CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 435

La poesia di Gian Giacomo Della Porta

Editoria e poesia si sposano nel giovane autore di liriche Gian Giacomo Della Porta, giunto al suo terzo volume di poesie dal titolo “Salvi a metà“, da poco in libreria

 

Editoria e poesia possono costituire un sottile fil rouge, a volte inscindibile. L’amore per la scrittura e il desiderio di rendere i testi reali e vivi sulla carta spesso si accompagnano alla passione per la parola poetica. Questo binomio risulta indissolubile in GianGiacomo Della Porta, giovane editore torinese, ma anche accattivante  poeta.

La sua ultima creatura letteraria è rappresentata dal volume di poesie intitolato “Salvi a metà”,  in cui l’autore ripercorre i miti romantici letterari legati alla figura del poeta per smitizzarli lentamente.

Questi miti vengono, infatti, dismessi, ma con assoluta leggerezza, introducendo espressioni capaci di destabilizzare e indurre il lettore a interrogarsi, pur senza alcuna forzatura.

La poesia che introduce il lettore nell’universo del libro è quella intitolata  “Giorni a venire “, metafora per l’autore di un futuro forse difficile da definire in questi tempi sospesi Covid, in cui, da una parte, egli avverte il desiderio di perpetuarsi attraverso la paternità, dall’altra sente molto forte il timore di abbandonare definitivamente la condizione della giovinezza e della sua spensieratezza, il suo “fanciullino pascoliano”.

Ci sono elementi naturali che rappresentano una presenza costante nelle poesie di Gian Giacomo Della Porta, come i sassi, le pietre,che l’acqua è  capace di erodere,  e la sabbia, che contraddistingue il componimento poetico intitolato “Vuoto d’erosione”; qui il titolo crea quasi un raddoppiamento dell’immagine che il poeta desidera trasmettere. Il protagonista è paragonato, nel suo stare al mondo,alla sabbia, che viene erosa dalla risacca notturna.

I versi di questo giovane autore conducono il lettore verso il mondo dei miti legati alla figura del poeta, di cui Gian Giacomo Della Porta fornisce una interpretazione nuova e inaspettata, non accettando la versione tipica del poeta romantico. Il ruolo che egliassume nella contemporaneità diventa allora simile a quello di Gleb, un mendicante alla stazione Termini, che incarna, metaforicamente in sé,  tutti mendicanti di oggi. Il dialogo del poeta con il lettore è sempre costante e avviene anche attraverso poesie che riflettono sulla condizione amorosa. L’autore, grazie ai suoi versi delicati e, a tratti, non lontani dalla poesia classica, rifiuta l’immagine tipica del poeta romantico, contraddistinta da un eccessivo individualismo, da cui deriva una sua disposizione a una profonda solitudine, ora amata quale fonte d’ispirazione, ora temuta e al tempo stesso odiata, quale un castigo.

Il rapporto del poeta con il lettore risulta diretto e ben esemplificato, per esempio, dalla lirica intitolata “Io ti conosco”, in cui Gian Giacomo Della Porta indica allo lettore di sapere che cosa lui gli chieda e quale sia il messaggio che venga dal lettore stesso cercato attraverso la poesia. Con una metafora il poeta risponde che il lettore chiede semplicemente “di essere imbarcato su una nave”, cullato dolcemente dal vento che cambia verso il “giorno a venire”, “salvandosi a metà” dalla quotidianità.  Un desiderio, insomma, di evasione, ma al tempo stesso di riscoperta della realtà attraverso la luce interpretativa della poesia.

Il volume “Salvi a metà “ di Gian Giacomo Della Porta ( GianGiacomo Della Porta Editore ) è stato presentato dall’autore venerdì 29 gennaio scorso presso la libreria torinese Belgravia.

Mara Martellotta 

Il museo Accorsi Ometto riapre le sale

Dopo quasi 3 mesi di chiusura a causa dell’emergenza Covid19, il Museo Accorsi-Ometto è pronto a riaprire le sue bellissime salee ad accogliere il pubblico in totale sicurezza.

Da martedì 2 febbraio 2021 i visitatori potranno accedere agli ambienti museali in maniera contingentata, massimo 60 persone all’ora, 15 ogni quarto dora, per consentire il rispetto delle distanze di sicurezza previste (min. 1 metro), lungo un percorsoobbligato che separa l’ingresso dall’uscita. Sarà obbligatorio il rilevamento della temperatura tramite termo-scanner e l’uso delle mascherine per tutta la durata della visita.

Si potrà anche visitare la mostra CRONACHE DALL800. La vita moderna nelle opere di Carlo Bossoli e nelle fotografie del suo tempo (prorogata fino al 25 aprile 2021). L’esposizione annovera una novantina di opere – ripartite tra dipinti e fotografie– e rende omaggio al XIX secolo e alla sua storia, attraverso la pittura di Carlo Bossoli e la fotografia storica, restituendo fedelmente le vicende del tempo, l’evoluzione dei costumi e del modo di vivere.

Gli ORARI DI APERTURA saranno i seguenti:

Da martedì a venerdì 10.00-18.00 Sabato, domenica e lunedì chiuso.

LA PRENOTAZIONE È OBBLIGATORIA:

t. 011 837 688 int. 3 oppure info@fondazioneaccorsi-ometto.it

Sono graditi i pagamenti elettronici.

INFORMAZIONI PER IL PUBBLICO:

MUSEO ACCORSI-OMETTO

Via Po, 55 – Torino T. 011 837 688 int. 3 | info@fondazioneaccorsi-ometto.it

ORARI

Da martedì a venerdì 10.00-18.00 Sabato, domenica e lunedì chiuso.

La biglietteria chiude mezz’ora prima.

