CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 495

Scene di violenza coniugale. Atto finale

Una produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale /Teatro di Dioniso /PAV con il supporto della Fondazione Nuovi Mecenati – fondazione franco-italiana di sostegno alla creazione contemporanea nell’ambito di Fabulamundi Playwriting Europe – Beyond Borders

Il 20 gennaio va in scena, in prima nazionale (repliche fino al 31.01.2020) presso la Galleria d’Arte Franco Noero, in Piazza Carignano 2, a Torino, per la stagione del Teatro Stabile di Torino-Teatro Nazionale, SCENE DI VIOLENZA CONIUGALE. ATTO FINALE del drammaturgo franco-inglese Gérard Watkins, nella traduzione di Monica Capuani, con la regia di Elena Serra. In scena Roberto Corradino (Pascal Frontin), Clio Cipolletta (Annie Bardel), Aron Tewelde (Liam Merinol), Annamaria Troisi (Rachida Hammad) e Elena Serra (Agnes Pertuis).

Per la prima volta presentata in Italia, l’opera di Watkins è costituita da un testo duro, gelido, incalzante che affronta il tema della violenza sulle donne mettendo sotto la lente di ingrandimento i processi mentali e comportamentali di vittima e carnefice.
La regista Elena Serra realizza per il testo di Watkins una regia immersiva nello spazio fisico di un vero appartamento, a cui è ammesso un ridotto numero di spettatori, e ciò che accade sotto gli occhi di chi guarda è la costruzione metaforica di una gabbia all’interno della quale ci si ritrova inconsapevolmente prigionieri.

Protagonisti quattro personaggi appartenenti a mondi e ceti, culture e religioni differenti:
Liam fugge da un’adolescenza tormentata nella provincia per stabilirsi a Parigi e incontra Rachida, che cerca di sfuggire al clima soffocante della sua famiglia. Annie sta cercando lavoro a Parigi, sperando di poter così riavere con sé le figlie che vivono coi nonni in campagna e incontra Pascal, fotografo molto tormentato e affascinante. Le due coppie, che si incrociano una sola volta nel corso della visita ad un appartamento al cui affitto sono entrambe interessate, finiranno poi col trovare ciascuna un appartamento arredato in cui cominceranno la convivenza a due.
A partire da questo momento la violenza si insinuerà nei rapporti fino deflagrare in gesti di assoluta brutalità.

Il testo nasce dal desiderio di Gérard Watkins di lavorare sul tema della violenza contro le donne; una pratica ereditata dal diritto del più forte che si ripresenta con frequenza drammatica quando la donna afferma il suo ruolo in una società dove la dominazione maschile continua, tuttavia, ad essere la regola. La scrittura si immerge nel cuore del soggetto con tutti i mezzi del teatro per definirlo e comprenderlo senza censure, descrivendo con sconcertante lucidità l’evoluzione del pensiero e del comportamento dei personaggi.

La scrittura propone uno spaccato di quotidianità dove i personaggi, totalmente verosimili, e la ricerca minuziosa del contesto in cui questi si muovono, fornisce l’opportunità di confrontarsi con un testo che affonda le sue radici nella vita che si stratifica nelle nostre città dove convergono, accanto al tema principale, istanze sociali, economiche e razziali sempre più violente.

Grazie all’impegno del Teatro Stabile di Torino-Teatro Nazionale, SCENE DI VIOLENZA CONIUGALE. ATTO FINALE debutta nel gennaio 2020, all’interno dei locali della Galleria Franco Noero nella sua forma compiuta.

La regia si è concentrata soprattutto sugli aspetti inespressi del testo, ovvero quelli che coinvolgono il ruolo e le reazioni del pubblico, perché se è forse scontato il comportamento delle vittime e dei carnefici lo è assai meno quello dei testimoni. La domanda fondamentale diventa quindi “che cosa faccio io di fronte a tutto questo?” In un contesto culturale che fa della violenza domestica show televisivo e che tende a consolidare l’iconografia della donna-vittima sacrificale, Elena Serra si interroga su come scardinare un meccanismo di spettacolo che rischia di alimentare la spirale del sopruso e riconosce nello spettatore la potenziale risorsa di salvezza.

 

Maria La Barbera

Grandi prove di Pierobon e Marescotti con spericolate intromissioni nel dramma di Cecov

“Zio Vanja” in scena sino al 26 gennaio al Carignano per la stagione dello Stabile torinese

Al termine “adattamento” (come rivisitazione o riscrittura), coniato per i palcoscenici di oggi, c’è sempre da guardare con un certo sospetto.

