CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 57

Piero Chiara e la narrazione della provincia italiana

Il 23 marzo del 1913 nasceva a Luino lo scrittore Piero Chiara. Anni fa, in occasione del centenario dell’evento sul muro esterno dello storico Caffè Clerici, l’amatissimo locale e “ufficio” dello scrittore  che guarda sul porto vecchio, venne collocata una targa con una frase del celebre romanziere tratta da l’Avvenire del Verbano del 30 novembre1934. Vi si legge: “In Luino vi è qualche cosa di inesprimibile e di spirituale che non può andare vestito di parole; è qualche cosa di più che la tinta locale, è quel mistero di attrazione che fa innamorare di un luogo senza che ci si possa dar ragione del motivo”. Un ritratto di quest’angolo di provincia chiuso tra il lago Maggiore, i monti delle valli Dumentina e Veddasca e la frontiera con la Svizzera.

 

Un’immagine che, volendo, può essere estesa a buona parte dei paesi che si affacciano sulle due sponde del Verbano. Figlio di un siciliano immigrato al nord come impiegato delle Regie Dogane e di Virginia Maffei, originaria di Comnago, minuscola frazione di Lesa sulla sponda piemontese del lago Maggiore, Piero Chiara frequentò diversi collegi come il San Luigi di Intra e il De Filippi di Arona. Dopo una breve parentesi in Francia, terminati gli studi e vinto un concorso come “aiutante volontario cancelliere” svolse l’impiego statale in Veneto e nella Venezia Giulia, tornando poi nella sua provincia per approdare infine a Varese. In quegli anni, da autodidatta, s’impegnò nello studio e nella formazione letteraria senza rinunciare a frequentare i tavoli con il gioco delle carte e il biliardo dei vari caffè. E’ lì che trarrà gli spunti letterari su ambienti e persone che diventeranno molti anni più tardi i protagonisti dei suoi racconti e romanzi. Nel gennaio 1944, per sfuggire ad un ordine di cattura emesso dal Tribunale Speciale Fascista, Chiara varcò il confine, rifugiandosi in Svizzera dove visse l’esperienza di internato nei campi di Büsserach, Tramelan e Granges–Lens. Ricoverato all’ospedale di St.Imier, frequentò la casa cattolica di Loverciano nel distretto ticinese di Mendrisio. Finita la guerra restò per qualche tempo in territorio elvetico insegnando e pubblicando la prima opera, la raccolta di poesie Incantavi. Da quella silloge che nel titolo alludeva al toponimo dei cascinali sopra Luino emergevano le passioni, le affinità e il profilo di un giovale esule riflessivo, malinconico, dotato della stoffa necessaria per intraprendere un viaggio originale in campo letterario. Il 25 aprile 1945 dalla tipografia di Poschiavo nel canton Grigioni usciva il primo libro a firma di Piero Chiara. Il suo primo editore, don Felice Menghini (scomparso prematuramente nel ‘47 in un incidente di montagna a soli 38 anni, fra i principali autori della Svizzera italiana come poeta, traduttore ed elegante prosatore) ne fece tirare fino a 500 copie intuendone il valore. Al consenso della critica corrispose anche quello del pubblico: nonostante le frontiere ancora chiuse ne furono venduti 150 esemplari in un mese. Abbandonata negli anni ’50 l’amministrazione della giustizia Chiara si dedicò alla scrittura, al giornalismo (collaborando alla terza pagina del Corriere della Sera) e alla letteratura, come curatore di opere classiche, in particolare del Settecento, tanto da essere considerato un’autorità nel campo degli studi su Giacomo Casanova. Scrisse anche una seria e documentata biografia del Vate che riposa a Gardone Riviera nel mausoleo del Vittoriale, intitolata La vita di Gabriele D’Annunzio. Conobbe poi il successo con i racconti e i romanzi la cui ambientazione era quella della provincia che resterà lo scenario di tutta la sua esperienza di scrittore. Sui luoghi della sua piccola patria (il Lago Maggiore, le valli e i suoi paesi, Luino e la Svizzera italiana) spaziò con lo sguardo innamorato di chi li sentiva parte di sé. Erano i luoghi dell’anima e frequentandoli, come scrive l’associazione degli Amici di Piero Chiara, sembra quasi che “dietro un’insenatura del lago, da un angolo di strada di paese, da una valle a specchio dell’acqua o da un battello che cuce l’uno all’altro i pontili delle opposte sponde, debba comparire uno dei suoi personaggi: una delle sorelle Tettamanzi, magari sottobraccio a Emerenziano Paronzini, oppure l’Orimbelli con la Tinca, o il pretore di Cuvio Augusto Vanghetta”. E’ la provincia profonda con i suoi caffè e i giocatori di carte, le avventure di impenitenti flâneur che vagano oziosamente per le vie dei paesi, delle acque battute dai venti di tramontana, le piccole isole, i battelli e i tanti moli degli imbarcaderi, storie amare o scabrose vicende di corna e tradimenti. Offrendo un approdo letterario a questo mondo Piero Chiara raggiunse il successo con romanzi come Il piatto piange (1962), La spartizione (1964, Premio Selezione Campiello), Il balordo (1967, Premio Bagutta), L’uovo al cianuro(1969), I giovedì della signora Giulia (1970), Il pretore di Cuvio (1973), La stanza del Vescovo (1976), Le corna del diavolo (1977), Il cappotto di astrakan  (1978),Una spina nel cuore (1979) e tanti altri fino al postumo Saluti notturni dal Passo della Cisa. Molti di questi lavori vennero ridotti e sceneggiati per il grande schermo e per la tv, in qualche caso con delle fugaci apparizioni dello stesso Chiara per dei piccoli camei come in Venga a prendere il caffè da noi di Alberto Lattuada. In una intervista, parlando del suo rapporto con la scrittura, disse: “Scrivo per divertirmi e per divertire:se mi annoiassi a raccontare, starei zitto, come starei zitto se sapessi che i lettori si annoiano ad ascoltare o a leggere i miei racconti. Qualche volta faccio ridere, o meglio sorridere e qualche volta commuovo il lettore o lo faccio impietosire con le mie storie. Mi sembra giusto, anzi normale: se ride alle mie spalle o a quelle dei miei personaggi o se si impietosisce ai nostri casi, vuol dire che ho colto nel segno: mi sembra che raccontandogli la storia di un uomo, con le sue miserie, le sue fortune e la sua stoltezza, in fondo gli conto la sua storia”. Piero Chiara è stato a tutti gli effetti “il poeta delle piccole storie del grande lago”, il maestro di tutti coloro che si sono cimentati con quella che viene definita la letteratura della profonda provincia italiana.