TARIFFE

BIGLIETTO UNICO (comprensivo di visita alla collezione permanente):

intero € 10,00; ridotto € 8,00*

Gratuito: bambini fino a 12 anni; possessori Abbonamento Musei e Torino + Piemonte card; diversamente abili + unaccompagnatore; giornalisti

*Ridotto: studenti fino a 26 anni; over 65; convenzioni; insegnanti

Museo di Arti Decorative Accorsi Ometto, V. Po, 55 | 10124 Torino | T. 011 837 688 int. 3

www.fondazioneaccorsi-ometto.it | info@fondazioneaccorsi-ometto.it

A Palazzo Chigi ci vorrebbe il piemontese Pertinace…

Quanti piemontesi della storia invieremmo oggi a Roma per risolvere la crisi di governo? Sicuramente non mancano e potremmo fare anche qualche nome ma questa volta andiamo molto indietro nel tempo, di quasi 2000 anni.

E troviamo un imperatore romano, piemontese di Alba, che gestì con cura e lealtà la cosa pubblica meritandosi i complimenti di numerosi storici, a lui contemporanei, e anche di Machiavelli. Magari sbroglierebbe egli stesso l’intricato caos politico che regna sovrano nei Palazzi romani, tanto per cambiare.
Ma chi era Publio Elvio Pertinace? Solo uno dei tanti imperatori romani, vissuto nel II secolo, certamente meno importante di tanti altri del glorioso impero, ma pur sempre piemontese, anche se il Piemonte non esisteva a quel tempo e soprattutto un buon politico che si occupò dell’Impero con onestà, trasparenza e tanto coraggio. Era nato nel 126 ad Alba, la mitica Alba Pompeia, che apparteneva alla Regio IX Liguria, una delle undici regioni in cui l’imperatore Augusto divise l’Italia Romana. Già militare e console, divenne funzionario di Marco Aurelio e poi governatore di Roma sotto Commodo. Fu portato sul trono imperiale dalla potente Guardia dei pretoriani e da buon piemontese, moderato e parsimonioso, mise in ordine le finanze dell’impero dissipate dal suo predecessore Commodo. Edward Gibbon, lo storico inglese del Settecento, scrive che il suo “troppo affrettato zelo nel voler riformare lo Stato corrotto” portò alla sua tragica morte nel 193 dopo appena tre mesi di regno. Dione Cassio, storico e politico romano, dà un giudizio generale del regno di Pertinace: “era formidabile in guerra e astuto in pace. Per prima cosa cercò di mettere ordine a tutto quello che in precedenza era stato confuso e irregolare e nell’amministrazione dell’impero dimostrò di avere non solo umanità e integrità d’animo ma anche di voler condurre una gestione economica e di avere la più attenta considerazione per il pubblico benessere. Non riuscì però a comprendere che le riforme non possono essere fatte in un batter d’occhio e che il restauro di un intero Stato richiede tempo e buon senso”. Dopo gli sprechi di Commodo seguì una politica di economie e risparmi, vendette le enormi proprietà del defunto imperatore e dimezzò la paga e i premi in denaro ai pretoriani. Fu presto accusato dai suoi avversari di aver indebolito l’impero e di arricchirsi in segreto. A ribellarsi furono soprattutto quei pretoriani che l’avevano scelto come nuovo imperatore. Dilagò lo scontento e si scoprì un complotto contro di lui. Pertinace vinse il primo duello ma nel marzo del 193 i pretoriani circondarono i palazzi del potere. L’imperatore di Alba morì trafitto da una lancia. In seguito fu divinizzato e in suo onore per qualche tempo furono organizzati giochi e feste in tutto l’Impero. Era troppo onesto e per questo fu odiato e ucciso: lo scrisse chiaramente Niccolò Machiavelli che definì Pertinace amante della giustizia e della pace.
Filippo Re

Il Centro Pannunzio chiede il rinvio del Festival di Sanremo

Il Centro Pannunzio chiede il rinvio del Festival di Sanremo “perché una sua versione dimezzata guasterebbe la bella tradizione sanremasca.

Sia perché potrebbe creare assembramenti pericolosi in città , sia perché tutti gli eventi musicali in Italia sono bloccati” , osserva il responsabile del Centro, professor Pier Franco Quaglieni (nella foto).  “L’esperienza della Fenice a Capodanno – aggiunge – non va ripetuta, con il Coro in mascherina. Deve prevalere il buon senso e la buona musica”.

GAM, Palazzo Madama e MAO riaprono

I musei riaprono le loro porte. Il pubblico potrà così tornare ad apprezzare le opere custodite e le esposizioni temporanee allestite e pensate per i visitatori: il mercoledì e giovedì dalle 11.00 alle 19.00, e il venerdì con orario prolungato dalle 11.00 alle 20.00.

 

Nel periodo del lockdown Fondazione Torino Musei ha voluto sempre più tenere attivi i musei, continuando a mettere in campo progetti e iniziative sui canali digitali per essere accanto al suo pubblico, alle famiglie, agli studenti e agli insegnanti, e per mantenere sempre vivo il dialogo.

 

Oltre al monitoraggio delle sale espositive e al controllo dello stato di conservazione delle opere, si è lavorato per garantire la programmazione dei prossimi mesi, con la proroga delle mostre non ancora visitate dal pubblico, una su tutte Stasi frenetica di Artissima 2020, allestita nelle sale dei tre musei fino al 12 febbraio, con l’allestimento (anche a musei chiusi) di nuove esposizioni e la riapertura delle mostre già in calendario.

