ALLA REGGIA DI VENARIA Appuntamento sabato 16 alle 17 in Sala Diana
Una nuova iniziativa per celebrare corno e cornamusa, due strumenti nati per esser suonati anche all’aperto, dove segnale, cerimonia, impiego militare e divertimento si sono, da sempre, intrecciati. La firma l’Accademia di Sant’Uberto, nel quadro di appuntamenti per il riconoscimento Unesco dell’ arte musicale dei corni da caccia, avvenuta nel dicembre scorso, in collaborazione con il Consorzio delle Residenze Reali Sabaude, con maggior sostenitore Compagnia di San Paolo e con il contributo di Fondazione CRT.
L’appuntamento è sabato 16 alle 17 nella Sala Diana della Reggia di Venaria (accesso con biglietto di ingresso alla Reggia, fino ad esaurimento posti. Necessario Green Pass) con “Musica en plein air. Corni e cornamuse, tra Inghilterra, Scozia e Irlanda”. Questa volta non si rievoca la vita di corte sabauda, le giornate di caccia o quelle dedite al divertissment. L’iniziativa conduce infatti nel paesaggio d’Inghilterra, Scozia ed Irlanda attraverso la musica del Trio O’Carolan, Fabio Rinaudo (uilleann pipes, ovvero cornamusa irlandese), Elena Spotti (arpa irlandese) e Luca Rapazzini (violino). L’obiettivo è promuovere e far conoscere la musica della cornamusa, visti i tanti fili rossi che la legano a quella del corno da caccia, che sarà comunque anche un po’ protagonista: l’Equipaggio, infatti, si alternerà a questo omaggio alla cornamusa proponendo brani d’intrattenimento.
I musicisti del trio sono importanti individualità sia nell’ambito della musica tradizionale sia della musica antica in Italia, con all’attivo numerosissime incisioni discografiche, radiofoniche e televisive e tournée in Italia, Europa, Stati Uniti, Giappone e Canada. Sono tutti componenti dei Birkin Tree, la più importante Irish band italiana. I brani in programma, presentati da Fabio Rinaudo come delle storie , introdurranno il pubblico al ricco repertorio della tradizione musicale d’Irlanda e Scozia. Il concerto vedrà l’antica arpa, strumento simbolico d’Irlanda, dialogare con il violino e la uilleann pipes, la cornamusa irlandese, e la loro musica porterà l’ascoltatore alla scoperta di un mondo musicale affascinante e sorprendente.
Il programma è tratto da composizioni scritte a partire dal XVII sino al XIX secolo. Tra i diversi compositori dell’epoca ricordiamo per l’originalità della produzione e per la notorietà acquisita, il leggendario arpista irlandese Turlough O’Carolan, ultimo vate dell’antica cultura gaelica, ed il violista scozzese Neil Gow.
L’Equipaggio della Regia Venaria di suonatori di corno da caccia si alternerà al Trio con intermezzi musicali, proponendo partiture del repertorio classico, tratto da un metodo per “French Horn” (1746) che comprende anche brani d’intrattenimento, rappresentativi dell’impiego dello strumento secondo il gusto inglese, per momenti di svago e divertimento. La presenza di cornisti era ambita, per allietare i giovani aristocratici in occasione di feste, matrimoni e anche per scampagnate in barca. Del 1717 la famosa “Musica sull’acqua” di G.F.Händel eseguita per re Giorgio I. Lo strumento era inizialmente usato anche per le cacce, secondo il cerimoniale francese, ma ben presto lo spirito “sportivo” e l’amore per l’arte equestre lo trasformerà già nel corso del XVIII, delineando un modello nuovo ed inedito e fuori dagli schemi consueti.
Lo strumento impiegato non sarà la trompe de chasse attuale ma il corno da caccia in uso in età barocca sia per le cacce che per orchestra (tonalità 415 Hz), in particolare i corni “Seyssel” sabaudi copia del settecentesco recentemente ritrovato dall’Accademia di Sant’Uberto e riprodotti dal costruttore valdostano Cristian Bosc secondo le antiche metodologie. Cornisti: Elisa Bellezza, Gregorio Demaria, Aldo Marietti e Donato Gavino Murru.
L’iniziativa rientra nell’ambito del progetto “Vita di corte. Tempi e luoghi della musica”.
Sarà anche strana coppia. Ma non di meno ci appare estremamente interessante e suggestiva l’accoppiata in mostra al “MEF-Museo Ettore Fico” di Torino del napoletano (da anni operante fra Roma e Spoleto e per la prima volta a Torino) Stefano Di Stasio e del collettivo “Aganahuei”. Entrambe curate da Andrea Busto (direttore del Museo di via Cigna) con testi in catalogo di Vittoria Coen, le due rassegne –“Un attimo di eternità”, fino al 19 dicembre, la prima e“A noi importa il tempo che viviamo”, fino al 24 ottobre, la seconda – evidenziano con tutta chiarezza e altezza di toni alcune fra le varie e di certo più suggestive strade che può assumere nelle sue mille sfaccettature interpretative il linguaggio dell’arte contemporanea. Esponente di spicco dell’ “Anacronismo”, movimento artistico teorizzato da Maurizio Calvesi negli anni Ottanta (rivolto ad esaltare un ritorno alla pittura tradizionale in contrasto con le tendenze concettuali dell’epoca), Di Stasio “attinge a piene mani – scrive Andrea Busto – dalla storia dell’arte, soprattutto quella italiana, fonte inesauribile e autogerminante ove il passato, il presente e il futuro sono sostantivi dal sugnificato incomprensibile”. Il suo è un acuto compendio della storia dell’arte di figurazione nelle sue più essenziali espressioni ed espressività.
Che diventa, afferma lo stesso Di Stasio, “percorso PER immagini e non pensiero che USA immagini”. Come dire: gesto pittorico lasciato libero di andare “alla potenza evocativa dell’immagine stessa”, come essa si presenta, in prima battuta, alla mente e prima che intervenga, a modificarne la visionarietà dell’intuizione, lo spirito razionale. Una mostra “storica” e di impegnativa interpetazione. Al centro le opere di un artista presente a varie “Biennali di Venezia” (nell’ ’84 fu lo stesso Calvesi ad invitarlo con una sala personale ad “Arte allo Specchio”) e a numerose “Quadriennali” di Roma, oltreché in innumerevoli e, fra i più prestigiosi, Musei nazionali e internazionali. Una proposta, l’antologica di Di Stasio al “MEF”, di preziosa godibilità, accanto a quella di “Aganahuei” , “fresca, nuova e divertente, per riprendere la vita -conclude Busto– in modo non troppo pesante”.