CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 59

“Io di amore non so scrivere”. Al “Circolo dei lettori” Giulia Muscatelli

Lunedì 24 febbraio, ore 19

“Che cos’è l’amore per gli adolescenti?”. Bella domanda. Una di quelle di fronte alle quali potresti andare avanti come un fiume in piena a parlare per ore o, viceversa, stare lì (aria fra l’imbronciato e il perplesso) muto come un pesce. Già, che rispondere? La risposta potrebbe esservi suggerita da un libro. L’ultimo libro (dopo “Balena”, edizioni “nottetempo”, 2022 e il podcast “Sotto le unghie”, “Mondadori Studios”, 2023) della scrittrice torinese e docente di “Scuola Holden”, Giulia Muscatelli.

Dal titolo “Io di amore non so scrivere” (“add” editore), il libro verrà presentato, lunedì 24 febbraio (ore 19), al “Circolo dei lettori” di via Bogino 9 (tel. 011/8904401) a Torino, in collaborazione con il Festival “Contemporanea. Parole e storie di donne” di Biella. Ad accompagnare nella presentazione l’autrice, sarà Pietro Turano, attivista (consigliere nazionale “Arcigay” e vicepresidente “Arcigay Roma) ed attore, noto soprattutto per la serie “Netflix Skam Italia”.

L’evento si inserisce all’interno del programma di “lèggère trasformazioni”, la stagione della “Fondazione Circolo dei lettori”. “Contemporanea”, invece, tornerà al “Circolo” per l’anteprima del “Festival di settembre”,sabato 12 aprile: i dettagli del programma saranno presto annunciati.

Ma tornando alla domanda di prima. Ricordate?“Che cos’è l’amore per gli adolescenti?”: Giulia Muscatelli potrebbe proprio venirci in aiuto. Nel suo libro, infatti, traduce in racconti le parole che ragazzi e ragazze usano per parlare dell’amore, scoprendo che la narrazione che ne fanno gli adulti non sempre li rispecchia.

“Per cinque mesi – ricorda Giulia – sono andata in giro a chiedere a ragazzi e ragazze di raccontarmi come scrivono e parlano di amore e di sesso. Sono stata in scuole, associazioni, librerie, biblioteche, gruppi autogestiti, ho redatto ‘form online’, ho tormentato le piccole donne della mia famiglia, mi sono nascosta nei bagni di un liceo in cerca di una conversazione sussurrata, di segreti e confessioni, e ho finto di ascoltare la musica sul pullman per origliare i discorsi di adolescenti sudati in viaggio verso casa. Ho consolidato una convinzione che all’inizio di quest’avventura mi echeggiava nella testa come un’inquietudine latente: la più impreparata sull’amore sono sempre io. Poco importa. Quello che conta è ciò che ha detto Matteo alla fine di un incontro: questo non è il mio libro, questo è il nostro libro. Aveva ragione, e non avrei potuto fare altrimenti. Perché io di amore non so scrivere”.

Ahinoi! Non è che la risposta, buttata lì in due parole, sia poi così chiara, ma forse un piccolo spiraglio per non farci intrappolare dal “periglioso” quesito può anche darci una mano ad aprirlo. O, se non altro, ad approfondire il tema recandoci ad ascoltare la Muscatelli dal vivo al “Circolo” di via Bogino. Che ne pensate?

 

E, a proposito, del biellese Festival “Contemporanea”, mi pare doveroso ricordare che sabato 22 febbraio parte anche ufficialmente la nuova stagione di“Contemporanea Giovani”, iniziativa rivolta alle nuove generazioni, con un ciclo di laboratori creativi dedicati ai bambini e alle loro famiglie dal titolo “Leggimi forte! Viaggio tra le pagine e le emozioni”, in collaborazione con “Le PortaLibri”. Con i libri e gli albi illustrati a fare da guida, ogni volta verrà affrontato un tema diverso: il primo appuntamento, che si terrà alla Galleria “BI-BOx Art Space” di Biella (via Italia, 38), alle 10, è dedicato all’“Inverno”. La partecipazione è consigliata ai bambini nella fascia d’età tra 3 e 7 anni (costo 15 Euroa bambino).

 

Sempre sabato 22, infine, si conclude anche il corso di “Contemporanea – Le Scomposte” a cura di Maria Laura Colmegna: l’ultima lezione si terrà sempre alla Galleria “BI-BOx Art Space” con un incontro dal titolo “Tove Jansson: tanto scrivere per parlare a tutti”, con la giornalista Laura Pezzino. Artista e scrittrice di fama mondiale, Jansson (1914-2001) è oggi considerata la scrittrice più famosa del suo Paese, la Finlandia, per la “Saga dei Mumin” e i racconti per adulti, ma non è stata solo questo. Pittrice, illustratrice, drammaturga e, soprattutto, creatrice di mondi, le cose che amava di più nella vita erano lavorare, costruire e amare. La sua vicenda artistica si è incrociata con la storia del Novecento, le guerre mondiali, le leggi contro l’omosessualità, la condizione femminile. In questa lezione, Pezzino ripercorrerà la sua biografia attraverso la lente delle stagioni, in una lettura originale della produzione di questa eccezionale artista tutta da riscoprire. La lezione si svolge dalle 16,30 alle 18 e ha il costo di 15 Euro.