Marco Travaglini

Un pinerolese alle Crociate

C’era anche un pinerolese sulle galee salpate da Venezia e dirette a Costantinopoli in quella sciagurata avventura passata alla storia come la Quarta Crociata del 1204.

Lungo la riva degli Schiavoni, a pochi passi da Palazzo Ducale, Amedeo Buffa s’imbarcò con Bonifacio I, marchese di Monferrato, capo dei crociati e comandante militare della spedizione che, diretta a Gerusalemme per liberare la città santa, cambiò improvvisamente percorso e puntò sulla capitale bizantina conquistandola dopo un orrendo massacro.
Un Buffa di Pinerolo, forse un Buffa di Perrero, che viene citato in vari documenti dell’epoca e da molti storici. Non esistono però testi scritti che comprovino la sua parentela con i Buffa di Perrero ma, come osserva lo storico torinese Francesco Cordero di Pamparato, “pensare che nella Pinerolo del 1200 vi fossero due famiglie di nome Buffa che non fossero imparentate tra di loro sembrerebbe molto azzardato. È quindi molto più probabile che si tratti della stessa famiglia”. Comunque sia, nella primavera del 1202, secondo gli studiosi delle crociate, raggiunse Venezia e partecipò in San Marco alla solenne cerimonia presieduta dal doge Enrico Dandolo. Poi 17.000 veneziani e oltre 30.000 crociati si imbarcarono sulla grande flotta cristiana che l’8 novembre partì per la quarta crociata che nel 1204 cacciò i bizantini da Costantinopoli. Nello stesso anno Amedeo Buffa prese parte anche alla conquista del regno di Tessalonica (oggi Salonicco) insieme a Bonifacio, fondatore del regno e suo primo sovrano, che ringraziò Amedeo concedendogli la baronia di Domokòs nella Grecia centrale. La morte del marchese del Monferrato nel 1207 in battaglia contro i bulgari aprì la crisi del regno che fu subito cavalcata da un gruppo di nobili italiani che puntavano alla separazione del regno di Tessaglia dall’impero latino di Costantinopoli. Con l’appoggio di un nutrito gruppo di cavalieri italiani tentò di consegnare il regno di Tessalonica al figlio di Bonifacio, Guglielmo IV del Monferrato, e magari portarlo sul trono a Bisanzio. L’imperatore Enrico di Hainaut corse ai ripari e dichiarò guerra agli insorti. Il conte Uberto di Biandrate e Amedeo Buffa furono i capi di una vera e propria rivolta che costrinse Enrico di Hainaut ad intervenire in Tessaglia. Fu proprio Buffa a organizzare la resistenza ma circondato dalle truppe dell’imperatore fu costretto alla resa. Unico tra i rivoltosi, Buffa fece la pace con Enrico che nel frattempo aveva stroncato la rivolta. Il pinerolese si sottomise e da allora rimase fedele all’imperatore il quale gli conferì la carica di connestabile, comandante dell’esercito, una delle più alte cariche dell’Impero. Poco tempo dopo, nel 1210, alla testa di cento cavalieri, cadde in un’imboscata e fu catturato dal tiranno dell’Epiro Michele Angelo Comneno, arcinemico del nuovo Impero latino, che lo fece crocifiggere. Una morte atroce per il pinerolese Amedeo Buffa, il cui supplizio è citato in una bolla di papa Innocenzo III.
Filippo Re

