CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 497

Sugli schermi “Pinocchio” di Matteo Garrone

PIANETA CINEMA
A cura di Elio Rabbione

Un’opera mancata, dai toni lugubri e dai trucchi eccessivi

Al termine della proiezione del Pinocchio di Matteo Garrone (quanto al confronto grande, diciamolo subito, con quel precedente Racconto dei racconti, visivamente entusiasmante, narrativamente perfetto), la prima domanda che ti fai è a chi sia rivolto il film, a chi è dedicato. E ti rispondi: non ai bambini, che certo s’intimoriscono ai toni lugubri della vicenda, alle tinte spesso scure, forse anche a certi trucchi animaleschi che confinano con il babau, a certa noia che t’assale in non pochi tratti; e non agli adulti, cui viene infelicemente sottratto il senso dello spettacolo, il guizzo del divertimento, il piacere del sorriso e salendo più su della risata, il palpito della sorpresa. Perché anche quando l’accoppiata di sceneggiatori Garrone e Massimo Ceccherini (il secondo a firmare come cosceneggiatore? perché? in che modo? per quale manna dal cielo: pronto pure a gonfiarsi inverosimilmente il ruolo della Volpe, un make up tenuto bene a bada, unghie lunghe e luride, una forestucola di capelli arruffati, un paio di baffi striminziti, tenendosi quello del Gatto – Rocco Papaleo – tre passi indietro a ripetere stancamente le sue battute) s’inventa un’andata di Geppetto nella misera trattoria a ricevere per pietà un misero pasto caldo, nel momento stesso in cui cercherebbe un piccolo lavoro, un tavolo, una sedia o una porta da aggiustare, ogni battuta, ogni movimento del parolaio Benigni diventa piano, ripetitivo, inconcludente, di troppo.

Benigni che nella parte centrale (per grande fortuna) sparisce per lasciare il posto al burattino di legno e alle sue tante avventure – calate in un’Italia ottocentesca di borghi con quattro case, di povertà, di distese di grano, di bettole scalcinate, di aie, di gente che vuol fregarti e che ti frega, di una giustizia che è tutta un teatrino, di un mare che sputa mostri -, il teatrino e Mangiafuoco (uno dei tanti luoghi bui con Proietti inutilizzato tra lacrime e perdoni, l’incontro con il Gatto e la Volpe che s’è detto e il campo dei miracoli, le cinque monete da seppellire e il raggiro, la Fatina azzurra che più anonima non si sarebbe potuta scegliere, quasi da dar ragione a Pinocchio a fuggire da lei, il tribunale, Lucignolo e il paese dei balocchi buttati via con quattro pennellate e così sia, la trasformazione in ciuco, la pancia della balena e il ritrovamento del padre seppellito dentro, la resurrezione a bambino vero e pieno di buoni propositi. Un lentissimo srotolarsi di episodi che tutti conosciamo (qualcuno per durata o economia è stato abolito), fedelissimi all’opera di Carlo Lorenzini ovvero Collodi ma senza che nessuno si sollevi dalla freddezza dei toni e ti afferri, ti faccia per un attimo soltanto tornare bambino (anche questo potrebbe essere un bel risultato), faccia sì che tu t’abbandoni al percorso di vita del povero burattino. E credo che questa negazione sia in gran parte dovuta proprio là dove regista e produttori più hanno creduto, spendendo ore di lavoro e quattrini (e allora pensate al candore di Comencini e Manfredi e dell’impareggiabile Andrea Balestri nello sceneggiato televisivo datato 1972), voglio dire in zona trucco: perché tutto quel posticcio, quel carnevale di piume, quelle barbe e quei baffi, quelle squame, quella patina fintolegno che ricopre il viso del piccolo Federico Ielapi impediscono ai sentimenti, alle emozioni di venir fuori, di prendere spazio, di essere lo scheletro del film. Che è un’opera mancata, destinata all’indignazione di chi guarda, all’occhiata all’orologio, alla pazienza, alla definitiva indifferenza verso una delle più belle figure della letteratura infantile. Con buona pace della Poesia, incredibilmente spazzata via.

