CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 599

Un’”altra” famiglia nel lucido e doloroso sguardo del regista giapponese

Pianeta Cinema a cura di Elio Rabbione

Kore’eda Hirokazu guarda ancora una volta all’interno della famiglia nel suo natio Giappone, lo fa all’indomani di titoli che gli hanno dato la notorietà internazionale, Little Sister, Padre e figlio e Ritratto di famiglia con tempesta. Quella famiglia la camuffa, la sconvolge, la sovverte. Parlandoci altresì di valori e di certezze perdute, di classi sociali, di povertà, in un paese che ti appare lontano dagli schemi ormai avvalorati nel mondo occidentale. Ti spinge a dimenticare del tutto il significato che nella morale corrente le si riconosce, sceglie altre basi e differenti componenti, cancella la naturalezza del vecchio istituto e schiaccia i legami di sangue, inaspettatamente per lo spettatore, se non a tratti attraverso impercettibili segnali, antepone con serafico candore la scelta della convivenza. Ti confonde: e noi per larga parte della storia siamo ingannati, portati a ragionare e a “vedere” secondo gli antichi canoni. Inizialmente Kore’eda ci mostra Osamu e il giovane Shota – ancora un padre e un figlio – mentre entrano, in un rituale ormai consolidato, in un supermercato, per scambiarsi sguardi protettivi, per tener d’occhio questo o quel commesso, per afferrare quel che possono – Shoplifters (“I taccheggiatori”) è il titolo del film per il mercato inglese, da noi Un affare di famiglia”, Palma d’oro al Festival di Cannes nel maggio scorso. Un’azione innocente, abituale, dettata dalla necessità di sfamarsi e sopravvivere. Nel ritorno a casa, incrociano una bambina che sembra abbandonata, in strada, e decidono di condurla nella loro casa, piccola, disordinata, piena di oggetti ingombranti, dove vivono con una moglie/madre, con una nonnina che sfama il gruppo con il gruzzolo della sua misera pensione, con una ragazza che vende se stessa in localini di quart’ordine: ma in quella miseria c’è calore, in quel gruppo c’è solidarietà. Per non incappare nell’accusa di rapimento, il giorno dopo si pensa per un attimo di riportare la bambina là dove è stata trovata ma certe cicatrici sulle braccia spingono il gruppo a decidere diversamente. E allora si sviluppano e si consolidano altri nuovi rapporti, forse certi affetti, le giovani donne le diresti sorelle in vena di confidenze, padre e figlio in una allegra gita al mare si lasciano andare anche a pensieri intimi, la ragazzina scopre la felicità e la nuova attività di ladruncola. Ma tutto profuma di utopia, un salto nel vuoto taglia la storia in due parti nette (un taglio che coinvolge le interpretazioni, le luci e le immagini, il montaggio, anche il modo di raccontare suona diversamente) e razionalmente vuole sbriciolare una facciata di perfezione che rivela menzogne e squallori. Quella “famiglia” è lo specchio, nel suo chiuso, della povertà materiale e non solo che si riversa nei panorami che il regista verso il concludersi della storia ci propone, l’angusto degli spazi, la neve, gli alti caseggiati.

Una filosofia inaccettabile in un alternarsi senza freni di giusto e di sbagliato, di si deve e non si deve, che Kore’eda sa raccontare non certo come una favola bensì come un mondo alternativo, diverso e sbagliato ma costruito su angoli di poesia che pervade la casa e chi la abita, di naturalezza e di semplicità delle azioni di ogni giorno, di quotidianità in cui gli attori entrano con facilità, riflessioni che l’autore offre allo spettatore guardando con lucidità al mondo di oggi.

 

Corso di base culturale sull’Islàm

Le iniziative culturali organizzate dal Centro Peirone della Diocesi di Torino e dall’Ufficio Scuola della Diocesi 

 

Contenuti e   obiettivo: Il   corso intende fornire   nozioni basilari delle   diverse   culture   arabo-   islamiche, stabilendo talora il confronto con le istituzioni giuridiche e culturali della società italiana d’inserimento degli immigrati, onde consentire ad un pubblico eterogeneo una sapiente considerazione dei diversi elementi che interagiscono nel rapporto fra mondi culturali.

 

Metodo: lezione frontale, uso di powerpoint, breve sintesi della conferenza, approfondimento di temi a richiesta.

 

PROGRAMMA DEL CORSO

  • 1- Vita di Muhammad e il Corano (Prof. Negri don Augusto)
  • 2- La Shari’a, legge e diritto islamico (Prof.ssa Silvia Scaranari)
  • 3- Le chiese cristiane nel Medio Oriente (Dott.sa Luigia Storti)

8 Ottobre 2018

15 Ottobre

22 Ottobre

 

  • 4- Il jihād (Prof.ssa Silvia Scaranari) 29 Ottobre
  • 5- Gruppi e correnti dell’islam classico e moderno: Sunniti, Sciiti, Salafiti antichi e moderni, Sufi, Islàm degli Stati, Islam politico, jihadismo (Prof. Negri Augusto) 5 Novembre

6 – Convegno Internazionale : La fine del Medio Oriente e il destino delle minoranze    12 Novembre 7- Presenza attuale dell’islàm attuale in Italia. (Prof. Negri don Augusto)    19 Novembre 8- Tradizioni e costumi: culto, feste, macellazione, cibi, vestiario e velo, anno lunare e anno solare, arte calligrafica, musica ecc. (Prof.ssa Silvia Scaranari) 26 Novembre 9L’infibulazione, diffusione tra le donne immigrate di varia appartenenza culturale-religiosa: islamica, cristiana, animista (Dott.sa Clara Monzeglio Ospedale Sant’Anna di Torino e Prof.ssa Simona Taliani, Università degli studi di Torino)  3 dicembre 10- Islam e jihadismo in Africa (Prof. Valter Maccantelli)  10 dicembre Il Corso si svolgerà ogni Lunedì   dalle h 18.00 alle   h 20.00 presso   il Centro Federico Peirone, Torino, Via Mercanti, 10. Tel. 011/5612261. Email: info@centro-peirone.it.it Web: www.centro-peirone.it

Eccetto il Convegno Internazionale : La fine del Medio Oriente e il destino delle minoranze, che si svolgerà presso l’Aula Magna della Facoltà Teologica in via XX Settembre 83 dalle ore 17.30 alle ore 20.30 L’iscrizione è obbligatoria entro il 6 ottobre 2018 La quota d’iscrizione è di 40 €. Al termine del corso verrà rilasciato l’attestato di partecipazione approvato con D.M.