Il cinema Vittoria di Giovanni Rosso

L’ultima sala cinematografica casalese che vide passare intere generazioni di spettatori monferrini fu il cinema teatro Vittoria di Giovanni Rosso, classe 1932. Nel piccolo cinema del Valentino, Rosso ha potuto imparare il mestiere di operatore, la grande passione che lo ha accompagnato per oltre mezzo secolo. Il  Vittoria era proprietà del geometra Giovanni Bertinotti, calciatore del Casale campione d’Italia nel 1914  che assunse l’apprendista Rosso nel 1950, il quale divenne operatore del cinema teatro l’anno successivo. La svolta avvenne nel 1984 quando il locale fu rilevato dalla società Gemar con la gestione di Rosso, Piero Musso e Ada Alessio, entrambi suoi colleghi.
Lo staff comprendeva anche Siro Zorzan, anch’esso operatore come Rosso e Musso, la maschera Riccardo, le cassiere Pina e Neta, le addette alle pulizie Renata e Angela e dal 2002 Rosso fu gestore e direttore del cinema Vittoria. Ma la crisi cinematografica causata dall’avvento della TV e dalle videocassette era alle porte. Nonostante i grandi lavori di ristrutturazione degli anni precedenti che portarono il  Vittoria ad avere una acustica perfetta con il sistema Dolby e il progetto del marzo del 2000 che comprendeva la realizzazione di tre sale con circa 900 posti, la chiusura del locale nel gennaio del 2004 fu inevitabile. Nell’ottobre del 2003 a Casale Monferrato ci fu l’inaugurazione della Multisala Cinelandia che dispone di 1200 posti suddivisi in otto sale e Rosso, con grande coraggio, fu l’ultimo a tenere in vita la propria attività anche se per poco tempo, mentre le altre sale casalesi Nuovo Cine, Moderno e Politeama avevano già chiuso i battenti.
Nella cabina di proiezione del cinema, Rosso aveva ritrovato una pellicola in 16 mm risalente alla partita di calcio tra Casale e Torino del 27-1-1929 che rappresenta il filmato più antico della squadra granata, donato a Domenico Beccaria presidente del Museo Storico Grande Torino. L’altra grande passione di Rosso fu indubbiamente il Torino Club Giorgio Ferrini, da egli stesso fondato nel 1977. L’anno successivo Rosso ebbe l’onore di incontrare il presidente del Torino Calcio Orfeo Pianelli nella tribuna d’onore dello stadio comunale di Torino. Alla scomparsa di Rosso, avvenuta nel 2011, il club casalese è stato intitolato Torino Club Giovanni Rosso, il quale nel 1980 era stato nominato cavaliere della Repubblica Italiana dal presidente Sandro Pertini.
Armano Luigi Gozzano

Concerto di Ferragosto da Oscar con le musiche dei grandi film

Sarà una quarantaquattresima edizione del Concerto di Ferragosto da Oscar quella in programma all’Alpet Balma, a 1900 metri sul livello del mare, palcoscenico naturale sopra Prato Nevoso, luogo già noto al pubblico per aver ospitato l’evento negli anni passati. L’Orchestra Bartolomeo Bruni della Città di Cuneo, fondata nel 1953 dal Maestro Giovanni Mosca, suo infaticabile animatore e direttore per oltre mezzo secolo, ora diretta dal Maestro Andrea Oddone, proporrà un programma inedito con opere del compositore statunitense John Williams, colonne sonore del cinema internazionale, da Indiana Jones a Superman, da Harry Potter a Star Wars, protagoniste assolute della giornata. Il tradizionale concerto, gratuito e aperto a tutti, un evento partito in sordina nel 1981 che ha saputo ritagliarsi uno spazio importante tanto da diventare un appuntamento fisso della programmazione Rai, quest’anno torna a Fabrosa Sottana, nel cuneese. Come di consueto verrà trasmesso su Rai3, dalle ore 12,50 alle 14, di giovedì 15 agosto con uno Speciale Tgr Piemonte a cura di Francesco Marino, con la conduzione di Lorenza Castagneri e Gabriele Russo, per la regia di Maria Baratta dal Centro Produzione Rai di Torino. Sarà possibile raggiungere il prestigioso anfiteatro naturale con una passeggiata a piedi di circa un’ora, oppure utilizzare la Telecabina “La Rossa” di Prato Nevoso e proseguire con un breve avvicinamento a piedi all’area del concerto. Prato Nevoso dispone di circa 150 posti auto distribuiti in più piazzali e saranno disponibili anche navette dal mattino con partenza dal piazzale del Prel e dal piazzale Dodero. La novità di quest’anno è che gli spettatori potranno assistere alle prove già il giorno precedente a partire dalle ore 11. Igino Macagno

 