 

Per info: segreteria.contemporanea@gmail.como tel. 347/1663856

 

Gianni Milani

 

Nelle foto: Giulia Muscatelli, Cover “Io di amore non so scrivere”, Le PortaLibri e Laura Pezzino

“Dentem pro dente”, pièce del Piccolo Teatro Comico 

Il quindicesimo appuntamento del Piccolo Teatro Comico è quello con Senza Meta Teatro nella pièce teatrale  intitolata “Dentem pro dente”, in scena venerdì 28 febbraio prossimo alle ore 21, in via Mombarcaro 99/B zona Santa Rita. Il pubblico sarà accolto in una atmosfera festosa, in cui a fare da guida sarà il protagonista del castello. Lo chaperon è però un dottore pazzo, probabilmente Mengele, collezionista di obbrobri umani, in parte sue creature, in parte insane di mente, in parte reietti. La festa sarà gioiosa e inquietante al tempo stesso, essendo il compleanno del dottore. Accadranno vari fatti che andranno a turbare l’apparente solarità della situazione. Poi inizierà il vero tour degli orrori, e si scoprirà che lo chaperon è un dentista cerusico, barbiere, figura ben presente e viva nel passato. Egli riassume in sé le tre professioni, come avveniva un tempo, ed è l’artefice di un diabolico intreccio sotto l’egida di horror filosofico e, quanto serve, anche splatter. Il fil rouge che lega le sue creature prigioniere e alleate nel compiere il male è, quindi, fisico e concreto. Si serve di reperti umani, denti, capelli, salasso e mutilazioni. Il pubblico incontrerà la spaventevole posseduta in sedia a rotelle , con relativa infermiera suora, l’aguzzina dei lager nazisti Irma La Morte, il tristissimo Uomo che Ride, l’inquietante Fatina dei denti. Tutti a loro modo cercheranno di stanare le paure che vivono nel nostro animo. Tutto lo spettacolo sarà attraversato dalla figura inquietante del servo, con Wklad, uno strano e misero essere dalla forma di un quarto di bue. Una figura che sembra marginale e che si rivelerà la chiave di volta di ogni orrore.

Il Piccolo Teatro Comico, costituito nel febbraio 2002, è la continuazione di un progetto artistico e di una poetica teatrale iniziata nel 1988 con lo stesso staff denominato “Canovaccio”. La rivalutazione del concetto teatro, partendo dalla commedia e dal classico, da proporre nella sua essenza primordiale, fino a performance di spettacolo eterogeneo, dalla danza al cabaret, al teatro multietnico di genere, creando uno spazio organico e vivo che possa raggiungere un pubblico vario che viva il mondo del teatro proponendo anch’esso idee e spettacoli per ogni fascia d’età, status e cultura.

Info: 339  3010381

Mara Martellotta

“Operazione nostalgia” a firma di Vanzina e Brizzi

“Sapore di mare”, sino a domenica sul palcoscenico dell’Alfieri

È come con il maiale: non si butta via niente. Per questo, dunque, ci ritroviamo stasera, in questa immensa sala dell’Alfieri, quasi interamente gremita, a voltarci indietro e a guardare tra risate e sospiri del tipo “come passa il tempo” e “ti ricordi quando” a quei mitici anni Sessanta che tanti di noi hanno vissuto. A quei Sessanta che Enrico Vanzina e Fausto Brizzi – più autorizzato il primo (classe 1949) che non il secondo (classe 1968), comunque entrambi con l’inossidabile Jerry Calà applauditissimi tra il pubblico, con selfie d’obbligo – hanno fatto risaltare fuori dal cilindro del Tempo con questo “Sapore di mare” – con una scritturà che vivaddio non attualizza nulla ma lascia tutto così com’era, una vecchia fotografia che riscopri per caso in un cassetto, con la veloce regia di Maurizio Colombi, nella sala di piazza Solferino in prima nazionale, per il cartellone preparato da Fabrizio Di Fiore Entertainment – che affonda le radici nel film del grande Carlo (Vanzina), figlio di Steno, nel 1983 ad inseguire gli ultimi sprazzi della commedia (all’)italiana e attento a calamitare gli incassi che raggiunsero i dieci miliardi. Film fatto di cabine e di ombrelloni, di panorami di Forte dei Marmi ai bagni Marechiaro e del mare azzurro della Versilia, di serate alla Capannina, di amori di diciottenni, o giù di lì, che si inseguono o stanno alla finestra, di famiglie milanesi habitué e di quelle napoletane salite al nord per la prima volta, di frasi intramontabili e di caratteri, di mamme (ricordate Virna Lisi che con la sua Adriana vinse il Nastro d’Argento?) dal fascino maturo che non riescono a digerire i quaranta e più o meno inconsciamente s’incollano come l’edera al giovanotto che le farà scordare per un attimo il consorte ormai indaffarato e sbadato, magari rifugiandosi in esecrabili poesie, di rendez-vous sbiaditi, capitati ancora lì per caso dopo qualche anno, in cui nessuno ha più niente da dire a nessuno.

Li abbiamo vissuti noi, quei Sessanta, e non come quelli, tanti, che stasera ti stanno intorno e vanno giù a scherzare e a cantare così, “per sentito dire”. 

Ma è davvero “operazione nostalgia” quella compiuta dallo sceneggiatore delle “vacanze” a Natale o americane e dal regista di “Notte prima degli esami”? È riallestire per un’occasione che non andrebbe sciupata un nuovo, quasi commovente, presepino, mettendoci la sabbia e i sassi di mare e le onde, con le pastorelle in un bikini di cui con una contemporanea sfrontatezza inimmaginabile si butta all’aria il pezzo che sta sopra e con i vogliosi pastori che fanno a gara a chi le agguanta per primo. Si rispolverano i fratelli Carraro, il Luca cotto di Marina (qui Fatima Trotta) e il Felicino dove acchiappo acchiappo, il timido Gianni che s’intrufola in un vecchio cuore  scambiando batticuori per sesso, i marchesini Pucci, l’inglesina tutto pepe e grandi libertà, si costruisce sulla carta il fotografo Cecco, affidato all’estro toscano di Paolo Ruffini, che raccoglie le fila delle tante storie e furbescamente riscalda e coinvolge la sala e ci dialoga, ogni cosa in salsa rétro e ye ye, tra doverose contorsioni di shake e di twist e cadenzati passi di hully gully; circolano le battute che tutti ma proprio tutti s’incollarono nella memoria, “per quest’anno, non cambiare: vengo al mare per ciullare e, come l’anno scorso, c’è il pirla del bagnino” o “questo biglietto vale per tutte le lettere che non ti ho scritto. A proposito, sei sempre la più bella” o “mamma, che pere” o “devi imparare a socialize, a socializzare… come un’ape che vola su tanti fiori: prende qua, prende là… e poi diventa migliore”. Piccolo vocabolario che ci avrebbe fatto compagnia per tanti estati. 

