CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 429

Il pensiero ha fatto esplodere la Bastiglia

Sapete chi ha abbattuto la Bastiglia, Gilbert?”. “Il popolo”. “Voi non mi capite, scambiate l’effetto per la causa.

Per cinquecento anni, amico mio, sono stati incarcerati nella Bastiglia conti, signori,principi, e la Bastiglia è rimasta in piedi. Un giorno, un re insensato ebbe l’idea di incarcerare il pensiero, il pensiero a cui è necessario lo spazio, l’estensione, l’infinito! Il pensiero ha fatto esplodere la Bastiglia e il popolo è entrato attraverso la breccia”.Alexandre Dumas, grande interprete del romanzo storico e del teatro romantico, è sepolto al Pantheon di Parigi, nel Quartiere Latino, dove sorge il primo grande monumento della capitale francese. Un sonno eterno, accanto alle salme di altri  personaggi illustri come Voltaire, Rousseau, Victor Hugo. In queste poche frasi tratte da “La Contessa di Charny”, uno dei suoi romanzi più avvincenti, si coglie l’essenza della prosa, la potenza e il fascino della sua scrittura. Le vicende narrate dallo scrittore francese più popolare dell’Ottocento ( chi non ha letto “I tre moschettieri” e “Il conte di Montecristo”?) si svolgono in un momento cruciale per la storia della Francia e dell’Europa (dalle giornate del 5 e 6 ottobre 1789 fino al processo e all’esecuzione di Luigi XVI il 21 gennaio 1793). Nel racconto dettagliatissimo e appassionato dell’avventura collettiva della Rivoluzione francese ritroviamo personaggi famosi come Cagliostro, Mirabeau, Marat, Danton, Robespierre, Saint-Just, ma anche tantissimi altri personaggi le cui storie individuali si intrecciano con la Storia, quella dalla “esse” maiuscola. Ma quello che conta, più di ogni altra cosa, è la capacità di far intendere l’esprit du temps, l’intelligenza creativa, l’abilità di affascinare il lettore. Il romanzo è il quarto volume del ciclo di Maria Antonietta e della Rivoluzione e venne scritto nel 1855. Più di un secolo e mezzo ci separa da allora ma è quell’idea del pensiero che fa esplodere la Bastiglia, in tempi di grigio conformismo e di ragionamenti troppo “corti”, a riempire il cuore e tener viva una speranza.

Marco Travaglini

Beni culturali, nasce Piemonte da salvare

SI INSEDIA A TORINO IL COMITATO “PIEMONTE DA SALVARE” DEL MOVIMENTO “CROCE REALE – RINNOVAMENTO NELLA TRADIZIONE”

OBIETTIVO IL CENSIMENTO E IL RECUPERO DI BENI CULTURALI, STORICI, AMBIENTALI IN CONDIZIONI DI ABBANDONO E INCURIA

Il movimento culturale “Croce Reale – Rinnovamento nella tradizione”, fondato nel 2005 con lo scopo primario della difesa e valorizzazione delle tradizioni millenarie sia italiane che europee, ha istituito in data 29 Marzo 2021 la “Commissione per la valorizzazione del patrimonio storico culturale e paesaggistico” su deliberazione del Presidente Federale, avv. Fabrizio Giampaolo Nucera.

Nel quadro delle finalità di tale commissione, si è insediato il Comitato “Piemonte da salvare“, gruppo operativo della Delegazione “Piemonte e Stati di Savoia”, con il proposito di provvedere ad un iniziale censimento di tutti i siti piemontesi che abbiano una rilevanza dal punto di vista storico, artistico, architettonico, ambientale, paesaggistico, e che versino in stato di abbandono e/o incuria, necessitando quindi di interventi di manutenzione, restauro e rifunzionalizzazione.

Gli strumenti con cui il gruppo di lavoro intende operare sono i seguenti:

–       divulgazione informativa con una ricostruzione, per quanto possibile, delle vicende storiche del sito/bene;

–       sensibilizzazione dei cittadini tramite eventi di presentazione, mostre culturali, video, reportage fotografici, articoli di approfondimento;

–       collaborazione con altre realtà culturali affini nei principi di riferimento e negli obiettivi con lo scopo di unire le forze al fine della messa in sicurezza, della salvaguardia e del recupero del bene/sito considerato;

–       contatti diretti con le Istituzioni pubbliche o con gli enti di riferimento (privati e pubblici) al fine di collaborare per il recupero del bene/sito;

La Commissione ha il suo punto di riferimento nella Tradizione millenaria, nella tutela delle identità storiche e nella difesa della cultura e della civiltà occidentale, che sono poi i fondamenti su cui poggia il Movimento Croce Reale.

La promozione della cultura e della storia persegue il fine della conoscenza e della salvaguardia identitaria dei popoli, rappresentando dunque un pilastro e uno strumento necessario contro gli eccessi della globalizzazione e per fronteggiare il dilagare di mali contemporanei come l’individualismo, il liberalismo sfrenato, il relativismo e indifferentismo valoriale.