Saranno visitabili le sale delle collezioni permanenti e le mostre:

 

A Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica oltre all’allestimento in Corte Medievale di Stasi frenetica che riunisce circa 30 opere individuate con le gallerie delle edizioni 2020, 2019 e 2018 New Entries di Artissima – le più giovani e sperimentali gallerie aperte da massimo 5 anni – sarà possibile tornare a visitare la più importante mostra internazionale di fotogiornalismo al mondo: World press Photo Exhibition 2020 prorogata fino al 14 marzo 2021. Il 5 febbraio inaugurerà in Sala Atelier Ritratti d’oro e d’argento. Reliquiari medievali in Piemonte, Valle d’Aosta, Svizzera e Savoia, organizzata in partnership con il Museo del Tesoro della Cattedrale di Aosta e in collaborazione con la Consulta Regionale per i Beni Culturali Ecclesiastici Piemonte e Valle d’Aosta, iniziativa condivisa con i musei facenti parte della rete internazionale Art Médiéval dans les Alpes.

 

Alla GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, oltre alle collezioni permanenti del 900 sarà visibile la nuova mostra in wunderkammer Photo action per Torino 2020. Una chiamata alle arti ideata dai fotografi Guido Harari e Paolo Ranzani per sostenere insieme il progetto di un “Fondo Straordinario Covid-19” creato dall’Associazione U.G.I. ONLUS e dalla Città della Salute e della Scienza di Torino. Anche alla GAM il pubblico potrà visitare Stasi Frenetica al piano terra e nella sala mostre al piano -1, con un allestimento di sorprendente polifonia visiva che comprende cento opere delle gallerie delle sezioni Main Section e Monologue/Dialogue di Artissima. Prosegue inoltre in Videoteca la personale dedicata ad Alighiero Boetti. A partire dal 18 febbraio la Sala didattica ospiterà inoltre una nuova mostra realizzata in collaborazione con Luci d’Artista dedicata a Luigi Nervo.

 

Il MAO Museo d’Arte Orientale riaprirà con la grande esposizione China goes Urban. La nuova epoca della città, a cura del Politecnico di Torino e Prospekt Photographers con la Tsinghua University di Pechino, che propone al pubblico una prospettiva nuova e ampia mettendo in relazione la cultura della Cina tradizionale con le imponenti trasformazioni delle città cinesi contemporanee.

La sezione del MAO di Stasi frenetica presenta, inserite nel percorso di visita, una selezione di 10 opere “orientaliste” di Artissima 2020.  Il visitatore sarà invitato a una speciale caccia al tesoro attraverso l’edificio storico che ospita il museo.

Saranno inoltre visibili le quattro opere di street art realizzate durante le settimane di chiusura nell’ambito del progetto MAO meets URBAN ART e la rotazione di paraventi e spade In punta di pennello, in punta di lama nella galleria dedicata al Giappone.

 

GAM, MAO e Palazzo Madama riportano in atto le misure atte a garantire una visita in completa sicurezza, con ingressi contingentati e percorsi che consentano l’adeguato distanziamento, nel rispetto di tutte le linee guida ministeriali. La Fondazione Torino Musei assicura inoltre la regolare, costante e periodica pulizia e igienizzazione degli ambienti museali.

Fino a nuove disposizioni ministeriali i musei osserveranno i seguenti giorni e orari di apertura:

 

PALAZZO MADAMAGAMMAO

Mercoledì e giovedì dalle 11 alle 19

venerdì dalle 11 alle 20

Le biglietterie chiudono un’ora prima.

Sabato, domenica, lunedì e martedì CHIUSI

 

Per informazioni www.fondazionetorinomusei.it

 

Carlo Giulio Argan: una vita per l’Arte

Ho commesso il terribile errore di chiedere ai miei studenti che cosa pensassero della storia dell’arte, mi hanno risposto in coro che non serve a niente e che non capiscono perché devono studiarla.

Mi hanno anche chiesto se gliela spiego per punirli di qualche comportamento tenuto in classe. Non sto a dirvi che ho riso per non piangere. Nel XXI secolo non siamo ancora in grado di capire quanto l’arte sia importante per l’uomo, tanto più che l’Italia è il paese che detiene il maggior numero di siti inclusi nella lista del patrimonio mondiale Unesco: sono 55 quelli riconosciuti “patrimonio dell’umanità” e 12 quelli iscritti nella lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale.

 

Il turismo legato all’arte in Italia produce (o produceva fino a poco tempo fa) ingenti entrate economiche al nostro Paese, le meraviglie che il nostro territorio ospita richiamano l’attenzione di moltissimi visitatori stranieri, i quali osservano, si stupiscono, fotografano e vivono l’importanza dell’arte italiana attraverso un’esperienza sentita e immersiva. Non so se si potrebbe dire lo stesso di noi “compaesani”. Ormai “abituati” alla grandezza del Colosseo, alla perfezione della Valle dei Templi, alla preziosità di Pompei ed Ercolano, passeggiamo indifferenti tra le bellezze che il resto del mondo ci invidia, incapaci di “vederle”, le ignoriamo, quasi volutamente, ci basta sapere che sono lì e proseguiamo oltre.
Tale indifferenza deve quantomeno turbarci, i reperti artistici sono testimonianza diretta e concreta della Storia, non renderci conto della loro importanza significa dimenticarci di ciò che stato, nel bene e nel male.