Nel riallestire, il divertimento rimane, innegabile e contagioso, ma tutto pare – inevitabilmente – un po’ lontano, sbiadito, legato a un’epoca che è stata, morta e sepolta, anch’essa con le sue grandi gioie e i piccoli dolori, con i sorrisi, con l’estate (magari eguale a mille altre, pensate a Maurizio Arena e Renato Salvatori a inseguire Marisa Allasio pochi anni prima!) che sta finendo e con i Righeira che su quelle stesse spiagge imperversavano: nonostante sul buon Johnson – come sui Duran Duran un ventennio appresso, e allora ti sei chiesto per un attimo sere fa se il fascinoso Simon Le Bon l’abbiano lasciato a casa, a salvaguardarsi con impacchi di naftalina – il pubblico sanremese abbia fatto scrosciare applausi su applausi, in mezzo ai mille “cuoricini”, e quindi qualcosa ancora circoli con buona pace dei troppo troppo boomer, fai fatica a ritrovare quei caratteri, freschi giovanili ma incisivi, capaci di disegnare un’epoca, di stabilire ancora una volta la loro esatta importanza, non giocattoli tante volte inespressivi come la Barbie di Greta Gerwig. Nascono episodi, piccoli piccoli, che a volte s’ingolfano e si sgonfiano, s’intrecciano personaggi che sudano le sette camice (tralasciamo le voci, affaticate alcune oltre il dovuto, disinvolte sì ma falsate, bruttarelle come le tante ascoltate al Festivalone: ma non si può essere tutti Giorgia) ma quei caratteri è difficile ritrovarli e riscaldarli nuovamente. Sapete quel che fa gioia ritrovare? quei costumi con trucco e parrucco firmati da Diego Dalla Palma, le scenografie di Clara Abruzzese fatte di godibili siparietti (c’è anche posto laggiù in fondo per la band tutta da apprezzare) e le coreografie sbarazzine di Rita Pivano, soprattutto quel bignami della musica leggera dell’epoca che ti accompagna per tre ore, quei cinquanta brani cinquanta che ti riempiono ancora il cuore: tanto Morandi (corse ai cento all’ora e piogge che scendono e ritorni all’amata in ginocchio) e Pavone (cuori che soffrono, e geghegé, balli sulla stessa mattonella e martelli da dare in testa alla smorfiosa di turno che tenta di fregartelo), Edoardo Vianello a spandere come Mina e Pino Donaggio, il Modugno immancabile e l’Endrigo di “Io che amo solo te”, la bambola della Patty e una spruzzata di Bobby Solo e di Rocky Roberts, il giusto contributo di Caselli e di Celentano, di Paoli per cui esistono un cielo in una stanza e quel sapore di sale stampato sulle labbra della Sandrelli, il mondo di Fontana e anche quei giorni che hanno fatto la felicità di tal Santino Rocchetti. Un mondo da guardare col cannocchiale, dalla poltrona rossa, tutt’intorno la leggerezza degli autori: dice Vanzina che la leggerezza non è una sciocchezza, “è la profondità della gioia quando è vera”. E in questo, dopo anni, ha ancora ragione lui.

Elio Rabbione

Le foto dello spettacolo sono di Laila Pozzo.

Giorno del Ricordo, tre mostre per non dimenticare

/

IL GIORNO DEL RICORDO IN PIEMONTE: INAUGURATE 3 MOSTRE A CURA DEL CENTRO STUDI E RICERCHE STORICHE PIEMONTESTORIA A VERCELLI, CASALE MONFERRATO (AL) E TRINO (VC)

Tra i visitatori numerosi cittadini, studenti e l’UNITRE di Casale Monferrato

In occasione del Giorno del Ricordo 2025, il Centro Studi e Ricerche Storiche Piemontestoria ha allestito tre esposizioni tematiche a cura dei ricercatori storici Federico Cavallero e Emanuele Ugazio, che si propongono di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani vittime delle foibe, dell’esodo degli istriani, dei fiumani e dei dalmati che si tengono simultaneamente nelle città di Casale Monferrato presso la prestigiosa sede del Castello dei Paleologi, Vercelli presso la sala espositiva dello spazio giovani “Gioin” e Trino presso l’auditorium Tricerri della Scuola Media.

Il Centro Studi e Ricerche Storiche Piemontestoria è un’associazione dinamica e attiva nel campo della promozione della cultura storica su tutto il territorio piemontese. Composta da ricercatori storici, archivisti e appassionati di storia, l’associazione si propone di valorizzare il patrimonio storico e culturale della regione attraverso una serie di attività diversificate.

Tra le principali attività figurano l’organizzazione di mostre ed esposizioni di carattere storico, che permettono di rendere fruibile al pubblico una vasta gamma di materiali, documenti inediti e reperti, offrendo così un’interpretazione visiva e tangibile della storia.

Il Centro Studi è altresì attivo nel promuovere eventi culturali, conferenze e convegni, spesso in collaborazione con istituti scolastici. Inoltre si distingue per le sue pubblicazioni librarie, che spaziano da studi monografici a raccolte di saggi, contribuendo così alla diffusione della conoscenza storica e alla formazione di un pubblico più informato. Queste pubblicazioni sono spesso il risultato di ricerche originali condotte dai componenti dell’associazione e servono come risorse preziose per studiosi e appassionati.

Un altro aspetto significativo dell’attività del Centro Studi è il riordino degli archivi storici, sia per enti pubblici che privati. Questo lavoro è cruciale per preservare la memoria storica e garantire l’accesso a documenti che potrebbero altrimenti andare perduti. Inoltre, l’associazione si impegna nel censimento dei Caduti durante i conflitti mondiali, un progetto che non solo onora la memoria di coloro che hanno sacrificato la propria vita, ma contribuisce anche alla costruzione di una storia collettiva.

