CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 580

I “Macchiaioli” secondo “Gli Amici della Biblioteca d’Arte”

Alla GAM di Torino il “dietro le quinte” della mostra in corso da fine ottobre

Fondata il 31 maggio scorso, per essere (insieme all’Archivio Storico e all’Archivio Fotografico) luogo di riferimento specifico per gli studenti e i professionisti legati al mondo dell’arte che vivono a Torino e in tutto il Nord Italia, l’Associazione Amici della Biblioteca d’Arte dei Musei Civici – Fondazione Torino Musei dà avvio, in questo mese di dicembre, alla sua attività con un ciclo di incontri che si terranno alla GAM e che avranno al centro la Biblioteca della Fondazione Torino Musei e il suo patrimonio di libri, documenti e fotografie, strumenti fondamentali per lo storico dell’arte nel suo rapporto con le opere. Le mostre, le ricerche, i libri faranno da filo conduttore delle conversazioni, con l’intento di aprirsi alla cittadinanza, facendo scoprire la Biblioteca e avvicinandola a un lavoro, quello dello storico dell’arte e del curatore, molto concreto e dentro la realtà quotidiana, più di quanto si possa pensare.  Ad aprire gli appuntamenti sarà, il prossimo mercoledì 5 dicembre (ore 18) nella Sala UNO della GAM ( in via Magenta 31, a Torino), la presentazione della mostra “I Macchiaioli. Arte italiana verso la modernità”. Presentazione del tutto particolare. Una sorta di “dietro le quinte” di Una mostra in quattro date: Parigi 1855, Torino 1861, Firenze 1867, Torino 1926. Relatrici Virginia Bertone (curatrice, insieme a Cristina Acidini, della rassegna espositiva) e Silvestra Bietoletti (con Francesca Petrucci, alla guida del coordinamento tecnico-scientifico). Inaugurata lo scorso 25 ottobre nelle sale della GAM, la mostra (in programma fino al 24 marzo del prossimo anno) sta riscuotendo un considerevole interesse da parte del pubblico, registrando in sole 4 settimane la bellezza di 30.000 presenze. Silvestra Bietoletti e Virginia Bertone sveleranno alcuni aspetti dell’impegnativo lavoro di preparazione: la scelta delle opere considerate irrinunciabili, il taglio critico che rinnova la tradizionale presentazione dell’esperienza dei macchiaioli, gli accordi stipulati tra i musei per alcuni tra i prestiti più delicati e infine il contributo della Biblioteca d’Arte dei Musei Civici – Fondazione Torino Musei: il tutto attraverso quattro date, che rappresentano gli snodi cruciali del percorso.L’ingresso é libero fino a esaurimento posti disponibili.

g.m.

E questi i prossimi appuntamenti in calendario:

 

Mercoledì 12 dicembre

Esercizi di lettura. Libri, album, cataloghi

Presentazione del volume di Paolo Mussat Sartor: “Industrial Sanctuaries”, Maschietto editore 2018

Interviene Pier Giovanni Castagnoli

 

Mercoledì 9 gennaio 2019 – Wunderkammer

Come nascono le mostre. Ricerche, archivi, confronti

Presentazione della mostra “Apollinaire e l’invenzione ‘surréaliste’. La grazia sur-reale: vita e miracoli d’arte di Guillaume Apollinaire”. 

Un racconto parlato e cantato di Luca Scarlini

 

Mercoledì 23 gennaio 2019

Vivere di (storia dell’) arte. Professioni, temi, strumenti

“La cornice come ornamento e decorazione”

Orso Maria Piavento: “Decorazioni barocche per altari rinascimentali”

Aurora Laurenti: “Funzione e modelli delle cornici rococò”

 

Mercoledì 30 gennaio 2019

Esercizi di lettura. Libri, album, cataloghi

Presentazione del volume di Dieter Roth: “Pages”, a cura di Elena Volpato, FLAT 2018

 

Mercoledì 6 febbraio 2019

Come nascono le mostre. Ricerche, archivi, confronti

Presentazione della mostra “Madame Reali: cultura e potere da Parigi a Torino. Cristina di Francia e Giovanna Battista di Savoia Nemours (1619-1724)”

Intervengono: Clelia Arnaldi di Balme e Paola Ruffino con Alessandra Giovannini Luca

 

Mercoledì 13 febbraio 2019

Vivere di (storia dell’) arte. Professioni, temi, strumenti

“Gli oggetti d’arte dalle botteghe al museo”

Giampaolo Distefano: “Gli smalti medievali: uso e riuso”

Luca Giacomelli: “Le ceramiche ottocentesche di Palazzo Madama”

 

Per informazioni: amicibibliogam@gmail.com

***

Foto

– Cristiano Banti: “In via per la chiesa”, olio su tavola, 1865

– Giovanni Fattori: “Soldati francesi del ’59”, olio su tavola, 1859
-Silvestro Lega: “Una veduta in Piagentina”, olio su tavola, 1863
– Odoardo Borrani: “Il 26 aprile 1859 in Firenze”, olio su tela, 1861