Ovvero fiutare con mille cautele l’operato e la piena libertà di questo o quel drammaturgo, di questo o quel regista, che s’avventano su di un testo, più o meno vicino a noi nel tempo, per modificarlo e allinearlo alla nostra epoca, per piegarlo alle proprie esigenze. Sino a sconvolgerlo. Snaturando quel che sinora è stato dalla sua stesura, giocando freneticamente con accadimenti e personaggi, costruendo strade nuove che poco (quando a volte nulla del tutto) hanno a che fare con ll pensiero antico dell’autore. Detto questo, non è che si intenda rimanere abbarbicati, in occasioni che lo consentano, ad un ferreo passato e nella memoria c’è posto per esempi che hanno saputo conservare una certa classicità pur collegata ad uno sguardo rivolto al presente.

Chi scrive – alla chiusura del sipario su questo Zio Vanja messo in scena per il Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale dalla giovane regista ungherese Kriszta Székely, aiutata nel fragoroso sconquasso da Ármin Szabò-Székely, quasi quarantenne, nome di punta del teatro europeo e una delle anime del teatro Katona di Budapest – ha conservato dei forti sospetti. Non certo su quell’acquario (una semplice cucina con tavolo e sei sedie, un frigorifero e un pianoforte, ci entreranno tante bottiglie e un pc), su quella camera della tortura, su quel trasparente parallelepipedo (la scena porta la firma di Renàtò Cseh) che imprigiona e soffoca più che significativamente i vari personaggi (e quella boccata d’aria, negli intervalli al termine di una scena, che si godono sulle sedie messe a lato del palcoscenico, accresce quel senso di ricercata e ritrovata libertà) o sull’eccellente gioco di luci ed acustico (metallico, innaturale, sghembo) proposto rispettivamente da Pasquale Mari e Claudio Tortorici come non certo sui costumi moderni. I sospetti nascono dallo svolgimento fuorviato dell’impalcatura drammaturgica, dalle intromissioni, dalle esasperazioni e dagli accanimenti di alcuni comportamenti, dal linguaggio e dall’erotismo messa in bella mostra, dalla nuova costruzione di dialoghi capaci persino di mettere in ombra o di cancellare quello spinoso tappeto di mala esistenza che percorre tutto quanto il testo cecoviano.

Che mantiene, per carità di dio, il proprio svolgimento, racchiuso tra i rumori della campagna nella calura estiva e l’infelice e rassegnato – ma allo stesso tempo detto da chi guarda ad un certo futuro – monologo finale di Sonia (“Bisogna vivere! Noi vivremo, zio Vanja, vivremo una lunga sequela di giorni, di interminabili sere”), abituata da sempre ad amministrare la tenuta con l’aiuto dello zio, nell’opaco della propria esistenza (“lo spazio dei desideri è occupato dalla meschinità spietata del quotidiano e dalla memoria delle occasioni perdute”, spiega la regista e vale per tutti): allineando momento dopo momento l’arrivo di Serebrjakov, professore in pensione ed emblema di mediocrità, con la sua seconda moglie, Elena, affascinante agli occhi di ogni maschio che circoli per casa, la passione di Vanja e le sue speranze ormai da tempo crollate, la notte di lui e di Astrov, il medico di famiglia, tra cameratismo e forti ubriacature, il bacio di Astrov a Elena e Vanja che li scorge, la decisione di vendere la tenuta ed i colpi di pistola, la vita che si riassesta nel torpore e nell’infelicità di sempre.

Che ha fatto allora la giovane, ardita Székely? Ha fatto di Serebrjakov un presuntuoso e vuoto regista di film votati al fallimento, e la disfatta personale che si riversa sulla famiglia e i dialoghi sono derivati dal mondo della celluloide; ha fatto di Vanja non soltanto un avvilito e un vinto ma un molestatore seriale ai danni della malmaritata Elena, di Astrov un bellimbusto dichiarato, anche lui con i suoi inarrestabili pruriti, che se già Cecov ne faceva un campione d’ecologia adesso s’avvicina allo spettatore per (Greta docet) intrattenerlo assai più del dovuto sul riscaldamento globale, sul depauperamento delle coste nei decenni a venire, con quelle di Malta che perderanno il 24% e con le greche che saranno assottigliate del 16%; ha annacquato la notte di bisboccia con il vecchio Teleghin a sbraitare in un ridotto slip e ha fatto di una riunione di famiglia per chiarirsi le idee una furiosa riunione di condominio dove si fronteggiano quelli che mai hanno pagato gli affitti e quanti da sempre si sobbarcano ogni spesa. Incursioni spropositate, stravolgimenti fuori misura. Ad inseguire debordanti personalismi, riletture del tutto in bilico. Allora l’attenzione va pressoché completa agli attori, a Paolo Pierobon soprattutto e a Ivano Marescotti, legati a nodo doppio con le direttive della Székely ma capaci di rendere robustamente e in prima persona i loro personaggi, di Vanja e di Serebrjakov. Come da sempre mi è piaciuta Beatrice Vecchione, con la sua Sonia più abituata a fare e a dirigere che non a guardarsi vivere. Con loro Lucrezia Guidone, Ivan Alovisio, Ariella Reggio che nemmeno le tempeste riuscirebbero a smuovere dalla venerazione per il genero fallito, Franco Ravera e Federica Fabiani, per gli applausi di un pubblico tra l’attento e il disorientato.

