“Comunque cambi, qualsivoglia forma assuma la storia d’amore sia essa vissuta o anelata, questo sentimento profondo che è vita, forza vitale, non si sottrae al gioco degli sguardi, quella magia che si fa sentire nel silenzio, alla forza devota, semplice dei versi che si trasmutano nei pensieri dell’altro e ne riconoscono l’esistenza tanto da guardare alla sua vita che non ci appartiene ma è essenziale”, si legge nell’introduzione di Bruno Mohorovich, curatore della raccolta di poesie ‘Inno all’Amore’, in occasione della festività di San Valentino dedicata agli innamorati.
Centodieci poeti, presenti nell’antologia, hanno voluto testimoniare questo.
‘Inno all’Amore’ è il primo volume di una trilogia edita da Bertoni Editore che comprenderà altre due antologie di prossima pubblicazione: ‘Inno alla morte’ e ‘Inno all’Infinito’.
“Il progetto ‘Inni’ curato insieme al professore Bruno Mohorovich è una raccolta di poesie che abbiamo pensato per tre iniziative importanti, la giornata di San Valentino, in collaborazione con il comune di Terni di cui il santo è patrono, un omaggio ad Ungaretti nella giornata mondiale della Poesia promossa dall’Unesco in collaborazione con il comune di Perugia e le giornate leopardiane a fine giugno in collaborazione col comune di Recanati” ha riferito l’editore Jean Luc Bertoni.
‘Inno all’Amore’ verrà presentato durante le giornate valentiniane. Attraverso questi versi, che sottintendono tanti incontri e storie vissute in prima persona scopriamo che l’amore con tante sfumature è la forza che muove ogni essere vivente, capace di alleviare le sofferenze e di farci sempre ritrovare la fiducia in noi stessi.
Quando veniamo al mondo siamo amore puro, guardiamo il mondo per la prima volta con stupore e non possiamo che provare una gioia immensa per ciò che ci è stato donato.
Purtroppo, però, crescendo ci allontaniamo da questa posizione. Nei nostri giorni la realtà è piena di sofferenza e difficoltà, e sono tante le delusioni piccole e grandi che incontriamo nel corso della nostra vita.
Il rischio è che tutto questo renda l’amore sempre più raro e difficile da comunicare alle persone che ci sono vicine, come avviene molto spesso.
Pertanto, si finisce per chiudere il nostro cuore, diventando insensibili per la paura di stare male nuovamente.
Per cui ben venga un’antologia di questo tipo che aiuta e sollecita a riconoscere l’amore che si irradia dalle persone, che brilla e che ci avvolge in un’aura luminosa.
Perché in fondo basta poco per riaccendere la nostra vita e quella di colui o di colei che amiamo.
L’amore è la forza più potente al mondo. È l’amore che ci guida nella giusta direzione e ci spinge lontano ed è attraverso l’amore che la nostra vita acquista davvero un senso.
E come dice Roberta Arduini, autrice e voce recitante de ‘Il Soffio della Nuova Vita’, spettacolo di Parole e Musica composto per la rinascita da Covid:”….perché in fondo la vita non è che un pezzetto di tempo per imparare ad Amare’.
L’amore viene dal cielo, attraverso tanti incontri e storie vissute in prima persona e questa antologia ci accompagna alla riscoperta del sentimento che muove il mondo e ci indica la strada per guarire le ferite e tornare ad aprire con fiducia il nostro cuore.
L’amore viene dal cielo, e ritorna al cielo che lo benedice, come recita Roberta Arduini nella conclusione della sua poesia dal titolo ‘L’ Amore ritorna al Cielo’, a pagina 18 dell’antologia: “……..E dimmi, chi può portarci via questo Amore puro che dal nostro terrazzo scocca l’unica freccia e trafigge le Stelle per arrivare sulla Volta Celeste che ci benedice mano nella mano”.
Cosa possiamo fare per accrescerlo, per vederlo davvero, e per essere felici?
Questa opera letteraria, vuole essere un contributo, ben riuscito per risvegliarci l’emozione, il desiderio e il bisogno di amare e aiutarci a soddisfarlo.