“Wildlife” diretto con grande maturità da Paul Dano eletto miglior film

Premiando (con una cifra di 18.000 euro) Wildlife, opera prima del trentaquattrenne Paul Dano – sinora attore: Little Miss Sunshine, Il petroliere, Youth di Sorrentino, tra gli altri -, la giuria presieduta dal regista cinese Jia Zhangke ha accomunato i temi del lavoro e soprattutto dello sgretolamento familiare, che visti sotto più forme e vicende sono state le voci più importanti di questa 36ma edizione del TFF. Addentro agli anni Sessanta, in un Montana fatto di piccole cittadine, di solitudini, di vallate verdi e di montagne, di esistenze che si trascinano ormai giorno dopo giorno, Dano analizza con singolare partecipazione, con un’attenzione che scava negli animi e nelle ferite, nelle crisi e nelle ribellioni, con la bravura davvero di un regista maturo e navigato, eleggendo la direzione degli attori a suo punto di forza. Per cui, inevitabile, salta fuori la domanda dell’esclusione di Carey Mulligan, moglie (e madre) chiamata a combattere contro l’assenza dello sposo Jake Gyllenhaal e disposta a cercare un riparo sotto la casa del datore di lavoro sotto lo sguardo del figlio Ed Oxenbould, testimone muto. Il premio alla migliore attrice è così andato a Grace Passô del brasiliano Temporada firmato da André Novais Oliveira. Il premio Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (per il valore di 7.000 euro) è stato vinto da Atlas del tedesco David Nawrath, crudele vicenda di soprusi e di speculazioni, con al centro il personaggio di Walter, uomo duro e solitario, che lavora con una compagnia di recupero crediti in affari con la malavita, obbediente a far da intruso nelle case altrui che vanno sgomberate fino al giorno in cui qualcuno dai modi troppo spicci entra nella squadra di lavoro e Walter deve bussare alla porta di un alloggio che mai avrebbe voluto sgomberare. Un’opera eccellente nei suoi ritmi narrativi, le atmosfere noir, la descrizione delle facce, con un protagonista, Rainer Bock, giustamente vincitore del premio per il miglior attore, ex aequo con Jacob Cedergren, al centro degli 85’ del danese The Guilty diretto da Gustav Möller, l’immagine fatta acuta tensione, nel chiuso di una stanza del pronto intervento telefonico a ricevere richieste d’aiuto e a tentare di indirizzare il risultato di un’indagine interna cui è sottoposto, un assolo dentro cui modulare ogni sentimento e questo attore, finora lontano da noi, lo fa con una ricchezza davvero invidiabile di voci, rassicuranti e rabbiose, di sguardi, di gesti. Il film, scritto da Möller e da Emil Nygaard Albertsen, si porta a casa anche il Premio per la migliore sceneggiatura: speriamo che qualche distributore italiano abbia voglia di importarlo. A completare il successo del film, va aggiunto il significativo Premio del pubblico da dividere con Nos batailles del francese Guillaume Senez, ancora il mondo del lavoro visto attraverso gli occhi di un padre, capo reparto e sindacalista, obbligato a reiventare per sé e per il figlio una vita nuova dopo che la moglie, inspiegabilmente, un giorno lo ha lasciato. Avevamo detto nei giorni scorsi come, in mezzo al mare magnum delle storie grondanti disperazione, violenza, solitudine, disillusioni, attraverso il panorama odierno fatto di uomini e donne e dei loro problemi, eccetera eccetera, ci fosse qualcuno in fondo al tunnel con il desiderio di ribaltare – nonostante un’idea iniziale di abbandono, sotto i cieli parigini, da parte di un’innamorata verso il proprio ragazzo – con un sorriso, di reinventare pure lui i contorni di una adolescenza e di una giovinezza, andando a rovistare tra i ricordi o inventandone di nuovi, rabberciati e più o meno consolanti, nell’intento di comprendere le ragioni della malinconia che da sempre lo affligge. La storia ha per titolo Bad Poems, diretta e interpretata da Gàbor Reisz, un’autentica boccata d’aria e di sorrisi, di divertimento, piaciuto alla giuria che gli ha decretato il suo Premio Speciale. I titoli da eleggere sotto varie forme erano questi, il cilindro racchiudeva una scelta più o meno ristretta da cui tirar su i titoli migliori, tralasciando quel che di risaputo o già troppo visto o alla lunga di insignificante ci potesse essere all’interno di certe storie (forse si è dimenticato Marche ou crève della fotografa francese Margaux Bonhomme). Le debolezze in varie pellicole non mancavano: e la giuria è andata a colpo sicuro nella distribuzione dei vari premi.

 

 

Elio Rabbione

 

 

Nelle immagini, momenti tratti dai film vincitori: nell’ordine “Wildlife” di Paul Dano (Stati Uniti), “The guilty” diretto da Gustav Möller (Danimarca), “Atlas” di David Nawrath (Germania) e “Bad Poems” di Gàbor Reisz (Ungheria).

 

L’isola del libro

Panoramica settimanale sul mondo dei libri

.

Alessia Gazzola “Il ladro gentiluomo”  Longanesi- Euro 18,60

Ottava avventura per Alice Allevi, l’anatomopatologa più simpatica d’Italia creata da Alessia Gazzola, autrice inarrestabile (800.00 copie vendute solo nel nostro paese) e reduce anche dallo strepitoso successo della fiction tv ispirata alla sua “Allieva”, che ha fatto man bassa di share su Rai 1, interpretata da Alessandra Mastronardi e Lino Guanciale. Questa volta la giovane anatomopatologa -pasticciona ma intuitiva che risolve casi intricati- è finalmente diventata specialista in Medicina Legale. Un punto segnato sul piano professionale; mentre su quello affettivo è ancora nebuloso il rapporto con l’affascinante medico legale Claudio Conforti. Dopo un altalenante corteggiamento sembrava cosa fatta e invece, in un momento di sconforto, Alice chiede il trasferimento. Detto fatto…. eccola dirottata a Domodossola dove non ha certo il tempo di annoiarsi. Un nuovo caso l’attende e inizia con il ritrovamento di un prezioso diamante nello stomaco del cadavere a cui ha fatto l’autopsia. Peccato che ingenuamente lo consegni a un finto ufficiale giudiziario….

 

Antonio Caprarica “Royal baby”–Sperling&Kupfer – Euro 18,50

Con l’annunciata gravidanza di Megan Markle è più attuale che mai il provocatorio “Royal Baby”, ultima fatica letteraria del giornalista Antonio Caprarica che, sulla scorta di 30 anni di reportage televisivi dall’estero, inclusa una lunga corrispondenza da Londra, è voce autorevole in materia di faccende regali, in primis quelle anglosassoni. Il libro-pamphlet uscito quasi in contemporanea con la nascita di Louis Arthur Charles Principe di Cambridge, 3° erede di William e Kate, lancia una tesi very hard. Secondo Caprarica è un paradosso che molte società decidano di affidare il loro futuro a una guida che è il frutto di una sorta di lotteria genetica. Sostiene che di solito gli eredi designati in realtà sono degli alieni: disadattati, convinti della loro superiorità ed ossequiati in modo servile, tanto che faticano spesso a venire a patti con il mondo reale. Rivelandosi per lo più estranei alle emozioni, ai sentimenti e alle passioni dei loro sudditi. Leggere per credere.