Elio Rabbione

 

(foto Andrea Macchia)

Incontri illuminanti con l’arte contemporanea

Porte aperte alla GAM di Torino e incontro con Luca Pannoli a conclusione del progetto inserito in “Luci d’Artista”

Sabato 18 e domenica 19 gennaio

Saranno due giornate di grande festa all’insegna dell’arte contemporanea, nelle sue varie espressioni e nella sua potenzialità di parlare e suggerire creatività e forza inventiva ai ragazzi e ai giovani, quelle organizzate sabato e domenica, 18 e 19 gennaio prossimi, presso il Dipartimento Educazione GAM (in via Magenta 31, a Torino), a conclusione del progetto “Segni Segnali Simboli”, seconda edizione di “Incontri illuminanti con l’arte contemporanea – Luci d’Artista” promossa dalla Città di Torino e dalla Circoscrizione V.

Il progetto, ispirato all’opera “L’amore non fa rumore” del visual artist torinese (fondatore dello studio multidisciplinare “ONDESIGN”) Luca Pannoli, quest’anno collocata in piazza Montale per “Luci d’artista”, ha visto coinvolti più di mille bambini e ragazzi tra scuole primarie e secondarie della Città di Torino, che hanno partecipato, tra il mese di ottobre e gennaio, alle proposte del Dipartimento Educazione GAM (con l’attività IN-VESTE), alle Attività Educative e Formative del PAV Parco Arte Vivente (con il progetto GREEN PARADE) e alle attività performative proposte da Stalker Teatro/Officine Caos.

Gli esiti dei laboratori, seguiti dai ragazzi con grande interesse e attiva partecipazione, saranno sono esposti in una specifica mostra allestita negli spazi della GAM in via Magenta.

 

Il programma delle due giornate:


Sabato 18 gennaio 2020 ore 10 – Sala 1 GAM – via Magenta, 31

“INCONTRO ILLUMINANTE” CON LUCA PANNOLI

L’artista, autore dell’opera “L’amore non fa rumore” (incentrata sui “rapporti realtà/finzione, segno/messaggio e identità/memoria quali emblemi della contemporaneità”) e il direttore della GAM, Riccardo Passoni, saranno a disposizione del pubblico in un dialogo aperto ad  impressioni e contributi relativi all’esperienza. Al termine inaugurazione della mostra con la presenza dell’Assessora comunale alla Cultura Francesca Leon e del Presidente della Circoscrizione V Marco Novello. Evento aperto a tutti.

 

Sabato e domenica ore 15 – Area Education GAM – Via Magenta, 31

“PERFORMANCE GREEN PARADE. Segni, Segnali e Simboli della natura senza voce”

A cura delle AEF/PAV Parco d’Arte Vivente

Sabato e domenica dalle 10 alle 18 – Area Education GAM – Via Magenta, 31

“MOSTRA ILLUMINANTE \ DIP.ED. GAM, AEF/PAV E STALKER TEATRO”

Per condividere i risultati positivi del percorso di avvicinamento all’Arte Contemporanea, le famiglie dei ragazzi e bambini che hanno partecipato alle attività sono invitate alla GAM, secondo un calendario concordato, con ingresso gratuito al museo. In programma, una grande festa che prevede un percorso alla scoperta di alcune opere della Collezione Permanente individuate durante il progetto, e l’esposizione degli elaborati prodotti dagli studenti durante gli incontri alla GAM, al PAV – Parco Arte Vivente e alle Officine CAOS con StalkerTeatro.

 

Info GAM-Galleria civica d’Arte Moderna e Contemporanea, via Magenta 31, Torino; tel. 011/4429630 o www.gamtorino.it / infogamdidattica@fondazionetorinomusei.it

 

g.m.