Le copie dell’antologia ‘Inno all’Amore’, saranno ordinabili dal sito della Bertoni Editore www.bertonieditore.com.
Vito Piepoli
Inaugurata online, causa emergenza sanitaria, il 22 dicembre scorso, la rassegna dedicata dalla “Fondazione Bottari Lattes” alle opere “recuperate” dell’eclettico artista torinese è stata aperta al pubblico, a seguito del passaggio del Piemonte in “zona gialla”, il 10 febbraio scorso presso le sale della stessa “Fondazione” nata nel 2009 a Monforte d’Alba per volontà della moglie Caterina Bottari Lattes proprio con lo scopo primo di mantenere viva la memoria del marito, pittore ma anche scrittore editore e fra i nostri più prestigiosi intellettuali del secondo dopoguerra.
mondi pittorici del francese Odilon Redon o del belga James Ensor), realizzati da Lattes nell’arco temporale che va dal 1959 al 1990. Sono opere mai finora esposte, facenti parte delle nuove acquisizioni recuperate dal fondo di collezionisti privati per accedere al prezioso patrimonio della pinacoteca a lui dedicata nelle sale espositive al primo e al secondo piano della “Fondazione”, accanto ai molti lavori già in essa presenti. Lavori che raccontano, nella quasi totalità, il viaggio nei “mondi di Mario Lattes”, come recita il titolo dell’attuale rassegna con l’aggiunta di quell’ “# 1” , teso a connotarsi come prima tappa di una complessa esplorazione che verrà arricchita nel tempo attraverso ulteriori recuperi, resi disponibili al pubblico a più riprese.
Occorre adeguarsi alle sue luci e alle sue ombre, intuire l’indefinito pur sapendo che esiste un lato oscuro che non potrà disvelarsi… La complessa trama pittorica che mostra e nasconde, che lamenta e afferma, indica strade segnate dalla conoscenza del dubbio e l’artista, indifferente alla prassi, manipola materie grafiche e pittoriche per giungere a una vertiginosa discesa nelle profondità dove le forme affondano e riemergono mutate”.
Stiamo parlando della maschera tradizionale torinese; “Gioan” si inscrive nel vasto gruppo costituito da altri altrettanto celebri personaggi provenienti da altre zone italiane, quali il campano Pulcinella, il ligure Capitan Spaventa, l’emiliano Dottor Balanzone, il lombardo Meneghino, i toscani Stenterello e Burlamacco o ancora i famosi Arlecchino, Pantalone, Colombina, Rosaura e Brighella dall’inconfondibile accento veneto.
Anche se con rammarico, è opportuno che mi fermi qui con la mia “tiritera” sul Carnevale, festa che mi sta decisamente a cuore e che tutt’ora mi affascina come quando ero piccina e mi travestivo da Lady Oscar. Tuttavia mi preme intrattenermi sul “nostro” caro Signor Gianduia, anche lui relegato ad una serie di scontati stereotipi commerciali che lo assimilano al cioccolato, al vino e a quel sorridente viso “paciarotto”. Egli in realtà è una figura assai complessa, così come lo è la sua storia; lo sa bene Alberto Viriglio che così descrive la maschera piemontese ne “Torino e i Torinesi” (1898): «Gianduja non è una maschera, è un carattere», sostiene, e continua che, sotto l’apparente ingenuità, il personaggio cela un’astuzia e una prontezza di riflessi non comuni. È dotato di una grande sensibilità «sembra spaventato da un grillo» … «piange allo spettacolo dell’innocenza oppressa» ma è anche provvisto di coraggio «lotta col diavolo, non senza prima presentare le proprie ragioni»; con noncuranza «scherza col boia che lo vuole impiccare» … «è pronto alla picchiata e picchia sodo».
Con il passar del tempo la figura di Gianduia si lega intrinsecamente a Torino, ne segue i mutamenti e i cambiamenti più significativi: la città diviene un principale centro industriale e la maschera piemontese si associa alle “galuperie” dolciarie. Nel 1866 viene fondata la “Società Gianduia” che insieme al Circolo degli Artisti promuove un’operazione del rilancio del Carnevale piemontese nel segno della nuova direzione industriale.