Rock Jazz e dintorni: Niccolò Fabi e i Diaframma

Gli appuntamenti musicali della settimana 

Lunedì. Omaggio a Pino Daniele al Jazz Club con il quintetto del vocalist Lele Piras.

Martedì. Sempre al Jazz Club  suona il quartetto Balto.

Mercoledì. Ancora al Jazz Club concerto dei Fraubers in The Sky.

Giovedì. All’Off Topic il chitarrista Mosè Morsut presenta il progetto “Pizzicando le Alpi”.

Venerdì. Al Diavolo Rosso di Asti si esibisce il duo femminile I’M Not a Blonde. Al Blah Blah suonano i Diaframma, storica rock band degli anni ottanta. All’Off Topic tributo del Consorzio Anime Salve a Fabrizio De Andrè. Al Folk Club si esibiscono i Gang.

Sabato. Al Blah Blah sono di scena i Permanent impegnati ad riarrangiare il classico dei Joy Division “Unknown Pleasures”. Al Teatro Colosseo suona Giovanni Allevi. Al Concordia di Venaria si esibisce l’esponente dell’hip hop Rkomi. Al Jazz Club suona il quartetto del sassofonista Piergiorgio Elia. Al Big Lebowski si esibisce la cantautrice Marianne Mirage.

Domenica. Al Teatro Colosseo arriva Niccolò Fabi per presentare l’album “Tradizione e tradimento.”

 

Pier Luigi Fuggetta

A Nichelino il Gran Concerto dell’Epifania

Al Teatro Superga di Nichelino è previsto il Gran Concerto dell’Epifania, con la partecipazione della solista americana Laura Bennett Cameron, fagottista di fama internazionale.

In occasione dell’Epifania l’orchestra di fiati nata a Buttigliera Alta si esibirà al Teatro Superga di Nichelino. La Filarmonica San Marco è riconosciuta come una delle più promettenti realtà musicali italiane, nata con lo scopo di divulgare la cultura musicale fra i giovani del proprio territorio. Cresciuta nel corso degli anni, l’orchestra svolge un’intensa attività concertistica in Italia e all’estero ed è composta da circa 50 musicisti.

Dal 2018 la direzione artistica è affidata a Matteo Dal Maso con l’obiettivo di delineare un progetto culturale di grande respiro attento alla professionalità e alla qualità musicale, elementi fondamentali del processo di crescita dell’orchestra che aspira ad essere una formazione sempre più innovativa pur mantenendo tracce solide della tradizione orchestrale italiana.

Per il Gran concerto dell’Epifania, la Filarmonica San Marco eseguirà brani dei più grandi compositori del passato come Rossini, Verdi, Weber, Mascagni e Bizet, con la partecipazione della solista americana Laura Bennett Cameron, fagottista di fama internazionale.

Dove e quando 

Lunedì 6 gennaio, ore 17.30

Teatro Superga, via Superga 44, Nichelino (TO)

Info

www.teatrosuperga.it

011 6279789 biglietteria@teatrosuperga.it

In visita a Novara ripercorrendo la storia del Divisionismo

Dal Piemonte / Eventi culturali

Sta registrando un notevole successo in termini di afflusso del pubblico la mostra ‘Divisionismo. La rivoluzione della luce’ che si svolge a Novara al Castello Visconteo Sforzesco e che chiuderà il 5 aprile prossimo