 

Antonella Boralevi “La bambina nel buio” –Baldini +Castoldi- Euro 20,00

La giornalista, scrittrice, saggista e sceneggiatrice è tornata in libreria con un thriller che si legge tutto d’un fiato (nonostante le 587 pagine) e gronda introspezione psicologica dei vari personaggi, descritti con la consueta bravura dell’autrice. L’avvio della storia, nella campagna veneta, è datato 1985 quando i coniugi parvenu (modeste origini ma grande riscossa economica) Paolo e Manuela Zanca danno una festa per i 20 anni di matrimonio nella loro sontuosa villa, circondati da nobili e buona società veneziana. Appuntamento nefasto col destino perché proprio quella sera scompare la loro unica figlia ed erede, l’undicenne Moreschina, di cui non si saprà più nulla. Salto temporale 32 anni dopo, nel 20017, a Venezia con l’arrivo della trentenne inglese Emma Thorpe che cela un segreto e finisce ospite nel palazzo sul Canal Grande di un conte più misterioso ancora di lei. Introspezione e antichi misteri da svelare la fanno da padroni in questa seconda parte del libro. Risolutivo sarà l’incontro di Emma con il commissario di polizia sciupa femmine, Alfio Mancuso, sullo sfondo di una Venezia memorabile, in un crescendo di suspence e colpi di scena …fino all’epilogo che finalmente mette un punto fermo e tragico al mistero di tanti anni prima. Da segnalare: l’editore ha da poco riportato in libreria il primissimo romanzo della Boralevi “Prima che il vento”. Un felice ritorno per chi ama questa scrittrice o per chi vuole conoscerla meglio.

Diego Conti ci parla di Sanremo Giovani

Aldo Grasso, sul Corriere della Sera anni fa disse: ”Sanremo è una festa popolare, la sconfitta delle élite culturali, delle minoranze autocompiaciute, di quelli che soffrono di mal di metafora, almeno da quando Ennio Flaiano, posando il suo sguardo sul Festival, ebbe a dire: «Non ho mai visto niente di più anchilosato, rabberciato, futile, vanitoso, lercio e interessato». Sanremo è una grande festa sgangherata e insieme una fiction che ogni anno racconta lo stato di salute del Paese, senza l’ambizione di rispecchiarlo. È una memoria che tutte le volte celebra il suo perpetuarsi. Avere paura del Festival di Sanremo significa avere paura della propria ombra: ombra di un rito fondativo, di una canterina sventatezza nazionale, di una coscienza identitaria. Se, pur fra mille polemiche, Sanremo resiste da più di cinquant’anni, qualcosa significherà pure.” Beh io credo che resista da più di cinquant’anni perchè il Festival è come una spugna: raccoglie tutto ciò che c’è sul pavimento e quando vai a spremerla esce fuori il succo della società. Quest’anno, tra i giovani, tutti meritevoli (chi lo sa) spicca un volto a me caro, di cui già parlai tempo fa in un altro articolo. Ragazzo talentuoso sì, ma, a parer mio, la dimostrazione che Il talento non basta: occorre tenacia. Tra una persona talentuosa senza tenacia e un’altra tenace, ma senza talento, sarà quest’ultima a ottenere i risultati migliori. Ed eccoli i risultati, che noi ci auguriamo aumentino sempre più.

Ho fatto qualche domanda a Diego Conti riguardante il suo ingresso a Sanremo Giovani ed eccovi l’intervista.

D – “Ciao Diego, sei arrivato a Sanremo con il brano dal titolo “3 gradi” Dicono che il 3, numero palindromo, sia un numero fortunato ma anche malvagio ( successione di Prouhet-Thue-Morse).

Vorrei sapere se lo è stato anche per te facendo riferimento al tuo brano.”

R – “In raltà tutti i numeri a una cifra sono palindromi (ovviamente) e il 3 non fa certo eccezione e non lo trovo nemmeno un numero malvagio, nella successione di Thue-Morse, essendo dispari, è vittima di un gioco di parlole che per assonanza, “odd”, ovvero dispari viene associato alla parole inglese “odious”. Per me invece quest’anno il 3 è il numero perfetto mi ha portato a Sanremo!”

D – “Hanno usato questo numero altri musicisti/autori (de Andrè, 3Prozac+ dei Prozac+, Tabula Rasa Elettrificata (acronimo: T.R.E.) e molti altri) è stata una scelta “mirata” o il brano è nato così, di getto?”

R – “Il brano è nato di getto, quando scrivo non ragiono mai con la testa. Un anno fa, durante la settimana del Festival di Sanremo, ho conosciuto una ragazza bellissima; ci siamo innamorati. La passione e il desiderio erano talmente forti e folli che ci siamo trovati per strada e nonostante facesse freddissimo, non abbiamo resistito a tutta quella attrazione. La mattina seguente ho scritto 3 Gradi.”

D – “Pensare che l’orchestra sanremese suonerà il tuo brano, che effetto fa?
Nel senso: un po’ infastidisce (con l’accezione positiva del termine) il fatto che possa venire alterato oppure inorgoglìsce semplicemente?”

R – “Purtroppo quest’anno per i giovani non è prevista l’orchestra, ma sicuramente sarebbe stato motivo di orgoglio per me condividere la mia musica con l’orchestra del Festival sarebbe stato qualcosa di emozionante, emozionare è il senso stesso della musica. So che quel giorno ci sarà un’energia incredibile, al Festival di Sanremo Giovani a cantare una canzone nata e vissuta a Sanremo, non capita tutti i giorni, ma per l’orchestra…bisogna sperare di andare nei “Big”…”

D – “3 gradi hai dichiarato essere uno dei brani più importanti tra quelli che hai scritto, però io so che hai scritto molti brani e ne ho trovati altri altrettanto interessanti, che cosa rende questo speciale, fatto salvo l’essere passato tra i finalisti?”

R – “Questa canzone è speciale perché parla dell’incontro più vero che abbia vissuto in 23 anni di vita, senza pudore e senza regole. E’ la prima canzone che ho registrato con Mark Twayne, uscita per Rusty Records & Richveel, e rappresenta una mia evoluzione del mio genere musicale, che definirei con il termine di “Cross Pop”, a noi piace fondere i generi, dal Rock al Pop passando per la Trap e non solo, ho tanti altri brani che saranno pubblicati prossimamente, 3 Gradi è stata la scintilla più bella, la più preziosa. Il mio è un Pop bastardo!”

D – “Noi, per scaramanzia, e lo siamo scaramantici, non ci pronunciamo su quelle che potranno essere gli esiti sul palco dell’Ariston, ma se ci fosse un desiderio, al di là di vincerlo il festival, quale sarebbe questo desiderio di Diego Conti?”

R – “Cantare le mie canzoni insieme a tanta gente… questo è il mio unico desiderio.”

D – “Il primo grazie va a?
L’ultimo grazie va a?”

R – “Il primo grazie va alla musica, l’ultimo invece va alla mia famiglia e a tutte le persone che lavorano al mio fianco; Rusty, il mio manager, che insieme a Davide Maggioni hanno creduto in me fin da subito, Mark Twayne e Andrea Rosi di Richveel con i quali è inziata questa nuova e fortunanta avventura e a Giovanni Valle (Thaurus Publishing) artefice di questo nuovo connubio tra Rusty Records e Richveel.” Buon ascolto

https://www.youtube.com/watch?v=pRI1ABX1InM

Chiara De Carlo

***

Chiara vi segnala i prossimi eventi … mancare sarebbe un sacrilegio!

