Si svolgeranno dal 10 al 24 maggio le presentazioni dei 76 finalisti nelle varie sezioni della ventesima edizione del Premio InediTO – Colline di Torino 2021 selezionati tra 1.249 iscritti e 1.382 opere (provenienti da tutta Italia e dall’estero) dal Comitato di Lettura, in collaborazione con i comuni e le biblioteche aderenti, l’associazione Tedacà e la casa di produzione Indyca partner del concorso.
Le presentazioni avverranno attraverso le pagine Facebook degli enti coinvolti dalle ore 18:00 in modalità streaming nelle seguenti date:
10 maggio – Narrativa-Racconto: Biblioteca Civica “A. Arduino” di Moncalieri
12 maggio – Testo Canzone: Biblioteca Civica Musicale “Andrea Della Corte” di Torino
14 maggio – Narrativa-Romanzo: Biblioteca Civica Multimediale “Archimede” di Settimo Torinese in collaborazione con “Incipit Offresi”
17 maggio – Saggistica: Biblioteca Civica “N. e P. Francone” di Chieri
19 maggio – Poesia: Biblioteca MOviMEnte di Chivasso
21 maggio – Testo Teatrale: con Tedacà
24 maggio – Testo Cinematografico: con Indyca
Parteciperanno alle dirette che permetteranno di conoscere gli autori, Margherita Oggero (presidente della Giuria), i giurati Milo De Angelis, Maria Grazia Calandrone, Alfredo Rienzi, Enrica Tesio, Sacha Naspini, Maria Teresa Ciammaruconi, Marco Lupo, Valentina Maini, Flavio Vasile, Michela Marzano, Massimo Morasso, Laura Nuti, Elisabetta Pozzi, Emiliano Bronzino, Renato Gabrielli, Alice Filippi, Paolo Mitton, Diego Trovarelli, Teresa De Sio, Willie Peyote, Lisbona (impegnati in questi giorni a valutare le opere finaliste), i membri del Comitato di Lettura, il direttore Valerio Vigliaturo, gli assessori alla cultura delle città (Antonella Giordano, Laura Pompeo, Tiziana Siragusa) e i responsabili delle biblioteche (Cecilia Cognigni, Loredana Prisco).
“Le sedie” dunque, “un classico” capace d’arrivare oggi placidamente senza scombussolare più di tanto gli spettatori degli anni Duemila, abituati a ben altro. Con il titolo confratello sono il manifesto di quel teatro dell’assurdo – tradotto da noi dall’estro e dall’intelligenza di Gian Renzo Morteo – che fece la filosofia teatrale e la fortuna dell’autore franco-rumeno, il panorama su un mondo malato e squinternato anche nel linguaggio, spezzettato e controcorrente in tutti i suoi nonsense, nei suoi rapporti malati, nelle convenzioni sociali da buttare al macero. Nello spazio delle Fonderie Limone di Moncalieri, nello spettacolo (finalmente) messo in scena dallo Stabile torinese con la regia di Valerio Binasco (repliche sino al 16 maggio), ritroviamo, forse all’indomani di un evento apocalittico, in un enorme stanzone polveroso, un battuto terroso dove rotolano sassi, una grande finestra unico sguardo sul mondo, aperta su un oceano ormai privo di vita, un ammonticchiarsi di sedie su di un lato (la scena è di Nicolas Bovey), lui e lei (Semiramide, remissiva e servizievole, evanescente, una bella prova di Federica Fracassi) pronti a scambiarsi ricordi di una vita trascorsa insieme, forse settanta forse cento forse mille anni, mentre attendono l’arrivo dei loro ospiti, catturati tra le più disparate professioni e i più diversi ranghi sociali, che l’uomo ha convocato per una conferenza. È anche atteso un oratore, si dovrà pur ben fare una telefonata ad un Imperatore ossequiato e deriso per ottenere la sua approvazione. Ci vorranno sedie, tante sedie, all’arrivo di ognuno, parole di presentazione, ed ecco che Semiramide inizia a disporre in un relativo ordine sedie quasi ovunque.