 

Nelle foto
– Festa illuminante in piazza Montale
– Alcuni gruppi di ragazzi partecipanti al progetto

Un “Matrimonio segreto” in versione contemporanea

Il duo Nagele-Pizzi propone il  dramma di Cimarosa, in un allestimento  raffinato, al teatro Regio di Torino

 

“Il matrimonio segreto” di Domenico Cimarosa è in scena al teatro Regio di Torino da mercoledì 15 gennaio alle 20.

Rappresentato per la prima volta nel  febbraio1792 al Burgtheater di Vienna, questo è tra i pochi drammi giocosi ad essere entrato nel repertorio dei più famosi teatri europei, affascinando artisti come Goethe, Stendhal ed il filosofo Nietzsche. Nonostante al giorno d’oggi venga eseguito meno, continua tuttavia ad essere considerat uno degli esempi più felici della produzione operistica della scuola napoletana settecentesca, cui Cimarosa apparteneva, insieme a Piccinini e Paisiello. “Il Matrimonio segreto” propone un perfetto schema sia geometrico sia musicale, in cui i sei personaggi sono distribuiti in un perfetto equilibrio fra tre voci maschili e tre femminili.

Il capolavoro di Cimarosa viene proposto nell’allestimento raffinato e contemporaneo del regista Pier Luigi Pizzi, che ha debuttato la scorsa estate al Festival della valle d’Itria. L’opera settecentesca risulta attualizzata in modo coinvolgente e giocoso, senza, tuttavia, essere stravolta, ma resa, invece, in modo molto naturale nello sviluppo della tematica dell’inganno degli affetti. “Il matrimonio segreto” risulta, così, l’anello di congiunzione tra l’opera comica di Mozart, da una parte, e Rossini ed il romanticismo, dall’altra, con un perfetto ingranaggio teatrale ed una brillante vena melodica.

Dirige l’orchestra del Teatro Regio di Torino Nikolas Nagele. Il giovane cast è formato da Carolina Lippi nei panni della primadonna, Marco Filippi Romano in quelli di Geronimo, Alasdair Kent in quelli di Paolino, Markus Werba interpreta il ruolo del conte Robinson, Fidalma ed Elisetta sono, rispettivamente, interpretate da Monica Bacelli ed Eleonora Bellocci.

 

Mara Martellotta

 

(foto M. Bursuc)

Al MEF opere dalla collezione di Ernesto Esposito

“Me Two. Some people / Brasil!”

“Some People”: fino al 26 gennaio 2020
“Brasil!”: dal 30 ottobre 2019 al 16 febbraio 2020


Lui, Ernesto Esposito (napoletano, classe ’52) è oggi nel gotha dei shoes designer italiani, celebre per le sue collaborazioni nella haute couture internazionale, ma é anche (attenzione!) uno dei più importanti e poliedrici collezionisti d’arte contemporanea del nostro Paese. Tanto che la sua raccolta, iniziata negli anni Ottanta (attraverso un’ instancabile ricerca presso le Gallerie più influenti del settore e l’amicizia personale con i massimi nomi dell’avanguardia mondiale, da Cy Twombly a Joseph Beuys, fino a Robert Rauschenberg o a Andy Warhol o a Helmut Newton, solo per citarne alcuni), è oggi riconosciuta come una fra le più interessanti sul piano internazionale ed è stata, per questo, esposta in vari musei europei ed americani. Ebbene, fino al 16 febbraio 2020, della “collezione Esposito” potrà goderne – prima volta sotto la Mole – anche il pubblico torinese. Il merito va al MEF-Museo Ettore Fico di via Cigna a Torino che, nei suoi spazi, ospita la mostra dal titolo riassuntivo “Me Two” (parafrasi per assonanza della famosa “me too”, frase coniata nel 2017 in forma di hashtag e che da allora ha segnato una svolta contro lo stolking femminile) in cui si presentano, in due momenti espositivi differenziati nel tempo e nei contenuti (oltreché nei titoli ) un centinaio di opere raccolte negli anni dal grande stilista- collezionista partenopeo. “Some people”, il titolo della prima rassegna, oggi allestita al piano terreno del Museo fino al 26 gennaio del prossimo anno e che, dal 30 ottobre, si affiancherà alla seconda titolata “Brasil!” esposta al primo piano, in occasione di “Artissima”.