Marco Polo e Ibn Battuta, due grandi viaggiatori tra Duecento e Trecento

Il veneziano Marco Polo (1254-1324) e il marocchino Ibn Battuta (1304-1368) sono probabilmente i due più famosi scrittori di viaggi mai vissuti. Sono quasi contemporanei, quando Ibn nasce, Marco aveva cinquant’anni e visitano più o meno gli stessi luoghi. Marco Polo partì per la Cina nel 1271 e tornò nel 1291 mentre Ibn Battuta viaggiò in Africa e in Asia dal 1325 al 1354 tornando con un prezioso resoconto a ricordo di tante peregrinazioni. Il marocchino fu il più grande viaggiatore arabo del Medioevo, per trent’anni percorse migliaia di chilometri a piedi, sul cammello o per mare, dal Sahara alla Cina, dalla Russia all’India, viaggiatore infaticabile e osservatore attento. Percorrerà molta più strada di Marco Polo e di altri grandi viaggiatori medioevali ma sia il Marco Polo arabo sia il veneziano racconteranno l’esperienza dei loro viaggi nelle rispettive opere, la Rihla (il Viaggio) e il Milione, nel quale Marco narra le sue vicende in prigione a Rustichello da Pisa. Quest’ultimo, prigioniero a Genova, conobbe Marco Polo, viaggiatore, scrittore, ambasciatore e mercante, anch’egli fatto prigioniero dai genovesi nel 1298 in seguito alla sconfitta veneziana nella battaglia di Curzola, isola della Dalmazia. Ibn Battuta fa la stessa cosa con il poeta andaluso Ibn Juzayy. Tante peregrinazioni e due relazioni molto diverse. Poca fantasia e molto realismo nella Rihla di Ibn Battuta, grande fascino nelle pagine del Milione. A detta degli esperti l’opera di Marco Polo ha avuto un’influenza sulla cultura europea molto più forte di quanto il racconto del marocchino ha avuto su quella islamica. A Ibn Battuta interessa solo tutto ciò che è musulmano mentre il mondo non islamico quasi lo impaurisce come il suono delle campane o i cinesi che mangiano gli animali vietati dal Profeta Maometto per cui quando arriva in Cina si nasconde subito nei quartieri musulmani. In Marco Polo invece, che segue il padre e lo zio alla corte di Qubilay Khan, c’è un’ostilità più politica che religiosa verso i musulmani e mai drastica come quella di Battuta verso i cristiani. Il veneziano, che a differenza del marocchino è anche mercante e ambasciatore, tratta bene i non monoteisti come i mongoli di cui descrive usi, costumi e perfino battaglie contro i cristiani e i monaci buddisti dei quali apprezza il modo di vivere. Nei due volumi gli autori descrivono le città visitate, la gente del luogo, l’alimentazione, l’abbigliamento, le case e i mezzi di trasporto.
È invece molto più affascinante capire il modo, quasi opposto, in cui i due scrittori si avvicinano alle diverse culture che incontrano durante i loro viaggi. Mentre Ibn Battuta pensa esclusivamente alla cultura araba e al Corano e vede, viaggiando, solo i musulmani perché, per lui, conta solo il mondo islamico, Marco Polo è più attento alle curiosità e alla fantasia quando incontra usanze e tradizioni molto diverse dalla sua. Non è solo un viaggiatore ma anche un geografo e un etnografo. È vero che definisce “pagane” le altre religioni ma riporta nel libro i riti delle altre fedi. Ibn Battuta deve molto a un altro illustre viaggiatore, quel Ibn Jubayr, poeta arabo-andaluso (1145-1217) che viaggiò molto e inventò proprio la Rihla, un genere di letteratura di viaggio che divenne così famoso nel mondo arabo-islamico da essere utilizzato come modello per le successive generazioni di scrittori-viaggiatori e soprattutto per Ibn Battuta. I Polo ripartirono in nave dal porto di Quanzhou nel 1291per rientrare in patria toccando vari Paesi del sud-est asiatico fino all’India e allo Sri Lanka. Sappiamo tutto o quasi tutto su Marco Polo ma non sappiamo che faccia avesse come se il grande viaggiatore si fosse volatilizzato nell’aria di Venezia. Pur essendo un personaggio di fama mondiale si è dissolto in mille immagini tutte false e inventate. Di Marco non si ha nessun ritratto e non rimane un solo reperto autentico. Lo mette in evidenza la bella mostra su Marco Polo allestita, a 700 anni dalla sua morte, al Palazzo Ducale di Venezia fino al 29 settembre. Non c’è a Venezia un solo monumento dedicato al viaggiatore mentre tanti se ne trovano lungo la Via della Seta, dalla Mongolia al Turkmenistan, da Yangzhou alle sconfinate province cinesi e mongole. In numerosi ritratti dell’Ottocento compare raffigurato in modo solenne, con baffi e barba, giovane e bello nei film che gli sono stati dedicati, ma è tutta invenzione. Così come i ritratti di Marco Polo al Palazzo Doria-Tursi a Genova e a Villa Hanbury, a Ventimiglia, tutta invenzione. Nel Novecento il mito di Marco Polo trionfa tra cinema, fumetti, dischi, francobolli e videogiochi. Anche le sue spoglie sono andate perdute durante la ricostruzione della chiesa di San Lorenzo in cui sarebbe stato sepolto e la casa dei Polo andò distrutta durante un incendio nel 1598. La mostra, nella sede simbolo del potere dei Dogi, è suddivisa in varie sezioni arricchite da oltre 300 opere provenienti dalle collezioni veneziane e dalle maggiori istituzioni italiane ed europee fino a prestiti dei musei armeni, cinesi, canadesi e qatarini. Sono esposti reperti, manufatti, opere d’arte, ceramiche e porcellane, tessuti e tappeti, metalli, monete e manoscritti. Una sezione particolare è dedicata alla diffusione multilingue del Milione e al mito del grande viaggiatore tra Ottocento e Novecento.       Filippo Re 

Le mitiche origini di Augusta Taurinorum

Torino, bellezza, magia e mistero   Torino città magica per definizione, malinconica e misteriosa, cosa nasconde dietro le fitte nebbie che si alzano dal fiume? Spiriti e fantasmi si aggirano per le vie, complici della notte e del plenilunio, malvagi satanassi si occultano sotto terra, là dove il rumore degli scarichi fognari può celare i fracassi degli inferi. Cara Torino, città di millimetrici equilibri, se si presta attenzione, si può udire il doppio battito dei tuoi due cuori.