Le mostre allestite in occasione del Giorno del Ricordo 2025, rappresentano un vero e proprio viaggio nel tempo e nella storia presentando una serie di quadri disposti in un percorso cronologico che raccontano le vicende dei territori di Istria, Fiume e Dalmazia a partire dall’Impero Romano fino ai tragici eventi del Novecento, passando dal dominio della Repubblica di San Marco, all’Impero austro-ungarico, Regno d’Italia e i due conflitti mondiali. Attraverso fotografie d’archivio e documenti d’epoca, il visitatore è guidato nella scoperta degli eventi storici e geopolitici che hanno segnato questi territori. Le vetrine e le bacheche espongono oggetti e cimeli originali appartenuti agli esuli, provenienti da collezioni private, che raccontano storie di vita, speranza e dolore. Manifesti politici e amministrativi, debitamente incorniciati, offrono un quadro della situazione e delle gravi difficoltà vissute dalle popolazioni dei confini orientali d’Italia.

In aggiunta, un video sonoro di carattere storico corredato da testimonianze dirette e interviste a esuli istriani dalmati accompagna l’evento, arricchendo l’esperienza del visitatore con ulteriori approfondimenti. Questo materiale audiovisivo si rivela fondamentale per coloro che desiderano comprendere meglio le complessità di un periodo storico così significativo.

Nel corso degli anni, l’Associazione ha realizzato la mostra in diversi comuni, creando un circuito di eventi che ha toccato luoghi emblematici come Casale Monferrato, presso il “Castello del Monferrato”, la “Biblioteca Civica Giovanni Canna” e la “Scuola Media Trevigi”; Torino, presso la sede espositiva della Regione Piemonte in piazza Castello; Alessandria, presso la Sala Giunta di “Palazzo Ghilini” e presso la biblioteca Civica “Francesca Calvo”; Cuorgnè (TO) presso l’ex “Chiesa della Trinità”; Vercelli, presso il “Salone Dugentesco”; e Trino (VC) presso il “Palazzo Paleologo” e presso “l’Auditorium famiglia Tricerri”. Ogni tappa della mostra è stata un’occasione per coinvolgere le comunità locali, favorendo un dibattito aperto e inclusivo sulla memoria storica.

La collaborazione con enti locali e istituzioni scolastiche ha permesso all’Associazione Piemontestoria di creare un forte legame con i territori, rendendo le mostre non solo un evento commemorativo, ma anche un’importante occasione di crescita culturale e sociale.

Negli ultimi giorni, le mostre dedicate al Giorno del Ricordo hanno attratto un numero straordinario di visitatori. Cittadini di Casale Monferrato, Vercelli e Trino hanno affollato le sale espositive, dimostrando una forte sensibilità verso questa tematica.

Ma sono le scuole di ogni ordine e grado, in particolare, che hanno risposto con entusiasmo, portando gli studenti a visitare le mostre con percorsi didattici a cura dei ricercatori storici Cavallero e Ugazio per sensibilizzare i giovani sui temi dell’esilio, della sofferenza e del ricordo confrontandosi con una parte di storia italiana per troppi anni taciuta e dimenticata.

Anche l’Università della Terza Età (Unitre) di Casale Monferrato, ha partecipato attivamente all’iniziativa, coinvolgendo i suoi iscritti, accompagnati dalla docente e critica d’arte Dott.ssa Giuliana Romano Bussola, in una interessantissima visita guidata, contribuendo così a un dialogo intergenerazionale sul significato di questa giornata.

Il successo di questa iniziativa e questa mobilitazione collettiva sono un chiaro segnale che la cultura e la memoria storica continuano a rivestire un ruolo fondamentale nella nostra società, promuovendo un dialogo aperto e costruttivo tra le generazioni.

“Yo Yo Piederuota”. Una “storia di amicizia e diversità” allo “Spazio Kairòs”

/

Con la Compagnia dei “Santibriganti Teatro” e l’organizzazione di “Onda Larsen”

Domenica 23 febbraio, ore 16,30

Uno spettacolo per famiglie, pensato per tutte le età, dai 5 anni in su. Estremamente toccante ma non privo di umorismo e soprattutto teso a trasmettere importanti principi di vita, incentrati sul tema, con cui tutti dai più grandi ai più piccini quotidianamente ci confrontiamo: il tema della “disabilità”.

Lui, Giovanni, da tutti chiamato Yo: troppo alto e con due grandi piedi per correre/ Lei, Giorgia, da tutti chiamata Yo: troppo orgogliosa e con due grandi ruote per forza/

C’è un cortile asfaltato, c’è un canestro mezzo scassato e un quartiere di una città/

C’è una stanza, c’è una lavagna e la scuola di una città …/

 

Prima di incontrarsi erano un po’ più soli/

Yo lui, troppo alto, chi ci arriva   a parlargli fin lassù? E poi se ci arrivi non ti parla: un orso/

Yo lei, troppo orgogliosa. Anche perché prima non era così, sopra una sedia a rotelle, era come gli altri: “normale”…/

 

YoGiovanni probabilmente vive con i suoi genitori in quella città e in quel quartiere da sempre … /

YoGiorgia ci è arrivata da poco tempo …

 

In estrema sintesi, questo lo spaccato narrativo e ambientale – raccontato dagli organizzatori – di “Yo Yo Piederuota”, lo spettacolo teatrale a cura di “Santibriganti Teatro” (nata come Cooperativa a Torino nel 1992, sotto la direzione artistica di Maurizio Bàbuin, e dal 2002 “Associazione Culturale”), ospitato sul palco di “Spazio Kairòs” di via Mottalciata 7, domenica prossima 23 febbraioalle 16,30.

Organizzato dalla Compagnia Teatrale “Onda Larsen”, lo spettacolo esplora, attraverso le vicende di Giovanni e Giorgia, il tema assai delicato della “disabilità”. Ricca di emozioni e avvincenti colpi di scena, la storia, al di là della pura e semplice narrazione di fatti e circostanze, vuole indicarci, in qualche modo, la strada, quella giusta da seguire in ogni istante e in grado di porci nella condizione di superare ogni qualsivoglia genere di ostacoli: la strada dell’amicizia e della ragionata accettazione di sé.