Ecco un primo elenco di beni e di siti su cui si baserà nei prossimi mesi l’attività del gruppo di lavoro piemontese:

CANDIOLO (To) – castello di Parpaglia

CARIGNANO (To) – casaforte di La Gorra

CASALGRASSO (Cn) – castello di Carpenetta

CASTELLAZZO NOVARESE (No) – Rocca dei Caccia

CHIVASSO (To) – Tenuta storica “Regia Mandria”

GRUGLIASCO (To) – villa del Maggiordomo

LENTA (Vc) – castello-monastero

LA LOGGIA (To) – villa Carpeneto

MARENE (Cn) – castello neogotico

MURELLO (Cn) – castello di Bonavalle

NICHELINO (To) – Castelvecchio di Stupinigi

OZEGNA (To) – castello

POIRINO (To) – castello di palazzo Valgorrera

SANTHIA’ (Vc) – castello di Vettignè

TORINO – villa Imperiali Becker già San Germano

TORINO – castello del Drosso

Il comitato invita i cittadini, le pro loco, le realtà associative e culturali dei vari luoghi a segnalare situazioni di particolare criticità e ad inviare informazioni in merito a beni al momento non compresi nella lista.

Paola Meliga

Responsabile Gruppo Lavoro

 RNT- CROCE REALE

COMITATO PIEMONTE DA SALVARE

www.crocereale.it – email: rnt.crocereale@gmail.com

(foto Chinaglia)

Rivoli, prosegue la stagione di “Scene”

Sabato 10 luglio la Stagione SCENE ospita i Fratelli Mancuso e Orlando Manfredi in una nuova produzione Rivolimusica nell’ambito della Stagione SCENE.

Liberamente ispirato a “La polvere del mondo” di Nicolas Bouvier, “Mondo Fratello

fonde il racconto teatrale alla musica ancestrale di Enzo e Lorenzo Mancuso, che tra saz baglama, sazyura harmonium e percussioni, conducono il pubblico, con Manfredi a narrazione, chitarra e voce,

in spazi aperti le cui radici affondano nel “meticciato mediterraneo” ante litteram della Magna Grecia, in un continuo sconfinamento a Oriente

Torna Earthink, forme d’arte ed ecosostenibilità

/

A settembre torna Earthink Festival per essere  #VISIONARI. La prima rassegna nazionale dedicata alle espressioni artistiche legate ai temi dell’ambiente 

La decima edizione vuole celebrare non solo il coraggio e a lungimiranza da parte dell’organizzazione e della direzione di investire, in tempi non sospetti, nella potenzialità del linguaggio performativo ad occuparsi di sostenibilità, ma vuole essere un augurio per gli anni a venire  e un incentivo per tutti.

Per rappresentare ETHF21 la creazione della locandina è stata affidata all’artista OTTI  che ha curato la realizzazione di una tela originale. Il visual e l’elaborazione grafica sono a cura di Agnese Vigorelli di Tékhné.

La decima edizione si svolgerà a Torino dall’11 al 19 Settembre 2021

A Lanzo si inaugura la nuova sede del “Museo Etnografico-Laboratorio”

 E ‘stato voluto da Ester Fornara Borla ed è  a lei intitolato. Ritorna in mostra l’antica “Arte Tessile Lanzese”

Sabato 10 luglio, ore 10,30 Lanzo Tor.se

Sarà una nuova sede, più ampia e funzionale, in via Usseglio 8, proprio nel centro storico di Lanzo (a lato della Torre di Aimone) ad ospitare il prestigioso “Museo Etnografico-Laboratorio dell’Arte Tessile Lanzese”.