 

CONVEGNO

 

Il Centro studi Federico Peirone che da oltre vent’anni cura studi e ricerche sull’Islam e promuove il dialogo islamo-cristiano, a Torino e in Piemonte organizza, con la collaborazione della Fondazione Pontificia ACS, a Torino, il 12 novembre 2018 presso l’aula magna della Facoltà Teologica di Torino, via XX Settembre 83 dalle ore 17.30, un convegno internazionale dal titolo:

LA FINE DEL MEDIO ORIENTE E IL DESTINO DELLE MINORANZE

 

Al convegno parteciperanno personalità di primo piano :

 

  • Sua Beatitudine, il Cardinale della Chiesa Cattolica Mar Louis R. Sako – Patriarca di Babilonia dei Caldei- Baghdad
  • Salvatore Pedulla, Senior Political Affairs Officer presso l’ufficio dell’Inviato speciale Onu per la Siria Staffan De Mistura- Ginevra
  • Samir Barhoum, direttore del Jordan Times-Amman
  • Michel Touma, direttore de L’Orient-Le jour- Beirut
  • Lucio Caracciolo, direttore di Limes- Roma
  • Modera il giornalista Paolo Girola, direttore de Il Dialogo- Al Hiwar

 

Nel 1916 con gli accordi franco-inglesi ( detti “Sikes–Picot”) cui seguì nel 1917 la dichiarazione Balfour che preconizzava un “focolare ebraico” in Palestina si gettarono le basi per l’attuale Medio Oriente. La prima guerra del Golfo, la seconda, la guerra civile in Iraq, l’avvento dell’Isis dopo le primavere arabe, il conflitto siriano ci lasciano un Medio Oriente disgregato e diviso, dove le potenze locali, Iran, Arabia Saudita, Turchia e le grandi potenze (Usa e Russia) stanno giocando una sanguinosa partita per la supremazia. Migliaia i morti, milioni gli sfollati, molti dei quali arrivano sulle nostre coste e nelle nostre città. Vittime di questi conflitti anche le minoranze etnico-religiose, che erano una ricchezza culturale e spirituale del vecchio Medio Oriente e che rischiano di scomparire. Il tema è stato scelto sia per la sua grande attualità, sia per la natura degli studi e delle ricerche condotte in questi anni dal Centro Peirone in Italia e all’estero.

 

CENA DI SOLIDARIETÀ

La stessa sera del convegno, il 12/11/2018, alle ore 21.00 si terrà a Palazzo Barolo una Cena d’Onore per beneficienza alla presenza di Sua Eminenza Rev.ma il Cardinale Sako, dei relatori del convegno, di autorità e personalità del mondo culturale, economico e sociale e dell’On. Prof. Alfredo Mantovano, presidente di ACS (Aiuto alla Chiesa che soffre), Istituzione Pontificia. Il ricavato sarà destinato alle popolazioni cristiane fuggite dalla Piana di Ninive (Iraq), che devono ricostruire i loro villaggi distrutti dall’Isis.

 

Costo di partecipazione alla cena: 80 € pro capite. La quota è da versare entro martedì il 30 Ottobre a conferma di partecipazione mediante bonifico bancario IBAN: IT74 V033 5901 6001 0000 0017612 intestato a Centro Federico Peirone. Indicare nella causale di versamento nell’ordine: Cognome e nome dei partecipanti – Cena d’onore Palazzo Barolo. Si prega di confermare l’avvenuta prenotazione con mail a info@centro-peirone.it inviando la ricevuta di eseguito bonifico.