Certamente un concetto difficile da spiegare, così come è arduo convincere i ragazzi che l’arte non è quella materia inutile, prosieguo naturale dell’intervallo o al massimo tempo a disposizione per ripassare o copiare i compiti delle altre discipline. A loro discolpa si può dire che in effetti si è sempre dato poco peso a tale argomento, siamo stati abituati a vivere l’arte come qualcosa di non concreto, che si può approfondire in un secondo momento e, soprattutto, come qualcosa di lontano da noi e dal nostro quotidiano, che in poche parole non ci tocca. È un discorso complesso e che potrebbe arricchirsi di molte altre sotto-questioni e riflessioni puntigliose, e dato che non è questo il luogo adatto per continuare tale controversia, mi limiterò a dire che per fortuna, ogni tanto, c’è qualcuno che non solo non la pensa così, ma che decide di dedicare tutta la sua esistenza all’arte e al suo ruolo primario all’interno della memoria collettiva. Più di tutti, a portare avanti tale impresa fu Carlo Argan, studioso torinese, autore di una sconfinata produzione letteraria, tra articoli, saggi e volumi scolastici, il quale per tutta la vita inseguì le sue passioni per l’arte e per il disegno, tanto da diventare un punto di riferimento per tutti gli appassionati e gli esperti della materia. I testi di Argan sono delle “pietre miliari”, averli, leggerli e studiarli è un passaggio necessario e obbligato per chi vuole saper parlare di arte. Io stessa mi sono imbattuta nei suoi scritti, e ho trovato nelle sue lezioni una solida base per la mia formazione. Certo non è facile leggere Argan, egli non semplifica ciò che per natura è complesso, ma affronta ogni argomento con lucidità, chiarezza e puntualità, così da rendere il discorso fluido e preciso, senza tralasciare alcun dettaglio. Quando si prende in mano un suo volume non bisogna avere fretta, né eccessiva paura, solo tanta voglia di imparare da uno dei maestri più grandi.  


Egli nasce a Torino, il 17 maggio 1909, da Valerio Argan, economo del Manicomio provinciale di via Giulio, (Torino), e Libera Paola Roncaroli, maestra elementare. Linfanzia di Carlo è tuttaltro che rosea: il primo conflitto mondiale imperversa e devasta la vita di tutti, e, inoltre, il lavoro del padre costringe la famiglia a vivere allinterno della struttura manicomiale; il costante contatto con i dottori e la follia spingono il piccolo Argan verso atteggiamenti seriosi e razionali.
Da bambino Carlo frequenta le scuole elementari De Amicis e Sclopise subito sviluppa un forte interesse per il disegno, passione che lo condurrà verso una breve carriera di pittore e illustratore.
Tra il 1919 e il 1924 è iscritto al Ginnasio del Liceo Cavour, a Torino, e ha come compagni Albino Galvano, con cui inizia a dipingere,  Fernando De Rosa e Mario Sturani, amico di Cesare Pavese e valente pittore.


In seguito Carlo tenta di entrare da privatista allAccademia di Belle Arti di Torino, la sua iscrizione non viene accettata, ma si avvicina ad artisti del calibro di Luigi Onetti e Venanzio Zolla. La sconfitta Albertina lo porta a continuare gli studi presso il Liceo Classico Cavour (1924-1927), dove ha come docente di Storia dellArte Giusta Nicco, allieva di Lionello Venturi, figura che sarà per sempre il suo principale punto di riferimento; uno zio intanto lo avvicina alla lettura dei testi di Benedetto Croce.  Imperterrito nel perseguire i suoi interessi pittorici, Carlo riesce a partecipare alla LXXXIV Esposizione Nazionale della Società Promotrice di Belle Arti di Torino, anche grazie a Felice Casorati, del quale inizia a frequentare la scuola di pittura. Nel 1926 collabora come illustratore alla rivista per ragazzi Cuor doro e inizia ad avvicinarsi allo studio di Luigi Colombo, in arte Fillia, legato al secondo futurismo torinese e aperto allarchitettura razionale e ai movimenti davanguardia.


Terminati gli studi cavourrini, Carlo si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza, ma ancora una volta la sua antica passione lo spinge in unaltra direzione: dopo aver seguito una lezione di Lionello Venturi su Manet, egli lascia Giurisprudenza e si iscrive a Lettere. Determinante lassidua frequentazione del gruppo di giovani riunito attorno ad Augusto Monti, tra cui Cesare Pavese, Leone Ginzburg e Norberto Bobbio, che si incontrano al caffè Rattazzi o nello studio di Sturani. Particolarmente importante è anche lamicizia con i compagni storici dellarte Anna Maria Brizio, Mario Soldati e Aldo Bertini, anche se come abbiamo detto- la figura per lui più importante rimane Lionello Venturi, in particolar modo negli anni di apprendimento metodologico e militanza critica.
Lultima tesi discussa da Venturi, prima del rifiuto del giuramento fascista e della conseguente emigrazione in Francia, è proprio quella di Argan, intitolata La teoria di architettura di Sebastiano Serlio (13 giugno 1931).

L esordio letterario di Argan risale a prima della discussione della tesi, poiché riesce a pubblicare due articoli, il primo concernente la lettura cromatica e anticlassica di Palladio, il secondo sul pensiero critico di Antonio SantElia. Particolarmente significative sono le sue prime collaborazioni con riviste come La Rassegna musicale di Guido M. Gatti, La Nuova Italia di Luigi Russo e, soprattutto,  La Cultura che, dopo la morte di Cesare De Lollis e la chiusura de Il Baretti, diventa il punto di riferimento degli intellettuali torinesi.
Dopo la laurea, Carlo ottiene una borsa di studio del Rotary Club di Torino; nel dicembre 1931 vince la borsa per la Scuola di perfezionamento in Storia dellArte a Roma, e diviene assistente volontario dellaccademico Pietro Toesca. A partire dal 1933 Argan inizia a frequentare la biblioteca di Palazzo Venezia e soprattutto quella Hertziana, luogo in cui stringe amicizia con studiosi tedeschi insieme ai quali si dedica alla stesura di diverse note critiche a libri editi da professori legati al nazismo e fascismo.
Nel 1932 ottiene labilitazione per linsegnamento di Storia dellArte negli istituti medi di istruzione e nel 1934 consegue anche la libera docenza per tenere corsi allUniversità.