L’appuntamento e l’inaugurazione sono in programma per sabato prossimo 10 luglio, alle ore 10,30. Nato nel 2009, per volontà di Ester Fornara Borla (1927-2014) e realizzato dall’Amministrazione Comunale nel seicentesco ex istituto delle Suore Immacolatine – già Palazzo d’Este – l’obiettivo era allora “non solo di salvaguardare il ricordo ma, soprattutto, di favorire la riscoperta e la riproposta di attività manuali tipiche del territorio”. Obiettivo fortemente mantenuto negli anni e, ancora oggi, perseguito con grande impegno e volontà da vendere. Da parte, in primo luogo, del “Comitato Ponte del Diavolo” e del Gruppo “Ricamare Lanzo”, cui si deve la cura del recente progetto espositivo. “Nei secoli scorsi e fino alla prima metà del Novecento – dicono i responsabili – era tipico nelle Valli di Lanzo, come altrove, che nelle case rurali si trovasse, spesso sistemato nella stalla, il telaio a cui, soprattutto la sera e durante l’inverno, le donne lavoravano per tessere tele grezze di canapa o di cotone misto canapa con cui si realizzava la biancheria per la casa e quella personale”. Umili ma preziose attività quotidiane, non prive di fantasiosa inventiva e gusto artistico assolutamente apprezzabile. Questo vuole raccontare e cristallizzare nel tempo il Museo lanzese, articolato in tre sezioni: la prima legata alla “filatura” e alla “tessitura”, la seconda alla presentazione dell’“Arte Popolana Lanzese” e la terza incentrata su “abiti” e “biancheria” in uso fra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo. Nella prima sezione, dove sono esposti utensili relativi alle varie fasi di lavorazione del filato, l’elemento più importante è senza dubbio il “Telaio”, risalente alla fine del XIX secolo, completamente restaurato nel 2009 e ancora oggi perfettamente funzionante e in grado di produrre tele uguali a quelle realizzate in passato. La seconda sezione del percorso espositivo è dedicata all’ “Arte Popolana Lanzese”, anche definita “Lavoro di Lanzo”: una particolare tecnica di ricamo nata intorno al 1910 a opera di Elena Albert Mars (nobildonna di origini nizzarde, cognata del Santo Federico Albert) che insegnò alle giovani lanzesi costrette a passare molta parte della giornata isolate, nei campi o nei pascoli (molto spesso analfabete o comunque prive di un’istruzione adeguata) a realizzare semplici elementi all’uncinetto. Così fiori, foglie e fettucce erano lavorati uno ad uno, per poi essere disposti in artistiche composizioni e cuciti su tela grezza, spesso rigata, il cosiddetto “trogiu”, in modo da comporre singolari arazzi, tappeti e molti altri elementi di arredo, venduti anche (almeno i più belli, marchiati con la sigla “A.P.L. – Arte Popolana Lanzese”) nei negozi del centro di Torino e negli anni ’20-’30 esportati perfino in Inghilterra e in Norvegia. In buon numero questi lavori realizzati oltre un secolo fa dalle ragazze del “Circolo Elsa Usseglio” e gentilmente concessi dagli eredi della signora Albert, sono oggi esposti nel Museo e vogliono documentare “non solo le arti d’ago, ma anche il difficile cammino di quelle donne verso una progressiva emancipazione”. Nella terza sezione troviamo così esposti elementi di corredo per bambini, biancheria personale e abbigliamento per adulti, risalenti ai primi decenni del secolo scorso. A completare, infine, l’esposizione, oltre ad una ricchissima documentazione fotografica e di materiale d’archivio, saranno le opere di tessitura prodotte da Ester Fornara Borla che, negli anni ’70, aveva riscoperto questa tecnica in disuso dalla Seconda Guerra Mondiale, con il desiderio di trasmetterla alle generazioni future. Forte anche del fatto che il “Ricamo di Lanzo” è stato da anni inserito in un disciplinare di produzione “Tessitura, Arazzi, Ricamo, Abbigliamento” per il riconoscimento dell’“Eccellenza Artigiana” della Regione Piemonte. Titolo che premia l’impegno di un territorio caratterizzato da un’intensa vitalità culturale e dalla volontà di molti, uomini e donne, di non dispendere le energie e la preziosa memoria di antiche tradizioni. “L’auspicio – dicono i responsabili – è che il Museo possa funzionare presto anche da laboratorio in grado di proporre ai visitatori attività legate all’arte della tessitura e del ricamo tipico delle Valli di Lanzo”.
Sabato 10 luglio prossimo, dopo i saluti istituzionali e il taglio del nastro della nuova sede, sarà anche visitabile la mostra a cura del “Gruppo Folk-Corale Rododendro”. Per info: tel. 0123/300436 o cultura@comune.lanzotorinese.to.it
Il Museo, a ingresso gratuito, osserverà il seguente orario: tutte le domeniche, 15,30/18,30

g. m.

Ivrea Capitale del libro, il percorso continua

Oltre 60 i sostegni alla candidatura ricevuti dai Comuni e dalle realtà pubbliche e private. Prossima tappa il 7 luglio alle 18 con la presentazione dei temi del dossier

 

 La corsa per la definizione del progetto di candidatura di Ivrea per il titolo di Capitale italiana del libro 2022 non si arresta. Dopo il town meeting di fine maggio, le Comunità del Libro si sono incontrate e hanno messo a punto i temi del dossier che sarà consegnato alla Direzione generale biblioteche del Ministero della cultura entro il prossimo 11 luglio.

Attraverso il dialogo e il confronto, i rappresentanti di editori, lettori, scrittori, bibliotecari, librai, scuole e referenti del mondo tecnologico hanno delineato i temi centrali del progetto, che vede Ivrea e il territorio come luogo in cui sperimentare il futuro del libro e della lettura.

Oggetto simbolo e filo conduttore del lavoro di progettazione del dossier di candidatura sarà la Lettera 22, quasi a voler creare un legame tra il passato della città eporediese e il suo futuro attraverso il concetto olivettiano di “Comunità”, affiancando quindi allo sviluppo economico la crescita culturale, sociale, urbanistica del territorio ponendo al centro di tutto la persona, snodo centrale del progetto di imprenditoria civile di Adriano Olivetti.

 

I temi e i principali progetti contenuti nel dossier saranno presentati in un incontro pubblico mercoledì 7 luglio alle 18 nel cortile del Museo Garda di Ivrea. L’appuntamento è aperto a tutti (fino a esaurimento dei posti disponibili, in osservanza alle norme sanitarie vigenti) e sarà trasmesso in diretta streaming sul sito e sul canale YouTube di Ivrea 2022 Capitale italiana del libro.

 

Intanto, dopo il videomessaggio di appoggio arrivato da parte dell’Assessore alla cultura della Regione Piemonte Vittoria Poggio, numerose realtà pubbliche e private hanno manifestato il sostegno alla candidatura di Ivrea. Più di 60 sono le lettere arrivate da istituzioni e rappresentanti del mondo culturale nazionale, regionale e locale, dai Comuni del territorio e da quelli aderenti al Sistema Bibliotecario di Ivrea e Canavese, da libraieditorifondazioniistituzioni scolasticheassociazioni culturali e dalla Casa Circondariale di Ivrea. A questi si aggiungono i 79 sottoscrittori del Patto Locale per la Lettura, volto alla costituzione di una rete territoriale di promozione della lettura per un coinvolgimento complessivo ad oggi di oltre 130.000 abitanti. L’elenco dei sostenitori sarà disponibile nelle prossime ore sul sito della candidatura https://ivreacapitaledellibro.it/.

 

Tutti i dossier ricevuti dal Ministero saranno oggetto di valutazione da parte della commissione composta da cinque esperti indipendenti di chiara fama nel settore della cultura e dell’editoria, che selezionerà i progetti finalisti fino a un massimo di dieci, chiamati a una presentazione del progetto dal vivo. A seguire la designazione della vincitrice entro il 30 novembre 2021.