“Scorrere in alto”. Ritorna Isao festival

DA SABATO 22 SETTEMBRE A DOMENICA 14 OTTOBRE

Alla capacità dell’uomo di “scorrere in alto”, ovvero di opporre resistenza alle brutture del quotidiano e affermare i suoi diritti, in primo luogo quello alla felicità, è dedicata la venticinquesima edizione di ”ISAO Festival - Il sacro attraverso l’ordinario”, organizzato da MZL – Mutamento Zona Castalia (Associazione di Cultura Globale) e in programma a Torino e provincia dal prossimo sabato 22 settembre fino a domenica 14 ottobre. Con la direzione artistica di Giordano V. Amato ed Eliana Cantone, il Festival è il primo in Piemonte rivolto da sempre alle tematiche del sacro, o meglio alla ricerca di ciò che di sacro alimenta la quotidianità dell’esistenza. Fra teatro, cinema, musica e arte i numeri dell’edizione 2018 si articolano in sintesi in 15 giorni di programmazione e 26 appuntamenti, tra cui 8 proiezioni di film e 15 spettacoli teatrali. Diverse le novità per festeggiare il 25° compleanno del Festival: il tema, innanzitutto, “Scorrere in alto” teso ad abbracciare questioni di toccante attualità come i confini e le migrazioni; le sette prime teatrali (italiane, regionali e torinesi, tra cui uno spettacolo scritto da Erri De Luca sulla ex Jugoslavia); i lavori multidisciplinari che contaminano teatro, cinema e musica, come il progetto dedicato alle Isole Svalbard, le terre abitate più a nord del pianeta; i film e gli spettacoli teatrali che mettono in dialogo Federico Fellini, a venticinque anni dalla scomparsa, e registi dalla Polonia e Repubblica Ceca, con un focus particolare sul prolifico Marek Koterski; le nuove collaborazioni con realtà culturali di rilievo come il Museo Nazionale del Cinema e Assemblea Teatro; la cooperazione con compagnie teatrali estere provenienti da Polonia e Repubblica Ceca; la proposta di lavori teatrali realizzati con le fasce deboli della società, come i detenuti del carcere di Saluzzo, i giovani immigrati di seconda generazione, i giovani africani richiedenti asilo e infine la mostra di sculture in pietra (titolo:“Materia Intesa”) realizzate da Mattia Bosco e ospitate a Torino, in San Pietro in Vincoli Zona Teatro. Primo appuntamento, sabato 22 settembre, con la prima assoluta (ore 20,30) alla Mole Antonelliana di “Svalbard, la terra dove nessuno muore”, nuova produzione di Mutamento Zona Castalia che intreccia i linguaggi di teatro, cinema e musica, comprendendo una performance teatrale e un concerto, un album musicale, un documentario e un cortometraggio. Sempre nella giornata di sabato 22 settembre il Festival inaugura il progetto “Teatro in valigia in giro per l’Europa”, che attraverso spettacoli teatrali e proiezioni di film in lingua originale riporta l’attenzione sui valori della pace e della libera circolazione della cultura e degli esseri umani. Si parte con la rassegna cinematografica che nelle sale del torinese Cinema Massimo (via Verdi, 18) propone i film di Federico Fellini, in dialogo con le pellicole di autori contemporanei polacchi e cechi, primo fra tutti il regista polacco Marek Koterski, classe 1942, autore cinematografico e teatrale molto noto e apprezzato in patria, ma ancora poco conosciuto in Italia. Si inizia alle ore 16 proprio con una pellicola di Koterski, “Zycie wewnetrzne” (“La vita interiore”), girato in Polonia nel 1986, in cui si affronta il tema della solitudine e dell’isolamento all’interno della famiglia. Alle ore 18 viene proiettato il film di Federico Fellini “La Strada” (Italia, 1954), l’opera che diede notorietà internazionale al regista e che ottenne l’Oscar al miglior film straniero, pellicola di sensibile finezza sull’innocenza e la violenza. Il progetto “Teatro in valigia in giro per l’Europa” è promosso da Mutamento Zona Castalia con lo stesso Koterski e l’attrice polacca Malgorzata Bogdanska, insieme con la compagnia teatrale italo-polacca Mangrova Teatro, in collaborazione con Museo Nazionale del Cinema (che sosterrà il Festival anche nel 2019 e 2020 con rassegne cinematografiche), Istituto di Cultura Polacca di Roma, Consolato Generale Polacco in Milano, Consolato Onorario di Polonia a Torino ed Istituto di Cultura Italiana di Varsavia.

Per info: tel. 011/484944 – Il programma completo di “ISAO Festival” su:

www.isaofestival.it www.mutamento.org

 

g.m.

Nelle foto

– “Svalbard, la terra dove nessuno muore”
– Federico Fellini: “Ginger e Fred”
– Marck Koterski: “Tutti siamo dei Gesù Cristo”
– Malgorzata Bogdanska
– Erri De Luca

 