Ionesco intesse con un ordine capovolto i piccoli rapporti di complicità della coppia, le loro solitudini, il desiderio di vivere e la stanchezza, le infermità, frantuma quel vecchio ordine in mille parti (Michele Di Mauro è l’emblema di quella scomposizione, e di quella catastrofe, a cominciare da quel linguaggio fatto a pezzi, da quel farfugliare continuo, da quel rincorrersi lento e affaticato delle sillabe: una prova d’attore assai bella e convincente). Binasco, da parte sua, mentre ci ricorda che “l’assurdo ha senso solo nella misura in cui gli venga negato il consenso” (sono parole di Camus), reclama il diritto di prendere i suoi personaggi, facendone due attori marcatamente truccati, e di smussare da essi e dal testo quel tanto di cattiveria – Binasco nelle note di regia parla di “odio”) – da parte dell’autore per il vecchio teatro e di far posto a quell’amore che sfocia poi in uno spazio ben più ampio, la vita. “Una storia di tenerezza umana”, fatta, capovolgendo inaspettatamente l’assurdo, “l’assurdo dell’assurdo”, di piccoli affetti, di gesti familiari, di premure coniugali, di gag quotidiane. Ma tutti si spegne, lui e lei s’avvicinano alla grande finestra e vi salgono sopra, per un salto nel vuoto, che è la negazione di tutto. Uno spettacolo che per 80’ tiene vivacemente attenta l’attenzione dello spettatore (tutti ben distanziati e felici di poter rioccupare le poltrone di una sala teatrale), ben diretto e ottimamente recitato, più e più volte applaudito al termine di una repliche: lo consigliamo in questa riapertura di cui non vedevamo l’ora, che ci auguriamo mantenga le proprie promesse, senza alcun passo falso.
Un avvenimento, sostenuto dal Consiglio regionale del Piemonte tramite il Comitato Resistena e Costituzione, che consente la visione di un centinaio di immagini inedite scattate con la sua Leica dal fotoreporter partigiano nella XIV Brigata Garibaldi durante la Resistenza. La selezione degli scatti è stata suddivisa in quattro momenti: la discesa della brigata in città, gli aspetti delle giornate insurrezionali (fucilazione di cecchini, morti in strada, segni della pietà popolare su luoghi di eccidi), la sfilata del 6 maggio 1945 (dove l’occhio del fotografo-pittore coglie soprattutto volti e gruppi nella folla) e i giorni antecedenti la smobilitazione delle brigate partigiane. Un’occasione importante per conoscere e apprezzare il lavoro di testimonianza di Felix De Cavero che riporta alla mente quanto scriveva il grande fotografo Henri Cartier-Bresson: “fare una fotografia vuol dire allineare la testa, l’occhio e il cuore. È un modo di vivere. Una fotografia non è né catturata né presa con la forza. E’ lei che si offre. È la foto che ti cattura”. Negli scatti di De Cavero sono impresse immagini che ci restituiscono alcuni dei momenti fondativi della nostra vicenda democratica e repubblicana c’è un discorso storico, un racconto visivo importantissimo. Le foto diventano fonte storica, testimonianza diretta degli eventi, capaci di suscitare, in chi le vede, emozioni e riflessioni che lasciano un segno profondo. In realtà quelle immagini hanno rappresentato un ritorno nella città della Mole se pensiamo che i torinesi, nell’agosto del ’45, durante la prima estate del secondo dopoguerra, videro qualche fotografia esposta nella prima mostra della Resistenza che De Cavero allestì su incarico del Comitato di liberazione nazionale.
Discendente da famiglia nobile spagnola ( il padre Antonio era stato ufficiale d’ordinanza di Garibaldi nella campagna dei Vosgi e poi colonnello nell’esercito degli Stati Uniti) Felix De Cavero nacque a Diano Marina nel dicembre del 1908. Diplomatosi nel ’30 all’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova, fu tra i pittori protagonisti dell’arte tra tardo futurismo e esperienze d’avanguardia a Genova e a Milano. Richiamato alle armi nel gennaio del ‘42 nel 1° Alpini, l’armistizio dell’8 settembre 1943 lo sorprese a Monforte, nelle Langhe, dove iniziò la sua attività nella Resistenza con le prime bande e, dal settembre 1944, nel comando della XIV brigata Garibaldi come fotoreporter e redattore del giornale “Stella Tricolore”, il periodico clandestino delle formazioni garibaldine langarole. Nell’agosto del ‘45 fu lui l’ideatore della prima mostra della Resistenza a Torino, esposizione che ripropose, ampliata, in Francia – a Nizza e Grenoble – e successivamente a Genova nel gennaio 1946. Il suo era uno sguardo sull’Europa che si ritroverà nell’esperienza artistica del dopoguerra. Nello stesso 1946 realizzò una mostra dell’esercito italiano su incarico del generale Clemente Primieri, già comandante del Gruppo di combattimento “Cremona”. Nel 1953 fu il creatore del Gruppo d’arte Decalage che operò per circa quarant’anni con rilevanti riconoscimenti nazionali e internazionali. Conclusa l’esperienza del gruppo dal 1991 si dedicò con la figlia Paola alla realizzazione di un nuovo ciclo di opere pittoriche, “Incantesimi”. Scomparve a Torino il 7 agosto 1994. Riposa nella tomba di famiglia al Cimitero Monumentale, accanto alla moglie Lucy Cristofoli. Una targa-stele, apposta dalla Città di Torino, ne ricorda la figura di artista e partigiano.