Amare una città e raccontarla

di Angelo Petrosino

 

 

Nel mio libro Il Libro Cuore di Valentina a un certo punto ho riportato le parole con le quali Edmondo De Amicis fa una vera e propria dichiarazione d’amore alla città di Torino, che lo accolse quando aveva all’incirca quindici anni

Scrive De Amicis: In nessun’altra città si vede tanto verde, tanto azzurro, tanta bianchezza; in nessun’altra ha un riso così fresco e così splendido la primavera, che qui pare un ricominciamento del mondo. E poi, essendosi in tanti anni trasformata la città sotto i miei occhi, vedo ed amo sempre negli aspetti nuovi gli aspetti scomparsi, m’avvolge un nuvolo di memorie a ogni passo, sento mille voci di persone e di cose passate che mi chiamano, ribevo sorsi d’aria della gioventù della patria e della mia… Per questo io son legato alla città anche dalla gratitudine; legato da tanti vincoli del cuore, del pensiero e del sangue, che non potrei più vivere altrove a nessun patto, neppure a quello di diventar ricco se fossi povero, sano se fossi infermo, e di trovar cento nuovi amici se qui non mi restasse un amico (E. De Amicis, La carrozza di tutti, Aracne, 2011).

Anch’io arrivai a Torino cinquantaquattro anni fa ed ho nei confronti di questa città la stessa gratitudine. A Torino frequentai per alcuni anni l’Istituto Casale per Chimici Industriali. E fu da questa scuola che cominciarono gli incontri torinesi che mi hanno poi profondamente cambiato. Il mio professore di lettere, Mario Passera, insegnava con uguale passione letteratura e storia e le sue lezioni avevano la meglio, per me, su quelle di analisi chimica e di chimica organica. Fu lui che un giorno mi mise tra le mani Politica e cultura di Norberto Bobbio, quasi un biglietto di benvenuto a chi era approdato in una città sconosciuta ricca di storia e di cultura, aperta al mondo più di quanto potevo immaginare. Fu lui che, mentre prestavo servizio militare a Roma, mi aiutò da lontano a preparare gli esami per conseguire il diploma magistrale che mi avrebbe consentito di iscrivermi alla facoltà di Magistero a Palazzo Nuovo. Correggeva i miei temi, mi regalava libri con la generosità che tendiamo a mostrare verso chi si accinge a ricevere il testimone di una cultura nella quale siamo cresciuti e che abbiamo amato.

 

***

 

Come dimenticare i lunghi pomeriggi trascorsi a sfogliare e leggere libri alla Biblioteca Civica, un luogo meraviglioso dove entrare in contatto affettuoso con testi e autori cercati o scoperti per caso? Accoglievo tra le mani con rispetto e amore libri dal profumo antico, storie che raccontavano il passato, interpretavano il presente e lanciavano uno sguardo fiducioso sul futuro. Ma mi aspettavano altri incontri. All’università conobbi professori di grande levatura morale e intellettuale. Uno per tutti: Vincenzo Ciaffi, grande latinista, già comandante partigiano di Giustizia e Libertà. Assistere alle sue lezioni su Catullo e Petronio era un’avventura dell’anima. L’uomo di cultura, lo storico, l’appassionato ricercatore che nella letteratura antica trovava le tracce di problemi ancora attuali, trascinava chi l’ascoltava verso orizzonti imprevedibili. Non eravamo in tanti a seguire i suoi corsi. Il latino era scelto da pochi, a Magistero la pedagogia prevaleva sul resto. Ma io non persi mai una sua lezione. Ascoltandolo, mi resi conto di una verità che poi feci mia quando cominciai ad insegnare ai bambini. Un insegnante non è un semplice trasmettitore di nozioni. È qualcuno che ha a cuore non solo la materia che insegna, ma soprattutto il dialogo con gli interlocutori ai quali si rivolge. Le sue lezioni diventano perciò anche confronti di vite, scambi di punti di vista, ricerca comune per fare un passo avanti verso verità condivise. Questo era il professor Vincenzo Ciaffi. Un uomo che amava la scuola e che esortava gli studenti contestatori a non distruggerla ma a sentirla come istituzione propria da cambiare e da migliorare. Perciò nelle assemblee rumorose e confuse di quei primi anni Settanta era sempre presente con la sua memoria di partigiano che aveva lottato per la libertà e la democrazia: un patrimonio prezioso da preservare soprattutto per i meno fortunati e i meno garantiti. Poi cominciai ad insegnare alla periferia nord della città. Entrai in una scuola in rapido mutamento, in una città in grande trasformazione. Dal Sud arrivavano tanti bambini insieme ai loro padri futuri operai Fiat. Bambini che avevano vissuto la loro prima infanzia in contesti più aperti e che era difficile ingabbiare per molte ore tra le pareti di un’aula scolastica. Bisognava perciò inventarsi una pedagogia nuova. E in quegli anni Torino fu all’avanguardia. Il Movimento di Cooperazione Educativa, che promuoveva una scuola moderna, che incoraggiava relazioni educative più avanzate, strategie di insegnamento nuove, si diffuse nella città e cambiò la vita di tanti insegnanti, oltre a quella dei bambini arrivati da lontano. Nei confronti di questi bambini Torino fu molto generosa. Gli insegnanti ebbero a disposizione mezzi, sussidi, risorse. Una intera città si mobilitò per dare alla scuola una dignità di cui non godette più in seguito. I bambini poterono attraversare Torino per partecipare a laboratori d’ogni tipo, visitare luoghi storici da scoprire, frequentare teatri. Era tutto un pullulare di iniziative che faceva della scuola il cuore pulsante della Torino di allora. Naturalmente anch’io fui parte attiva di quel fermento culturale che conferiva agli insegnanti una centralità che si sarebbe poi persa nel corso degli anni in tutto il Paese.

