CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 582

Carlo Gloria ritorna a Palazzo Bricherasio

Il prossimo 30 ottobre 

 

Si inaugura mercoledì 30 ottobre alle 17,30 nell’androne di Palazzo Bricherasio in Via Lagrange 20, una installazione di Carlo Gloria, Vado e Vengo, che crea un nuovo collegamento tra il passato e il presente dell’edificio.

Carlo Gloria inaugurò, infatti, nel 2002 – nell’allora sede della Fondazione Palazzo Bricherasio -, la rassegna “Outside: interventi site specific di arte contemporanea”, curata da Guido Curto. Oggi l’artista ritorna con una installazione che richiama la precedente e riapre di fatto il dialogo tra l’arte contemporanea e lo stesso Palazzo, sede istituzionale di Banca Patrimoni Sella & C.

Per ritrovare il giusto fil rouge tra ciò che è stato e ciò che è attualmente, Daniela Magnetti, già direttrice della Fondazione Palazzo Bricherasio e ora direttrice artistica di Banca Patrimoni Sella & C., riscopre quel che è rimasto dell’opera di Carlo Gloria Dodici milionesimi e chiede all’artista di rivederla in chiave attuale. Infatti, dei 12 affreschi digitali realizzati nel 2002 nelle esedre e lungo le pareti dell’ingresso, solo 3 sono ancora esistenti, parti integranti dell’edificio: le due grandi figure nelle nicchie e l’opera nella piccola cupola sopra lo scalone d’onore.

Da qui riparte il lavoro di Carlo Gloria con Vado e Vengo, una riflessione spazio-temporale che coinvolge sia il luogo sia coloro che lo frequentano e l’hanno frequentato. Le figure che animano gli spazi affrescati 15 anni fa, sono visibilmente “diverse” da quelle riprodotte allora: cambiano gli abiti e gli atteggiamenti, così come è cambiata la destinazione d’uso del Palazzo. Differente è anche lo sguardo dell’artista, che rende più “fluidi” i soggetti, trasformandoli in immagini che, seppure anonime, comunicano ancora familiarità. Realizzate partendo da fotografie scattate nei pressi del palazzo, rielaborate al computer con una post produzione che sfuoca le figure rendendole “forme cromatiche”, le immagini vengono poi stampate con il plotter a getto d’inchiostro e applicate al muro.

Dal 2017 Banca Patrimoni Sella & C. ha iniziato a partecipare attivamente ad alcune iniziative culturali sia sul territorio torinese che nazionale, per restare fedele all’identità storica e artistica che sin dalla sua istituzione – con il cenacolo della contessa Sofia di Bricherasio – si respira nelle sale del Palazzo.  “Una sorta di DNA innato – dice Federico Sella, Amministratore Delegato e Direttore generale di Banca Patrimoni Sella & C. – proteso all’arte e al mecenatismo che il nostro Istituto condivide profondamente e intende fare suo”. Sostiene ancora Daniela Magnetti: “Non esistendo più la possibilità di dedicare esclusivamente all’arte le sale interne dell’edificio, Banca Patrimoni Sella & C. esce dagli spazi canonici, allestendo la mostra di Carlo Gloria nel lungo corridoio di accesso del Palazzo, trasformandolo in un luogo espositivo fruibile da tutta la cittadinanza”. Sabato 2 novembre, in occasione della notte bianca dell’arte contemporanea, l’accesso alla mostra rimarrà eccezionalmente aperto dalle 15 alle 23. Per informazioni 347 7365180.

Nell’immagine, Carlo Gloria, bozzetto per l’installazione “Vado e vengo”, 2019.

“Primo Levi. Figure” Le fantasiose, bizzarre “creazioni metalliche” dello scrittore torinese

In mostra alla GAM di Torino
Fino al 26 gennaio 2020
In mostra troviamo il volto, o meglio uno dei volti meno noti al grande pubblico, di Primo Levi. Non solo accorato testimone con la parola scritta (fra le più alte e toccanti nel panorama letterario internazionale) degli orrori di Auschwitz e della Shoah, ma anche personaggio complesso, ricco di molteplici interessi e infinite bizzarre fanciullesche curiosità che si traducevano in svariate elaborazioni della mano e della mente, accompagnandosi ai quotidiani impegni professionali di chimico delle vernici, nonché direttore della “Siva” di Settimo Torinese.