Curata da Andrea Busto, “Some people” raccoglie circa ottanta fra fotografie originali e stampe vintage anche di grandi dimensioni, che documentano l’intero sviluppo della ricerca fotografica d’avanguardia, con firme che vanno da Von Gloeden a Mapplethorpe, da Helmut Newton e Bruce Weber, fino a Cindy Sherman, Thomas Ruff, Wolfgang Tillmans, Thomas Struth e Andy Warhol. “Se l’incontro con Jack Pierson – sottolinea Busto – è diventato una sorta di collaborazione ‘sul campo’, altre opere rappresentano invece una metafora esistenziale, come una sorta di partecipazione a un club, a una congregazione, a un gruppo identitario, a una setta, in cui gli adepti si riconoscono e si apprezzano identificandosi per sensibilità ed estetica comune”. Obiettivo: “Raccontare, attraverso lo sguardo acuto del collezionista appassionato, come da mera forma documentaria la fotografia si sia affermata a linguaggio autonomo parallelo alla pittura, alla scultura, al disegno e come da sempre sia in dialogo, anche conflittuale, con le altre discipline artistiche”. Lo scopo che sta alla base di “Brasil!” (la seconda mostra inserita in “Me Two”, dal 30 ottobre prossimo al 16 febbraio 2020 e il cui titolo è un esplicito riferimento all’omonimo film di Terry Gilliam del 1985) è invece quello di proporsi come un focus sulle ultime generazioni di artisti brasiliani, che hanno segnato una svolta nel panorama dell’arte contemporanea internazionale, ponendosi come una vera e propria scuola e corrente. Una ventina gli artisti rappresentati in rassegna, i cui lavori sono legati alla produzione degli ultimi vent’anni e che sono “cartina al tornasole – scrive la curatrice Elsa Ravazzolo Botner – dei cambiamenti e delle criticità epocali…La loro sensibilità converge nella produzione di opere non solo estetiche ma, soprattutto, dense di problematiche politiche ed economiche”. “I profumi della terra e dei fiori – ancora Ravazzolo Botner – la ‘saudade’ della bossa nova e il brio eccitante della samba, l’improbabile architettura delle favelas e la razionalità della capitale Brasilia, disegnata da Oscar Niemayer, si mescolano e si confondono attraverso la specificità dei materiali utilizzati dagli artisti che sono desunti direttamente dalla natura e dalla produzione industriale”: le spezie per Ernesto Neto, la terra e il legno per Matheus Rocha Pita, così come i semplici oggetti di uso comune quali righelli, orologi e numeri in vinile per le installazioni di Cildo Meireles o amache o stoviglie o pentole per Opavivarà!

Gianni Milani

“Me Two. Some people / Brasil!”
MEF-Museo Ettore Fico, via Cigna 114, Torino; tel. 011/853065 o www.museofico.it
“Some people”: fino al 26 gennaio 2020 / “Brasil!”: dal 30 ottobre 2019 al 16 febbraio 2020
Orari: merc. – dom. 11/19; lun. e mart. chiuso

Nelle foto

Da “Some people”

– Andy Warhol: “Ernesto Esposito”, 1987, courtesy Ernesto Esposito
– Robert Mapplethorpe: “Ken Moody”, 1983
– Ryan Mendoza: “Cheerleader in Former Soviet State Building”, Moscow, 2017
Da “Brasil!”
– Cildo Meireles:”Fontes”, 1992

Arteinfiera, le prime anticipazioni

Dal Piemonte / Eventi culturali

Con la 74° fiera di San Giuseppe a Casale Monferrato  si inaugurerà la 26° edizione di Arteinfiera, mostra d’ arte contemporanea curata ed ideata dall’artista e critico d’arte Piergiorgio Panelli

Prosegue con successo questo momento di contaminazione fra le  novità di una fiera generica e l’arte contemporanea a dimostrazione di come il bello possa essere emozionante su varie tematiche e linguaggi. Nel 1995 quando nasce storicamente il progetto infatti l’idea principale è stata quella di creare un incontro quasi casuale fra l’arte ed il pubblico di una fiera non specialistica cercando emozioni spontanee. Nel tempo sono cosi stati allestiti spazi con quasi 250 artisti dai linguaggi più diversi , pittura, scultura, installazioni, video arte, fumetto , performance, con artisti del territorio ma anche con artisti di livello nazionale o giovani artisti che nel tempo sono diventati riconosciuti maestri. Il titolo di questa edizione sarà ” Dissolvenze liquide” un titolo che sarà poi spiegato nel testo introduttivo al depliant della mostra che conterrà anche le immagini delle opere degli artisti che sarà sponsorizzato dalla ditta Magnoberta di Casale Monferrato. Fra gli artisti selezionati  troviamo in questa edizione Rita Bo, Leo Ippolito, Anne Conway, Cecilia Prete, Livio Degiovanni, Paolo Viola ed altri. Il progetto come sempre sarà patrocinato dall’assessorato alle manifestazioni del Comune di Casale Monferrato.