 

***

 

Come, dunque, non amare questa città? Come non ripagarla nel modo più degno con i mezzi a mia disposizione? Questi mezzi, qualche anno dopo, diventarono i miei libri per l’infanzia. Perciò quando, nel 1995, creai il personaggio di Valentina, decisi senza esitazione di collocare la protagonista in un contesto torinese preciso e circostanziato. Valentina è nata in barriera di Milano, comincia a muoversi presto nella città che ama, ad esplorarla prima con il maestro, poi con i genitori, infine da sola. Con lei, Torino diventa lo sfondo di decine e decine di avventure, che si snodano tra vie, piazze, parchi, centro e periferia. Nacque così, per esempio, Difendi la natura con Valentina, un giallo ambientato nel parco della Confluenza dove per anni ho portato a giocare i miei alunni arrivando da via Botticelli ed entrando da Piazza Sofia. Conosco bene la storia di quel parco e nel libro ho voluto raccontarla, perché mi ero reso conto che molti torinesi la ignoravano. Ma anche Valentina è sparita è la storia di un rapimento che prende avvio nella farmacia Centrale di via Roma e si conclude a Mirafiori. Buon Natale, Valentina è una storia dai molti sviluppi che nasce a Porta Palazzo, mentre Grandi novità in arrivo si snoda nei luoghi del centro, quelli percorsi dalla futura sorella adottiva di Valentina quando da sola vagabondava senza meta nella città. E potrei continuare citando decine di libri che hanno come sfondo questo o quel luogo di Torino che ho conosciuto bene: dal Valentino ai Murazzi, da Borgo San Paolo a Piazza Statuto, dall’ospedale Regina Margherita a Piazza Carlina, ossia Piazza Carlo Emanuele II, della quale ho parlato in Una mamma per Irene

 

***

Con i miei libri e la mia Valentina ho contribuito a far conoscere Torino a migliaia di bambini italiani per i quali la città era solo un nome geografico tra gli altri. Tanti di loro, durante le visite in città con le rispettive classi, chiedono agli insegnanti di mostrar loro i luoghi che Valentina cita nei suoi libri: da Via Garibaldi a via Po, da Piazza San Carlo a Piazza Vittorio. Me lo dicono, me lo scrivono, vogliono condividere con me le emozioni provate nel passeggiare dove ha passeggiato e la loro eroina. Infine Il libro Cuore di Valentina, il mio più recente omaggio alla città. Un libro nel quale si sono depositati memorie giovanili e ricordi più vicini, come le panchine dei Giardini Lamarmora, dove ho sostato a leggere, riflettere, scrivere. Ma anche le bancarelle di libri usati di Corso Siccardi, che ormai sono soltanto un ricordo e che costituiscono una triste perdita per Torino. Quando avevo pochi soldi, su quelle bancarelle trovavo i libri che non potevo acquistare. Quando ne ho avuti di più sono andato a cercare delle rarità che illuminano gli occhi dei bibliofili e riscaldano loro il cuore. E penso ancora al Museo della Scuola e del Libro per l’Infanzia, allogato nel Palazzo Barolo, tra Piazza Savoia e via Corte d’Appello. Il libro è dedicato proprio al suo fondatore, Pompeo Vagliani, che cura con amore e passione di storico e di studioso le memorie della scuola torinese di fine Ottocento, quella immortalata nelle pagine del Cuore di De Amicis e negli altri scritti di questo autore spesso a torto bistrattato. Continuo a seguire con attenzione i cambiamenti di Torino, le sue aspirazioni ad essere sempre più una città che sa preservare il passato senza però negarsi al futuro, del quale ha fame. Una città che ha sempre saputo accogliere con generosità, equilibrio, intelligenza. Una città di uomini e di donne che hanno saputo dare molto al nostro Paese. E a me tra gli altri.

I libri più letti e commentati a novembre

Il titolo più discusso e commentato del mese di novembre è senza dubbio L’assassinio del Commendatore 

Eccoci al consueto appuntamento mensile con i lettori del gruppo FB Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri. Il titolo più discusso e commentato del mese di novembre è senza dubbio L’assassinio del Commendatore (Einaudi), ultimo romanzo dello scrittore giapponese Haruki Murakami, autore che non manca mai di dividere il suo pubblico tra fedeli estimatori e detrattori feroci; al secondo post un’altra uscita piuttosto recente: Sara al tramonto(Rizzoli), dell’osannato giallista Maurizio De Giovanni, che può vantare nel gruppo una schiera di fedelissimi ammiratori, terzo posto per la saga familiare Il grande inverno, di Kristina Hannah (Mondadori) “epica storia d’amore e sopravvivenza” che sta guadagnando il consenso dei nostri lettori.

Focus on: Francia

Obiettivo di questo mese puntato sulla produzione della Francia contemporanea, con  I colori dell’incendio di Pierre Lemaitre (Mondadori),  La casa di Cognac di Yolaine Destremau (Barta) e La schiuma dei giorni (Marcos y Marcos) di Boris Vian, tutti titoli oggetto di interessanti riflessioni che vi invitiamo a leggere e commentare. Un recente sondaggio tra i nostri lettori ha cercato di stabilire quale sia il personaggio meno amato (ma non per questo non riuscito dal punti di vista letterario) della narrativa e della letteratura: vince la gara, seppur di stretta misura, Jago, l’antagonista di Otello nato dalla penna di William Shakespeare, seguito, un po’ a sorpresa da Uriah Heep, l’untuoso avversario di David Copperfield nell’omonimo capolavoro di Charles Dickens; terzo posto per un altro antipatico di classe, Don Rodrigo antagonista insopportabile di Renzo ne I promessi sposi di Alessandro Manzoni.

Infine, il nostro consueto suggerimento per i lettori curiosi e desiderosi di mettersi alla prova con titoli meno noti e più impegnativi: il bellissimo noir di Valerio Evangelisti, Noi saremo tutto (Einaudi), che documenta una pagina nera della storia americana, l’ironico e malinconico Triste, solitario y final (Einaudi), di Osvaldo Soriano, ormai ritenuto un classico della narrativa contemporanea e Denti Bianchi (Mondadori), osannato romanzo della scrittrice inglese Zadie Smith, molto attuale nonostante non sia un’uscita recente. Ricordiamo a tutti i nostri lettori che per partecipare alle nostre discussioni basta iscriversi al nostro gruppo su FB, dal quale potranno anche inviare le recensioni in un tweet che vengono pubblicate sul sito.

Ci rileggiamo il mese prossimo!

***

Podio di novembre

L’assassinio del Commendatore, di Haruki Murakami –  Sara al tramonto, di Maurizio De Giovanni –   Il grande inverno, di Kristina Hannah

Focus on: Francia

I colori dell’incendio, di Pierre Lemaitre – La casa di Cognac,di Yolaine Destremau – La schiuma dei giorni, di Boris Vian.

Lettori esigenti

Noi saremo tutto, di Valerio Evangelisti –  Triste, solitario y final, di Osvaldo Soriano,  – Denti Bianchi, di Zadie Smith.