Fra queste, l’originale creazione di lavori tridimensionali in filo di rame smaltato (metallo“sangue del mio sangue”, poiché già nell’infanzia suo compagno di giochi nel laboratorio del padre Cesare, ingegnere dirigente dell’ungherese Ganz, e anni dopo suo primo materiale di lavoro alla “Siva”) attraverso cui si divertiva a creare figure stupefacenti per la certosina pazienza della composizione e per l’esaltante carica di fantasia che a ruota libera Levi lasciava correre nella definizione di sagome di animali – dai più comuni agli improbabili vilmy o agli atoula con le loro femmine nacunu – ma anche di creature fantastiche e di soggetti umani. O umanoidi. Si tratta di lavori risalenti probabilmente al periodo 1955/’75, con un forte carattere intimo e domestico, destinati agli scaffali dello studio nell’alloggio dello scrittore in corso Re Umberto a Torino, oppure ad essere regalati agli amici più cari: mai considerati (ci mancherebbe! E men che meno dallo stesso Levi) come opere d’arte, ma come “gioco” esaltante, allegro, ironico, istrionico e visionario, senza nulla togliere alla grazia e alla squisita armonia di manufatti che rivelano la grande abilità manuale dello scrittore (“imparare a fare una cosa – diceva – è ben diverso dall’imparare una cosa”) tradotta nella precisione scientifica di particolari in cui mai è negato l’estro “impressionista”, a volte casuale, dell’esecuzione.

 

Orbene, un piccolo suggestivo nucleo di queste “figure metalliche” le troviamo esposte, per la prima volta in Italia, fino al 26 gennaio del 2020, negli spazi della Wunderkammer della GAM di Torino, in collaborazione con il Centro Internazionale di Studi Primo Levi e in occasione delle celebrazioni per il centenario della nascita dello scrittore, nato a Torino il 31 luglio del 1919 e a Torino tragicamente scomparso l’11 aprile dell’ ‘87. Curata da Fabio Levi e Guido Vaglio, con il progetto di allestimento di Gianfranco Cavaglià in collaborazione con Anna Rita Bertorello, la rassegna accosta 17 opere, che sono esaltazione del lavoro libero e del confronto ludico “alla Bruno Munari” (autore, fra l’altro, nel ’58 della sovracoperta di “Se questo è un uomo”, in edizione Einaudi) con la materia, che, se compresa, rivela per davvero i segreti più profondi atti a interpretare il mondo. A commento delle “figure”, sono state scelte dai curatori citazioni letterarie – tratte per lo più dall’opera di Levi e, in alcuni casi, da alcuni dei suoi autori prediletti – anziché puntuali didascalie. Scelta che lo stesso scrittore avrebbe condiviso.

 

Lui che affermava: “Non conosco noia maggiore di un curriculum di letture ordinato e credo invece negli accostamenti impossibili”. Così accanto alla figura del “ragno”, leggiamo “meraviglia, meditazioni, stimoli e brividi”; a quella del “gufo”, “ho sentito il gufo ripetere la sua concava nota presaga” e a quella del “guerriero”, “Noi propaggine ribelle Di molto ingegno e poco senno”. Citazioni che pure aiutano a scoprire tratti inediti di una personalità così sfaccettata e complessa come quella di Levi, aprendoci un piccolo varco in quell’“ecosistema – asseriva arguto lo stesso scrittore – che alberga insospettato nelle mie viscere, saprofiti, uccelli diurni e notturni, rampicanti, farfalle, grilli e muffe”.

Gianni Milani

“Primo Levi. Figure”
GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, via Magenta 31, Torino; tel. 011/4429518 o www.gamtorino.it
Fino al 26 gennaio 2020
Orari: dal mart. alla dom. 10/18; lunedì chiuso

– Foto: Pino Dell’Aquila

– La foto di Primo Levi con la scultura del gufo é di Mario Monge

Fontana dei mesi: l’Allegoria dei fiumi e la corrente di Novembre

La statua di novembre al parco del Valentino è stante; la donna resta in piedi in una posizione di riposo, un ginocchio leggermente flesso, le punte dei piedi divaricate, con una mano regge la veste, con l’altra -aperta all’altezza del petto scoperto- fa atto di porgere qualcosa o di indicare una chiara evidenza, chissà. Sul volto l’accenno di un sorriso e una espressione di dolce pacatezza.

Alla Fontana dei Mesi la statua di novembre è la più serena, ha la caratteristica comune alle altre di esprimere con il volto e con il corpo la stessa emozione.