Ercole e il suo mito

FINO AL 10 MARZO 2019

Eroe greco dalla forza prodigiosa e sovrannaturale, semidio nell’antichità – il primo mortale a diventarlo – figlio di Giove e della regina Alcmena, e ancora eroe romano e poi cristiano nel Medioevo, fino a diventare possente icona dell’arte del Rinascimento e del Barocco via via fino ai giorni nostri, con le fantastiche imprese raccontate dal cinema negli anni a metà del secolo scorso: a Eracle – l’Ercole latino – e al suo mito che, inossidabile, ha resistito all’urto dei tempi e delle civiltà, la Reggia di Venaria dedica un’importante mostra ospitata nella “Sala delle Arti” e visitabile fino al 10 marzo dell’anno prossimo. Curata da un comitato scientifico presieduto da Friedrich-Wilhelm von Hase e organizzata dalla “Swiss Lab for Culture Projects” (sapientemente guidata da Paolo e Lidia Carrion), la rassegna acquista un particolare significato alla luce dei lavori di restauro, attualmente in corso, della “Fontana d’Ercole”, fulcro del progetto secentesco dei Giardini della Reggia, un tempo dominata proprio dalla Statua dell’ “Ercole Colosso” (tre metri e 37 centimetri d’altezza in marmo bianco di Frabosa) voluta da Carlo Emanuele II di Savoia e realizzata da Bernardo Falconi intorno al 1670 su progetto di Amedeo di Castellamonte. E proprio di qui può idealmente partire un percorso espositivo che, intorno alla figura del grande eroe mitologico, mette insieme, attraversando oltre 2500 anni di storia, una settantina di opere, fra reperti archeologici, gioielli, opere d’arte applicata, dipinti e sculture e manifesti e filmati e tant’altro ancora. Al periodo compreso fra il 560 ed il 480 a. C. (siamo all’origine del mito in epoca pagana) può farsi risalire una serie di ritrovamenti archeologici di notevole raffinatezza come vasi, anfore e coppe realizzate nella regione greca dell’Attica, provenienti dall’”Antikenmuseum” di Basilea e raffiguranti le imprese canoniche dell’eroe; a spiccare la monumentale anfora del Pittore di Berlino – fra le massime espressioni della ceramica ateniese – e l’hydria attribuita al Gruppo dei Pionieri. Alcune statuette in bronzo o in terracotta, così come una testa colossale di Ercole in riposo – copia della seconda metà del I secolo a. C. di un’opera di Lisippo risalente al 320-310 a. C.– o ancora il calco in gesso del gruppo bronzeo di “Ercole con la cerva di Cerinea” di Lisippo (dalla “Skulpturhalle” di Basilea) testimoniano invece la diffusione della leggenda erculea in ambito romano. A chiudere la sezione due coppe in oro e argento del grande Gianmaria Buccellati, sbalzate e cesellate con le “fatiche” dell’eroe. Di particolare interesse anche gli spazi dedicati al recupero del mito di Ercole da parte del Cristianesimo medievale, quando la figura del semidio viene associata a quella del Salvatore e la discesa, ad esempio, agli inferi per strappare Alcesti a Thanatos prefigura la discesa di Cristo nel Limbo, così come le sue vittorie contro gli animali mitologici annunciano la vittoria del Redentore sul demonio. Qui si ammira anche un prezioso cofanetto in avorio dell’XI secolo raffigurante l’eroe che strangola il leone e solleva Anteo, proveniente dal “Museo Archeologico Nazionale” di Cividale del Friuli. L’epoca moderna è contraddistinta in particolare dai dipinti e dalle sculture del Rinascimento (esemplare “L’Apoteosi di Ercole” del Garofalo); ben rappresentati anche il Seicento (con la scultura di scuola romana “Ercole fanciullo con il serpente”) e il Settecento, con due preziosi manufatti in terracotta dorata di Lorenzo Vaccaro, oggi custoditi nel “Museo Filangieri” di Napoli. Imperdibili per la potenza dell’impronta narrativa tutte le cinque grandi tele realizzate da Gregorio De Ferrari, eccelso pittore del barocco genovese, raffiguranti le più celebri fatiche di Ercole e provenienti dalla “Galleria Nazionale” di Palazzo Spinola di Genova. Infine Ercole al cinema. A chiudere la rassegna è infatti una curiosa sezione che ricostruisce un ambiente di foyer cinematografico anni ’50-’60, con i grandi film, cosiddetti del “peplo”, prodotti a Cinecittà in quegli anni e ancora recentemente a Hollywood, che videro impegnati attori quali Giuliano Gemma o Arnold Schwarzenegger, oltre alla trasposizione in disegni animati di Walt Disney.

Gianni Milani

“Ercole e il suo mito”

Reggia di Venaria – Sala delle Arti, piazza della Repubblica 4, Venaria Reale (Torino), tel. 011/4992333 – www.lavenariareale.it

Fino al 10 marzo 2019

Orari: fino al 14 ottobre, mart. ven. 10/18; sab., dom. e festivi 10/19,30; chiuso il lunedì. Dal 15 ottobre, mart. – ven. 9/17; sab., dom. e festivi 9/18,30; chiuso il lunedì

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Nelle foto

– “Eracle con la cerva di Cernia”
– “Hydria attica a figure rosse”, attribuita al Gruppo dei Pionieri, 510 a. C. ca.
– Gregorio De Ferrari: “Ercole e l’Idra di Lerna”, fine XVII sec.
– Ercole nel cinema
– La statua di Ercole colosso nei Giardini della Reggia

 

Atteso ritorno (con sorpresa) di Noseda al Regio

Prima stagione concertistica  per il nuovo Sovrintendente della Fondazione, William Graziosi 

Anche quest’anno una ricca stagione concertistica, giunta alla sua ventiduesima edizione, affiancherà, con dodici appuntamenti, la stagione lirica 2018/19 del Teatro Regio di Torino. Reduce dal successo della tournée estiva a Montrux, l’ Orchestra del Teatro Regio, accanto alla Filarmonica di Torino, sarà impegnata in un programma in cui più concerti vedranno anche quale protagonista il coro, con la presenza di ben due Requiem, di Brahms e di Faure’. Il primo sarà inserito nella serata del 27 ottobre, per la direzione del maestro Pinchas Steinberg, ospite delle maggiori istituzioni musicali internazionali, e che vanta un rapporto artistico privilegiato con il teatro Regio. Mercoledì 20 febbraio 2019 il Requiem di Faure’ sarà affiancato alla musica di Petr Il’ic Cajkovskij in un concerto dove Orchestra e Coro del Teatro Regio saranno diretti da Michele Mariotti. Il 17 novembre di quest’anno sarà protagonista di un concerto il compositore e pianista Ezio Bosso, con la sua “Sinfonia Oceans”. Bosso è sicuramente una delle voci più interessanti tra i compositori contemporanei e le sue partiture sono eseguite nei templi della musica classica, quali la Royal Opera House ed il Bolshoj. Il 30 gennaio prossimo sarà presente al Regio Valery Gregiev ed il 18 aprile 2019 Roland Boer con l’ Oratorio “Elias” di Mendelssohn. Il maestro concertatore Sergey Galaktionov, anche violino solista, dirigerà l’Orchestra del Teatro Regio in un ricco programma comprendente brani di Mozart e Sostakovic, tra cui l’intensa Sinfonia da camera op. 110 a, la trascrizione effettuata da Rudolf Barsaj del Quartetto per archi n. 8 op. 110. Lo spartito reca un sottotitolo piuttosto significativo, dedicato alle ” ittime del fascismo e della guerra”, includendo al suo interno molte autocitazioni di lavori precedenti del compositore, quasi che Sostakovic si ritenesse vittima di quelle tirannie. Tra le peculiarità della stagione concertistica la sonorizzazione, già sperimentata da cinque anni, di un film in diretta. Questa volta la scelta si è concentrata su “Il Circo” di Chaplin, che verrà musicato il 4 marzo prossimo sotto l’attenta guida del maestro Timothy Brock. Concerto prenatalizio il 17 dicembre prossimo dal titolo “Profumo di Natale”, in cui Nuno Coelho dirigerà Orchestra e Coro delle Voci Bianche del Regio e del Conservatorio. Jazz ed arrangiamenti saranno poi i protagonisti del concerto che aprirà il nuovo anno, il 14 gennaio 2019, con gli Swingle Singer, con ensemble vocale ed orchestra. Atteso ritorno sul podio, infine, per il maestro Gianandrea Noseda, per un concerto a sorpresa, proposto nella sua formula a sorpresa per il quarto anno consecutivo, sempre accolto molto favorevolmente dal pubblico.