L’ungherese “Bad Poems” fa piazza pulita della solitudine e delle incomprensioni giovanili

Di quell’età problematica che è l’adolescenza la 36ma edizione del TFF ha cercato con vari esempi di confrontarsi, di analizzare, di esplorarla attorno ai moduli della solitudine, dell’incomprensione che invade troppi nuclei familiari, della ribellione

Adolescenza è quella del protagonista di All these small moments, che vede attorno a sé una sbiadita figura paterna e una coppia genitoriale che sta prendendo strade diverse; La disparition des lucioles, opera terza del canadese Sébastien Pilote, ci porta la giovanissima Léo che odia la madre che si è fatta un nuovo compagno, che non lega con gli amici, che patisce il clima anonimo della provincia canadese, che manifesta tutta la sua nostalgia per un padre lontano, che cerca un’amicizia che sa di protezione in un musicista con qualche anno più di lei; struggente il rapporto che lega in Marche ou crève della francese Margaux Bonhomme la giovane Elisa piena di vita e alla ricerca delle prime esperienze – che si riveleranno poco felici – a sua sorella Manon, colpita da una grave disabilità, con un padre che si occupa faticosamente di loro ed una madre che ha abbandonato la casa, dopo l’ennesimo rifiuto di ricoverare la figlia in una struttura che con ogni mezzo si prenda cura di quella figlia. E poi il cinema filippino, il nostro Mastandrea e il ragazzino che nel suo Ride deve affrontare il lutto per la morte del padre, ancora l’adolescente di Paul Dano che in Wildlife (forse tra gli esempi migliori) deve pure lui confrontarsi con lo sgretolamento dell’unione dei genitori e far fronte alle diverse ripercussioni, dentro la propria vita, dentro le emozioni, dentro il futuro che lo aspetta.

Un panorama che non ci lascia sperare troppo bene. Incursioni nell’insicurezza, nell’infelicità, nel vivere quotidiano senza sbocchi. Poi qualcuno con grande intelligenza e piacevolissima ironia decide di scrollarsi tutti quei pesi di dosso, di guardare ad un’epoca con un occhio diverso, che faccia appello a quanto di più candidamente “divertente” ci possa essere in quegli anni cruciali. Lo ha fatto, divertendo il pubblico del TFF, con Bad Poems l’ungherese Gàbor Reisz (già vincitore con For Some Inexplicable Reasons del Premio speciale della Giuria e del Premio del Pubblico nel 2014). Il tutto è avviato durante un soggiorno a Parigi, Tamàs viene travolto dalla decisione di Anna di lasciarlo, improvvisamente, senza una spiegazione. Eccolo allora affidarsi ai ricordi, recuperandoli e travolgendoli in un clima surreale che ci fa accettare ogni cosa, la volontà di comprendere perché tutto questo sia successo attraverso uno sberleffo liberatorio. In quel recupero non è solo, saltano fuori come grilli gli altri Tamàs, quello dei 7, degli 11 e dei 17 anni, il padre e la madre, la zia in cui rifugiarsi nei momenti peggiori, gli approcci con la poesia, l’arte come isola di rifugio, la pallanuoto come affermazione, tutto quanto collegato da un rosso filo di lana che lo riporta sempre ad Anna, a quei campi di lavanda in cui sono stati felici. Nella testa di Tamàs la vita vera si mescola alla vita inventata, sarà vero quel rifugiarsi con una fidanzatina della prima ora nel bagno della scuola magari per essere scoperti dallo sguardo vigile dell’arcigna prof di matematica e informatica?, sarà vero quel primo sesso consumato dentro un enorme copertone? Anche adesso che è diventato un regista pubblicitario e costruisce spot per la carne di pollo, è sicuro che tutto abbia ormai dei contorni chiari o hanno ragione gli altri Tamàs a rinfacciargli una professione poco onorevole? Anna è ormai un mondo lontano, vive con un altro ragazzo, seguendo ancora una volta quel filo rosso perché non farle recapitare dallo stralunato papà uno scatolone pieno di quella lavanda che “a loro” piaceva tanto. Ma i poliziotti in aeroporto si insospettiscono e di quel pacco non resterà nulla, ultimo sberleffo di una vita che ha bisogno di sorrisi. Reisz progredisce la propria storia, autobiografica oltre il dovuto, luogo di confessione decisamente aperto, con una vena poetica invidiabile e con un divertimento in cui somma libertà espressiva e leggerezza, dando anche un’innegabile boccata d’ossigeno allo spettatore. Ne terrà conto la giuria?

Divertimento, ma questa volta non era nelle intenzioni dell’autore, per lo svedese Unthinkable a firma Crazy Pictures, per la sezione “After Hours”, in cui proprio quel cinema che fu la patria di Bergman e Sjöman e Widerberg si mette a fare il verso alla Hollywood di Emmerich (Indipendence Day) o alle diavolerie di Cruise o Bruce Willis, in un crescendo di amenità che, crogiolandosi sul versante catastrofico, coinvolge le prime timide affettuosità di due ragazzi, le timidezze e le ribellioni di lui, un padre nevrotico e al momento buono roccioso eroe, un attacco dal cielo non meglio identificato, tralicci e palle di fuoco che piovono come i chicchi di una tempesta, i buoni e i cattivi, un parlamento che salta in aria e una ministra che prende in mano le redini dei soccorsi, un crash di auto su un ponte da fare invidia a certe pellicole d’oltreoceano, gli ultimi sopravvissuti a respirare l’aria della salvezza mentre i fidanzatini di un tempo sono ancora lì, a suonare il piano nella chiesa che brucicchia, quella manco a dirlo dove pigiavano le prime note qualche anno prima. L’ultimo fotogramma è per Putin, che orgoglioso propaganda la solidità del proprio paese. A noi invece veniva in mente la partita a scacchi tra il Cavaliere e la Morte.