L’evento è promosso ed organizzato da Comune di Novara, Fondazione Castello Visconteo ed associazione Mets Percorsi d’Arte ed è curata dalla studiosa Annie-Paule Quinsac, tra i primi storici dell’arte ad essersi occupata del Divisionismo sul finire degli anni Sessanta a partire da Giovanni Segantini, Carlo Fornara e Vittore Grubicy de Dragon. In otto sale, con un’esposizione di facile comprensione per chiunque, anche non cultore della materia, si ripercorre il cammino del Divisionismo, nato a Milano e poi sviluppatosi in tutto il Nord Italia, allargandosi in particolare al Piemonte, terra di Giuseppe Pellizza da Volpedo ed Angelo Morbelli (del quale nel 2019 ricorrevano i 100 anni della scomparsa). E proprio per la sua posizione geografica a 45 chilometri dal Monferrato, fonte iconografica imprescindibile nell’opera di Morbelli, ad appena 100 dalla Volpedo di Pellizza, senza dimenticare la Valle Vigezzo di Fornara, che Novara è stata designata come il punto di incontro ideale di questi artisti e deputato ad ospitare la rassegna. In esposizione ci sono 70 opere suddivise in 8 sezioni: ‘Prologo’, ‘La I Triennale di Brera.

Uscita ufficiale del Divisionismo Italiano’, ‘L’affermarsi del Divisionismo’, ‘Pellizza da Volpedo. Tecnica e simbolo’, ‘Il colore della neve’, ‘Previati verso il sogno’, ‘Segantini. Il gioco dei grigi’ e ‘Il nuovo secolo, gli sviluppi del divisionismo’.Un catalogo scientifico accompagna l’esposizione, il saggio della curatrice è corredato da schede biografiche degli artisti, con schede critiche delle singole opere affidate agli specialisti di riferimento.

L’apertura è tutti i giorni, escluso il lunedì, dalle 10 alle 19, con chiusura della biglietteria dalle 18.30. Aperture straordinarie sono previste il 6 ed il 22 gennaio. Costo del biglietto 10 euro, ridotto 8.

Massimo Iaretti

 

I libri più letti nel 2019

Dal gruppo FB  Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri

RASSEGNA MENSILE – Dicembre 2019 – Anno Ⅲ n. 12

Si è  concluso il 2019 e anche la nostra rassegna letteraria tira le sue somme: tra i libri più discussi, che hanno animato la nostra pagina FB, ricordiamo i titoli e gli autori che si sono guadagnati più spesso la parte alta della pagina: l’inossidabile Donato Carrisi con il suo Il gioco del suggeritore , romanzo di recente uscita che sembra aver colpito di nuovo nel segno, visto l’entusiasmo che ha suscitato;  il saggio di Liliana Segre e Enrico Mentana, La memoria rende liberi il libro più amato dell’anno è stato, senza dubbio, I leoni di Sicilia, di Stefania Auci, che ripercorre la storia della famiglia Florio; ormai va di moda e quindi anche questo libro è solo il primo di una serie che sta appassionando i lettori.

E’ stato un anno segnato dalla scomparsa di due autori molto amati dalla nostra community: Andrea Cammilleri, i cui libri vengono proposti con regolarità e Toni Morrison, autrice del celebre Amatissima.

In tema di tv, la recente riduzione de Il nome della Rosa ha riacceso i riflettori sul capolavoro di Umberto Eco e ai lettori interessati segnaliamo altri due titoli trasformati in serie di successo: Il racconto dell’ancella, di Margareth Atwood  e quella tratta dal romanzo L’alienista, di Caleb Carr .

Abbiamo portato la vostra attenzione sui titoli noti, di nicchia, a volte dimenticati, da scoprire e riscopre: vi invitiamo a seguirci anche l’anno prossimo perché ogni giorno è un buon giorno per iniziare un nuovo libro; intanto, la redazione di Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri vi augura un buon anno nuovo, pieno di ottime letture!

 

Testi di Valentina Leoni, grafica e impaginazione di Claudio Cantini redazione@unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it

Cenerentola il Musical, la riscoperta di una fiaba tanto amata

Cenerentola il Musical va in scena al Teatro Alfieri. La premiata Compagnia Le Formiche mette in scena una delle fiabe più belle di sempre, creando così l’occasione perfetto per rivivere la magia dell’infanzia con uno spettacolo all’altezza di grandi e piccini.