 

Mara Martellotta

Crea vista con gli occhi di uno storico fotografo

La tappa di questo viaggio nella “Valcerrina Sconosciuta” è leggermente paradossale perché il luogo è Crea, sede di Santuario e Sacro Monte, patrimonio dell’Umanità dell’Unesco dal 2004 insieme agli altri Sacri Monti e percorsi devozionali piemontesi e lombardi

Ma è una Crea vista con gli occhi di un casalese diventato famoso nella storia della fotografia per avere inventato il teleobiettivo, Francesco Negri. Si tratta di quel Francesco Negri che, nato a Tromello in Lomellina, nella Provincia di Pavia, il 18 dicembre del 1841, dopo aver frequentato il liceo a Vigevano, si trasferì a Torino, dove conseguì la laurea in giurisprudenza nel 1861. L’anno successivo si stabilì a Casale Monferrato per esercitare l’avvocatura. Accanto a questa sin dal 1863 si occupò di fotografia, studiando processi nuovi riguardanti la fotografia a colori. Per primo adattò alla macchina fotografica uno speciale cannocchiale, creando il teleobiettivo. Era il 1880, che costruito da Koristka a Milano prese il nome di teleobiettivo Negri – Koritska. Fatta questa doverosa premessa su Frnacesco Negri, che ha lasciato anche un ponderoso Fondo alla Biblioteca Canna di Casale Monferrato. Fatta questa doverosa premessa sull’autore, va ricordato anche che Francesco Negri su particolarmente attento ai valori espressi dalla cultura di Casale e del Monferrato e, letteralmente, “amò” Crea. Di qui il Santuario di Crea in Monferrato, apparso una prima volta sulla rivista di Storia Arte Archeologia delle Province di Alessandria ed Asti dell’anno 1902, riprodotto in stampa anastatica integrale anni fa dalla casa editrice Il Portico di Casale Monferrato in una pubblicazione “Santuario di Crea. Arte e Storia nel Monferrato”, arricchito da una prefazione della studiosa (e consigliere regionale negli anni Ottanta) Anna Maria Ariotti e da una ricca appendice di fotografie tratte dalle lastre conservate nel Museo del Santuario di Crea e della Biblioteca Civica di Casale Monferrato. Nel suo scritto l’autore tratta delle origini di Crea andando ad indivuarlo: “Questo Santuario attualmente formato da 23 cappelle, oltre alla chiesa e convento, sorge sul colle che, a forma di elissoide, con direzione da ponente a levante, è fiancheggiato da un lato dalla Valle Stura, dall’altro a mezzodì da quella percorsa dalla linea ferroviaria Casale – Asti. La sua elevazione massima è di 450 metri circa dal livello del mare e di metri 212 dalla stazione di Serralunga di Crea, di dove si parte la strada di più breve accesso al Santuario. Dall’alto del colle la vista è incantevole. Fanno corona le Alpi, dalle marittime alle carniche, e l’Appennino all’orizzonte, la vasta pianura padana a mezzanotte e levante , e la variata sequela dei colli monferrini e torinesi a ponente e mezzodì”. Una descrizione precisa nella quale ci si potrebbe trovare ancora oggi ad oltre un secolo di distanza. Nel suo saggio l’autore descrive poi la chiesa, il santuario, le cappelle ed i romitori, soffermandosi sui tre principali artisti che hanno contribuito alla grandezza del Sacro Monte con le loro opere, Guglielmo Caccia detto “Il Moncalvo”, Giovanni Tabacchetti e Nicola Tabacchetti. Si tratta di un’opera che ha costituito una pietra miliare nella storia di Crea e che era giusto non fare cadere nel dimenticatoio. Sul Santuario e sul Sacro Monte si ritornerà in altre tappe del viaggio in Valcerrina.

Massimo Iaretti

 

 

 

 

La Fondazione Cosso omaggia Gioachino Rossini

NEL 150° DELLA SCOMPARSA. “PETITE MESSE SOLENNELLE”

Sarà il progetto artistico “Avant-dernière pensée” ad inaugurare il calendario autunnale delle attività della Fondazione Cosso che si appresta a festeggiare quest’anno il suo Decennale