Articolo 1: Torino geograficamente magica
Articolo 2: Le mitiche origini di Augusta Taurinorum
Articolo 3: I segreti della Gran Madre
Articolo 4: La meridiana che non segna l’ora
Articolo 5: Alla ricerca delle Grotte Alchemiche
Articolo 6: Dove si trova ël Barabiciu?
Articolo 7: Chi vi sarebbe piaciuto incontrare a Torino?
Articolo 8: Gli enigmi di Gustavo Roll
Articolo 9: Osservati da più dimensioni: spiriti e guardiani di soglia
Articolo 10: Torino dei miracoli

Articolo 2: Le mitiche origini di Augusta Taurinorum

Nelle alte valli delle Alpi era usanza liberare una mucca prima di fondare una borgata; l’animale andava al pascolo tutto il giorno per poi trovare il punto in cui distendersi a terra e riposarsi. Quello sarebbe stato il luogo in cui i montanari avrebbero iniziato ad edificare il borgo: «la mucca può “sentire” cose che all’uomo sfuggono, se il posto è sicuro o meno e se di lì si irradiano energie benefiche o maligne».

Anche la fondazione di Torino potrebbe rientrare in una di tali credenze. Ma a questa versione, tutto sommato verosimile e riconducibile a qualche usanza rurale, fanno da controparte altre ipotesi, decisamente più complesse e letteralmente “divine”, poiché hanno come protagonisti proprio degli dei, Fetonte ed Eridano.  Avviciniamoci allora a queste due figure. Secondo il mito greco, Fetonte, figlio del Sole, era stato allevato dalla madre Climene senza sapere chi fosse suo padre. Quando, divenuto adolescente, ella gli rivelò di chi era figlio, il giovane volle una prova della sua nascita. Chiese al padre di lasciargli guidare il suo carro e, dopo molte esitazioni, il Sole acconsentì. Fetonte partì e incominciò a seguire la rotta tracciata sulla volta celeste. Ma ben presto fu spaventato dall’altezza alla quale si trovava. La vista degli animali raffiguranti i segni dello zodiaco gli fece paura e per la sua inesperienza abbandonò la rotta. I cavalli si imbizzarrirono e corsero all’impazzata: prima salirono troppo in alto, bruciando un tratto del cielo che divenne la Via Lattea, quindi scesero troppo vicino alla terra, devastando la Libia che si trasformò in deserto. Gli uomini chiesero aiuto a Zeus che intervenne e, adirato, scagliò un fulmine contro Fetonte, che cadde nelle acque del fiume Eridano, identificato con il Po. Le sorelle di Fetonte,, le Eliadi, piansero afflitte e vennero trasformate dagli dei in pioppi biancheggianti. Le loro lacrime divennero ambra. Ma precisamente, dove cadde Fetonte? In Corso Massimo d’Azeglio, proprio al Parco del Valentino dove ora sorge la Fontana dei Dodici Mesi.  In un altro mito, Eridano, fratello di Osiride, divinità egizia, era un valente principe e semidio. Costretto a fuggire dall’Egitto, percorse un lungo viaggio costeggiando la Grecia e dirigendosi verso l’Italia. Dopo aver attraversato il mar Tirreno sbarcò sulle coste e conquistò l’attuale regione della Liguria, che egli chiamò così in onore del figlio Ligurio. Attraversò poi l’Appennino e si imbatté in una pianura attraversata da un fiume che gli fece tornare alla mente il Nilo. Qui fondò una città, che dedicò al dio Api, venerato sotto forma di Toro.


Un giorno Eridano partecipò ad una corsa di quadrighe, purtroppo però, quando già si trovava vicino alla meta, il principe perse il controllo dei cavalli che, fuori da ogni dominio, si avviarono verso il fiume, ed egli vi cadde, annegando.  In sua memoria il fiume venne chiamato come il principe, “Eridano”, che è, come abbiamo detto, anche l’antico nome del fiume Po, in greco Ἠριδανός (“Eridanos”), e in latino “Eridanus”.  Questa vicenda ci riporta alla nostra Torino, simboleggiata dall’immagine del Toro, come testimoniano, semplicemente, e giocosamente, i numerosissimi toret disseminati per la città. Storicamente il simbolo è riconducibile alla presenza sul territorio della tribù dei Taurini, che probabilmente avevano il loro insediamento o nella Valle di Susa, o nei pressi della confluenza tra il Po e la Dora. L’etimologia del loro nome è incerta anche se in aramaico taur assume il valore di “monte”, quindi “abitanti dei monti”. I Taurini si scontrarono prima con Annibale e poi con i Romani, infine il popolo scomparve dalle cronache storiche ma il loro nome sopravvisse, assumendo un’altra sfumatura di significato, risalente a “taurus”, che in latino significa “toro”. È indubbio che anche oggi l’animale sia caro ai Torinesi, sia a coloro che per gioco o per scaramanzia schiacciano con il tallone il bovino dorato che si trova sotto i portici di piazza San Carlo, sia a quelli vestiti color granata che incessantemente lo seguono in TV. C’è ancora un’altra spiegazione del perché Torino sorga proprio in questo preciso luogo geografico, si tratta della teoria delle “Linee Sincroniche”, sviluppata da Oberto Airaudi, che fonda, nel 1975, a Torino, il Centro Horus, il nucleo da cui poi si sviluppa la comunità Damanhur. Le Linee Sincroniche sono un sistema di comunicazione che collega tutti i corpi celesti più importanti. Sulla Terra vi sono diciotto Linee principali, connesse fra loro attraverso Linee minori; le diciotto Linee principali si riuniscono ai poli geografici in un’unica Linea, che si proietta verso l’universo. Attraverso le Linee Sincroniche viaggia tutto ciò che non ha un corpo fisico: pensieri, energie, emozioni, persino le anime. Il Sistema Sincronico si potrebbe definire, in un certo senso, il sistema nervoso dell’universo e di ogni singolo pianeta. Inoltre, grazie alle Linee Sincroniche è possibile veicolare pensieri e idee ovunque nel mondo. Esse possono essere utilizzate come riferimenti per erigere templi e chiese, come dimostra il nodo centrale in Valchiusella, detto “nodo splendente”, dove sorge, appunto, la sede principale della comunità Damanhur. Secondo gli studi di tale teoria Torino nasce sull’incrocio della Linea Sincronica verticale A (Piemonte-Baltico) e la Linea Sincronica orizzontale B (Caucaso).Vi sono poi gli storici, con una loro versione decisamente meno macchinosa, che riferiscono di insediamenti romani istituiti da Giulio Cesare, intorno al 58 a.C., su resti di villaggi preesistenti, forse proprio dei Taurini. Il presidio militare lì costituitosi prese il nome prima di “Iulia Taurinorum”, poi, nel 28 a.C, divenuto un vero e proprio “castrum”, venne chiamato, dal “princeps” romano Augusto, “Julia Augusta Taurinorum”. Il resto, come si suol dire, è storia.
Queste le spiegazioni, scegliete voi quella che più vi aggrada.