 

Il Sindaco di Ivrea Stefano Sertoli al riguardo dichiara: “Ivrea ha fortemente voluto presentare la propria candidatura, ritenendo che fosse utile provare a tradurre le tantissime attività che ruotano attorno alla lettura in città e nel territorio, in una mappa leggibile e in grado di esprimere un’idea convincente e innovativa di promozione della lettura e del libro. Il grande consenso che sta raccogliendo l’iniziativa, oltre che incoraggiante, è indicativo del fatto che quando l’obiettivo è riconosciuto e condiviso si riesce a fare rete e a cooperare”.

 

L’Assessore alla Cultura di Ivrea Costanza Casali dichiara: “Con grande gioia presentiamo la Candidatura di Ivrea a Capitale italiana del Libro 2022. Essa si colloca all’interno del percorso di rinascita culturale che questa amministrazione promuove attraverso varie iniziative che vanno dalle arti visive, allo spettacolo dal vivo, fino a questa prestigiosa candidatura. Il prezioso lavoro per la redazione del dossier, supervisionato da Paolo Verri, è stato sostenuto e affiancato con entusiasmo e dedizione da Lettori, Scrittori, Editori, Librai e Bibliotecari Eporediesi e Istituzioni scolastiche, nonché dal mondo legato alla tecnologia. Un particolare riconoscimento va alla direttrice della nostra Biblioteca Civica e ai suoi collaboratori che hanno coordinato gli incontri reali e virtuali tra i vari stakeholders e accolto i vari contributi di ciascuno. Ivrea conferma anche in questa nuova sfida una vocazione alla Cultura di olivettiana memoria, rivelando capacità di reazione e desiderio di ripresa sociale ed economica, facendo comunità, che è appunto il tema della nostra candidatura. Siamo lieti che questa presentazione al pubblico avvenga il giorno di San Savino: la “gara” era in passato componente importante delle feste patronali e con questa candidatura in effetti Ivrea si rimette in gioco e si confronta con altre città italiane (per vincere ma felice anche di partecipare). La presentazione avrà luogo in Piazza Ottinetti, sede di numerosi eventi e spettacoli dal vivo dell’Ivrea Summer Festival e del Museo Garda, che il 3 luglio inaugurerà la prima di una serie di prestigiose mostre dedicate alla collezione di opere d’arte del patrimonio Olivetti. In questo modo la settimana dedicata alla festa patronale si arricchisce di eventi culturali in grado di attrarre un pubblico vario, eporediese e non. Vi aspettiamo!

——————

https://ivreacapitaledellibro.it/

Segui la candidatura di Ivrea a Capitale italiana del libro con l’hashtag #Ivrea2022 e #Ivreacapitaledellibro

Su Facebook @Ivrea2022CapitaleItalianaLibro

Instagram @ivrea2022

Twitter @Ivrea2022

YouTube canale Ivrea Capitale del libro

Foto: Ivrea e la Dora Baltea – credit Francesca Tappero

Le torri di Francesco I a Villanova d’Asti

Si scorgono a nord e a sud di Villanova d’Asti. Svettano all’improvviso davanti agli occhi, alte una ventina di metri e larghe settanta, in mezzo alla campagna, tra fattorie, cascinali, aziende agricole e allevamenti di cavalli.

Sono le torri di Francesco I, re di Francia. Massicce e imponenti, prive di cinta muraria, purtroppo scomparsa da secoli, erano piccole fortezze in mano ai francesi che nel Cinquecento difesero città e borghi del Piemonte dagli eserciti stranieri. Villanova d’Asti rispolvera il suo passato da “grandeur” francese. Sembra quasi impossibile che questo paese di poco più di 5000 abitanti sia stato cinque secoli fa una delle piazzeforti militari francesi più importanti del Piemonte, eppure la presenza di due grandi torri lo testimoniano e narrano un pezzo di storia astigiana. Comunemente chiamate “bissoche”, appartengono al demanio militare e il Comune vorrebbe acquistarle e ristrutturarle. Costo del progetto: un milione di euro. All’epoca i monarchi francesi erano i padroni della nostra regione. Il nuovo sovrano Francesco I di Valois diede nuovo vigore alle guerre in Italia seguendo la stessa politica di forza e di egemonia condotta nella penisola dai suoi predecessori Carlo VIII e Luigi XII. Torino, Chieri, Chivasso, Pinerolo e Villanova erano cittadelle fortificate sotto il controllo dei francesi. Possenti torri di avvistamento difendevano Villanova d’Asti dall’esercito del rivale Carlo V che disponeva di presidi militari in altre aree del Piemonte. I lavori di costruzione delle torri, iniziati nel 1520, terminarono nel 1548, un anno dopo la morte di Francesco I. Dall’alto dei torrioni i soldati comunicavano con la torre municipale del paese con fuochi notturni e, di giorno, con le bandiere per avvertire in tempo i villanovesi dei pericoli imminenti. All’interno delle torri si trovavano viveri e riserve d’acqua, la cucina, l’armeria e i posti letto. Sotto le torri sono stati scoperti di recente lunghi cunicoli sotterranei usati come vie di collegamento. Oggi restano in piedi due torri a base quadrata: la bissoca di Supponito a nord e la bissoca di San Martino a sud di Villanova in strada per Isolabella. Dove trovare i quattrini per riportarle in vita? Si spera nel mitico Recovery Fund che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe risolvere tutti i problemi italiani. Il comune di Villanova ha presentato al governo il progetto di recupero per avere i fondi necessari e ora si attende la decisione del Demanio miliare e l’arrivo dei finanziamenti per iniziare le prime opere di ristrutturazione. “Si tratta di due tesori da custodire con cura per le future generazioni, afferma entusiasta il sindaco Christian Giordano, faremo di tutto per recuperare le torri, aprirle ai turisti e valorizzare il patrimonio storico del nostro territorio”.
Filippo Re