L’appuntamento è per venerdì 21 settembre, alle ore 21, con una particolare performance dedicata alla rilettura della “Petite Messe Solennelle” di Gioachino Rossini – in occasione del 150° anniversario della scomparsa del compositore pesarese – che tornerà nei suggestivi spazi della corte d’onore del Castello di Miradolo (in via Cardonata 2, a San Secondo di Pinerolo), dopo le numerose repliche che si sono succedute negli anni, a seguito della prima esecuzione del 2011. Composta nel 1863, dopo una lunga assenza dalle scene (cominciata nel 1829 dopo il grande successo del “Guglielmo Tell”) e cinque anni prima della morte nella campagna parigina di Passy dove Rossini si era ritirato a vita privata, la “Petite Messe Solennelle” sembra oltrepassare il proprio tempo, tratteggiando indirizzi estetici che prenderanno sviluppo agli inizi del Novecento. L’opera, di indubbia originalità, si articola in 14 pezzi ricchi di invenzioni armoniche e melodiche, conservando un’architettura compositiva che il progetto “Avant – dernière pensée” svela con disegni e viraggi di luce sincronizzati all’esecuzione e attraverso un sistema di amplificazione multicanale che distribuisce le varie voci della partitura, presentata nella sua versione originale. A dirigere il concerto sarà il maestro Roberto Galimberti, che alle ore 20 proporrà al pubblico una guida all’ascolto. Esecutori: Francesca Lanza (soprano), Sabrina Pecchenino (contralto), Alejandro Escobar (tenore), Evans Tonon(basso), Laura Vattano (pianoforte) e Alessandro Ruo Rui (armonium). Tecnici: Marco Ventriglia (regia audio e supervisione tecnica), Edoardo Pezzuto (luci).

Obbligatoria la prenotazione: tel. 0121/502761 o prenotazione@fondazionecosso.

 

 

g.m.

Artisti madonnari a Odalengo Grande

Ritorna domenica, per il settimo anno, ‘Madonnari ad Odalengo Grande’. Il capoluogo comunale dalle ore 10.30 vedrà la presenza degli esponenti del Centro culturale artisti madonnari di Mantova che sono tra i migliori realizzatori al mondo, come dimostrano i piazzamenti altissimi che ogni anno conseguono al concorso internazionale che si svolge nella giornata del 15 agosto nel piazzale antistante il Santuario delle Grazie a Curtatone, comune alle porte della città virgiliana da quasi due anni gemellato con l’Unione dei comuni della Valcerrina, in Provincia di Alessandria. Quest’anno il tema scelto dall’amministrazione comunale guidata da Fabio Olivero, che organizza l’evento in collaborazione con la Pro loco, sarà quello della ‘Nascita dell’Europa e della pace in Europa’. Ogni anno, infatti, sin dallo svolgimento della prima edizione, c’è sempre stato un tema conduttore e le opere sono poi rimaste al Comune e sono visionabili su richiesta. Alla presenza degli artisti si accompagnerà quella di un mercatino con bancarelle di hobbisti e di prodotti enogastronomici ed artigianali tipici del territorio. Il centro storico vedrà poi una copertura in iuta, particolare e suggestiva, che proseguirà sino al Castello. Quest’anno la rassegna avrà anche un momento didattico in quanto ogni madonnaro seguirà anche alcuni gruppi di ragazzi nel progettare un disegno, il tutto in collaborazione con allievi delle varie sedi dell’Istituto comprensivo di Cerrina. Nel pomeriggio, alle ore 17 ci sarà la premiazione del concorso ‘Odalengo in fiore’ e dalle 17.30 è prevista una esibizione della Piccola Scuola di danza di Solonghello. La manifestazione ha sempre attirato diversi visitatori anche da fuori zona proprio per la sua particolarità e consente di valorizzare l’apprezzabile centro storico di Odalengo Grande capoluogo ed i suoi angoli artistici e panoramici. Naturalmente, date le sue caratteristiche – madonnari e mercatino – qualora vi fossero condizioni meteorologiche avverse (ma ad Odalengo Gande si auspica tutto il contrario) verrà annullata. Per ogni informazione telefonare al numero 339 – 4718763.

Massimo Iaretti

 

Guè Pequeno incontra i fan

Mondadori Megastore Via Monte di Pietà 2 

Guè Pequeno incontra i fan e firma le copie dell’album “Sinatra” Universal Music. Si può acquistare il cd “Sinatra” nei Mondadori Store coinvolti nel tour a partire da venerdì 14 settembre ricevendo il pass per avere accesso prioritario al firma copie con Guè Pequeno. Guè Pequeno torna nel 2018 con Sinatra, un nuovo album (pubblicato in CD e vinile) che si preannuncia il più importante della sua carriera, il primo che vede la collaborazione con il suo nuovo team BHMG. Punto di riferimento assoluto nel suo genere e artista italiano più ascoltato su Spotify nel 2017 grazie all’album Gentleman (doppia certificazione Platino e diverse settimane in vetta alla classifica), è il rapper più influente e produttivo in Italia con una pubblicazione all’anno dal 2009.

https://eventi.mondadoristore.it/it/event/2018/09/14/gue-pequeno-incontra-i-fan-e-firma-le-copie-dellalbum-sinatra-universa/4325/