Alessia Cagnotto

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: Spadolini – Giovanni Quaglia alla CRT non avrebbe fatto gli sfracelli del camionista di Tortona – L’assessore Chiarelli – Lettere

Spadolini
Il 4 agosto 1994 moriva Giovanni Spadolini, tanto celebrato quanto dimenticato dopo trent’anni dalla dipartita. Il suo ricordo è stato affidato all’allievo Cosimo  Ceccuti, un modesto e servizievole professore che  era una sorta di segretario e che ha ereditato da Spadolini la casa di Pian dei Giullari a Firenze.
Credo che l’opera storica di  Spadolini non sarebbe stata ricordata, salvo due o tre libri su “Stato e Chiesa” e “Giolitti e i cattolici”, perché molti suoi scritti sono sovente autocelebrativi. La politica e il giornalismo  lo distolsero dagli studi. Penso tuttavia  che  un grande contributo al suo oblio  sia opera dell’inerzia del suo erede. Sono stato amico di Spadolini per tanti anni. Fu il primo ad essere insignito del Premio “Pannunzio” nel 1982 quando egli era Presidente del Consiglio. Alla sua morte organizzai un convegno al Senato della Repubblica. Poi Ceccuti seguì una sua strada per compiacere il vecchio Antonio  Maccanico ed essere vicepresidente del Comitato “Pannunzio” nel centenario del 2010. Un vero e proprio  tradimento anche di Spadolini che era molto legato al Centro torinese.  Ma queste sono piccole miserie. Sotto il profilo politico Spadolini resta uno dei pezzi migliori della Prima Repubblica, neppure confrontabile con la  classe dirigente mediocre della Seconda Repubblica. Era un oratore appassionato e guardingo. Io lo conobbi nel 1965 quando ero al liceo, presentato da Carlo Casalegno. Era davvero  un altro mondo quello in cui sono cresciuto. Spadolini indossava ancora  una lobbia ministeriale che quando divenne ministro abolì dal suo vestiario abituale. Portò il Pri al suo massino storico che rapidamente il suo successore Giorgino La Malfa distrusse.
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Giovanni Quaglia alla CRT non avrebbe fatto gli sfracelli del camionista di Tortona
Il gigantesco e forse pantagruelico Palenzona che tanto ha fatto per diventare Presidente della CRT, cacciando Quaglia, ha dovuto quasi subito dimettersi. C’è da domandarsi perché sia stato sacrificato Quaglia, un uomo esperto, collaudato, onesto, amatissimo  non solo a Cuneo  e nella Provincia Granda. Quaglia resta una grande risorsa della Repubblica, un Dc  competente che non ha nascosto la sua appartenenza storica, ma sa anche essere super partes nel gestire la cosa pubblica in un’ epoca in cui la politica vuole occupare anche gli strapuntini.
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L’assessore Chiarelli
L’assessore regionale alla cultura Marina Chiarelli inciampa  nelle buche non riparate del centro di Torino, ma centra le interviste con intelligenza. Infatti ha dichiarato di non voler parteggiare per nessuno, ma di valutare i progetti e la capacità di realizzarli. Finalmente una voce dissonante dal coro dei faziosi.  L’assessore Purchia  dichiara che non ha spazi adeguati a grandi mostre. Purchia non conosce la storia di Torino perché fino alla sindacatura di Piero Fassino c’era Patrizia Asproni che ha portato il meglio dell’arte a Torino. Anche gli assessori Leo e Oliva hanno fatto molto bene all’assessorato alla Cultura regionale oggi affidato all’avvocato novarese Chiarelli che ha esordito nel modo migliore con una bella intervista. Parole nuove e diverse rispetto ai politicanti.
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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com

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“La scuola dei talenti”
Il ministro dell’Istruzione, il  leghista Valditara  insieme ad alcuni collaboratori  ha pubblicato il libro “La scuola dei talenti” che vorrebbe essere il manifesto della nuova scuola riformata dal centro – destra salviniano. Una immensa delusione  nel leggere rancide banalità. Cosa ne pensa?
 Prof. Umberto de Giulio
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Ho dato una scorsa al libro che non mi è apparso deludente solo  perché l’attuale ministro non ha idee originali e quindi non può né illudere né’ deludere. Ha fatto bene a precisare che lui non ha  nulla a che fare con Gentile,il massimo riformatore della scuola insieme a Casati. Era intuibile venisse da altre… scuole di pensiero. Dopo una cinquantina  di pagine ho desistito dalla lettura. Con un ministro così la scuola italiana purtroppo non si riprenderà mai.