L’isola del libro

/

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Speciale desaparecidos argentini e dittatura militare

 

Marco Bechis “La solitudine del sovversivo” -Guanda- euro 18,00

Ci sarebbero innumerevoli pagine da scrivere su questo libro, sull’esperienza di Mario Bechis e sui film che ha fatto; pietre miliari per capire cosa hanno vissuto i desaparecidos durante la dittatura militare in Argentina dal 1976 al 1982. E potete anche ascoltare la lunga intervista che ha concesso a Benedetta Pallavidino, che trovate su You Tube.

Marco Bechis, nato a Santiago del Cile da madre cilena e padre italiano, profondo conoscitore dell’America Latina, ha 20 anni quando viene catturato a Buenos Aires, nel 1977, all’uscita dalla scuola che frequenta per diventare maestro con il sogno di andare a insegnare nel nord del paese ai bambini indigeni.
Condivideva un appartamento con alcuni compagni coinvolti nella guerriglia contro i militari; ma aveva preso le distanze dalla loro strategia suicida, fatta di lotta armata e attentati. A denunciarlo era stata la giovane Muñeca catturata prima di lui e torturata. E’ l’inizio di un’atroce prigionia, bendato, incatenato e seviziato con le scariche elettriche della “picana”.

Nei sotterranei del Club Atlético diventa il detenuto AO1, bloccato dai lucchetti alle caviglie numeri 190 e 191, rinchiuso nella cella 16 (un asfittico buco sotto terra) e perennemente bendato.
Nel libro racconta tutto l’orrore vissuto in pagine che lasciano il segno e spingono ad approfondire uno dei capitoli più crudeli della storia dell’umanità. Non per niente i luoghi in cui venivano rinchiusi e ammazzati i prigionieri erano chiamati campi di concentramento. Metodi di eliminazione diversi da quelli nazisti, ma identico scopo: sterminare l’altro, in questo caso gli oppositori al regime.
Negli anni della dittatura almeno 30.000 persone sono scomparse nel nulla. Sedate e gettate in mare ancora vive; o comunque uccise, sotterrate chissà dove, oppure bruciate. Cancellate dalla faccia della terra, senza che le loro famiglie avessero un luogo dove piangere i familiari perduti.

Nelle pagine di Bechis c’è la cronaca della sua prigionia, le torture che non hanno lasciato segni visibili sul corpo, ma cicatrici immense nell’anima; riassumerle non renderebbe appieno la portata di ciò che ha subito. Lui è un “sopravvissuto” attanagliato dal senso di colpa per essere stato salvato e aver avuto quella possibilità di vita e futuro, strappata invece alle migliaia di desaparecidos.
Ha impiegato anni per arrivare a riconoscersi nel ruolo di “vittima”; ed è stato un percorso impervio che 44 anni dopo lo ha portato a scrivere questo libro, una sorta di catarsi all’alba dei 65 anni.

C’è anche il racconto della sua complicata liberazione, il ritorno in Italia e la sua vita, dopo quella tragedia, dedicata a denunciare le atrocità della dittatura. C’è l’accusa verso un sistema perverso che dopo la deposizione dei militari ha comunque consentito ai tanti aguzzini di vivere liberi a fianco delle loro vittime sopravvissute e sempre dilaniate da una paura e un’ incertezza che stravolgevano la vita.
E c’è la sua deposizione contro i torturatori che non hanno mai mostrato un’oncia di pentimento. Anzi si sono fatti scudo di un’arroganza smisurata, complice l’amnistia di cui godettero per un certo tempo. E, ad aggiungere infamia, c’è il fatto che non hanno mai rivelato che fine avessero fatto i desaparecidos, né dove li avevano sepolti e fatti sparire.

 

Marco Bechis è diventato sceneggiatore, regista e produttore, punto di riferimento per chi vuole capire più a fondo queste tragiche vicende.
Vi consiglio la visione del suo film “Garage Olimpo” ( lo trovate su Prime Video), presentato nel 1999 al Festival di Cannes. Un potente pugno nello stomaco perché le immagini, i suoni, le parole e le dinamiche di questa pellicola esprimono appieno il clima che si respirava nei sotterranei in cui i prigionieri venivano ingoiati.
Protagonista è la giovane attivista Maria che si oppone alla dittatura e insegna nelle baraccopoli. Vive con la madre Diane (un’intensa Dominique Sanda) che per le difficoltà economiche ha affittato alcune stanze della magnifica villa in cui vive. Maria viene catturata e sprofonda nel buio della prigionia e delle scariche elettriche. Non avrà speranze e alla fine sarà sedata e caricata con altri prigionieri sui camion che li portano fuori dal Garage maledetto…destinazione i voli della morte.
C’è anche la descrizione di quanto i militari si ritenessero autorizzati a qualsiasi nefandezza, come derubare della propria casa la mamma di Maria in cambio dell’ingannevole e spregevole promessa di farle rivedere la figlia.