Lo spettacolo vede in scena Arianna Abbruzzese e Marco Ferrero, con la regia di Maurizio Bàbuin, e circuita da anni in vari teatri italiani, senza mai interrompere la sua corsa e conquistando vari riconoscimenti. Ha, infatti, vinto il primo premio al “Festival Internazionale Enfanthéâtre Aosta 2023/24”, il primo posto Giuria “100 ragazzi” al Festival Internazionale “I Teatri del Mondo 2015” e una menzione speciale Giuria esperti al Festival “G.Calendoli Padova 2012”. Si è, inoltre, aggiudicato il terzo posto tra gli spettacoli più votati dai bambini sempre al Festival “G.Calendoli Padova 2012”, oltre ad una menzione speciale Giuria adulti e una per Giuria bambini in “Giocateatro Torino 2012”.

Il tema della “disabilità” viene sempre affrontato “con un linguaggio – sottolineano gli interpreti – semplice e diretto, promuovendo l’inclusione e il rispetto per le differenze”. E soprattutto cercando di far vivere ai bambini e alle famiglie un’esperienza assolutamente coinvolgente: l’interazione con il pubblico e l’uso di elementi scenici dinamici rendono, così, lo spettacolo un’esperienza unica.

Un’esperienza che porta attori in scena e pubblico in platea ad una positiva convinzione. Positiva e, in qualche modo, rasserenante. Una convinzione che, dentro, coltiva, e sempre deve coltivare, i semi della speranza.

Per YoGiovanni e YoGiorgia, concludono, infatti, gli organizzatori “non c’è molto che possa aiutarli a farli diventare amici / se non quella palla che si butta dentro un canestro e poco altro / Ma a volte, si sa, basta poco per fare accadere tanto”.

Per ulteriori info: tel. 351/4607575 o www.ondalarsen.org

G.m.

Nelle foto: Immagini di scena

Un’opera dedicata al piccolo partigiano Domenico Luciano

Il 23 febbraio partono le visite guidate al MAU

Le visite guidate al MAU, a partire dal 23 febbraio, si terranno ogni quarta domenica del mese alle 15.30. L’inaugurazione di “Undici”, l’opera dedicata al partigiano Domenico Luciano, avverrà domenica 23 febbraio alle ore 17 in via San Rocchetto 24, in Borgo Vecchio Campidoglio.

Dipingere un muro per raccontare una storia, per denunciare un’ingiustizia, per dare una voce potente al cambiamento e per rendere più bello un pezzo di città. È quello che è successo nel quartiere di torinese del Borgo Vecchio Campidoglio, dove esattamente trent’anni fa è iniziata l’avventura del MAU – Museo d’Arte Urbana, il primo pionieristico progetto italiano per creare un insediamento artistico permanente all’aperto, all’interno di un grande centro metropolitano. Oggi il MAU è un meraviglioso museo all’aperto, uno scrigno di curiosità e bellezza dove l’arte vive e respira con il cambiamento della luce del sole. Per poter ammirare e conoscere a fondo le opere artistiche che lo compongono, ogni mese, a partire dal 23 febbraio, partiranno le visite guidate in collaborazione con Cultural Way. Il percorso si snoda attraverso le strade del quartiere e permette di scoprire 200 opere, 4 mila mq, 100 artisti, giovani emergenti e artisti consolidati.

Il 23 febbraio, in occasione della prima visita guidata, il tour terminerà alle ore 17, in via San Rocchetto 34, con l’inaugurazione, a cura dell’Associazione Avvalorando e del Museo d’Arte Urbana, di “Undici”, opera a memoria delle vittime della Resistenza, realizzata dall’artista torinese Mrfjiodor (Fijodor Benzo) e dedicata al piccolo Domenico Luciano, giovane staffetta partigiana, ucciso dai fascisti il 23 febbraio 1945 a soli 12 anni.

Un piccione viaggiatore trafitto da un proiettile e 8una busta che cade dal becco: è questo il tema che l’artista ha scelto realizzando un’opera con soggetti dalle forme elementari, ma cariche di significato.

“Il piccione viaggiatore, nella sua funzione di portatore di messaggi, rappresenta l’essenza di Domenico – spiega Fijodor Benzo – un messaggero coraggioso, sempre pronto ad affrontare le intemperie e i pericoli della vita. Ho scelto di narrare questo fatto drammatico in modo non eccessivamente cruento; la mia intenzione è quella di evocare una riflessione profonda su come il coraggio e la dedizione di individui come Domenico possano essere soffocati dalla violenza, ma anche di sottolineare l’importanza del messaggio che portano con sé. In questo modo il piccione viaggiatore diventa non solo il simbolo di una vita spezzata, ma anche un richiamo alla memoria e alla responsabilità collettiva, affinché il sacrificio di giovani come “Undici” non venga dimenticato”.

Figlio e fratello di partigiani, Domenico Luciano, noto come “Undici” per la sua giovane età, nascondeva nella sua cartella di scuola informazioni e notizie. Il 23 febbraio 1945 si trovava con un gruppo di partigiani in un cascinale nelle campagne di Givoletto, quando l’edificio fu circondato dai repubblichini. Alle prime luci dell’alba ebbe luogo un conflitto a fuoco, al termine del quale si decise di far uscire il ragazzo con un drappo bianco in segno di resa. Il ragazzo fu allora raggiunto da una raffica di mitra e ucciso. A lui e al suo sacrificio, simbolo della lotta per la liberazione, è dedicata l’opera di San Rocchetto 34, a Torino, che si inaugurerà proprio a ottant’anni dalla sua uccisione.

Il ragazzo viveva nel quartiere Campidoglio, e proprio nell’affascinante cortile di via San Rocchetto, già storica sede di una sezione del PCI, i compagni posero una lapide in sua memoria.