Finale col botto per il “Teatro in Natura”

Ha chiuso con successo la settima edizione di “Gran Paradiso dal Vivo”, mentre restano in programma, per fine agosto, due interessanti appuntamenti extra

Unico Festival di “Teatro in Natura” tenuto nel magico interno di un Parco Nazionale, ha chiuso più che in bellezza la settima edizione del Festival (fra le rassegne più interessanti in ambito nazionale) “Gran Paradiso dal Vivo”, organizzato dalla torinese Compagnia Teatrale “Compagni di Viaggio”, sotto la direzione artistica del suo presidente Riccardo Gili.

Particolarmente applauditi, secondo gli organizzatori, gli spettacoli che hanno portato nel “Parco” alcuni dei grandi nomi del teatro italiano: da Giobbe Covatta in “6° (sei gradi)”Lucilla Giagnoni in “Di acqua e di terra” e a Sista Bramini in prima nazionale con “O Thiasos Teatronatura” tratto dalla novella orientale di Marguerite Yourcenar.

Affollati, in ogni caso, anche gli altri spettacoli, tra i quali spicca il curioso “teatro a pedali” nella centrale idroelettrica Iren di Rosone a Locana in cui la pièce è stata alimentata dalla pedalata dell’attore in scena Daniele Ronco di “Mulino ad Arte” con “Mi abbatto e sono felice”.

Non minore successo hanno ottenuto anche gli spettacoli su “percorsi itineranti” tra sentieri, boschi e radure a Ceresole Reale e intorno alla Rocca arduinica di Sparone, nonché quello tenutosi all’“Ecomuseo del Rame” di Alpette, nonostante la minaccia di maltempo e il cambio di location al chiuso.

A fare da scenografia e suggestivo palcoscenico borghi alpini, santuari, vallate e prati per vivere un’autentica esperienza immersiva tra teatro, storia, musica e natura.

Suddivisa in tre filoni (“TeatroNatura”, “Senza quinte e sipario” e “Questo parco è uno spettacolo!”), l’edizione 2024 di “Gran Paradiso dal Vivo” va in archivio portandosi dietro anche un pregio di non poco conto: un’ulteriore riduzione dell’impatto ambientale grazie all’introduzione di un service a impatto zero”, ovvero un impianto luci e audio a energia rinnovabile alimentato da un pannello fotovoltaico, acquistato grazie ai fondi del bando ministeriale “TOCC” sulla transizione ecologica.

 

Interessante “supplemento” del Festival “due appuntamenti extra”. 

Dopo la prima “Masterclass di scrittura creativa” con Mariella Martucci “Caro bosco”tenutasi dal 2 al 7 luglio, è ora la volta de Lo spirito corale della natura di Artemusica” con Debora Bria, Carlo Beltramo e Matteo Valbusa, da mercoledì 28 a sabato 31 agosto (in chiusura concerto sabato 31 agosto, alle 17) e Danza Natura – Masterclass di danza contemporanea di Fondazione Egri per la danza” con Raphael Bianco, Elena Rolla, Cristian Magurano, Elisa Bertoli, Oxana Romaniuk, Gianna Bassan e Vincenzo Criniti, da martedì 3 a domenica 8 settembre.

 

Il “Festival Gran Paradiso dal Vivo” tornerà a luglio 2025.

Per info: “Gran Paradiso dal Vivo” – Festival di Teatro in Natura, “Parco Nazionale Gran Paradiso”; www.granparadisodalvivo.it

g.m.

Nelle foto:

–       “Metamorfosi della ninfa Io”, Ceresole Reale, @focusgrafica

–       Giobbe Covatta: “6gradi”, Noasca, @focusgrafica

–       Lucilla Giagnoni: “Di acqua e di terra”, Valprato, @MarziaScala

Il Coro La Rotonda compie i suoi primi quaranta anni

Due appuntamenti ad Agliè l’8 e il 28 settembre

 

Il Coro La Rotonda compie i suoi primi quaranta anni e festeggia alla grande con due appuntamenti da non perdere per la “Rotonda fa 40”, tema portante dell’edizione 2024 di Settembre in coro. Si tratta di due concerti che si terranno ad Agliè a ingresso gratuito l’8 e il 28 settembre.


Domenica 8 settembre alle 21, presso il Salone Architetto Franco Paglia di strada Bairo 2 ad Agliè si terrà  il concerto del Coro da Camera di Torino, diretto dal maestro Dario Tabbia. Il Coro da Camera di Torino nasce nel 2008 su iniziativa dello stesso Tabbiacon l’obiettivo di formare uno strumento di valorizzazione del repertorio polifonico meno conosciuto. Ha tenuto concerti all’interno di importanti festival musicali fra i quali MiToSettembre Musica e Unione Musicale di Torino, Piemonte in Musica, Musici di Santa Pelagia, Teatro Bibiena di Mantova, Ruvo Coro Festival con un vasto repertorio che spazia dal Rinascimento al XX secolo. È  stato invitato ai Festival internazionali di Sassari,  Cagliari e Porto Torres e al concerto di gala 2011 dell’Associazione dei Cori Piemontesi. Tra gli altri premi ricordiamo nel 2019 i tre primi premi al Concorso Nazionale di Vittorio Veneto, due premi speciali e il Gran Premio Efrem Casagrande. Nel 2021 e 2022 è stato invitato come coro laboratorio per il concorso Internazionale per direttori di coro Fosco Corti a Torino, vincendo poi ad Arezzo tre primi premi del concorso Polifonico Internazionale Guido d’Arezzo e il Gran Premio Città di Arezzo.