Lasciatevi incantare dalla fiaba più bella di sempre. Al Teatri Alfieri torna Cenerentola – il musical, un’opera per riscoprire la celebre storia dei fratelli Grimm con un testo originale, ricco di magia e divertimento. Un cast eccellente ricrea sul palco l’atmosfera di un’epoca passata, con sontuosi costumi settecenteschi, scenografie curate nei minimi dettagli ed effetti scenici. Lo spettacolo prende vita grazie a musiche orchestrali inedite, che accompagnano le vivaci e coinvolgenti coreografie corali,

Chi è La Compagnia delle Formiche

La Compagnia delle Formiche nasce nel 2003 in provincia di Firenze, e unisce il sogno e la passione di un gruppo di amici in una realtà complessa ed articolata attiva nel panorama del musical con produzioni destinate a tutta la famiglia. Ha alle spalle importanti collaborazioni con il mondo dell’opera lirica e con gli istituti scolastici attraverso la realizzazione di numerosi progetti. Nel 2016, con lo spettacolo “La spada nella roccia”, vince il concorso nazionale del musical inedito (Premio Primo). Oggi il marchio Compagnia delle Formiche rappresenta una delle realtà più affermate in Italia nel settore del musical, e produce numerosi spettacoli di successo rappresentati nei maggiori teatri italiani e internazionali.

Dove e quando

Teatro Alfieri Torino

sabato 4 GENNAIO h. 15.30 e h. 18.30

Sito ufficiale: Cenerentola – Il Musical

Biglietti disponibili su: Ticketone

“Sulle sponde del Tigri”. Meraviglie archeologiche al Mao

 Da Seleucia e Coche, in esclusiva esposizione a Torino. Dal 21 settembre 2019 al 12 gennaio 2020

Ceramiche, terrecotte, vetri e oggetti d’uso comune. In tutto 40 piccoli reperti che raccontano la storia quotidiana di antichissime civiltà cariche di fascino e dell’inevitabile, intraducibile mistero che il tempo addebita alla solo apparente banalità delle cose prodotte dall’uomo nello scorrere dei millenni. Esposti al MAO – Museo d’Arte Orientale di Torino, provengono dagli scavi, svolti a partire dal 1964 e che portarono alla luce strutture abitative e manufatti di varia natura, dal subalpino “Centro Ricerche Archeologiche e Scavi per il Medio Oriente e l’Asia”, nei siti di Seleucia e Coche, due fra le maggiori capitali di importanza e dimensioni ineguagliate, sorte in uno dei punti più nevralgici di quella rete globale – la Mesopotamia centrale – che, nei lunghi secoli intercorsi fra l’impresa di Alessandro Magno e l’avvento dell’Islam, univa il Mediterraneo alla Cina. Fondata in quel luogo alla fine del IV secolo a. C., Seleucia al Tigri, assunse al tempo i caratteri di una metropoli estesa quanto Torino nel Settecento; a seguirla, sull’altra sponda del fiume, la mitica Ctesifonte, poi integrata nel III secolo d. C. con la città di Coche (o Veh Ardashir).

Entrambe rappresentarono due potenti e fra loro rivaleggianti poli d’attrazione sulle sponde opposte del Tigri, alternandosi nel reggere le sorti di imperi che furono nei secoli la controparte di Roma. All’approfondimento della loro storia civile e culturale, messa in dialogo fra la produzione di età ellenistico-partica proveniente dal sito di Seleucia, con quella sasanide (secondo impero persiano) di Coche, contribuisce certamente la rassegna “Sulle sponde del Tigri”, ospitata al MAO e curata da Vito Messina, Alessandra Cellerino ed Enrico Foietta con la collaborazione di Claudia Ramasso.

Fra i pezzi più interessanti presenti in mostra il “Versatoio di kernos (vaso a fontana)” a forma di pesce, ritrovato a Seleucia e risalente all’incirca al II secolo d. C. e – come tutti i vasi a fontana – impiegato presumibilmente in importanti e particolari cerimonie durante le quali si effettuavano offerte di bevande come acqua, latte o vino; curioso e di semplice ingegnosità anche il “Vasetto a cestino”, quasi certamente un incensiere portato alla luce nel sito di Coche e collocabile fra il III e il IV secolo d. C., insieme al “Sacerdote” del II secolo d. C. (con la lunga tunica e l’alto copricapo riferibili al culto di divinità locali o iraniche) di età seleuco – partica e all’essenziale “Figura femminile nuda distesa su un fianco” ( II secolo d. C. ), rinvenuta in un corredo funerario a Seleucia dove simili “figure” erano particolarmente diffuse e paiono riprodurre modelli di origine occidentale, sebbene la “variante nuda” si ispiri, proprio per questa sua caratteristica, anche alla tradizione mesopotamica.