 

Ogni statua delle quattro stagioni è a pieno titolo armoniosa perché dalla testa ai piedi è allegoria di un sentimento tipico di un mese dell’anno, di pacatezza in questo caso, in altri di gioia, di tripudio, di attesa, di felicità, festosità, curiosità, timidezza, scoperta, volontà di condivisione, protezione, fermezza, etc. Ognuno a Torino quando ha tempo, passeggiando alla Fontana, provi ad indovinare quale sentimento si addice meglio ad ognuna di loro indovinandolo dall’atteggiamento del corpo oltreché dall’espressione del viso. Abbiamo visto alcune delle altre statue durante le precedenti uscite e ogni volta abbiamo introdotto in modo più o meno approfondito un movimento artistico su cui riflettere; per questa uscita ho promesso di parlarvi delle quattro statue al centro della Fontana datata 1898 quindi anche in questo caso accennerò soltanto alla corrente che ho pensato per il mese di novembre pescando dalla mia conoscenza della storia dell’arte che si basa sul pensiero di altri che prima e meglio di me hanno ragionato su piccole differenze estetiche nell’arte cogliendo l’inizio e lo sviluppo di una nuova tendenza e di una nuova sensibilità fino a vedere il pieno compimento e il termine di alcune caratteristiche e poi talvolta facendo collegamenti per descrivere altre opere di altri artisti in altri tempi creando una tradizione nel racconto dei beni culturali ossia creando la storia dell’arte, dunque dicevo parleremo solo brevemente del Verismo e del Naturalismo a cui ho pensato guardando la statua di Novembre. Si tratta di due correnti di cui la differenza è grande come la cruna di un ago insomma sintetizzando molto spesso se ne fa un fascio solo e senza nemmeno troppo pensiero, e mescolando tutto insieme con il Realismo persino, infatti queste correnti sono per esprimere la realtà con la massima fedeltà, senza interpretazioni romantiche né idealizzazione alcuna; il verismo dice: bisogna guardare la verità in faccia in modo crudo, qualsiasi esso sia siano riprodotti i fatti stanti seppur nella loro miseria e crudeltà, così da poterne trarre la vera essenza, da poterne conoscere l’allegria e il riso dell’umanità e della realtà riprodotta, mentre il naturalismo di solito invece considera la natura nella sua interezza.

Ha la tendenza a riprodurla in modo veritiero, ma facendo capo a un modello a un pensiero generale intorno alla natura, seppur vago e in qualche modo inconscia espressione della visione personale del singolo artista. Insomma guardando per esempio un quadro naturalista possiamo vedere la natura proprio così come appare in realtà ad un primo sguardo. Possiamo vedere un paesaggio, un bosco ad esempio, come appena arrivati al suo limitare. Quello ci mette a nostro agio immediatamente, ma alla lunga stufa. Un quadro verista invece a tutta prima è onestamente orribile, vero al cento per cento, mostra l’intimità di un personaggio immediatamente senza dare lui tempo di nascondersi come fanno tutti per pudore di mostrare questo o quel difetto, né di presentare la sua profondità psicologica, complessa o semplice che sia, e quindi anche di farsi accettare dall’altro. Toglie il nascondimento, il fascino della conquista. Mostra quel momento di fulgida lucidità a cui si arriva solo al culmine di un lungo discorso e non mostra altro. Solo abituandoci nel guardarlo, riconoscendo particolari veritieri permette di riprendersi dalla forte impressione che un quadro naturalista o per la precisione verista talvolta provoca. Ho scritto abbastanza, tanto che per il momento delle quattro statue al centro della Fontana del Ceppi non posso dire altro se non che tradizionalmente sono espressione di una allegoria: quattro fiumi piemontesi.

Ovviamente vediamo il Po e la Dora che gli abitanti di Torino ben conoscono, uno è l’uomo barbuto assiso, mentre la Dora è la fanciulla con una corona di margherite sul capo affiancata da una capra, poi vediamo il fiume Stura di Demonte rappresentato da tre figure femminili nude avviluppate in stoffe, infine l’affluente di sinistra del Po, il Sengone, raffigurato come un genio acquatico vicino a due giovani amanti. La leggenda di Fetonte e la storia del suo carro sarà per una prossima uscita, Aurevoir!