Per info e prenotazioni: 339 3885984 – info@culturalway.it

Mara Martellotta

Le realtà futuribili e il grande sogno di un maestro del cinema

In attesa della mostra “The Art of James Cameron”

Io sono il padrone del mondo!”, James Cameron con una manciata di Oscar stretta nelle mani a godersi nel ’98 un successo planetario mentre il mondo si commuoveva attorcigliato all’amore e alla tragedia di Rose e di Jack, sentimenti da preparate i fazzoletti e lo sguardo ben fissato sul botteghino, se è vero come è vero che “Titanic” fu sino a quell’anno il film più costoso della storia del cinema (200 milioni di dollari di budget sommati agli 85 per la promozione, mica noccioline!), filone confermato, dal momento che buon sangue non mente, dalla mente e dall’industria cameroniane – sì, ancora lui -, capaci di replicare e di superare l’operazione: nel 2009 “Avatar” si portò a casa, tradotto in dollaroni, circa 2,8 miliardi, con le foreste pluviali di Pandora e gli umanoidi denominati Na’vi, con Jake ex marine invalido che vi approda in sostituzione del fratello Tommy e con gli occhioni dolci della principessa Neytiri, pronta a tutto pur di salvarlo dall’attacco notturno del branco di Lupivipera, che hanno un fiuto capace di individuare la propria vittima a una distanza di otto chilometri, figurarsi quando il bel soldatino è a due passi dalle loro fauci. Mentre Cameron si ritrovava con la sua bella stella sulla Hollywood Walk of Fame. Successi, incassi da capogiro, Oscar da mettere sui ripiani di casa sino a non trovar più posto, nel ’22 a rimpolpare il malloppo l’arrivo del sequel “La via dell’acqua”, altre diavolerie costruite negli Studios, altra infornata di premi, la famiglia che Jake ha messo su con la sua principessa, altro successo, altri quattrini.

Questi tre della novena di titoli che il Museo del Cinema torinese ha messo in piedi, dal 21 al 28 febbraio, in attesa di quell’”Art of James Cameron”, una sorta di “autobiografia attraverso l’arte” per cui è parlato di un milione di euro d’investimento, si inaugura il 26 del mese (e si chiuderà il 16 giugno), con tanto di micione azzurro e occhi manco a dirlo gatteschi che accompagnano come logo l’appuntamento che che sta da tempo solleticando il palato dei tanti cinefili e degli appassionati all’avventura e al fantasy. Genio creativo, uno dei più grandi registi, sceneggiatori, produttori contemporanei, una gioia per gli occhi. E per le orecchie di quanti, fortunati mortali, si sarebbero incantati dentro una conferenza stampa, il giorno precedente, alle preziose parole di quell’uomo che avrebbe raccontato, spiegato, riandato con la memoria nell’anfratto più nascosto di ogni sua singola storia. E invece? Rumors annunciano che, con gran disappunto, “uno dei più grandi registi” del cinema odierno non sarà presente all’inaugurazione, sì verrà, si forse verrà, ma chi sa quando. Lo aveva promesso, lo scorso dicembre, dallo schermo piantato nella grande sala della Mole quando a Zoe Saldana era stata consegnata da Ghigo e collaboratori la Stella della Mole, e invece, almeno per quel giorno, se ne starà a casa. O al gran lavoro, impegnato com’è nella postproduzione di “Avatar 3” nell’antro magico e nella fucina della Lightstorm Entertainment. Tegola non leggera, come tagliare d’improvviso una gamba a chi sta facendo i 100 metri, ultima dopo l’incrocio di spade con la Cinémathèque Française che, in vena di supremariato e di grandeur, aveva tentato di cancellarla al di qua della corona alpina, 300 pezzi tra disegni, dipinti, oggetti di scena, fotografie, costumi e curiosità varia – compreso il “Cuore dell’Oceano” al collo della Winslet, assicurano – che avevano tutta l’aria di andare in fumo. Adesso tutto è pronto e adattato alla particolare struttura verticale della Mole, sei aree tematiche – “Sognare a occhi aperti”, “La macchina umana”, “Esplorare l’ignoto”, “Titanic: viaggio nel tempo”, “Creature” e “Mondi indomiti” – per dare vita a un processo creativo che non ha eguali.

Processo creativo contraddistinto, sin dall’inizio – “Pirana Paura” è del 1982 – dalla meticolosità e dalla passione che devono averlo sempre contraddistinto, sin da quando nella piccola città canadese di Kapuskasing, dove è nato settant’anni fa, la madre gli faceva saltare la scuola per portarlo nei musei e lui all’uscita a disegnare animali e mostri, ben fissati sul foglio di carta e nella memoria. Esercizi di ragazzo sino a quando l’incontro con “Guerre stellari” convinse Cameron a rendere concrea ogni intenzione e a passare dietro la macchina da presa.

Un ciclo di proiezioni, allora, un inizio con i dentuti pesci mutati geneticamente e dotati di ali, un passo oltre il primo capitolo di Joe Dante (ven 21 ore 16 e dom 23 ore 21), seguito da “Terminator”, anno di grazia 2029 allorché l’indistruttibile cyborg che ha i tratti di Schwarzenegger giunge in una Los Angeles di quarantacinque anni prima allo scopo di eliminare l’indomita Sarah Connor (ven 21 ore 18,15 e mer 26 ore 16); ancora “Aliens – scontro finale” dove l’ufficiale Ellen Ripley, scampata al mostro di Ridley Scott è mandata su Acheron dopo che si sono perso i contatti con i coloni presenti su quel pianeta (sab 22 ore 15,30 e mer 26 ore 20,30) e “The Abyss” (sab 22 ore 18,15 e lun 24 ore 15,15) dove presenze misteriose cercheranno d’impedire ad un gruppo di sommozzatori il recupero di un sommergibile nel mare dei Caraibi. “Terminator 2” sarà, come gli altri titoli, sullo schermo del Massimo sab 22 ore 20,45 e mer 26 ore 18, con tutte le apprensioni di mamma Linda Hamilton verso il pargolo senzapaura e minacciato dall’attivo di un T-1000 e ancora con il palestrato Arnold a difenderlo a tutti i costi, come l’immancabile “Titanic”, strenuo strappacore nelle giornate di dom 23 ore 15 e mar 25 ore 16. Passando per “True Lies” (dom 23 ore 18,30 e lun 24 ore 17,45, si faranno spazio i due “Avatar” nelle giornate di lunedì, martedì e venerdì. Effetti speciali quanti se ne vuole, abissi paurosi e ghiacciati, mondi futuribili insidiosi e ricostruzioni d’epoca, ma anche affetti e apprensioni, protezioni e passioni, amori giovanili oppure al di qua e al di là di ogni età, sogni, enormi e incantati, a cui Cameron in una attività ormai quarantennale ha dato un immortale soffio di vita.