Una notte all’Officina della Scrittura, tra aperitivo e cocktail bar

All’Officina della Scrittura una visita notturna che vale la pena non perdere. 

Il Club Silencio è un’associazione culturale il cui obiettivo è quello di valorizzare e promuovere il patrimonio storico-culturale dei musei e degli edifici storici d’Italia attraverso l’organizzazione di iniziative serali. 

L’appuntamento è per mercoledì 15 gennaio: il Club Silencio è lieto di invitarvi a scoprire il primo museo al mondo dedicato alla cultura del segno. Dove, in un perfetto mix di tecnologia e tradizione, si produce la prima vera stilografica italiana: l’Aurora. 

La visita guidata all’Officina della Scrittura

La visita guidata accompagnerà il pubblico alla scoperta del Museo della Scrittura, per ripercorrere attraverso tecnologia e tradizione la storia della scrittura. Sarà inoltre possibile visitare la mostra temporanea “Aurora eterna” (visitabile solo fino al 31 gennaio), per ripercorrere i 100 anni del marchio attraverso più di 50 opere d’arte e di design; e la mostra “Un tasto italiano, Remington e Cesare Verona a Torino”, un percorso alla scoperta della famosa macchina da scrivere e dell’uomo che l’ha importata in Italia. 

L’aperitivo con cocktail bar sarà servito nella Sala dei Mestieri. La serata sarà accompagnata dalla selezione musicale di Luca Barral. 

Nel tour i visitatori potranno vedere il processo produttivo delle iconiche stilografiche e ci sarà anche un Laboratorio di Scrittura nel quale gli ospiti potranno provare un’ampia scelta di penne Aurora, fino ad individuare il pennino ideale per la propria grafia.

Un evento totalmente plastic free

Club Silencio si impegna nella lotta alla plastica “usa e getta”. Per dare un piccolo contributo alla salvaguardia dell’ambiente l’Associazione Club Silencio ha deciso di inserire bicchieri di plastica riutilizzabili. Tutto il materiale riciclabile è realizzato in collaborazione con #GreenTo sulla scia della campagna #PlasticFree. 

Dove e quando

Mercoledì 15 gennaio 2020

dalle ore 19:30 alle ore 00:00

Officina della Scrittura, Strada da Bertolla all’Abbadia di Stura 200, 10156 Torino 

Sito ufficiale

Pansa, dalla sua Casale una richiesta: intitolargli un premio storico-giornalistico

La morte di Giampaolo Pansa è, al di là del lutto per la famiglia e del termine del suo cammino terreno, una perdita enorme non solo per Casale ed il Monferrato, ma anche per il Piemonte e l’Italia intera

 

Pansa è stato per tutti un maestro di giornalismo e uno storico onesto che ha saputo cogliere con la sua penna, da un lato, le caratteristiche della società italiana e della sua classe politica con il passare dei decenni, dall’altro ha avuto il coraggio di vedere – non coprendosi gli occhi – le brutture della Guerra Civile, da ogni parte. e – soprattutto – del dopo Guerra.

Questo lo ha esposto ad uno strano fenomeno: quelli che prima lo osannavano gli hanno voltato le spalle, criticandolo, e viceversa. Ma così è l’Italia. Credo che, invece, per apprezzarlo, vada valutata la sua opera nell’insieme, dall’inizio alla fine. E in ogni caso c’è sempre uno stile che farà scuola e rimarrà nel tempo. Con questo Concittadino ho avuto un solo contatto telefonico e ci siamo visti pochi minuti tanti anni fa, ma li ho entrambi ben in mente. Era il 1994, l’anno in cui uscì ‘Ma l’amore no’, il suo primo romanzo. Gli telefonai, facendogli una lunga intervista con dei tratti anche toccanti. Mi disse che veniva a Casale poco, perché qui lo assaliva la malinconia, il ricordo dei genitori che non c’erano più. Che quando era venuto per commemorare la Banda Tom aveva fatto una corsa nella nebbia. E un momento per me emozionante fu quando gli chiesi se conosceva Lucia Baù, sua compagna di scuola al Liceo e lui mi disse ‘Certo la ricordo come una bella ragazza’. Al che gli risposi che Lucia era mia madre ed era mancata da diversi anni. Poi lo vidi davanti alla Libreria Giovannacci e mi presentai, ma fu solo un incontro fugace di uno- due minuti al massimo. Però ho sempre continuato a leggerlo e seguirlo. Pansa è stato un figlio di Casale che ha Casale ha dato molto e che a Casale, nonostante successo e notorietà è sempre rimasto legato. Per questo ho apprezzato molto il lutto cittadino proclamato dal sindaco Federico Riboldi. Ma credo che la Città di Casale Monferrato debba fare subito un passo in più per questo suo figlio che se ne è andato: valutare di istituire un Premio letterario–storico a lui intitolato. al di là ed al di sopra di tutto. E’ una proposta che formalizzerà con una lettera al Sindaco ed all’Assessore alla Cultura a strettissimo giro di posta.