Link al tour completo

https://eventi.mondadoristore.it/it/tour/gue-pequeno-incontra-i-fan/305/

Ceronetti, l’intellettuale antipopulista

di Pier Franco Quaglieni

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Guido Ceronetti è stato un uomo semplice, gioioso, intransigente. Ha odiato le tirannie ideologiche del Novecento e il giacobinismo della Rivoluzione Francese. Seppe vedere la grandezza di de Maistre, grandissimo scrittore, come già riconosceva anche Mario Soldati. Ha tradotto in modo magistrale e non convenzionale i carmina di Catullo con una sensibilità che ci ha reso, come forse nessun altro, il poeta dell’amore sfortunato vissuto nel tempo in cui tramontava l’antica repubblica e la corruzione stava invadendo la vita pubblica e privata di Roma L’animo delicato, tenero, licenzioso ed ironico di Catullo è reso, come neppure il raffinatissimo latinista Vincenzo Ciaffi seppe fare. Altrettanto preziose sono le sue traduzioni dall’ebraico, in primis, del Cantico dei cantici. È stato un uomo che trovava e creava divertimento con il suo straordinario teatro di burattini, il Teatro dei Sensibili, un uomo ricco di un’ironia che non faceva sconti a nessuno, rifiutando i manicheismi settari. A Cetona trascorse la sua vita di vegliardo lucidissimo, mantenendo il gusto per la vita, una vita semplice ed austera. Quando veniva a Torino andava spesso dal comune amico Sante Prevarin al “Montecarlo”, ma le sue esigenze alimentari erano minime non solo perché vegetariano, ma perché si poteva considerare un moderno eremita che si accontentava di poco. Fece gradualmente, ma convintamente, la scelta vegetariana sull’esempio di Aldo Capitini bandiera della non violenza, come Piero Martinetti della causa degli animali. Fu contrario alla sperimentazione sugli animali e una volta Alda Croce mi disse che” Guido consentiva a quelle battaglie di essere meno solitarie e di trovare voci autorevoli sui giornali” e mi ricordò di averlo avuto spesso al suo fianco nella difesa del patrimonio paesaggistico e storico, senza gli snobismi di “Italia nostra”. Fu anche contro l’accanimento terapeutico, ma non si pronunciò mai a favore dell’eutanasia. Fu contrario al voto ai diciottenni, una scelta bizzarramente voluta da Amintore Fanfani nel 1975. In tempi recenti, Guido rifletteva sul fatto che ci fosse troppa gente impreparata ad esercitare con un minimo di consapevolezza il proprio diritto di votare, ingrossando le fila dei populisti arrogantemente orgogliosi della propria ignoranza. Sentiva il pericolo della “dittatura della maggioranza” come diceva Tocqueville, della oclocrazia, il governo delle plebi, di cui scriveva Polibio. Era, secondo lui, un po’ come pretendere di guidare un’automobile senza la patente. In campo religioso non esitò ad evidenziare i limiti di alcuni papi, in primis Papa Francesco. Difese ad oltranza il valore del Latino, sostenendo che le nuove classi dirigenti si distinguono negativamente anche perché non lo hanno studiato. Ci sarebbero tanti altri esempi della sua volontà di essere un bastian contrario, senza compiacersi di esserlo per partito preso. Per dirla con parole di Arturo Carlo Jemolo, era un “malpensante”. Pur sembrando un uomo disincantato, se non addirittura scettico, non esitava a definirsi un patriota e diceva che “l’Italia lo faceva molto soffrire per motivi di passione civile”. Amava citare Lucrezio e il suo “patriai tempore iniquo” che lui traduceva: “in questo tempo di sciagure per la patria”.

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Ceronetti, che ha attraversato decine d’anni di cultura italiana, si può considerare un uomo solo con il suo orgoglio, la sua umiltà, il suo spirito libero. Non è mai voluto entrare nel branco dei lupi famelici che costituisce il nocciolo durissimo della cultura italiana schierata. Alla Biblioteca cantonale di Lugano, che già conserva le carte di Prezzolini e di Flaiano, nel 1994 si è creato un fondo Ceronetti a dimostrazione di come i grandi italiani debbano fuggire in Svizzera ancor vivi per avere la sicurezza che i propri documenti vengano conservati nel modo dovuto. Una triade quella di Prezzolini, Flaiano e Ceronetti molto rappresentativa di un modo di pensare liberamente senza lasciarsi condizionare da nessuno. Quando si scrive di Guido Ceronetti bisogna parlare di un genio unico ed irripetibile, di un genio molto distante dal giacobinismo marxisteggiante torinese, rimasto coerentemente agli antipodi da certi ambienti che disprezzano chiunque la pensi in modo diverso da loro: gli eredi dell’egemonismo gramsciano sopravvissuti al crollo del Muro di Berlino hanno sempre ignorato Guido e la sua opera è stata circondata dal silenzio. Torino, la sua città (in effetti era nato ad Andezeno), non lo ha mai amato e lui si è sempre sentito estraneo ad una città conformista e chiusa. Come molti grandi torinesi con schiena diritta ha dovuto presto abbandonare Torino per veder riconosciuto il suo talento. Una volta, mettendomi in imbarazzo per l’immeritato elogio, mi disse che lo stupiva che io fossi rimasto a Torino, andando sempre controcorrente e che immaginava il prezzo che ero stato costretto a pagare. Per i suoi 90 anni fu il solo Centro “Pannunzio” a promuovere a Torino – con l’assenza più totale di autorità – un convegno in suo onore che ebbe un grande successo di pubblico e raccolse studiosi di rango a parlare dell’opera di Guido il quale avrebbe desiderato intervenire, se le sue condizioni di salute non glielo avessero impedito. Mandai l’amica Vinicia Tesconi a video-intervistarlo a Cetona. Un’intervista molto significativa che venne proiettata al termine del convegno condotto da Marina Rota. L’unico vero legame con Torino fu la sua assidua collaborazione con “La Stampa” per circa trent’anni. Con il coraggio e con la capacità propria di chi sa essere direttore di un grande giornale e non un giornalista che bazzica nelle stanze del potere, fu Alberto Ronchey ad invitare Guido a scrivere per “La Stampa” e fu Carlo Casalegno a intrattenere i rapporti con lui. Una volta Ceronetti mi disse che gli assassini di Carlo erano da ricercare tra gli eredi diretti del PCI, una verità scomodissima, ma non totalmente infondata. In piazza San Carlo nell’ottobre del 1977, a Torino, gli intellettuali e gli operai comunisti a manifestare solidarietà per Carlo ferito a morte, furono pochissimi perché lo ritenevano un reazionario. Avevo ascoltato con un certo imbarazzo durante una recente cena un giornalista vantarsi di aver chiamato lui Ceronetti al giornale, vincendo le resistenze di Casalegno. Evitai, per rispetto al padrone di casa, di smentire il pavone che si vantava di meriti che mai avrebbe potuto avere e che ingenuamente esibì quella sera, dimenticando che c’ero anch’io che con Casalegno e con Ronchey condivisi un lungo rapporto di sincera amicizia.