Immaginata nell’ambito del progetto “Collezioni (in)visibili” promosso dal “Dipartimento di Studi Storici” dell’Università di Torino e finanziato dalla Fondazione CRT, la mostra allestita nelle sale del Museo di via San Domenico, fino al 12 gennaio 2020, è decisamente preziosa (pur nelle sue contenute dimensioni) e meritevole di particolare attenzione, in quanto non esistono in Europa collezioni di reperti archeologici provenienti da Seleucia e Coche, ad eccezione di quella conservata oggi, per l’appunto, al MAO: nel mondo, solo il Kelsey Museum di Ann Arbor (Michigan) e l’Iraq Museum di Baghdad vantano analoghe collezioni.
Durante il periodo di apertura dell’esposizione, sono previste conferenze ed attività didattiche rivolte a scuole e a famiglie, mirate ad avvicinare bambini e ragazzi al mestiere dell’archeologo e alla lavorazione dell’argilla.

Gianni Milani

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“Sulle sponde del Tigri”
MAO – Museo d’Arte Orientale, via San Domenico 11, Torino; tel. 011/4436932 o www.maotorino.it
Dal 21 settembre 2019 al 12 gennaio 2020
Orari: mart. – ven. 10/18; sab. e dom. 11/19

 

 

Nelle foto:

– “Versatoio di kernos (vaso a fontana) a forma di pesce”, Seleucia, età seleuco-partica, ceramica – doppia matrice, ca. II secolo d. C
-“Vasetto a cestino”, Coche, età sasanide, ceramica invetriata, III-IV secolo d. C.
– “Sacerdote”, Seleucia, età seleuco-partica, terracotta-matrice singola, II secolo d. C.
– “Figura femminile nuda”, Seleucia, età seleuco-partica, terracotta-doppia matrice, II secolo d. C.
– “Piccola anfora con collo dipinto a bitume”, Coche, età sasanide, ceramica-fattura al tornio e a mano, V secolo d. C.

“Shoreless”. Guler Ates per il MAO fino all’Epifania

Fino al 6 gennaio 2020

Sono immagini femminili sinuose e misteriose, di cui s’intuisce appena la fisionomia sotto i lunghi veli colorati, spesso realizzati con stoffe preziose, che ne fanno presenza poetica e statuaria senza volto né identità.

Colte dall’obiettivo fotografico, attraversano, con la morbida intrigante leggerezza di performance sospese fra danza e teatro, luoghi di conclamata storicità e di toccante forza evocativa. Presenze metafisiche. “Shorless”, come dire: creature senza limiti e confini. Sono loro le modelle (o la modella?) protagoniste delle venti opere fotografiche al centro del progetto che la fotografa inglese di origini turche, Guler Ates, ha realizzato e collocato lungo il percorso di visita del MAO – Museo d’Arte Orientale di Torino, all’interno di una proposta didattica formulata dalle Aziende e dagli Enti Soci della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali per gli allievi dell’Accademia Albertina, con la Royal Academy of Schools di Londra, dove l’artista è Tutor. La mostra, quest’anno alla sua quinta edizione, é curata da Domenico Maria Papa ed è parte di Art Site Fest 2019, festival dedicato alle arti contemporanee in dialogo con alcune delle più belle residenze del Piemonte.