Tra le collaborazioni più importanti ricordiamo quella con Giuseppe Pagano e Edoardo Persico riguardo al tema dellarchitettura moderna, ormai intesa oltre i limiti dello standard di Le Corbusier e in sintonia con le conquiste dellimpressionismo.
Nel luglio 1933 Argan vince il concorso per Ispettore aggiunto, presso la Galleria Sabauda di Torino. Lincarico è interrotto per il servizio militare, durante il quale viene trasferito prima a Trento e poi a Modena. In questa città egli dirige per un anno la Galleria Estense, portando avanti sia progetti di riordino delle collezioni, sia piani di protezione in caso di attacco aereo; importante è anche la precoce sperimentazione di radiografie per la conoscenza e il restauro dei dipinti.
La carriera amministrativa prosegue con il trasferimento presso la Soprintendenza alle Gallerie di Roma, poi, nel 1935, con la promozione al grado di Ispettore. Lanno successivo, il ministro dellEducazione Nazionale Cesare Maria De Vecchi lo promuove Provveditore agli Studi, invitando Argan a trasferirsi ad Alessandria, dove resta fino al 1936. Egli viene nominato Soprintendente di 2ªclasse e di nuovo trasferito a Roma, dove entra alle dipendenze del Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti Marino Lazzari sotto il nuovo ministro Giuseppe Bottai, del quale è uno fra i collaboratori piùimpegnati nella serie di riforme legislative e dellassetto amministrativo della tutela dei Beni Culturali.


Successivamente Carlo assume il ruolo di segretario di redazione di Le Arti, rivista ufficiale della Direzione Generale delle Arti, nata a seguito della soppressione del Bollettino dArte. Nella rivista egli scrive a sostegno di artisti contemporanei come Carlo Carrà, Arturo Tosi, o Lucio Fontana, e intorno al dibattito sulla città e larchitettura razionale.
Al ruolo ufficiale nellAmministrazione si accompagna un costante impegno politico, come dimostra il legame con lambiente artistico milanese della rivista Corrente e la protezione di amici ebrei dopo lemanazione delle leggi razziali.
Nel frattempo prosegue il suo interesse sui temi della scuola e delleducazione. A proposito di problemi didattici pubblica vari saggi come Educazione artistica (1938), Le università e la cultura, Linsegnamento della Storia dellArte nel liceo classico (1942).


Dallimmediato dopoguerra alla nomina a sindaco di Roma, avvenuta nel 1976, Argan continua a occuparsi di tutela e valorizzazione dei Beni Culturali, di ricerca storica e divulgazione e di militanza critica a sostegno delle correnti artistiche più avanzate. La vastità e la complessità della sua azione si basa su una visione programmatica che è insieme storica, critica, politica e sociale.
Anche dopo luscita dallAmministrazione, Carlo continua il suo impegno in difesa del patrimonio artistico, con la lunga permanenza nel Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti.  Convinto della funzione educativa dellarte, egli prosegue anche la carriera nel settore dellinsegnamento. Dopo il ritorno di Lionello Venturi nel 1945, gli viene affidato il corso di Storia della Critica dArte al Perfezionamento dell’Università di Roma «La Sapienza»; nel 1947 tiene lezioni presso il Warburg Institute di Londra; per molti anni porta avanti diversi corsi presso lUniversità per stranieri di Perugia e partecipa a varie conferenze sia in Italia che allestero.
Nel 1955 vince il concorso per la cattedra universitaria di Palermo, trasferendosi però poi a Roma. Non va tuttavia dimenticata la sua importanza internazionale, come dimostra la sua costante presenza ai corsi della Fondazione Cini di Venezia e ai convegni del ComitéInternational dHistoire de lArt (del quale diviene membro per lItalia dal 1958, nonché eletto presidente nel 1979). Essenziali, negli anni Cinquanta, i suoi numerosi saggi e libri di storia dellarte rinascimentale e barocca, che rileggono larte e larchitettura attraverso la sociologia dellimmagine. Negli anni Sessanta egli approfondisce le teorie sociologiche sullarte e la città, le cui riflessioni rientrano pienamente nel volume LEuropa delle capitali(1964).  Grandissimo successo ha il manuale per i licei Storia dellarte italiana (Sansoni, Firenze 1968), in tre volumi, seguito da Larte moderna 1770-1970, con tre milioni e mezzo di copie vendute. Per Argan larte è una storia particolare allinterno di una storia più generale, civile e politica, essa è determinata e determinante, la storia dellarte va inserita nella storia sociale, di cui non è un riflesso, ma un elemento di trasformazione. Importanti pubblicazioni evidenziano il contributo di Argan per larte e per larchitettura moderne.