Massimo Iaretti

 

“Non voglio ammettere che ti amo”, l’amore non è logica

Barbara Perucca alla Feltrinelli con il suo romanzo di esordio: Non voglio ammettere che ti amo – Edizioni Helicon

Giovedì 30 gennaio ore 18 alla Feltrinelli di Torino in piazza Castello Barbara Perucca presenta il suo primo romanzo, adesso alla terza edizione e vincitore di due premi letterari. La scrittrice fiorentina di piemontese ha solo il cognome: il suo bisnonno era il famoso Eligio Perucca, titolare della cattedra di Fisica al Politecnico di Torino e autore di diverse pubblicazioni. Già il titolo del romanzo Non voglio ammettere che ti amo ci suggerisce una contraddizione interna: questo è l’amore che, nella sua irrazionale imprevedibilità, semplicemente accade. E le vicende dei personaggi del libro si sviluppano nella dicotomia tra ragione e sentimento dove “il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce” (Pascal). Tutto nasce da una separazione tra due dei personaggi principali: Elena e Giuseppe, dopo due anni di convivenza ed un tradimento con una collega di ufficio. Sembrerebbe una trama banale, in realtà nel corso della narrazione entrano in scena diversi personaggi, e niente è come sembra. L’autrice ama Pirandello ed il suo relativismo. Le maschere e la società da palcoscenico. La difficoltà di vivere i sentimenti in maniera autentica, le scelte di vita e le sorprese dell’amore: non siamo noi a cercarlo, ma è lui a trovare noi. Separazioni, matrimoni, nascite, partenze e traslochi, una madre invadente, un vicino di casa sui generis e un mix di emozioni.

 

In questo romanzo di formazione alla fine l’ultima parola nelle vicende dei diversi personaggi spetta proprio all’amore vero: non quello ovvio e scontato, ma quello sentito e vissuto nella sincerità del cuore. L’autrice spera di realizzare presto un film da questo suo primo libro, nel frattempo ha già un secondo romanzo nel cassetto, non collegato con il primo e ancora inedito. La strada è lunga. Intanto questo è un altro tassello della sua carriera letteraria.

L’amore non è logica, non segue la ragione, ma imprevedibilmente accade

 

 

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Margaret Storm Jameson  “Company parade”  – Fazi Editore – euro  18,00

 

Inghilterra 1918, la 24enne Hervey Russel punta lontano e vuole diventare scrittrice. Fa armi e bagagli, lascia il suo piccolo Richard alle cure di una vicina e spicca il volo da un paesino dello Yorkshire alla volta di Londra. Nessuna esperienza, pochi soldi, ma tanta buona volontà e doti letterarie ancora da scoprire e mettere bene a fuoco. Nella metropoli inizia come copywriter pubblicitaria: non esattamente quello che ambiva, ma deve mantenere se stessa e il suo pargoletto, tanto più che si trascina la zavorra di un marito spocchioso, velleitario e pure traditore. Poi riesce a mettere timidamente un piede nel mondo letterario e culturale della capitale. Uno scenario declinato soprattutto al maschile, in cui però brilla l’intellettuale e critica Evelyn Lamb. Raffinata, snob, abilissima nel gestire un salotto letterario, in cui ha la pecca di favorire soprattutto i maschietti con ambizioni smodate. Hervy riesce a entrare quasi di straforo in questo cerchio magico, ne entra e ne esce a seconda degli umori altalenanti di Evelyn; ma con tenacia finisce per mettere le ali e volare per conto suo con una serie di romanzi di successo.