Un film che, quando uscì nelle sale cinematografiche in Argentina, fu visto da poche persone, perché all’epoca gli aguzzini vivevano tranquillamente graziati dall’amnistia ed era troppa la paura che appesantiva l’aria. Poi quando sono usciti i VHS le vendite sono balzate alle stelle e almeno 30.000 hanno visto questo film che oggi è punto di riferimento. Ogni 24 marzo, anniversario del giorno del Colpo di Stato dei militari,
viene proiettato nelle scuole e Marco Bechis apre a tutti la possibilità di vederlo su Vimeo.

Horacio Vertbitsky “Il volo” -Feltrinelli- euro 30,00

Altro libro imprescindibile sull’argomento è questo racconto delle rivelazioni agghiaccianti fatte dal militare pentito Adolfo Scilingo, raccolte dal giornalista argentino Horacio Verbitsky.
Scilingo era stato capitano di corvetta e membro dell’apparato repressivo che detenne il potere in Argentina dal 1976 al 1983. Fu processato insieme ad un centinaio di altri aguzzini e condannato, nel 2005, da un tribunale spagnolo a 640 anni di carcere.

Nel 1995 l’ex militare -che aveva prestato servizio nel principale campo di concentramento clandestino, l’EMA, ovvero la Scuola di meccanica della Marina- contatta Vertbitsky e inizia a raccontare l’orrore della dittatura e la “guerra sporca” contro gli oppositori o presunti tali. E quello che tutti già sapevano, raccontato da chi aveva perpetrato l’orrore, ebbe l’impatto di un uragano.

Fu una caccia ai “sovversivi” spietata e senza quartiere. Gli squadroni li braccavano per strada, nelle case, ovunque e poi li facevano sparire.
E’ la tragedia dei 30.000 desaparecidos che durante la prigionia venivano torturati con le scariche elettriche della “picana”, e poi, stupri, mutilazioni e barbarie varie, infine giustiziati con le armi, cremati o sedati con potenti sonniferi, caricati sugli aerei e gettati vivi e intontiti nel mare.

Due i metodi di eliminazione privilegiati: il volo e la griglia. Al riguardo Scilingo racconta «Nel deposito di costruzioni vidi una vasca lunga 2 metri e alta 30 centimetri, con sopra una griglia. Su un bordo c’era un tubo con un imbuto rialzato. Mettevano lì i corpi e attraverso l’imbuto facevano passare il gasolio. Era così che scomparivano».

Racconta come i prigionieri venivano ingannati dicendo loro che sarebbero stati trasferiti in luoghi di detenzione migliori, poi una prima dose di sonniferi spacciata per vaccino necessario per il trasferimento. Secondo Scilingo nessuno di loro sospettò che quella in realtà era la condanna a morte.
Per lo più perdevano le forze poco dopo essere saliti sui camion che li portavano alla pista dell’aeroporto militare. Lì ormai semicoscienti venivano caricati a forza sull’aereo, dove un altro medico faceva in volo una seconda iniezione sedante; poi si ritirava in cabina, mentre i corpi venivano denudati e scaraventati in mare.

Una macchina di morte ben organizzata che prevedeva voli fissi ogni mercoledì, ma anche altri nel corso della settimana,.
Scilingo partecipò a due trasferimenti aerei. Durante il primo, con 13 prigionieri a bordo, rischiò di scivolare dallo sportellone aperto insieme a un corpo nudo; questo shock contribuì a incrinare dentro di lui il perverso meccanismo militare di spersonalizzazione e a fargli vedere per la prima volta le vittime come esseri umani.

Racconta anche un’onta che macchia la storia ecclesiastica argentina dell’epoca: dal punto di vista religioso tutto ciò era accettato.
I cappellani militari approvavano i voli della morte, giustificavano gli assassini affermando che quella era una morte cristiana «…perché non soffrivano, non era traumatica». Scilingo riporta che il prete diceva che dovevano essere eliminati e che «anche la Bibbia prevedeva l’eliminazione dell’erba cattiva dai campi di grano».

 

C’è poi un’altra pagina nera nella storia della dittatura. Il sistema efficiente e perverso con cui gli aguzzini rubavano alla nascita i bambini delle prigioniere per darli a famiglie delle alte sfere e dei militari. Una doppia morte per le madri, che dopo il parto venivano immancabilmente uccise, mentre i neonati crescevano proprio con chi le aveva eliminate.

Ne ha parlato anche Marco Bechis nel suo film “Figli”; mentre io vi segnalo il libro scritto da

Elsa Osorio – “Doppio fondo”, che l’autrice venne a presentare al Salone del Libro di Torino nel 2017.
La Osorio e’ anche l’autrice di quello che in America latina è ormai un classico, “I 20 anni di Luz”, sui “desaparecidos con vida”, una delle pagine più aberranti della follia.

In “Doppio fondo”, a distanza di 30 anni, si incrociano due storie.
Anno 2004, in un tranquillo villaggio di pescatori bretoni viene ripescato il cadavere di Marie, riservatissima dottoressa di origine argentina. Ha le ossa spappolate dall’impatto con l’acqua e tracce di Pentonaval (l’anestetico usato per sedare i prigionieri prima di scaraventarli, vivi, in mare). Suicidio o altro?
Buenos Aires 1977, nel pieno della dittatura, la giovane militante dei Montoneros, Juana, è catturata insieme al figlio di 3 anni. Per metterlo in salvo e sfuggire ai “voli della morte” finge di pentirsi, diventa ostaggio dell’Esma -l’abisso della tortura- e di Rulo, l’aguzzino che la manda in Francia come spia con l’incarico di scoprire le mosse degli esuli sovversivi. A trovare il filo che lega le due vicende sarà la giornalista Muriel Le Bris, la cui carriera riprenderà slancio.