Egli si oppone alle correnti della Pop Art, del New Dada, del NouveauRealisme, dellArte di reportage e poi dellArte povera. Le posizioni di Argan si fanno sempre più sfiduciate sul futuro dellarte, tanto che, nel 1963, riprende la teoria hegeliana della morte dellarte per portarla a conseguenze legate alla contestazione della società di massa.
Impossibile sintetizzare lazione intellettuale, molteplice e variegata, di Argan nella cultura italiana del Novecento.
Nel 1975, dopo un grave infarto e una lunga convalescenza, Argan decide di accettare la candidatura come indipendente nelle elezioni al Comune di Roma dellestate 1976; la ricerca di una soluzione tra DC e PCI per concordare il primo sindaco non democristiano del dopoguerra si concentra sullautorevolezza del suo nome e così il 9 agosto è eletto sindaco di Roma. I tre anni del suo impegno per la Capitale, interrotto per ragioni di salute nel settembre 1979, si collocano in un momento particolarmente difficile e violento della scena politica, che ha il suo apice nel tragico rapimento di Aldo Moro.
Tra le principali azioni politiche da primo cittadino vi sono la lotta contro labusivismo edilizio, i problemi delle borgate, la vita delleperiferie e le attività culturali cittadine, in particolare lavvio delle estati romane e il recupero del centro storico.
Nel giugno 1983 Berlinguer gli chiede di candidarsi alle elezioni politiche e Argan diviene senatore per la IX Legislatura, venendo poi rieletto nella X Legislatura e rimanendo in carica fino al marzo 1992.
Nei suoi interventi, si distinguono la determinazione nella difesa del patrimonio artistico e la necessità di riforma delle leggi di tutela e  un maggiore collegamento col mondo della scuola e dellUniversità.
Lattività di studioso viene costantemente portata avanti attraverso conferenze, saggi, e articoli: egli scrive sulle pagine dei più importanti quotidiani e riviste.
Nel 1959, riceve il conferimento da parte dellAccademia Nazionale dei Lincei del Premio Antonio Feltrinelli per la critica dellarte; nel 1967 vince il XIV Premio europeo Cortina-Ulisse (per il volume Progetto e destino, Milano 1965); nel 1976 è insignito della Medaglia doro ai benemeriti della scuola, della cultura e dellarte; nel 1983 gli è conferito il titolo di Professore Emerito alla Sapienzadi Roma. Numerosi sono anche i riconoscimenti da parte di istituzioni italiane e straniere, come la nomina ad Accademico dei Lincei, di San Luca, delle Scienze di Torino, del Belgio.

Una vita dedicata allarte, quella di Carlo Giulio Argan, un uomo che ha compreso lessenzialità del patrimonio artistico e la necessità di preservarlo, che ha combattuto strenuamente per tutta la propria esistenza per diffondere la cultura in generale e soprattutto per insegnare limportanza della Storia dellArte come strumento per comprendere la Storia, sia quella passata che quella contemporanea.
Chissà cosa penserebbe degli attuali programmi ministeriali, in cui le ore di arte sono solamente due e non sono presenti nemmeno in tutte le tipologie di scuole?

Alessia Cagnotto 

Carlo Magno dormì alle Porte palatine

Da quello splendido scrigno in oro e argento che rifulge nella Cappella Palatina della cattedrale di Aquisgrana Carlo Magno ci ricorda che morì proprio oggi, il 28 gennaio di 1207 anni fa.
Re dei Franchi e dei Longobardi, primo imperatore del Sacro Romano Impero, il celebre sovrano ha ben conosciuto il Piemonte e in particolare la Valle di Susa e Torino. Sembra infatti che dormì addirittura alle Porte Palatine. È difficile darlo per certo se pensiamo che non si sa neppure dove Carlo Magno è nato, in quale paese, in quale nazione, forse in Francia o forse in Germania. La data e il luogo della sua morte sono invece certi, il 28 gennaio 814 ad Aquisgrana dove è sepolto in cattedrale. Alcuni anni prima, transitando a Torino, si riposò alle Porte Palatine, almeno secondo quanto sostengono alcuni storici. Ne è sicuro per esempio lo scrittore torinese Riccardo Gervasio per il quale è storicamente accertato che Carlo Magno abbia soggiornato alle Torri Palatine. Per Gervasio si sarebbero fermati in questo stesso luogo anche il re longobardo Lotario e Federico Barbarossa. Dunque Carlo Magno non è stato “avvistato” solo alle Chiuse di Susa nell’anno 773 durante lo scontro con i Longobardi di Desiderio e di Adelchi ma anche a Torino, nell’area delle Torri Palatine, dove sarebbe stato accolto alla fine di marzo di quell’anno. Resistendo a più di 2000 anni di storia, le Torri, di epoca romana, si sono conservate in parte. Al tempo di Carlo Magno non si presentavano certo come le vediamo oggi ma possiamo immaginarle come una residenza di tutto rispetto per ospitare personaggi importanti. Non c’è da stupirsi se si conosce poco del passaggio di Carlo Magno nella nostra regione. Per esempio la sua data di nascita non è certa ma tra gli storici ci sarebbe un comune accordo per attestarla al 2 aprile 742. Da notare che su di essa ancora oggi litigano studiosi francesi e tedeschi che tirano per la giacchetta Carlo Magno nel proprio Paese.
Scrive Alessandro Barbero nella sua biografia del sovrano: “il luogo in cui avvenne il parto è ignoto. La madre Bertrada, moglie di Pipino il Breve, può essersi installata, in attesa dell’evento, in una qualsiasi tra le tante residenze che Pipino possedeva nelle campagne fra la Loira e il Reno e solo l’accecamento nazionalista spiega gli sforzi di certi eruditi francesi o tedeschi per dimostrare che la nascita di Carlo deve essere avvenuta in luoghi che oggi appartengono alla Francia o alla Germania. Più importante sarebbe sapere quando nacque il futuro imperatore, ma per strano che possa sembrare, è impossibile rispondere con precisione a questa domanda. Eginardo, biografo di Carlo, scrive che il re dei Franchi morì nell’anno 814 “nel suo settantaduesimo anno di vita e nel quarantasettesimo di regno”; un calcolo a ritroso ci porta al 742” che oggi viene comunemente indicato nei libri di storia come la data di nascita del sovrano. Il Barbarossa fece mettere le spoglie di Carlo Magno in un sarcofago di marmo e poi Federico II le fece trasferire nello scrigno d’oro che vediamo oggi nella cripta della cattedrale di Aquisgrana. I resti del corpo del re franco sono stati riesumati più volte per studi scientifici a partire dalla seconda metà dell’Ottocento.
Filippo Re