 

Elettra-ellie-Nicodemi

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

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Michael Dobbs “Attacco dalla Cina”   – Fazi Editore- euro 16,00

Michael Dobbs continua a mettere a frutto la sua esperienza di uomo politico (membro del Parlamento Conservatore inglese, ha guidato lo staff del partito durante il governo della Tatcher) e in più ha il dono di saper imbastire trame accattivanti e sciorinarle con un ritmo cinematografico…Non per nulla è l’autore e sceneggiatore di “House of Cards”, serie tv di strepitoso successo con Robin Wright e Kevin Spacey (poi miseramente naufragata per il vizietto dell’attore).

Dobbs scrive di ciò che conosce benissimo e prosegue sulla linea dei suoi thriller politici (“Il giorno dei Lord”). In “Attacco dalla Cina” ritroviamo il suo protagonista Harry Jones, integerrimo ex militare pluridecorato e sorta di 007 del nuovo millennio. La trama è mozzafiato, e neanche poi tanto lontana da qualcosa che potrebbe davvero accadere. All’orizzonte si profila un “cyber attack” scatenato da geniali hacker cinesi che sta per mettere in ginocchio le principali potenze del globo e scatenare la terza guerra mondiale, senza che venga sparato neanche un colpo. Il primo ministro inglese, Mark D’Arby, convoca, in grandissimo segreto, i principali leader: la presidente americana Blythe Elisabeth Harrison (alle prese anche con i tradimenti del marito) e il presidente russo Sunin (uomo spietato che non esita a uccidere a sangue freddo i dissidenti). Luogo dell’incontro di questi pezzi da 90 è un suggestivo castello scozzese abitato da una nobildonna e suo nipote. Nelle stanze della magione D’Arby cerca di convincere gli altri a reagire immediatamente contro la minaccia. Dietro questo nuovo incubo ci sarebbe il presidente cinese Mao Yanming. Starebbe progettando di mettere in ginocchio il pianeta con un mortale click che prenda di mira centrali nucleari, linee energetiche, mercati finanziari e tutto quello che ormai si regge sui sistemi informatici. Insomma una guerra cibernetica che riscriverebbe i ruoli di potere e supremazia delle nazioni. Godetevi i numerosi colpi di scena e aspettatevi molte sorprese…

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Mazo de la Roche “Jalna”   -Fazi editore- euro 18,00

La vita stessa della scrittrice canadese Mazo de la Roche (nata a Newmarket nel 1879, morta a Toronto nel 1961 a 82 anni) vale più di mille romanzi. Un’infanzia solitaria allietata dalla passione per la lettura, una fantasia inarrestabile che la cala in un mondo immaginario. Un rapporto fuori dagli schemi con la compagna di tutta la vita Caroline Clement: la cugina orfana di 8 anni che i genitori di Mazo avevano adottato quando lei ne aveva 7. Da allora sono state inseparabili, in quello che all’epoca era chiamato “Boston Marriage”, e adottarono anche due bambini. Una vita che ha ispirato il film del 2012“The mystery of Mazo de la Roche” in cui vengono ricostruite scene e fasi della sua vita privata, che lei difese sempre tenacemente.

Nell’arco della sua lunga e complessa esistenza ha scritto 23 romanzi, tra i quali la saga di Jalna, nel 1927. Si rivelò un successo internazionale e lei fu la prima donna a vincere i 10.000 dollari del prestigioso Atlantic Monthly Prize.

“Jalna” è il primo romanzo di una saga familiare architettata in 16 volumi che abbracciano l’arco di tempo tra 1854 e 1954. E’ ambientata in Canada e racconta la storia della famiglia Whiteoak, padroni del maniero di Jalna, nell’Ontario. Capostipiti il capitano Philiph e la sua adorata moglie Adeline. Lei sarà la matriarca che nel romanzo sta per bissare la boa dei 100anni, circondata dalle vicende di uno stuolo di figli e nipoti di cui detiene il controllo, tra una bizza e l’altra. La vita a Jalna sembra scorrere tranquilla; poi a sparigliare le carte ecco l’arrivo di due nuore. La giovane figlia illegittima del vicino Pheasanth, che sposa Piers con un colpo di mano, e nessuno in famiglia accetta. Mentre sembra andare un po’ meglio con l’intellettuale newyorkese Alayne, che impalma Eden, convinta che lui abbia un glorioso futuro come poeta, salvo poi   scoprire che è un pigro indolente. Poi Cupido fa il suo lavoro e le coppie saltano in un incrocio di fraterni tradimenti che non vi anticipo. Un romanzo tutto da gustare che racconta mirabilmente sentimenti, passioni, rivalità e odi all’interno di un complesso nucleo familiare.