“Company parade” è il primo romanzo di un ciclo, “Lo specchio nel buio”. E quello di Hervey è un personaggio a tutto tondo, che non è un caso, sia scaturito dalla penna di Margaret Storm Jameson, la cui biografia è folgorante. Nata nel 1891 nello Yorkshire, nel villaggio di pescatori di Whitby, morta nel 1986. Un genio dalle mille sfaccettature e con coraggio a tonnellate. Ha fatto svariati lavori, ha inanellato due matrimoni, è stata la prima donna a laurearsi in inglese all’università di Leeds, la prima a presiedere l’English Pen. Primati femminili in un’epoca in cui per le donne nulla era facile o alla portata di mano. Tant’è che la scrittrice pubblicò i suoi due primi libri sotto pseudonimi maschili, James Hill e William Lamb. Quando uscì”Company parade” nel 1934 lei era sia un’attivista antinazista e pacifista, che un’intraprendente scrittrice. La sua eroina Hervey racchiude  in sé lo stesso nocciolo duro dell’autrice. E’ una giovane donna fragile e al contempo d’acciaio che attraversa vita, svolte, ostacoli e ambizioni con forza titanica.

 

Ildefonso Falcones  “Il pittore di anime”   -Longanesi-   euro  22,00

Romanzo storico che si affaccia sulla Barcellona del 1901 con le esplosive tensioni sociali che portano in piazza la povera gente a manifestare contro il lusso delle classi più agiate. E’ la povertà dei molti lasciati indietro dalla rivoluzione industriale. E sullo sfondo di quest’epoca convulsa si muovono i personaggi indimenticabili di Falcones. A dibattersi in cerca di giustizia ci sono il giovane Dalmau Sala, artista talentuoso della ceramica che lavora nella prestigiosa bottega di un maestro di Azulejos, dove apprende tutti i segreti dell’arte e a soli 19 anni diventa primo disegnatore e progettista. Vive con la madre Josefa che si ammazza di fatica per sopravvivere dopo che il marito, anarchico imprigionato e torturato, è stato ucciso dalle autorità. A condividere la loro miseria c’è anche la combattiva sorella di Dalmau, la fiera e indomita Monteserrat, catturata anche lei durante una delle tante rivolte che infiammano le strade della città. Poi c’è il grande amore di Dalmau, la voluttuosa Emma Tàsies, bravissima in cucina e impiegata in una trattoria. Un destino tragico sta per abbattersi di nuovo sulle difficili vite di tutti loro. Ribellioni, tentativi di fuga dalla miseria, morti e speranze si alternano in una girandola di eventi che vi appassionerà trascinandovi per 681 pagine. Un affresco che racconta come a inizi 900 la capitale catalana fosse divisa tra la ricca borghesia che spingeva per il sorgere di edifici imponenti ispirati al modernismo e, d’altro canto, la miseria più nera della classe operaia travolta dalla rivoluzione industriale. Sorprendente è il ruolo che le donne, all’epoca quasi senza diritti, ebbero nella lotta operaia. Donne con la tempra di Emma che incarna alla perfezione il loro carattere battagliero.

 

 

Simonetta Agnello Hornby – Mimmo Cuticchio  “Siamo Palermo”  -Mondadori-  euro  18,00

E’ un inno di amore verso la loro città quello scritto a 4 mani da due palermitani Doc, Simonetta Agnello Hornby e Mimmo Cuticchio, erede della tradizione palermitana dell’Opera dei Pupi. Due personaggi che a Palermo affondano le loro radici più profonde e scrivono anche sul filo dei ricordi. Se avete in programma un viaggio alla scoperta di questa città, affascinati dalla sua storia e dalla sua anima, fatta di mille sfaccettature, ecco un libro che potrebbe farvi perfettamente da guida.

La Hornby, discendente di un’illustre casato –poi volata a Londra dove ha creato una famiglia e fatto l’avvocato- ci conduce nell’intrigante labirinto della città e nel mondo, in gran parte tramontato, delle classi sociali privilegiate e il loro rapporto con Palermo.

Ripercorre le tappe storiche del capoluogo che nei secoli è stato terra di conquista –dai fenici agli arabi, dai normanni alla cristianità sotto l’Impero Romano d’Oriente- dimostrandosi sempre aperta alle trasformazioni e capace di accogliere altre genti. Ma ci sono anche la Palermo della seconda guerra mondiale, le metamorfosi dei suoi quartieri e del tessuto sociale: con la decadenza dei nobili, le piaghe secolari della mafia e della prostituzione in case e vicoli. Poi alcuni suoi illustri personaggi, dall’artista Giacomo Serpotta del 1600 al coraggioso Padre Pino Puglisi.

Altri profili li traccia Mimmo Cuticchio, che ha saputo cogliere la preziosa eredità del padre,  (fondatore del suo primo teatro palermitano nel 1933) e negli anni settanta ha iniziato l’attività di puparo con spettacoli itineranti. Anche lui sciorina storie antiche e recenti, tra ville, chiese, palazzi e castelli, denuncia dell’abusivismo selvaggio; ma anche preziosi interventi di restauro, e personaggi in ordine sparso, vario  e assortito.