Nel corso della sua permanenza torinese, Guler Ates ha prodotto alcune immagini tratte da shooting fotografici all’interno delle sale del MAO, dove ha allestito un vero e proprio set, per proporre e raccontare con il suo linguaggio una personale visione del Museo. Durante il suo lavoro l’artista è stata seguita da 25 selezionati studenti dell’Accademia Albertina, che hanno potuto partecipare alle diverse fasi del lavoro e seguire un workshop sulla creatività e i contenuti del progetto che ha portato a “Shoreless”, evento espositivo in cui troviamo – accanto alle foto scattate al MAO – anche altre immagini riprese in più Paesi del mondo e in particolare in India, sull’onda di un costante interesse al dialogo fra Occidente e Oriente. “Nell’approfondire i molti rapporti, intessuti nel corso dei secoli, rimango affascinata – dice l’artista – da come la cultura occidentale sia debitrice di forme e immagini verso l’Oriente, prossimo o lontano. E da come l’Oriente guardi da sempre all’arte europea come ad una fonte di ispirazione. La nostra epoca spesso dimentica questa millenaria storia di scambi, finendo paradossalmente per allungare le distanze, proprio in un momento storico che ci permette di accorciarle.”

Opere “site-responsive”, quelle di Guler Ates “si caricano –sottolinea Domenico Maria Papa delle qualità e dei significati dei luoghi in cui sono esposte. A differenza di una parte importante della produzione contemporanea, che spesso si astrae da un contesto per essere osservata nello spazio neutro di una galleria, la ricerca di Ates è da sempre indirizzata a cultura e storia degli ambienti ai quali si rivolge. Ogni sua opera mira, attraverso lo spiazzamento provocato dalle sue misteriose figure, a sollecitare lo spettatore, inducendolo a riconsiderare le sue abitudini percettive”. Al punto – aggiungiamo noi- di divenire parte integrante dell’ambiente che le racchiude. Un tutt’uno che pare, come tale, concepito (e non pretestuosamente annesso) fin dalle origini. Senza limiti né confini. “Shoreless”, per l’appunto.

Gianni Milani

“Shoreless”

MAO – Museo d’Arte Orientale, via San Domenico 11, Torino; tel. 011/4436932 o www.maotorino.it

Fino al 6 gennaio 2020

Orari: da mart. a ven. 10/18 e sab. – dom. 11/19

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Nelle foto

– “Whirled”, 2019
– “The Shoreless Flower (II)”, 2014
– “Song”, 2019
– “Buddha and Woman in Blue ( I )”, 2019

 

 

 

 

 

La volata di Calò

Storie di uomini e biciclette nel 60° anniversario della morte di Fausto Coppi

 

È lui che nel 1926 , lavorando nella sua bottega, s’inventa dalla a alla zeta la prima bicicletta fabbricata nell’isola più grande del mediterraneo. Porta il suo nome come marchio