“Senza barriere”, è uscito il singolo del torinese Giovari

Il 22 gennaio è uscito  Senza barriere, il singolo con cui il cantautore torinese Giovari inaugura la sua nuova avventura musicale, dopo aver pubblicato le uscite precedenti sotto il suo nome di battesimo. Giovari è stato uno dei finalisti a Castrocaro 2019 ed è da poco entrato a far parte dell’etichetta Musicantiere. http://open.spotify.com/album/4fC0CyCGp1dOCHcT1nihYT

ARMARSI DI PENSIERI POSITIVI E DI BUONE AZIONI ABBATTENDO LE BARRIERE CHE CI LIMITANO


La voglia di scappare c’è sempre, per trovare nuovi stimoli, nuove idee, un nuovo modo di vedere il mondo, ambire a una nuova realtà dove il rispetto reciproco non è un pensiero utopico e dove i sogni fatti da bambino a volte si realizzano. Ma spesso questo vuol dire lasciare casa anche contro la nostra volontà per scappare da noi stessi e dagli altri. E non sempre siamo benvoluti dove arriviamo. C’è chi cerca la libertà di poter stare senza giudizi, non sentendosi sempre messi alla prova. Cercandola affrontiamo viaggi non sempre in prima classe. Viaggi pieni di speranza e paura, di curiosità e mancanze, di sconforto e ripensamenti, di conquiste e perdite.

Da piccoli affidavamo i nostri desideri a una barchetta di carta convinti che avrebbe raggiunto la propria meta senza problemi, con la sola spinta del vento, senza imbarcare mai acqua, ma nella realtà non è così semplice. Le barriere sono sempre tante e il più delle volte siamo noi stessi con le nostre azioni a crearle. E così il bambino che c’è in noi si nasconde: troppi ostacoli da superare da solo, troppe battaglie da combattere.

Ma non tutti hanno paura: c’è chi parte senza sapere cosa lo aspetta, solo seguendo il proprio istinto e la propria voglia di realizzarsi. C’è chi parte perché strappato dalla propria terra in cerca di un posto dove sorridere in pace. C’è chi parte perché non riesce semplicemente a rimanere fermo. Ogni persona che incontri sta affrontando un viaggio e noi abbiamo solo il dovere di non alzare barriere con i nostri atteggiamenti e i nostri pregiudizi, ma di sostenerlo per quanto possibile. Perché partire è un po’ come morire, ma con le persone giuste attorno si può sempre rinascere.

Questa è “Senza barriere”, il brano con cui Giovari sceglie di ripresentarsi al pubblico, dopo i singoli rilasciati nell’arco degli ultimi anni sotto il proprio nome di battesimo.

 

“Sai di per certo che la strada è lunga, fatta di scelte, ostacoli, sorprese. Serve guardare sempre all’orizzonte senza chiedersi se vi sia mai una fine, e viaggiare con la fantasia scoprendo nuovi punti di vista. Perché le coincidenze esistono, i pianeti si allineano e ogni cosa prende forma dal nulla. Il trucco è semplicemente affrontare il mondo con gli occhi e la speranza di un bambino, che non si pone mai limiti, accettando tutto e tutti a prescindere dall’orientamento politico, sessuale, religioso o dal colore della pelle.”

 

 

Ascolta Senza barriere: http://open.spotify.com/album/4fC0CyCGp1dOCHcT1nihYT

Musica: G. Arichetta, A. Di Dio Masa

Testo: G. Arichetta

Arrangiamenti: A. Di Dio Masa

Mix: Gabriele Dessì

Master: VDSS Studio di Filippo Strang

  Dans un océan d’images. J’ai vu le tumulte du monde, ricerca sul significato delle immagini

“I Giovedì in CAMERA” | Giovedì 28 gennaio, dalle ore 18.30
 
Proiezione in streaming del documentario
 

Dans un océan d’images. J’ai vu le tumulte du monde

Una ricerca sul significato e sulla portata delle immagini

  

Con il nuovo anno, riprende il ciclo di proiezioni in streaming “FOTO Movie” che presenta film legati alla fotografia e all’arte, in collaborazione con Streeen.org: ciclo iniziato nel 2020 e che ha visto susseguirsi sugli schermi personali del pubblico di CAMERA documentari su Luigi Ghirri, Paolo Ventura e Gianni Berengo Gardin.

Giovedì 28 gennaio, dalle ore 18.30, CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia propone il documentario Dans un océan d’images. J’ai vu le tumulte du monde (Canada, 2013, 90’), in lingua originale con sottotitoli, della regista québécoise Helen Doyle che ha vinto il premio come miglior film canadese a FIFA – Le Festival International Du Film Sur l’Art nel 2013.

Il film è una ricerca sul significato e sulla portata delle immagini nell’era della rivoluzione digitale e della proliferazione che essa comporta. La tecnologia digitale e internet hanno profondamente inciso sulle modalità e sui tempi di produzione e circolazione delle immagini, e di riflesso sulla ricezione delle stesse. Siamo costantemente inondati di immagini e la regista si chiede se sappiamo ancora come vederle, soprattutto quelle dei conflitti e delle loro gravi conseguenze.

Partendo da queste considerazioni, Helen Doyle ha seguito e intervistato dieci artisti e fotografi contemporanei di fama internazionale come Alfredo Jaar, Letizia Battaglia, Nadia Benchallal, Philip Blenkinsop, Bertrand Carrière, Stanley Greene, Geert van Kesteren, Sera Phousera Ing, Lana Šlezić e Paolo Ventura (attualmente esposto a CAMERA con la personale “Paolo Ventura. Carousel”, in attesa di poter essere nuovamente visitabile dal pubblico alla riapertura del Centro), riflettendo assieme a loro sul significato e sul potere delle immagini.

