orazioni civili” in teatro, la sua vita. La prima giornata, dopo una breve introduzione che ci racconta la formazione sentimentale di un bambino cresciuto tra le montagne, è totalmente dedicata al racconto della giovinezza, tra il ’38 e il ’45, come soldato nella seconda guerra mondiale. La seconda giornata è dedicata al tempo del ritorno e al difficile reinserimento nella vita normale. Si parla anche dell’altopiano di Asiago come luogo emblematico del quale Rigoni Stern è stato voce e coscienza. Nella terza giornata, rispondendo alle domande di Paolini, Mario Rigoni Stern riflette sul presente reale di vent’anni fa, parlando di natura, memoria, responsabilità,del senso del limite. Ad un certo punto Mario risponde così ad una domanda di Paolini: “.. io considero che si dovrebbero fare le cose bene, perché non c’è maggiore soddisfazione di un lavoro ben fatto…Io coltivo l’orto, e qualche volta, quando vedo le aiuole ben tirate con il letame ben sotto, con la terra ben spianata, provo soddisfazione uguale a quella che faccio quando ho finito un buon racconto. Una catasta di legno ben fatta, ben allineata, ben in squadra, che non cade, è bella; un lavoro manuale, quando non è ripetitivo, ricordo ‘Tempi moderni’ di Charlot, è sempre un lavoro che va bene, perché è anche creativo…e oggi dico sempre quando mi incontro con i ragazzi: voi magari aspirate ad avere un impiego in banca, ma ricordatevi che fare il contadino per bene è più intellettuale che non fare il cassiere di banca. Perché un contadino deve sapere di genetica, di meteorologia, di chimica, di astronomia persino. E allora tutti questi lavori che noi consideriamo magari lavori così, magari con un certo disprezzo, sono lavori invece intellettuali”.
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Un ritratto straordinario, una lezione di umanità che racchiude la storia di un incontro tra due uomini di età diverse sui valori, gli eventi, il senso della vita. Nel finale della conversazione con Paolini lo scrittore, con quei suoi occhi pieni di malinconia ma capaci di sprigionare l’urlo di una forza primordiale che ti cattura e ti toglie il fiato, dice: “Io domando tante volte alla gente: avete mai assistito ad un’alba sulle montagne? Salire la montagna quando è ancora buio e aspettare il sorgere del sole. E’ uno spettacolo che nessun altro mezzo creato dall’uomo vi può dare. A un certo momento, prima che il sole esca dall’orizzonte, c’è un fremito. Non è l’aria che si è mossa, è un qualche cosa che fa fremere l’erba, che fa fremere le fronde se ci sono alberi intorno, ed è un brivido che percorre anche la tua pelle. E per conto mio è proprio il brivido della creazione che il sole ci porta ogni mattina”. Mario Rigoni Stern è morto ad Asiago dieci anni fa, il 16 giugno del 2008. Aveva ottantasei anni. Così disse a Paolo Rumiz quando andò a trovarlo l’ultima volta nella sua casa al limitare del bosco, sull’altopiano dei Sette Comuni: “Son tornato vivo da una guerra. Ho avuto una buona moglie e bravi figli. Ho scritto libri. Ho fatto legna. Me basta e vanza. Desso posso morir in pase”. Ho avuto il piacere di conoscerlo e di essergli amico. Gli scrivevo e lui rispondeva con lettere vergate a mano o sul retro di cartoline, riempiendo ogni spazio disponibile. Grazie ai suoi libri non ci siamo mai davvero lasciati o persi di vista ma incontrarci ancora tra i vecchi volumi di una libreria in quest’estate torinese mi ha fatto un grande piacere.
Marco Travaglini