Elio Rabbione

Nelle foto, momenti di “Titanic”, “Avatar” e “Terminator 2”, tutti diretti da James Cameron

“Il mio Doc” di scena al Teatro Superga

Lo spettacolo della Compagnia C’è Trippa per gli Atti, tratto da “Toc Toc”, debutta al teatro Superga il 22 febbraio prossimo

“Il mio Doc”, della Compagnia C’è Trippa per gli Atti, debutterà sabato 22 febbraio, alle ore 21, al teatro Superga di Nichelino. È uno spettacolo tratto da “Toc Toc”, commedia francese del 2005 di Laurent Baffie, riadattata e rielaborata da Davide Piconese. La commedia si svolge all’interno della sala d’attesa del Dottor Palomero, famoso psicologo e psichiatra, un luminare che a causa di un errore da parte della sua segretaria Jennifer si troverà contemporaneamente nel suo studio sei pazienti affetti da Doc, disturbo ossessivo compulsivo, vittime del disguido che ha dato appuntamento a tutti loro alle 16,30. Il Dottore è in grave ritardo, motivo per cui i sei personaggi cominceranno a interagire tra loro, a conoscersi, a presentarsi e non solo. “Il mio Doc” è una commedia in cui si ride molto e a cui non manca il colpo di scena finale.

Biglietto: 15 euro

Biglietteria: 011 6279789 – biglietteria@teatrosuperga.it

Mara Martellotta

La Torino oscura di Profondo Rosso

Cinquant’anni fa, nel settembre del 1974, iniziavano a Torino le riprese di Profondo Rosso, un film che sarebbe diventato un riferimento classico per gli appassionati di cinema, uno dei migliori thriller italiani di sempre. Il regista Dario Argento per la terza volte sceglieva la prima capitale d’Italia e le sue atmosfere magiche dove si scorgono, oltre alle piazze e alle vie più note del centro, il Teatro Carignano, la Galleria San Federico e piazza CLN, dove si riconoscono le fontane di fronte alle quali Gabriele Lavia e David Hemmings assistono al primo terribile delitto del film, quello della sensitiva Helga Ullman ( l’attrice Macha Méril). Hemmings (che nel film interpretava il pianista inglese Marc Daly ) incrociò sulla collina torinese alcune dimore importanti come Villa della Regina (residenza storica dei Savoia), lungo la Strada Comunale Santa Margherita, per poi raggiungere l’obiettivo della sua ricerca: Villa Scott, in Corso Giovanni Lanza, 57.

 

È quella, infatti, la lugubre “villa del bambino urlante” che si trova in Borgo Po, sulle colline della città: un edificio bellissimo, uno degli esempi più straordinari dell’art decò. “L’avevo scoperta per caso — confessò il regista — mentre giravo in auto in cerca di posti interessanti dove girare il film. La villa era in realtà un collegio femminile diretto dalle monache dell’Ordine delle Suore della Redenzione e, siccome ne avevo bisogno per un mese, offrii alle occupanti una bella vacanza estiva a Rimini, dove si divertirono tantissimo. Con noi restò una monaca-guardiano, che sorvegliò le riprese con austerità”. Un’ulteriore curiosità merita di essere segnalata. Quando Marc, nel film suonò al campanello di casa del suo amico Carlo, si trovò di fronte la madre di lui (Clara Calamai) che lo fece entrare in un appartamento ricco di cimeli e foto d’ogni sorta. La casa era davvero quella dell’attrice e, quindi, ciò che si vede nel film era probabilmente in gran parte ciò che davvero c’era in quell’appartamento nel 1974, diventato set per l’ultima avventura cinematografica della grande interprete del cinema italiano. Il film, quinta prova dietro la macchina da presa per Dario Argento, uscì nelle sale il 7 marzo 1975 e lo consacrò, grazie al successo, come il vero maestro del brivido made in Italy.

Marco Travaglini

Il cuore del Liberty nel cuore di Torino: Casa Fenoglio

Oltre Torino: storie miti e leggende del Torinese dimenticato

È luomo a costruire il tempo e il tempo quando si specchia, si riflette nellarte. 

Lespressione artistica si fa portavoce estetica del sentire e degli ideali dei differenti periodi storici, aiutandoci a comprendere le motivazioni, le cause e gli effetti di determinati accadimenti e, soprattutto, di specifiche reazioni o comportamenti. Già agli albori del tempo luomo si mise a creare dei graffiti nelle grotte non solo per indicare come si andava a caccia o si partecipava ad un rituale magico, ma perché  sentì forte la necessità di esprimersi e di comunicare.

Così in età moderna – se mi è consentito questo salto temporale – anche i grandi artisti rinascimentali si apprestarono a realizzare le loro indimenticabili opere, spinti da quella fiamma interiore che si eternò sulla tela o sul marmo.  Non furono da meno gli  autoridelle Avanguardie del Novecento  che, con i propri lavori disperati, diedero forma visibile al dissidio interiore che li animava nel periodo tanto travagliato del cosiddetto Secolo Breve.