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Liane Moriarty “Nove perfetti sconosciuti” -Mondadori-   euro 20,00

Liane Moriarty è l’autrice australiana che ha scritto il romanzo bestseller “Piccole grandi bugie” da cui è stata tratta la serie tv interpretata da Nicole Kidman e Reese Whiterspoon. Ora torna in libreria con una storia ambientata in una remota località termale dal nome emblematico, il boutique-resort

benessere “Tranquillum House”. Una villa vittoriana in cui convergono 9 persone diversissime tra loro, spinte da motivazioni differenti. Denominatore comune: cambiare le loro vite. Dall’avvocato divorzista (che rappresenta solo donne) ai coniugi sull’orlo della separazione; dall’ex atleta alla donna abbandonata dal marito (per una più giovane), per arrivare a un’intera famiglia piena zeppa di problemi. Arriva anche la 52enne scrittrice di romanzi rosa Frances Welty, afflitta da mal di schiena, cuore infranto e declino professionale che la vede un po’ in affanno di vendite.

E’ decisamente incuriosita dagli altri ospiti, ma soprattutto dalla direttrice Masha: donna carismatica, che promette remise en forme di più tipi. Nella sua Beauty Farm in soli 10 giorni l’esistenza può virare al meglio. I vari programmi personalizzati sono all’insegna del lusso e spaziano tra diete detox e dimagranti, meditazione, yoga e coccole varie per rimettere a nuovo corpo e anima.

Ma nessuno degli ospiti immagina quanto si riveleranno difficili i 10 giorni che li aspettano sulla via del benessere. Si troveranno catapultati e prigionieri di ritmi incalzanti, percorsi e pratiche insolite e bizzarre, regole rigidissime. La storia corale, tra siparietti divertenti, ma anche suspence e introspezione, finisce per sconfinare nel thriller …E tenetevi pronti a sviluppi inquietanti.

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28 ottobre 1938, l’addio delle Brigate Internazionali a Barcellona

ACCADDE OGGI

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Despedida in spagnolo significa partenza,addio. E’ anche la parola con la quale si ricorda l’omaggio tributato dai barcellonesi ai volontari stranieri delle brigate Internazionali che lasciavano la Spagna in seguito alla scelta unilaterale del governo repubblicano di smobilitare le loro formazioni per indurre la Società delle Nazioni a pretendere il ritiro dei “volontari” italiani, tedeschi e portoghesi che combattevano nella fila dei nazionalisti di Francisco Franco. Settantanove anni fa, il 28 ottobre 1938 i combattenti delle Brigate Internazionali sfilarono per un’ultima volta sulla Diagonale di Barcellona davanti a duecentomila persone e alle massime autorità repubblicane.

Dolores Ibarruri, la Pasionaria, li salutò così: “Compagni delle Brigate Internazionali! Potete partire a testa alta. Voi siete la storia. Voi siete la leggenda, siete l’esempio eroico della solidarietà e dell’universalità della democrazia!”. L’affetto della popolazione si manifestò in mille modi: applausi, lacrime, grida d’incitamento,lanci di fiori al passaggio dei combattenti stranieri provenienti da cinquantadue paesi dei cinque continenti. Gli altoparlanti annunciarono alla città l’inizio della sfilata con poco anticipo.La situazione consigliava la massima prudenza poiché le truppe fasciste e franchiste erano a ridosso della frontiera dell’Ebro e  la loro aviazione bombardava con frequenza i quartieri di Barcellona e le località catalane.Tutto ciò non impedì quell’incredibile commiato durate il quale avvenne anche il trasferimento delle bandiere e delle armi delle Brigate Internazionali all’esercito repubblicano spagnolo. La Despedida fu uno degli atti conclusivi della guerra civile spagnola, preludio e prova generale della Seconda guerra mondiale. Cinque mesi dopo, in primavera, si affermarono i golpisti di Francisco Franco con l’aiuto fondamentale dei nazisti che inviarono la divisione aerea Condor,forte di circa seimila uomini,e dei fascisti italiani che oltre all’aviazione e alla marina impiegarono in totale circa 60mila uomini, dieci volte più degli alleati tedeschi. Tornando a “las brigadas internacionales” va ricordato che tra il ’36 e il ’37,a difesa del governo repubblicano, arrivarono in Spagna circa quarantamila volontari che formarono queste brigate.