Quella di Calò Montante è una  storia che sfuma nella leggenda. In Italia, terminata la prima guerra mondiale,  il ciclismo diventa uno degli sport più popolari; sono gli anni di del dualismo tra il piemontese Costante Girardengo e il lombardo Alfredo Binda e sulle strade polverose e sconnesse la bicicletta diventa per molti  una vera passione, a partire dai più giovani. Anche per Calogero Montante, classe 1908, che arriva al punto di costruirsi, da solo, una bici da corsa montandola pezzo per pezzo. Lo fa al suo paese, nel mezzo della campagna  siciliana riarsa dal sole e dalle zolfare: Serradifalco,in provincia di Caltanissetta. È lui che nel 1926 , lavorando nella sua bottega, s’inventa dalla a alla zeta la prima bicicletta fabbricata nell’isola più grande del mediterraneo. Porta il suo nome come marchio. L’amore per le due ruote è tanto forte al punto da spingere Calò a formarsi una squadra di ciclisti, con tanto di divise cucite dalla sarta del paese sulle quali campeggia ricamata la scritta “Montante”. Poi la passione si trasforma in un vero e proprio lavoro: viene aperta una fabbrica e le bici Montante diventano un marchio prestigioso. Si producono biciclette per i carabinieri (modello truppa e modello ufficiali) per i postini e i macellai, bici di tutti i tipi e per tutte le esigenze. La fabbrica resterà attiva sino agli anni Cinquanta quando l’azienda Montante, comincerà a occuparsi di moto e si espanderà poi in altri settori. La storia di quest’impresa è raccontata in un libro del giornalista Gaetano Savatteri, pubblicato da Sellerio con uno scritto di Andrea Camilleri: “La volata di Calò”. Una bella storia , quasi leggendaria, di un artista della meccanica, di un inventore che dal suo paese di zolfatari siciliani lanciò i suoi “Cicli Montante” in tutt’Italia. Anche l’inventore del commissario Salvo Montalbano, nel suo racconto, ricorda quando nel luglio del 1943 pedalava a fatica “senza mai un problema meccanico” da Serradifalco a Porto Empedocle, lungo una strada dissestata dalle bombe e dai carri armati. Un ricordo vivo, quello di Andrea Camilleri, perché grazie a quella bicicletta, imprestatagli dai suoi amici di allora, riuscì a ritrovare il padre che si era salvato dai bombardamenti. Durante lo sbarco degli americani sulla costa Sud dell’isola, Camilleri con la sua famiglia si andò a rifugiare a Serradifalco, per sfuggire ai bombardamenti di Porto Empedocle. Finiti quei terribili giorni era necessario andare a scoprire che fine avesse fatto il padre, di cui non si avevano più notizie. Un viaggio del genere, in quegli anni era come affrontare l’incognita di una lunga e “perigliosa” avventura. E   quella bicicletta che glielo consentì. Così, in un passaggio,  lo descrive Camilleri: “ A un quarto circa del percorso, Alfredo forò per laterza volta. E io decisi di abbandonarlo al suo destino, visto che la mia bicicletta procedeva imperterrita, salda, forte, non subiva forature, la catena rimaneva sempre ben ferma al suo posto, i raggi nelle cadute non si rompevano, il manubrio non si piegava di un millimetro, una vera meraviglia. Ripresi, da solo, il mio viaggio. E ogni tanto le parlavo, alla bicicletta, carezzandole la canna come se fosse la criniera di un cavallo”. Prima e più dell’automobile, la bicicletta è stato il mezzo di trasporto per eccellenza della società di massa. Meccanica sofisticata e leggera, disponibile a tutti, il suo essere simbolo molto umano di modernità e di futuro affascinò subito gli spiriti liberi e industriosi. Come quello di Calò Montante, scomparso ultranovantenne nel 2000, la cui storia è descritta da Gaetano Savatteri con garbo e maestria.  “Nell’anima c’è sempre la passione per la bici, per le corse, per i giri d’Italia che riprendono – scrive Savatteri – nuovi duelli sulle strade d’Italia. Adesso sono quelli tra Coppi e Bartali. L’Italia è divisa, nello sport e nella politica. Democristiani e comunisti. Peppone e don Camillo. Fausto e Gino. Coppi elevato a simbolo del laicismo, Bartali emblema del cattolicesimo tradizionale. Calogero Montante nel 1948 sceglie di stare dalla parte di Bartali”. E lo fa con le sue biciclette, tutte su misura. Ogni esemplare è unico, così come è unica la terra dove Calò le realizza, nella sua Serradifalco, arida zona sulfurea ai margini di una cavità carsica, dove sperimentò la sua industriosa fantasia che lui stesso ribattezzò come il suo “ peccato del fare”.

Marco Travaglini

Porcellane da re. Un dono per Vittorio Amedeo II

In mostra a Palazzo Madama, parte del “ritrovato” Servizio di Meissen donato al Re di Sardegna da Augusto il Forte, Re di Polonia