Negli anni che precedettero il primo conflitto mondiale nacque un movimento seducente ingenuo e ottimista, che sognava di ricreare la natura traendo da essa motivi di ispirazione per modellare il ferro e i metalli, nella piena convinzione di dar vita a fiori in vetro e lapislazzuli che non sarebbero mai appassiti: gli elementi decorativi, i ghirigori del Liberty, si diramarono in tutta Europa proprio come fa ledera nei boschi. Le linee rotonde e i dettagli giocosi ed elaborati incarnarono quella leggerezza che caratterizzò i primissimi anni del Novecento, e ad oggi sono ancora visibili anche nella nostra Torino, a testimonianza di unarte raffinatissima, che ha reso la città sabauda capitale del Liberty, e a prova che larte e gli ideali sopravvivono a qualsiasi avversità e al tempo impietoso. (ac)

Torino Liberty

1.  Il Liberty: la linea che invase l’Europa
2.  Torino, capitale italiana del Liberty
3.  Il cuore del Liberty nel cuore di Torino: Casa Fenoglio
4.  Liberty misterioso: Villa Scott
5.  Inseguendo il Liberty: consigli “di viaggio” per torinesi amanti del Liberty e curiosi turisti
6.  Inseguendo il Liberty: altri consigli per chi va a spasso per la città
7.  Storia di un cocktail: il Vermouth, dal bicchiere alla pubblicità
8.  La Venaria Reale ospita il Liberty:  Mucha  e  Grasset
9.  La linea che veglia su chi è stato:  Il Liberty al Cimitero Monumentale
10.  Quando il Liberty va in vacanza: Villa  Grock

Articolo 3. Il cuore del Liberty nel cuore di Torino: Casa Fenoglio

Con lEsposizione Internazionale di Arte Decorativa Moderna del 1902, Torino assume il ruolo di  polo di riferimento per il Liberty italiano. LEsposizione del 1902 è un evento di grandissimo successo, e numerosi sono gli architetti che offrono il proprio contributo, ma il protagonista indiscusso di questa stagione èPietro Fenoglio, il geniale ingegnere-architetto torinese, che abitònella palazzina di Corso Galileo Ferraris, 55.

Allinizio del Novecento, Torino vede in particolare il quartiere di Cit Turin al centro della propria trasformazione. A partire da Piazza Statuto si dirama il grande Corso Francia che, con le sue vie limitrofe, costituisce in questa zona un quartiere ricco di architetture in stile Art Nouveau unico nel suo genere. Un tratto urbanistico in cui sono presenti numerose testimonianze dellopera di Fenoglio, riconoscibile dai caratteristici colori pastello, dalle decorazioni che alternano soggetti floreali a elementi geometrici e dallaudace utilizzo del vetro e del ferro. 

Personalità artistica di estremo rilievo, Pietro Fenoglio contribuisce in modo particolare a rimodellare Torino secondo il gusto Liberty. Nato a Torino nel 1865, larchitetto-ingegnere orienta il suo campo dinteresse nelledilizia residenziale e nellarchitettura industriale. Nato da una famiglia di costruttori edili, frequenta la Regia Scuola di Applicazione per ingegneri di Torino; subito dopo la laurea, conseguita nel 1889, inizia unintensa attività lavorativa, raggiungendo ottimi risultati in ambito architettonico. Partecipa, nel 1902, allOrganizzazione internazionale di Arte Decorativa Moderna di Torino e in questoccasione approfondisce la conoscenza dello stile liberty, riuscendo poi a concretizzare quanto appreso nei numerosi interventi edilizi di carattere residenziale, ancora oggi visibili nel territorio cittadino. La sua attività di progettista si estende anche al campo dellarchitettura industriale, come testimoniano la Conceria Fiorio (1900 – Via Durandi, 11) o la Manifattura Gilardini (1904 – Lungo Dora Firenze, 19). Nel 1912, Pietro entra a far parte del Consiglio di Amministrazione della Banca Commerciale Italiana ed è tra i promotori della SocietàIdroelettrica Piemonte. Colto da morte improvvisa, Pietro Fenoglio muore il 22 agosto 1927, a soli 62 anni, nella grande casa di famiglia a Corio Canavese.

Tra tutte le sue realizzazioni spicca lopera più bella e più nota per la ricchezza degli ornati: Casa Fenoglio-La Fleur (1902), considerata unanimemente il più significativo esempio di stile Liberty in Italia. Progettata in ogni più piccolo particolare da Pietro Fenoglio per la sua famiglia, la palazzina di Corso Francia, angolo Via Principi dAcaja, trae ispirazione certamente dallArt Nouveau belga e francese, ma lobiettivo dellIngegnere è di dar vita al modello Liberty. La costruzione si articola su due corpi di fabbrica disposti ad elle, raccordati, nella parte angolare, da una straordinaria torre – bovindo più alta di un piano, in corrispondenza del soggiorno. Manifesto estetico di Fenoglio, ledificio – tre piani fuori terra, più il piano mansardato –  riflette lestro creativo dellarchitetto, che riesce a coniugare la rassicurante imponenza della parte muraria e le sue articolazioni funzionali, con la plasticità tipicamente Art Nouveau, che ne permea lesito complessivo. Meravigliosa, e di fortissimo impatto scenico, è la torre angolare, che vede convergere verso di sé le due ali della costruzione e su cui spicca il bovindo con i grandi vetri colorati che si aprono a sinuosi e animosi intrecci in ferro battuto. Unedicola di coronamento sovrasta lelegante terrazzino che sporge sopra le spettacolari vetrate.  Sulle facciate, infissi dalle linee tondeggianti, intrecci di alghe: un ricchissimo apparato ornamentale, che risponde a pieno allautentico Liberty. Gli stilemi fitomorfi trovano completa realizzazione, in particolare negli elementi del rosone superiore e nel modulo angolare. Altrettanto affascinanti per la loro eleganza sono landrone e il corpo scala a pianta esagonale. Si rimane davvero estasiati di fronte a quelle scale così belle, eleganti, raffinate, uniche. Straordinarie anche le porte in legno di noce, le vetrate, i mancorrenti, e le maniglie dottone che ripropongono lintreccio di germogli di fiori. 

La palazzina non è mai stata abitata dalla famiglia Fenoglio, e fu venduta, due anni dopo lultimazione, a Giorgio La Fleur, imprenditore del settore automobilistico, il quale volle aggiungere il proprio nome allimmobile, come testimonia una targa apposta nel settore angolare della struttura. Limprenditore vi abitò fino alla morte. Dopo un lungo periodo di decadenza,  la palazzina venne frazionata e ceduta a privati che negli anni Novanta si sono occupati del suo restauro conservativo.

Alessia Cagnotto