Un quarto di loro persero la vita in combattimento e altrettanti furono i dispersi e i feriti gravi.Altri cinquemila uomini combatterono inquadrati nelle unità dell’esercito repubblicano e diverse migliaia furono impiegati nei servizi sanitari o ausiliari. I primi contingenti,organizzati dalla Terza Internazionale, entrarono clandestinamente in Spagna attraverso la frontiera francese nell’ottobre 1936 e dopo aver ricevuto un addestramento sommario ad Albacete, raggiunsero Madrid assediata dai nazionalisti. Una vera e propria internazionale antifascista composta da diecimila francesi, cinquemila tedeschi, tremilatrecentocinquanta italiani, duemilaottocento statunitensi, duemila inglesi,mille canadesi e diverse centinaia di jugoslavi, albanesi, ungheresi,belgi,polacchi, bulgari, cecoslovacchi, svizzeri, nordeuropei, messicani e africani. La partecipazione dei volontari italiani, inquadrati nella Brigata Garibaldi, fu tra le più consistenti e venne guidata sul campo da alcuni dei maggiori esponenti dell’antifascismo:i comunisti Togliatti,Longo,Di Vittorio e Vidali, il socialista Nenni, il repubblicano Pacciardi, l’anarchico Camillo Berneri e Carlo Rosselli, dirigente di Giustizia e Libertà. Molti dei più importanti intellettuali del tempo sostennero la causa della Repubblica come George Orwell,che combattè nelle milizie del POUM, Ernest Hemingway e John Dos Passos che scrissero romanzi e reportage, osservarono, raccontarono.

Le Brigate internazionali ebbero un ruolo determinante nella difesa di Madrid, distinguendosi nella battaglia di Guadalajara nel marzo 1937 e nelle grandi offensive repubblicane su Belchite (agosto ’37), Teruel (dicembre ’37 – gennaio ’38) e sull’Ebro (luglio 1938). Una storia importante e coraggiosa.Pablo Neruda, grande poeta cileno amico del poeta spagnolo Garcia Lorca, ucciso dai falangisti nel ’36, dedicò alla terra per cui anche egli aveva combattuto la raccolta di poesie “Spagna nel cuore”. E scrisse questi versi, in “Arrivo a Madrid della Brigata Internazionale” : “quando non avevamo altra speranza che un sogno di munizioni,quando ormai credevamo che il mondo fosse pieno soltanto di mostri divoratori  e di furie,…compagni,allora, allora,vi ho veduti,e i miei occhi sono tuttora pieni di orgoglio”.

Marco Travaglini

Rock Jazz e dintorni. Brian Auger e Club to Club

Gli appuntamenti musicali della settimana

Lunedì. Al Jazz Club suona il quintetto Baklava Klezmer Soul. Al Magazzino sul Po si esibisce il quartetto Malmo Sister Fay.

Martedì. Al Blah Blah e al Massimo, sonorizzazioni di film muti con Propaganda 1904 con il classico “Das Cabinet Des Dr. Caligari e Giorgio Li Calzi con il documentario “Leonardo Da Vinci”.

Mercoledì. Il “re” dell’organo Hammond Brian Auger (foto) con gli Oblivion Express, suona al Folk Club. Al Jazz Club è di scena Sofie Reed. Parte l’edizione numero 19 di “Club to Club” alle OGR con il rapper Slowthai. Al Blah Blah si esibiscono gli Strange Hands e Mandingo. Al Cap 10100 suonano i Chico Trujillo.

Giovedì. Al Jazz Club si esibisce il quintetto della vocalist Alemay Fernandez. All’Opificio Cucina e Bottega per “Novara jazz” è di scena il quintetto di Luca Pissavini. Per “Club to Club” alle OGR si esibisce Holly Herndon mentre allo Ziggy suonano gli Scarlet & The Spooky Spiders. Al Lingotto per “Movement” sono di scena Jamie Jones, Amelie Lens e Joseph Capriati.

Venerdì. Al Blah Blah si esibiscono i Love’n’Joy. Per “Movement” al Milk sono di scena Magit Cacoon e Brina Knauss. Per “Club to Club” al Lingotto arrivano Battles, James Blake, Skee Mask, Flume, Let’s Eat Grandma, Black Midi, in appendice alle OGR sono di scena Visible Cloaks con Satsuki Shibano e Yoshio Ojima. All’OffTopic canta Tish.