Fino al 31 gennaio 2020


Una riscoperta straordinaria nella storia della porcellana europea e un tesoro artistico di inestimabile valore. Che per secoli, fu creduto disperso, fatta eccezione per una tazza da cioccolata con piattino conservata a Palazzo Madama e donata nel 1877 da Ferdinando Arborio Gattinara di Breme, Duca di Sartirana, grande collezionista di porcellane nella sua Villa La Tesoriera di Torino; salvo poi scoprire che quel prestigioso “tesoro” si era invece conservato presso la stessa famiglia, la Casa Reale di Savoia, per quasi trecento anni. La scoperta avviene il 4 luglio scorso, quando la Fondazione Torino Musei si aggiudica a Londra all’asta di Christie’s – per 210mila sterline, più 53mila di diritti, a occhio e croce circa 300mila euro – parte del famoso “Servizio del Re di Sardegna”, donato nel settembre del 1725 a Vittorio Amedeo II, dall’allora Re di Polonia ed Elettore di Sassonia, Augusto il Forte. Fra i più importanti mai prodotti dalla storica manifattura di Meissen, presso Dresda, dove per la prima volta in Europa (grazie all’ingegno del chimico Johann Friedrich Bottger e dello scienziato Walter von Tschirnhaus) fu scoperto il segreto per ottenere la “vera” porcellana utilizzando un’argilla bianca infusibile, il caolino, unita al quarzo e al feldspato, il prezioso cadeau si componeva in origine di ben 300 pezzi, inviati a Torino in 12 casse. E proprio nell’undicesima (“una scatola di cuoio rosso rivestita in panno verde e decorata con un merletto d’oro”), si trovava il sevizio, non completo ma pur sempre manna piovuta dal cielo, acquistato nel luglio scorso dalla Fondazione Torino Musei.

Certo, una minima parte dei 300 pezzi originari, ma la cui “ricomparsa sul mercato è stata considerata – dicono alla Fondazione – come sensazionale , catalizzando l’attenzione degli esperti di tutto il mondo”. Si tratta di sei piattini e tazze da tè raffiguranti armi e stemma del Re di Sardegna e figure giapponesi, in bella compagnia con una ciotola, una teiera, una zuccheriera e sei tazze da cioccolata con piattini: il tutto, fino al 31 gennaio del prossimo anno, esposto in bella mostra nella Veranda Sud del primo piano di Palazzo Madama. Di fronte, i visitatori si troveranno un “insieme” di elevata importanza storico-artistica e di altissima qualità pittorica, opera dello stesso direttore fra il 1723 e il 1731della fabbrica di Meissen, il tedesco di Jena Johann Gregorius Horoldt (1696-1775). Sua fu l’idea di utilizzare per la prima volta i colori a “piccolo fuoco”, innovando così la gamma cromatica delle porcellane e ispirandosi a soggetti di gusto prevalentemente orientale, a quelle “cineserie” che divennero cifra specifica della produzione di Meissen e di molta ceramica europea in genere. Del Servizio, commissionato da Augusto il Forte per Vittorio Amedeo II, erano noti, fino ad oggi, solo alcuni pezzi smembrati (come spesso capita ai servizi stemmati) in più Musei: una tazza da cioccolata con piattino nel Metropolitan Museum of Art di New York, un piattino già nella Arnhold Collection ed ora alla Frick Collection nel cuore di Manhattan sempre a New York, un altro a Palazzo Pitti a Firenze, una zuccheriera nella Collezione Schneider a Monaco di Baviera e la “superstite” tazza da cioccolata con piattino donata, come detto, dal Duca di Sartirana e dal 1877 custodita a Palazzo Madama.

I nuovi “pezzi” acquisiti all’asta di Christie’s vanno dunque non solo ad “integrarsi con coerenza – sottolinea Maurizio Cibrario, presidente della Fondazione Torino Musei – nella ricca collezione di porcellane europee conservate in Palazzo Madama, ma rappresentano un’operazione di ricongiungimento che restituisce alla cittadinanza un pezzo importante di storia torinese, rinvigorendo inoltre l’immagine dei nostri Musei in campo internazionale”.

Gianni Milani

“Porcellane da re. Un dono per Vittorio Amedeo II”
Palazzo Madama, piazza Castello, Torino; tel. 011/4433501 o www.palazzomadamatorino.it
Fino al 31 gennaio 2020
Orari: tutti i giorni 10/18, chiuso il martedì

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Nelle foto

– Immagini del “Servizio del Re di Sardegna”, Manifattura di Meissen, 1725