Vi ripropongo alcuni stralci dell’intervista che le feci al Salone del Libro.
Quanto l’ha toccata da vicino la dittatura argentina? E perché torna spesso sui figli dei desaparecidos?
«La dittatura ha spezzato in due la nostra vita…e lo ha fatto nel periodo in cui iniziavamo ad avere figli e una vita lavorativa. Io ho vissuto un esilio interno, nascosta per un po’ in Argentina con il mio ex marito; poi in Francia ed infine siamo ritornati. Ma non potevo lavorare perché vigeva la legge di sicurezza nazionale ed ero stata licenziata. Non ho mai fatto parte di gruppi armati; semplicemente ho sempre pensato con la mia testa e al massimo ho avuto rapporti con il sindacato».
Quanto le è costato scrivere di quel periodo ?
«Per molto tempo non sono stata in grado di farlo; non perché qualcuno me lo impedisse, ma per una sorta di mia evoluzione interiore. Ci sono riuscita solo dopo 20 anni dal golpe».
Il confine tra fatti storici realmente accaduti e finzione narrativa?
«Mi interessa il metodo narrativo della composizione. Invento liberamente, ma sempre basandomi su fatti reali. Prendo elementi e caratteristiche di una persona o di un’altra, li metto insieme e costruisco un personaggio di finzione che faccio interagire con personaggi che hanno una realtà storica. Per esempio, in “Doppio fondo” Rulo è inventato, ma sono realmente esistiti i suoi compagni torturatori che cito».
La letteratura cosa e quanto può fare?
«Scrivere significa mettere in parole questi fatti e credo sia importante soprattutto per il recupero della memoria storica. Sono convinta che i popoli debbano tornare al loro passato per poter vivere il presente. Scrivendo riesco anche a capire meglio quello che nella vita mi sfugge: come quando cerco di mettermi nei panni di personaggi che trovo ripugnanti, e riesco ad afferrare di più anche il loro lato di esseri umani con determinati sentimenti».
Torture, furti di neonati e voli della morte. Che spiegazione si è data di tanta crudeltà?
«E’ una domanda che mi faccio spesso e continuo a non trovare risposta. E non solo nei confronti della dittatura: in genere non riesco a capire come l’uomo possa arrivare a certi livelli di atrocità».
In “Doppio fondo” uno dei personaggi si chiede perché, visto che i militari disprezzavano tanto i prigionieri, prendevano e crescevano i loro bambini. Effettivamente sembra un controsenso.
«Me lo spiego considerandolo una sorta di esperimento che hanno voluto fare. Allevare e crescere i figli del nemico, cercando di convertirli alla loro ideologia, renderli ostili ai genitori naturali. Come dire: sterminare un’ideologia dalle radici».
La storia è piena di tragedie ,dai lager nazisti al genocidio attuato dai Khmer rossi di Pol Pot in Cambogia: la repressione argentina ha avuto connotati unici ?
«Caratteristico è stato il furto dei bambini per farli crescere dagli oppressori. Poi… ed è un tema centrale di “Doppio fondo”… ad un certo punto la persecuzione ha smesso di essere ideologica ed è diventata di stampo mafioso. Venivano sequestrate persone con grandi patrimoni, e costrette a firmare documenti con cui passavano tutti i loro beni ai torturatori».
Madri e poi abuelas, le nonne di Plaza de Mayo, quanto hanno fatto la differenza?
«Sono state l’unica vera resistenza alla dittatura. 40 anni fa ci fu la loro prima uscita in Plaza de Mayo; quando iniziarono a chiedere cosa fosse successo a figli e nipoti. In quel momento c’era uno stato di assedio ed erano proibiti gli assembramenti di qualsiasi tipo. E cosa fecero? Al centro della piazza c’è un albero e loro, a 2 a 2, gli girarono intorno, continuando a manifestare in questo modo ogni giovedì».
A che punto è la ricerca dei neonati desaparecidos con vida?
«Si scava ancora in quel periodo; c’è un lavoro incredibile e si continuano a trovare quei bambini. Ora sono uomini e donne di circa 40 anni che credevano di essere figli di una certa coppia, e così non è».
E’ vero, come ha scritto, che qualcuno nella gerarchia della chiesa argentina suggerì che era più cristiano mettere i prigionieri su un aereo che non sarebbe mai arrivato a destinazione”?
«Si e non lo dico io, è un fatto storico. La chiesa ha avuto sicuramente una responsabilità molto forte perché è stata complice. Il Nunzio Apostolico disse alle abuelas che non dovevano preoccuparsi: i nipoti sarebbero cresciuti meglio nelle famiglie abbienti a cui erano stati dati, più che con i genitori e i nonni biologici».

Rock Jazz e dintorni Patti Smith e il Quintetto Astor Piazzolla

/

Gli appuntamenti musicali della settimana

 

Lunedì. Debutta a Collegno “Flowers”  con i Fast Animals And Slow Kids. Per “Stupinigi Sonic Park” si esibisce Umberto Tozzi. Per 3 giorni di fila in vari cinema si può vedere il documentario firmato da Pietro Marcello “Per Lucio”.

Martedì. Alle OGR per “Summer Vibes” è di scena la cantante Nava. All’Anfiteatro dell’anima di Cervere canta Antonello Venditti.

Mercoledì. Tributo a Frank Sinatra  a “Flowers” proposto da Massimo Lopez con la Big Band diretta da Gianpaolo Petrini.