Sabato 28 settembre, a Bairo, in via Marconi ad Agliè, alle 21 il Coro la Rotonda festeggerà i suoi quaranta anni con un concerto di rimembranze. Verrà allestita per l’occasione una galleria fotografica degli eventi significativi di questi quaranta anni di storia del coro, con un invito rivolto  a partecipare a tutti coloro che hanno cantato nel Coro e ai loro familiari.

Il 21 settembre il Coro La Rotonda, sempre in Santa Marta alle 21, interverrà come ospite con il proprio repertorio alla serata del Concorso Letterario Nazionale Aladei 2024. Durante il concorso si parlerà del rapporto tra musica e intelligenza artificiale, momento di confronto tra le potenzialità della macchina e la capacità della voce umana.

Il Coro La Rotonda ha compiuto un interessante salto di qualità organizzativa ottenendo la denominazione APS Associazione di Promozione Sociale. La sua dinamica vitalità si è espressa in molti concerti in diverse regioni italiane, quali Piemonte, Liguria, Veneto e Friuli, anche nell’organizzare appuntamenti didattici per la crescita del Coro.

“Settembre in coro” conclude gli impegni della bella stagione e nell’inverno il coro si concentrerà sull’aspetto didattico-musicale.

Info 3357113483.

 

Mara Martellotta

“Blu di Prussia- voci di dentro”

La presentazione del romanzo a Torino il prossimo autunno

Il desiderio di far sentire la propria voce e l’autentica voglia di dare una forma concreta a quanto si cela all’interno dell’animo umano femminile, per tentare di dare un senso alle contraddizione dei nostri sentimenti. E’ questo l’intento della scrittrice Roberta C. La Guardia, autrice del libro “Blu di Prussia- voci di dentro” (edito Monetti editore) Il testo è una rappresentazione in versi di “appunti rivelazioni, intuizioni, flussi di coscienza, ricerca di nuovi equilibri, gioie, dolori e boati di verità alla ricerca” della “scienza della soddisfazione”, strettamente legati al mondo femminile. L’autrice presenterà il libro a Torino nel prossimo autunno, dopo aver presenziato all’edizione 2024 del Salone del Libro. La Guardia, grazie alla sua voce originale e fuori dalle righe, dà modo al lettore di riflettere sul ruolo della donna nell’attuale società, sulle difficoltà e sulle incertezze che questo comporta, ma anche sulla bellezza che lo caratterizza.

Il libro è solo parte un progetto culturale molto più ampio. Puoi spiegarci meglio?

Blu di Prussia- voci di dentro” diverrà anche un’opera teatrale e- se si riuscirà- anche cinematografica e musicale. Infatti la mia volontà è quella di creare un’ opera “crossmediale” che abbracci a 360° le varie forme espressive Presenterò il libro in varie città, tra cui appunto Torino, e dopodiché mi dedicherò alla messa in scena del progetto. L’intento è quello di superare alcuni tabù letterari createsi nella nostra società e legati al mondo femminile, tra cui vi è sicuramente quello dell’erotismo. Voglio dare una nuova “voce” al mondo femminile e, per questo, mi serve un’eterogeneità nella rappresentazione dello stesso.

Per il libro ha scelto la forma della poesia. Come mai l’ha preferito alla prosa?

Premesso che la scrittura è sempre stata un’ancora di salvezza, la scelta dello stile narrativo è avvenuta in modo naturale e spontaneo. La mia formazione è prettamente teatrale e, in quell’ambito, sono abituata a leggere moltissima poesia. La scelta di questa tecnica è stata dettata da un flusso spontaneo della mia interiorità.

Per lei , quindi, la letteratura è sempre stata fondamentale.

Assolutamente sì ed è sempre stata in stretta connessione con il teatro. Grazie alla letteratura è possibile imparare tanto della vita, dei sentimenti, della fratellanza e dell’amicizia. Per questo voglio portare il mio libro in varie città e trasmettere il messaggio che si cela sotto la mia espressione letteraria.

C’è ancora secondo lei un futuro per i libri in un mondo sempre più digitale?

Sì e il Salone del Libro di Torino è stata una conferma di questo. Dal mio punto di vista è necessaria un’alfabetizzazione agli strumenti culturali fin da piccoli: bisogna imparare ad abituarsi a leggere. La lettura aiuta il bambino ad avvicinarsi a determinati concetti che diversamente sarebbero inaccessibili. Per me i libri sono lo strumenti per vivere una vita felice e, non per altro, si sta sempre di più diffondendo la  cultura degli eventi esclusivamente dedicati alla lettura senza alcuna possibilità di accesso ai supporti digitali. Al contempo anche il teatro dovrebbe essere maggiormente frequentato in quanto è uno strumento necessario per sviluppare e fortificare le creatività.

Valeria Rombolà