 

Elio Rabbione

 

 

 

Nelle immagini, nell’ordine, scene da “La disparition des lucioles”, “Marche ou crève”, “Bad Poems” e “Unthinkable”

 

Il seme e la luna. Voci dal frantoio

A Racconigi il “Progetto Cantoregi” porta in scena il monologo di Nicola Stante

 

 

Progetto Cantoregi (la compagnia carignanese nata nel 1977, grazie all’idea del regista e autore Vincenzo Gamna di creare un teatro popolare fondato sull’impegno civile e sociale) torna in scena giovedì 6 dicembre a Racconigi, sotto il patrocinio dell’amministrazione comunale, con una doppia proposta teatrale: il monologo “Il seme e la luna. Voci dal frantoio”, scritto e interpretato da Nicola Stante (attore e autore di origine abruzzese ma ormai pienamente torinese d’adozione) e la presentazione del laboratorio aperto a tutti “Scendiamo in piazza”, ideato da Margy Mordenti e Andrea Piovano. L’ingreso è libero e gratuito. Alle ore 21 (presso la seicentesca Chiesa di Santa Croce, in via Francesco Morosini 1 a Racconigi) lo spettacolo “Il seme e la luna. Voci dal frantoio” vedrà Nicola Stante raccontare, attraverso la sua sola voce e l’utilizzo di immagini, “storie di vivi e di morti – ma anche di simulacri che girano come in processione in un tempo circolare infinito – legate alla tradizione della lavorazione delle olive”. Simbolo delle tante storie di vita sarà il disco di ferro usato nei frantoi antichi per comporre il carrello della pressata (“la mboste”) e che in scena narrerà dei cicli rituali di lavorazione delle olive, per scandire insieme nascita, formazione e destino di ogni vita umana. Sotto la direzione artistica di Nicola Stante – che oltre a collaborare con Progetto Cantoregi, lavora anche con l’Istituto dei Beni Marionettistici e del Teatro Popolare di Torino – è infatti lo storico Frantoio di famiglia in Abruzzo che, oltre a produrre olio di oliva, è da tempo diventato teatro di mostre, spettacoli, letture ed incontri culturali di vario genere incentrati soprattutto su temi di memoria storica, in particolare su quelli della Shoah. Al termine del monologo di Stante, Progetto Cantoregi presenterà il nuovo laboratorio teatrale dal titolo “Scendiamo in piazza”, ideato e curato da Margy Mordenti e Andrea Piovano. Prendendo a prestito le preziose parole di Vincenzo Gamna, fondatore e anima per quarant’anni di Cantoregi – “E noi scendiamo in piazza / per la mancanza di tutto, / anche di un teatro” – il laboratorio proporrà ai partecipanti un lavoro corale improntato sul “sociale”, come da tradizione della Compagnia, che si svolgerà tutti i lunedì sera nei locali del Centro Giovani “Ex Gil” (in via Divisione Alpina Cuneese 20, a Racconigi) alle ore 20.45, tra gennaio e giugno 2019, e si concluderà con la realizzazione di uno spettacolo a inizio luglio. Il laboratorio é aperto a tutti, dai 16 anni in sù. Lunedì 17 dicembre 2018 il pubblico è invitato a prendere parte alla serata di prova dello spettacolo dal titolo “Il filo rosso”. Per informazioni: info@progettocantoregi.it o laboratorio@progettocantoregi.it

g. m.

 

Nelle foto:
– Nicola Stante
– “il seme e la  luna. Voci dal frantoio”

Opere prime al TFF. Convince “Atlas”del tedesco David Nawrath

Valerio Mastandrea, dal 1994 attore di cinema, con quattro David di Donatello vinti all’attivo, quattro anni dopo gran successo personale con il suo Rugantino al Sistina, Claudio Caligari, Magni, Archibugi, Scola, De Maria e Guido Chiesa, Paolo Genovese, Moretti, il Virzì della Prima cosa bella, il Bellocchio tratto dal romanzo di Gramellini, Ozpetek e lo scomparso Mazzacurati alcuni dei registi con cui ha collaborato, il viso icona di un certo cinema d’autore, impegnatissimo, ha deciso di passare dietro la macchina da presa

Lo fa con Ride, la narrazione di come una moglie (Chiara Martegiani, compagna dell’attore, forse un po’ lontana dal “vivere” un non-ruolo che avrebbe necessità di maggiori sfumature) viva il lutto che segue alla morte del marito, una delle tante morti bianche nelle fabbriche italiane, di come, di riflesso, la viva il figlio rimasto orfano (“perché non piangi? per colpa tua non riesco a piangere nemmeno io”, le dice). Le lacrime sul viso della donna non arrivano, bisogna prepararsi al funerale (“ci sarà la televisione” le chiede ancora il figlio, mentre prova ad un microfono giocattolo con l’amico dei giochi le risposte che si immagina e le risposte che darà), accogliere in qualche modo parenti e amici che piombano in casa ognuno ad inscenare il proprio teatrino, a far vivere il proprio ruolo per una manciata di minuti, truccarsi o non truccarsi?, accettare le premure della vicina di casa (Milena Vukotic), mostrare il dolore secondo i canoni universalmente riconosciuti: ma le lacrime non arrivano. Il tema, giocato tra affetti irrisolti e attimi di un’ironia ai più impraticabile, gira un po’ su stesso salvo riprendere nettamente quota – del resto, in una poco inspiegabile inversione di rotta, ad affrontare un altro grumo del racconto per mettere più in ombra quello che dovrebbe essere l’ossatura principale – con l’arrivo di un sempre eccellente Renato Carpentieri, il padre del morto, che vive angosciato e triste sul litorale laziale di Nettuno, stancamente, che si vede arrivare in casa l’altro figlio (un incisivo Stefano Dionisi), la pecora nera della famiglia, momenti sinceri di ribellione, come quelli del ragazzino, in sella alla sua bicicletta a staccare dai muri del paese gli annunci di quella morte. Le scene un po’ ad effetto sono dietro l’angolo, il melò e il sogno si fanno strada e a tratti la regia s’abbandona a effetti facili: o vuol dire troppo, l’errore in cui cadono tante delle opere prime che scorrono in questi giorni sugli schermi del TFF.

O finiscono col dire poco, con la scusa malamente rabberciata che ci stanno descrivendo la vita e come tutti sappiamo la vita è fatta di tutto e di niente. Difficile raccontare per immagini la quotidianità e dialoghi che la costruiscano a poco a poco. Ne sa qualcosa Temporada del brasiliano André Novais Oliveira, alla sua opera prima, fotografando nel titolo un tempo da attraversare e da superare tra cieli limpidi e acquazzoni, come le stagioni. Ne sa qualcosa Juliana che ha appena lasciato la provincia e si è trasferita nel grande centro di Contagem, nell’attesa che il marito la raggiunga. Nell’assenza sempre più inspiegabile dell’uomo, trova un lavoro assai poco retribuito (interessarsi per conto di un’agenzia comunale a tenere sotto controllo l’esplosione della dengue, passando di cortile in cortile, a far la conta della sporcizia, a scoperchiare piccole piscine infette), stringe amicizia con i colleghi, telefona e mangia e ride, si lascia fare un nuovo taglio di capelli, accetta tutta la passione di un compagno di lavoro e ci va a letto, scambia chiacchiere con le amiche, spettegola, si diverte, si alza e si corica, arriva tardi al lavoro. Un giorno dopo l’altro, con le azioni di sempre. Oliveira racconta le periferie, del suo come di qualsiasi altro paese, conosce quelle strade, perché ci è nato, certo quelle persone, perché le ha incontrate, si affida alle invenzioni e all’estrosità di un’attrice che si chiama Grace Passô che è definita “da applausi” ma che credo svolga la sua prova con una discreta professionalità e nient’altro, accumula azioni dietro azioni e parole dietro parole: senza mai arrivare ad una scintilla che inorgoglisca la vicenda, che offra a quel quotidiano fatiscente un riscatto, una zona di vita vera, che dia alla protagonista davvero una forza di costruzione e non rischi di farla apparire soltanto come un piccolo personaggio.