Giovedì. Alla Tesoriera per “Evergreen Fest” è di scena Oscar degli Statuto. A Stupinigi arriva Nek. Per “Flowers” si esibisce Willie Peyote. Lo spettacolo “ Bogdanoviana” con le parole di Wu Ming e le musiche di Simone Benvenuti e Andrea Rebaudengo è ospitato nel parco Salvemini di Rivoli.

Venerdì. Nel Sound Garden  dell’Hiroshima Mon Amour concerto di Cristiano Godano dei Marlene Kuntz. A Cervere è di scena Francesco De Gregori. Per “Flowers”  l’hip hop di Frah Quintale. Allo Spazio 211 suonano i Bull Brigade. A Stupinigi prima di due sere consecutive per Emma Marrone.

Sabato. Per “Musicastelle” in Val d’Aosta nel Vallone di Vertosan è di scena Daniele Silvestri. Flowers” presenta i “Zen Circus”. A La Magdeleine “Chamoisic” suona il quartetto del pianista Riccardo Ruggieri. Per il vernissage di “Collisioni” ad Alba, si esibisce Patti Smith. Per “Monfortinjazz” suona il Quintetto Astor Piazzolla. Per “Monferrato On stage”  a Baldichieri è di scena Paolo Bonfanti.

Domenica. Sul palco della Tesoriera si esibisce il trio del chitarrista Max Gallo.

Pier Luigi Fuggetta

 

 

“Fuori. Storie dal manicomio”

Una drammatica pagina di storia nazionale rivive sul palco dell’ex ospedale psichiatrico di Collegno. Martedì 6 luglio

Fra le più importanti strutture manicomiali d’Italia, quello che fu il “Regio Manicomio” di Collegno (costruito nel 1852 e gestito dall’Ordine Certosino fino al 1890, per poi passare all’Opera Pia come nuovo ente gestore autonomo per effetto delle Leggi Crispine) rivive e racconta la sua storia sul grande palco montato nel cortile della Lavanderia dell’ex-struttura psichiatrica, attraverso lo spettacolo teatrale “Fuori.

Storie dal manicomio”, firmato e prodotto da “Lab22” nella seconda serata del “Flowers Festival”. L’appuntamento, messo in scena in un luogo fortemente simbolico, è per martedì 6 luglio, a partire dalle 21. Dentro quei terribili muri di cinta, costruiti su progetto dell’inegner Luigi Fenoglio e che separavano totalmente il mondo dei “matti” dalla realtà del paese che viveva tutt’intorno, all’esterno, prende corpo una pagina orribile e disumana di storia locale e nazionale, insieme alle vite di chi – adulto o bambino – fu rinchiuso e cancellato come essere umano in quei tetri corridoi, sottoposto a crudeli terapie sperimentali e a punizioni e costrizioni vergognose, sotto l’aspetto psicologico e corporale. Il testo è stato scritto da Serena Ferrari partendo dalle inchieste dei giornalisti Alberto Papuzzi e Alberto Gaino e dal libro di Bruna Bertolo “Donne e follia in Piemonte”, ma anche dalle vite dei protagonisti del tempo, come lo spregiucato professor Giorgio Coda, vice direttore dell’Ospedale psichiatrico, processato nel 1970-1974 per “maltrattamenti” con relativa condanna a cinque anni di detenzione, al pagamento delle spese processuali e all’interdizione dalla professione medica per cinque anni. Ma la storia intreccia anche l’amore nei versi di Alda Merini e in quelli cantati da Simone Cristicchi e da Franco Battiato. Racconta quel mondo e la battaglia che nacque al suo interno e condusse, poi, nel 1978, alla promulgazione della legge n. 180 relativa agli “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”, comunemente nota come Legge Basaglia, che portò alla chiusura dei manicomi. Già l’anno precedente l’Amministrazione Comunale di Collegno aveva fatto abbattere il primo tratto del muro di cinta che circondava il Manicomio, precorrendo la coraggiosa misura legislativa che decretò il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici, con una conseguente e rinnovata sensibilità nei confronti del disagio psichico. Serena Ferrari, insieme a Fabrizio Rizzolo, firma anche la regia di “Fuori. Storie dal manicomio” che conta su un cast numerosissimo, fatto di attori professionisti, ballerini ma anche di un’orchestra che realizza dal vivo, sul palco, tutte le musiche di accompagnamento. “Negli ultimi anni abbiamo creato degli spettacoli su temi d’impegno civile. Ne abbiamo firmato uno sulle morti bianche e sui morti della Thyssen Krupp di Torino, uno per contrastare la violenza sulle donne, uno sulla scomparsa del ragazzo collegnese Fabrizio Catalano» spiega il presidente di “Lab 22”, Claudio Ferrari. Nessuno ha però ottenuto il riscontro di “Fuori”, che ha inanellato, dalla sua prima messa in scena, 15 repliche e 15 sold out. Uno spettacolo forte, che “urla” come suggerisce la slide che viene proiettata prima dell’inizio della pièce. Al centro storie di abusi e violenze. Di speranze e di poesia. Di muri costruiti e non più abbattuti. Di esclusione del diverso. “A tratti un pugno allo stomaco, a tratti una musica che unisce amori e storie. Uno spettacolo intenso che mescola movimento e parole, ricordi e il messaggio che escludere non porta mai a nulla”.

Biglietti in vendita al link: http://bit.ly/FUORI_STORIE_DAL_MANICOMIO

Costo 20 euro più prevendita.

g. m.