In una pratica in evoluzione come quella fotografica, fotografi, artisti, artisti visivi – relatori di immagini – propongono nuove strategie, adottano modi diversi per offrirci immagini che siano significative. In questo “oceano di immagini”, Helen Doyle cerca quelle che emergono, costringono l’occhio e, forse, ci aiutano a capire meglio il tumulto del mondo. Incontrando alcuni grandi relatori d’immagine, condividendo la sua passione per la fotografia, la regista ci fa scoprire una vasta tavolozza contemporanea fatta di contrasti scioccanti e matrimoni inaspettati. Le immagini poetiche di Lana Šlezić in Afghanistan, quelle cruente di Philip Blenkinsop in Asia, l’opera monumentale di Alfredo Jaar, le scene di guerra in miniatura di Paolo Ventura, le fotografie di Stanley Greene che si presenta come un narratore e quelle di Geert van Kesteren in Iraq che offre una visione cittadina, la lotta di Letizia Battaglia contro la mafia in Sicilia, il progetto guidato da Nadia Benchallal che ha come punto di partenza la sua nativa Algeria, le tracce ricostruite da Bertrand Carrière sulle spiagge della Normandia e la memoria ritrovata nelle graphic novel di Sera Phousera Ing in Cambogia.

Sulle musiche del noto compositore inglese Nigel Osborne, il documentario sottolinea l’importanza dell’esperienza e della pratica autoriale, ricordandoci che le immagini sono materia da trattare con responsabilità e con cura.

 (www.schermodellarte.org).

Modalità di fruizione: per vedere il film sarà sufficiente accedere alla piattaforma Streeen.org e acquistare la visione a 2,80 Euro (pagamento con carta di credito o carta prepagata). Il film sarà in streaming dalle ore 18.30 di giovedì 28 gennaio e per 72 ore dal momento dell’acquisto.

Bersaglieri, all’assalto!

Alla scoperta dei monumenti di Torino / Il monumento venne posizionato all’interno del Giardino Lamarmora, un piccolo giardino di 6200 metri quadrati, donato nel 1862 alla Città di Torino da Alfonso Lamarmora (fratello minore di Alessandro). Il monumento celebrativo al Centenario venne posizionato vicino all’opera dedicata ad Alessandro Lamarmora, fondatore del corpo militare

Situata nel giardino Lamarmora, all’angolo tra via Bertola e via Stampatori, si innalza una massiccia struttura lapidea di forma quadrangolare. Nella parte frontale un rilievo bronzeo raffigura un manipolo di bersaglieri che muove compatto all’assalto, animato e guidato dall’allegoria alata della Patria vittoriosa. Dalla rigida struttura di pietra sporgono i corpi dei militari che, macabri e scavati, contemplano e quasi scavalcano un compagno morente completamente nudo.

Le due parti, ossia il gruppo bronzeo e la struttura lapidea, sembranoessere poste in totale disarmonia tra loro, oscillando tra vibrazioni di forme ed instabili equilibri; grazie a tutti questi elementi, la scultura assume un messaggio significante, riflettendo sui temi della morte e della memoria.

Le prime notizie del monumento al Centenario dei bersaglieri risalgono al 1936, occasione in cui si festeggiarono i 100 anni della fondazione dell’arma che, per volere di Benito Mussolini, si svolse con due adunate: la prima a Torino e la seguente a Roma. L’idea di commemorare i caduti di un corpo militare nacque dalla volontà dei commilitoni di ricordare le imprese dell’arma e i loro compagni deceduti.

Fu il presidente generale della sezione del corpo torinese, Luigi Bossi, di concerto con tutte le sezioni dell’Associazione Nazionale Bersaglieri, che decise di commemorare l’anniversario con un segno tangibile e permanente da tramandare a ricordo del grande raduno e a venerazione delle stirpi future.

Durante l’assemblea convocata dal Podestà di Torino per decidere che tipo di monumento erigere in onore della commemorazione, Luigi Bossi fece presente che vi fosse già un altorilievo dedicato ai bersaglieri del IV reggimento della caserma Monte Grappa, sede del reggimento omonimo. Il monumento venne eretto nel 1923 grazie ad una sottoscrizione popolare e fu completamente realizzato dallo scultore Giorgio Ceragioli.

L’opera del Ceragioli, carica dello spirito bersaglieresco, costituì (dal 1923 fino al quel momento) la parte superiore della lapide murata all’esterno della caserma. Nel 1936, però, con il passaggio del IV bersaglieri dalla regione Crocetta a via Asti, secondo il presidente della sezione, l’opera per ragioni ideologiche e di prassi conservative non ebbe più ragione di stare in strutture militari o affini.Venne così proposta, da Luigi Bossi, la nuova collocazione del monumento nel centro di Torino, in onore sia alla stessa città che, sotto Carlo Alberto, diede vita al corpo militare, sia alla commemorazione della nascita dell’arma.

Su volontà del Capo del Governo e in base agli ordini del Ministro dell’Educazione Nazionale, la Città di Torino provvide alla rimozione del monumento dalla caserma e incaricò uno scultore sconosciuto di costruire, in un tempo molto ridotto, il basamento lapideo sul quale, ancora oggi, si inserisce l’altorilievo.

Il monumento venne posizionato all’interno del Giardino Lamarmora, un piccolo giardino di 6200 metri quadrati, donato nel 1862 alla Città di Torino da Alfonso Lamarmora (fratello minore di Alessandro). Il monumento celebrativo al Centenario dell’arma venne posizionato vicino all’opera dedicata ad Alessandro Lamarmora, fondatore del corpo militare.

Anche per oggi la nostra passeggiata alla ricerca delle meraviglie della città termina qui. L’appuntamento è per la prossima volta con Torino e i suoi splendidi monumenti.

Simona Pili Stella

(Foto: Museo Torino)