Sabato. Al Milk si esibisce il rapper Black Youngsta. Al Lingotto per “Club to Club” sono di scena i Comet is Coming, Chromatics e Sophie, Floating Points, Nihvek. Al Pala CRS di Saluzzo, gemellaggio tra “Uvernada”  e “Matera 2019” con Lou Dalfin e Lou Tapage. All’Audiodrome di Moncalieri per “Movement”, si esibisce Derrick May.

Domenica. Allo Spazio 211 suonano i giapponesi Acid Mothers Temple. Chiusura di “Club to Club” a Porta Palazzo con Napoli Segreta  e il duo Stump Valley.

 

Pier Luigi Fuggetta

 

“Mario Soldati. La gioia di vivere”. Il libro di Quaglieni al Circolo dei lettori

Lunedì 28 ottobre alle ore 18, al Circolo dei lettori, In via Bogino 7 lo storico Gianni Oliva e la gastronoma dell’Accademia italiana della cucina Elisabetta Cocito presenteranno il libro di Pier Franco Quaglieni “Mario Soldati, la gioia di vivere“, Golem Edizioni, a vent’anni dalla scomparsa dello scrittore-gourmet. il libro e ‘ alla terza ristampa e torna in una presentazione torinese dopo oltre trenta presentazioni in un tutta Italia dalla Versilia a Capri. Il libro che ha la copertina di Ugo Nespolo, raccoglie tante testimonianze sulla poliedrica figura di Soldati e un importante saggio di uno degli amici più cari di Soldati, il prof. Pier Franco Quaglieni con cui nel 1968 fondo ‘ il Centro Pannunzio

Il nuovissimo thriller “La notte allo specchio” di Adriana Mazzini

Pubblicato da HarperCollins
Di fronte ad un pubblico attento e partecipe al Caffè Roberto, giovedì scorso, è stato presentato il nuovissimo thriller “La notte allo specchio” di Adriana Mazzini, editore HarperCollins. A introdurre il “padrone di casa” Roberto Tricarico con i giornalisti Umberto La Rocca, già direttore del Corriere Torino e Andrea Malaguti, vice direttore della Stampa.
Adriana Mazzini, in un libro pieno di tensione e colpi di scena,  al suo esordio letterario dopo una carriera in un’organizzazione internazionale, racconta la storia di Alice, una donna forte e fragile al tempo stesso, che riprende in chiave italiana la lezione delle più grandi autrici thriller del mondo, da Patricia Cornwell a Kathy Reichs. Hellen Alice Brown è una profiler. Era una delle migliori, nel suo lavoro, collaborava con successo a un’unità anticrisi della Omicidi. Finché un fatto ha sconvolto la sua vita. È stata rapita da un serial killer, che l’ha tenuta prigioniera assieme alla figlia della sua migliore amica. E poco importa che si siano salvate. Il prezzo pagato è stato comunque troppo alto. Così Hellen ha rinunciato al suo primo nome e alla sua vita. Ora è solo Alice, e vive a Torino, dove lavora come ricercatrice per le Nazioni Unite. Un’esistenza piatta e solitaria. Ma l’uccisione di una ragazza la riporterà in un mondo di morte e pulsioni profonde. Controvoglia Alice accetta di partecipare alle indagini in un susseguirsi di morti misteriose, forse opera di una setta religiosa, legata alla simbologia della Sindone. O di un serial killer.
Sulle strade percorse da un’umanità dimenticata e penetrando i segreti dell’alta società, Alice dovrà rendere conto degli errori commessi in passato e provare a scoprire una terribile verità. Accanto a lei Nunzi, un commissario disilluso e incapace di superare la morte della moglie.
Franco Maria Botta

Il Califfo cerca asilo alla Gam

Muhannad Shono

The Caliph Seeks Asylum (Il Califfo cerca Asilo), 2019

Installazione Site-Specific per il giardino della GAM

29 ottobre 2019 – 19 gennaio 2020

Giardino della GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino

Inaugurazione martedì 29 ottobre alle 18.30

 

 

La Fondazione Torino Musei, in occasione di Artissima, Fiera internazionale d’Arte Contemporanea e del nuovo progetto per l’edizione 2019 “Hub Middle East”, che prevede la presenza a Torino dei più significativi rappresentanti di fondazioni, musei e gallerie insieme a collezionisti, critici, curatori e artisti del Medio-Oriente, presenta nel giardino della GAM, e per la prima volta in una istituzione museale italiana,  l’installazione site-specific dell’artista Saudita Muhannad Shono (Riyadh, Arabia Saudita, 1977) dal titolo “The Caliph seeks Asylum (il Califfo cerca Asilo)”.