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In occasione del compimento dei 90 anni è venuta fuori la verità. La collaborazione di Ceronetti fu opera di Ronchey ed è stata lunga e proficua. Fu anche vicino al “Mondo” di Pannunzio. Poi con gli ultimi due direttori prima di Maurizio Molinari la collaborazione giornalistica di Guido è andata assottigliandosi fino a terminare. Da qualche tempo era titolare di una piccola rubrica sul “Corriere della Sera”. Ceronetti scriveva a ruota libera. Solo un esempio tra i tanti: sollevò dei dubbi sull’ergastolo a cui venne condannato il capitano delle SS Erich Priebke per la strage delle Fosse Ardeatine. Pochi in Italia ebbero il coraggio di farlo. Uno tra i pochi fu l’avvocato Gianvittorio Gabri, allora membro del CSM. Prevalse in quella condanna un giudizio storico-politico a danno della civiltà giuridica. Una volta Guido mi disse che “non vedeva politici che pensano”, un giudizio sicuramente troppo duro, ma con un fondo di verità. Ceronetti ha vissuto per tanti anni in condizioni economiche difficili, come è quasi inevitabile che accada ad uomo libero e scomodo come lui e non solo quindi perché i carmina non dant panem. Chi comanda ha bisogno di intellettuali malleabili e Ceronetti non è mai stato servile, ma sempre un liberissimo pensatore. A lui venne applicata la Legge Bacchelli che gli ha consentito di vivere, malgrado avesse le esigenze di un uccellino. Per i suoi meriti verso la Nazione, come per i senatori a vita. Forse Ceronetti avrebbe meritato di essere senatore a vita. Nel giugno 2014 alla festa dell’Inquietudine di Finalborgo proposi quella nomina per Ceronetti. In Liguria ebbe vasta eco, ma non varcò i confini liguri. Una nomina simile a quella di Eugenio Montale voluta dal presidente Giuseppe Saragat, scrissi in quella occasione. In Liguria era molto noto ad Albenga dove trascorreva lunghi periodi ospite del docente dell’Università di Siena Nicola Nante nella sua clinica San Michele dove curava gli acciacchi della vecchiaia e non disdegnava di chiacchierare con i degenti. Ha lasciato la vita in silenzio, poco dopo il compimento del 91° anno. La sua opera resta a parlare crocianamente per lui. È un’opera destinata a rimanere, anzi ad essere rivalutata nel tempo. In tutti i momenti decisivi della vita ha saputo fare le scelte che gli dettava la sua coscienza di uomo libero senza pensare mai al suo tornaconto, dimostrando una sincerità a volte persino disarmante, ma sempre meritevole di attenzione.

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Questo “cane sciolto” della cultura resta un testimone scomodo di un’età difficile in cui la maggioranza degli intellettuali si è spesso piegata come dei salici al vento del conformismo.Il mite, mitissimo ed ironico Ceronetti, un omino esile, persino fragile, ha saputo farsi sentire in tutte le occasioni in cui altri tacevano o dicevano cose banali. Un amico, appresa la sua morte, ha scritto con molto, forse eccessivo pessimismo: “Purtroppo la cultura sta morendo e prende sopravvento la notizia, spesso falsa, da consumare e dimenticare subito”. Nella non civiltà dei social un uomo come Guido non poteva continuare a vivere. La sua era una voce nel deserto. Era un uomo di una élite intellettuale che è finita con lui. Un anno fa, nel 2017, durante una lunga telefonata mi diceva che i nuovi barbari stavano arrivando. Aveva visto giusto. Guido si era rinchiuso da tempo nell’eremo di Cetona non solo per ragioni di salute. Come ha osservato Valter Vecellio, anche lui suo amico, Guido era “l’amaro impolitico più politico di tutti”. In senso civilmente molto alto, è stato infatti un eccezionale testimone di verità scomode, che seppe esercitare nella polis il suo ruolo pubblico di intellettuale. Pur orgogliosamente indipendente da tutti, ebbe un rapporto speciale con Marco Pannella che della non violenza fu un convinto assertore negli anni bui della violenza contestatrice e del terrorismo. Lo stesso Pannella amava citare Guido che partecipò persino ad un congresso radicale. Sarebbe tuttavia un errore grave parlare di lui in rapporto ai partiti perché egli ebbe il grande pregio di non sentirsi mai legato all’engagement, comunque professato. In questo senso, si potrebbe considerare un liberale, esponente cioè di quella cultura che privilegia il valore della libertà responsabile. Da vero “liberale” Guido ha sempre fatto parte per sé stesso. Collaborò al “Mondo” di Pannunzio, ma non si potrebbe considerarlo, per nessun motivo, “organico” a quel giornale. Il suo maggiore merito “liberale” fu proprio di essere sempre stato un intellettuale disorganico per usare un’espressione di Bobbio, antitetica a quella gramsciana. Una volta Mario Soldati definì Ceronetti “un titolare del proprio cervello, incurante delle critiche e delle ostilità che potevano suscitare i suoi scritti”. Amava il teatro delle marionette, ma non ha mai permesso a nessuno di farlo muovere, tirando i fili, come si fa con una marionetta. Era un uomo di carattere, non incline ai compromessi. Nel panorama desertificato della cultura italiana era rimasto solo lui a tenere alto il valore della libertà di pensiero senza compromessi. Quella casa di Cetona piena zeppa di libri resta un piccolo sacrario a cui gli italiani dovrebbero guardare, pensando al loro futuro, vergognandosi del loro presente.

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GUIDO CERONETTI

(Torino, 24 agosto 1927 – Cetona, 13 settembre 2018)