Decisamente più convincente Atlas, opera prima del tedesco David Nawrath, che si porta già appresso con serrata bravura le atmosfere del noir, le psicologie contorte che nascondono i personali passati e i loro problemi, una scrittura capace di descrivere con intensità lo svolgersi della vicenda, una eccellente direzione degli attori. In una città della Germania, dove tutto è ordine, strade alberate e case di una discreta eleganza, Walter lavora per una compagnia di recupero crediti che fa affari con la malavita, lui a bussare alle porte, a liberare con l’aiuto dei colleghi i tanti alloggi e a eseguire quegli sfratti che sono affari decisamente sporchi, speculazioni. Un giorno nel gruppo di operai entra qualcuno dai modi piuttosto spicci e Walter si troverà a cercare di proteggere un piccolo gruppo familiare che, ultimo tra tutti, tenta di asserragliarsi e difendere il proprio appartamento, in una casa ormai decretata inagibile. Nawrath non è soltanto capace di descrivere con le asprezze necessarie il mondo buio della città, la tensione degli appostamenti, la violenza che esplode; costruisce con altrettanta ineccepibile bravura quegli angoli di sentimento, insperati, che si possono scoprire, gli attimi di coraggio, le redenzioni inattese, i sorrisi e i legami ritrovati, dando alla vicenda una normalità narrativa che altri forse avrebbero capovolto con azzardi di cui proprio non si sarebbe sentito il bisogno. Un’opera che si apprezza appieno e che si pone tra i titoli migliori visti nel concorso di quest’anno. Ottimo il disegno che del protagonista fa Rainer Bock (già impegnato con Haneke e Tarantino e Spielberg), eccellente giustiziere in cerca di grazia.

 

Elio Rabbione

 

Nelle foto: Chiara Martegiani, protagonista di “Ride” opera prima di Valerio Mastandrea; ancora una scena del film, con Renato Carpentieri e Stefano Dionisi; “Temporada” con la protagonista Grace Passô; una scena del tedesco “Atlas”, interpretato da Rainer Bock.

 

Le stelle del Moscow State Classical Ballet

Nuovo tour italiano novembre – febbraio dal 30 novembre all’1 dicembre, h. 21.00 domenica 2 dicembre h. 16.00

Il lago dei cigni – TORINO – TEATRO NUOVO

14 dicembre “Lo Schiaccianoci” TORINO – TEATRO NUOVO  

A grande richiesta, dopo lo straordinario successo ottenuto nella stagione 2017/2018, le stelle della danza classica russa tornano al Teatro Nuovo di Torino con Il Lago dei Cigni dal 30/11 al 2/12 e il 14/12 con Lo Schiaccianoci. L’eccellenza dell’arte coreutica russa incontra i capolavori di Čajkovskij

Arrivano in Italia da Novembre a Febbraio I Russian Stars, stelle della danza classica russa che si aggiungono all’organico del Moscow State Classical Ballet: Alexey Konkin, Sergey Smirnov, Olga Rudakova, Aleksandra Troitskaia: artisti eclettici, formati in patria e scelti accuratamente dalla maestra, étoile e produttrice Liudmila Titova, che sarà la loro capofila e impreziosirà il cast con le sue performance La Compagnia calcherà i palcoscenici italiani portando in scena l’essenza dell’arte coreutica russa con gli intramontabili capolavori di Pëtr Il’ič Čajkovskij: Lo Schiaccianoci, Il Lago dei cigni e La Bella addormentata. Il Moscow State Classical Ballet by Titova è una delle più prestigiose compagnie di giro di balletto classico di tutta la Russia, ed è conosciuta ed apprezzata a livello internazionale. Attualmente diretto da Liudmila Titova, la compagnia si pone come principale obiettivo quello di far conoscere al mondo lo splendore della secolare tradizione russa nel balletto classico, volgendo lo sguardo anche ad un repertorio più contemporaneo, in linea con le esigenze del pubblico odierno. Il Corpo di ballo vanta tra le sue fila non solo le sue 30 talentuose étoile provenienti dalle migliori scuole ed accademie di danza mondiali (come il Teatro Bolshoi, il Teatro Mariinksij e il teatro Stanislavsky and Nemirovich – Danchenko, templi autentici della danza classica), ma si avvale anche della partecipazione di straordinarie star del balletto russo che impreziosiscono la scena ed elevano ulteriormente il profilo tecnico e glamour dello spettacolo. Il Moscow State Classical Ballet di Liudmila Titova è apprezzato dalla critica per la bellezza e l’eleganza dei propri danzatori che, con la fluidità del loro corpo perfettamente unita alla ferrea disciplina, riescono a creare un ensemble coreografico compatto ed armonico, capace di coinvolgere ed ammaliare il pubblico di ogni nazione. Per questo, ciò che distingue questi ballerini, è l’ineccepibile equilibrio con cui armonizzano la tensione alla perfezione del movimento e il rigore stilistico dell’arte del balletto classico. Il risultato è una tecnica pulita e raffinata esibita sul palco con grande naturalezza ed impreziosita dalle eccelse doti espressive dei ballerini che contribuiscono a rendere l’interpretazione impeccabile in tutte le sue sfaccettature. Lo staff coreografico del Russian Stars – Moscow State Classical Ballet by Titova è fra i migliori possibili e cura con meticolosità le performance della Compagnia coniugando elementi di ricerca e innovazione al repertorio classico, nel rispetto dell’eredità coreografica del balletto russo. Liudmila Titova A soli 19 anni è protagonista di celebri balletti di repertorio come Cenerentola, Lo Schiaccianoci, La Bella addormentata, Giselle, Bolero e tantissimi altri. Dal 2010 lavora con il Moscow State Classical Ballet e da tre anni ne è a capo come general manager. Con il suo ingresso ha riorganizzato l’intera società ed ha apportato una serie di innovazioni scenografiche, decorative ed un rinnovamento totale dei costumi dei danzatori . Questi ultimi sono tutti professionisti laureati nelle più grandi accademie russe.