Si tratta di un’installazione realizzata con 3.500 tubi in PVC nero disposti come un accampamento di fortuna con l’intento di apparire “fuori dal contesto di tempo e spazio” e l’intenzione di ricostruire il Pensiero Arabo. I tubi presentano minute decorazioni che richiamano la raffinatezza degli antichi volumi miniati della cultura arabo-islamica andati distrutti nella Presa di Baghdad.

Baghdad, Capitale del Califfato Abbaside fondata nel 762 DC, fu annientata nel 1258 dalle orde mongole. All’epoca era un centro culturale di scambio e sviluppo intellettuale e la sua Biblioteca Bayt al-Ḥikma “Casa della Sapienza” era il fulcro dell’eccellenza nella trasmissione del sapere, dove filosofi, scienziati e studiosi si incontravano nella Madinat al-Salaam o “Città della Pace”, e si scambiavano erudizione e conoscenza ai più alti livelli. L’Epoca d’oro è stata un periodo di fioritura culturale, economica e scientifica nella storia dell’Islam.

La presa di Baghdad fu un evento traumatico: durò 40 giorni e si diceva che il fiume Tigri fosse rosso per il sangue degli intellettuali assassinati e nero per l’inchiostro dei volumi distrutti.

Muhannad Shono riconsidera gli accadimenti storici appresi a scuola e l’impatto che hanno avuto su di lui e sul pensiero collettivo islamico. Poiché rifiuta l’idea che la gloria è data dal potere e dalle vittorie in battaglia, sospende questi insegnamenti nel tempo e rimappa e riscrive una nuova cronologia. L’artista suggerisce di tornare all’antica gloria dell’Epoca d’oro di Bagdad non attraverso la resurrezione dei califfati bensì tramite la ricerca di conoscenza, l’emancipazione del pensiero libero e la ricostruzione della Casa della Sapienza Araba.

Il progetto è stato pensato dall’artista appositamente per gli spazi del museo ed è realizzato in collaborazione con la Athr Gallery di Jeddah e grazie al supporto dello studio Leading Law Notai e Avvocati di Torino. L’inaugurazione si svolgerà alla presenza di Muhannad Shono, dei rappresentanti della Athr Gallery e di autorità saudite martedì 29 ottobre 2019 e resterà visibile al pubblico nella sua imponente magnificenza e oscurità fino al 19 gennaio 2020.

GAM – Torino / Via Magenta, 31 Torino – Tutti i giorni 10 – 18 – Ingresso libero (giardino)

Riscoprire la lingua e i proverbi piemontesi

“La tradizione di un popolo, di un luogo, di un territorio fa riferimento alla storia ma anche a usi e costumi, modi di dire e di vivere che definiscono in modo preciso l’identità di quel popolo, di quel luogo o di quel territorio, rappresentandone alcuni suoi tratti fondamentali. Ecco perché sono convinto che anche in Piemonte le tradizioni popolari non debbano solo essere custodite nei musei – per quanto preziosi nella loro funzione – ma debbano invece continuare a vivere fra la gente, attraverso la loro riscoperta e diffusione, per diventare un patrimonio realmente condiviso da tutti i piemontesi”, così ha affermato Stefano Allasia, presidente del Consiglio regionale nell’imminenza della prima Giornata nazionale del folklore e delle tradizioni popolari, indetta per sabato 26 ottobre, da una direttiva del presidente del Consiglio dei ministri nel luglio scorso.

“Il Consiglio regionale ha deciso di contribuire alla promozione delle tradizioni popolari rendendole innanzitutto più “social”, per avvicinare anche le giovani generazioni a questo inestimabile bagaglio culturale che connota la nostra regione”, continua il presidente.

Da domani sarà infatti avviata una nuova rubrica sull’account  Facebook del Consiglio regionale che ogni giorno darà notizia dei proverbi e dei modi di dire in piemontese, un modo per riscoprire l’autenticità di una lingua e la sua capacità di descrivere il carattere e le attitudini dei suoi abitanti.

“Questa non è che una delle iniziative che intendiamo sostenere nell’ottica di una tutela sempre più attiva delle tradizioni popolari, perché si rafforzi la consapevolezza del loro essere un formidabile strumento di valorizzazione, anche turistica e quindi economica del Piemonte, nella loro molteplice ricchezza e varietà”, conclude Allasia.