CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 404

Mario Giansone all’Hub Vaccinale Castello di Moncalieri dell’ASL Città di Torino

Dopo la mostra di Eugenio Bolley, lHub Vaccinale Castello di Moncalieri dell’ASL Città di Torino, vede l’allestimento delle opere grafiche e pittoriche di Mario Giansone dedicate al jazz e alle donne.


L’
iniziativa rientra nel progetto “Operarte. Farmaco emozionale”, che la direzione artistica di Banca Patrimoni Sella & C. propone da più di 2 anni, rispondendo ai principi dellOMS che nel suo report del 2019 ha riconosciuto limportanza dellarte a beneficio dei luoghi di cura.

Come farmaco emozionale” l’arte viene somministrata attraverso la magia delle forme e dei colori, perché capace di far vibrare le corde della nostra sensibilità, ed è necessario sia per il personale sanitario, che lo assumeal di fuori dal contesto professionale, sia per i pazienti per i quali è fonte di distrazione e sollievo.

Il progetto Operarte. Farmaco emozionale, curato dalla dott.ssa Daniela Magnetti, direttrice artistica di Banca Patrimoni Sella & C., nasce dalla collaborazione tra Banca Patrimoni Sella & C. e la ASL Città di Torino nel marzo del 2020, con la presentazione, allinterno del Covid Hospital OGR dellASL Città di Torino, di un quadro al mese. Durante la pandemia la collaborazione si è estesa con il coinvolgimento di nuovi spazi espositivi: il D.I.R.M.E.I. (Dipartimento Interaziendale di Malattie ed Emergenze Infettive), il Centro Vaccinale del Castello di Moncalieri e la Sala di Attesa del Pronto Soccorso dellOspedale Martini, dove sono state allestite mostre di Francesco Tabusso, Eugenio Bolley e Carlo Gloria.

Le sale di attesa delle aree sanitarie diventano dunque uno spazio di vera accoglienza, utile sia al personale che ci lavora, sia alle persone che vi si recano per necessità che trascorrono il tempo obbligato del lavoro e dellattesa, circondati da arte e bellezza.

 

“L’allestimento di vere e proprie mostre allinterno dei luoghi di curasostiene Daniela Magnetti è un’operazione che soddisfa pienamente sia gli operatori sanitari che i cittadini, perché arricchisce non solo esteticamente, ma anche spiritualmente le persone che frequentano e vivono questi spazi con differenti scopi.

Un modo diverso di fare culturaafferma Federico Sella, Amministratore Delegato e Direttore Generale di Banca Patrimoni Sella & C. che sostiene fattivamente il valore del patrimonio artistico, rendendolo fruibile in contesti che in teoria non gli sono propri, ma che sono certamente utili”.

L’Hub Vaccinale Castello di Moncalieri è un gioiello messo a disposizione dallArma dei Carabinieri, che grazie a Banca Patrimoni Sella è stato arricchito di una mostra di grande valore artisticosottolinea Carlo Picco, Direttore Generale dell’ASLCittà di Torino – I cittadini possono così ritrovare, allinterno del Centro Vaccinale, anche un momento di riflessione per osservare una mostra darte di grande valore. LHub Vaccinale raggruppa quindi tutte le componenti: il fascino del Castello di Moncalieri, lefficienza organizzativa dellattività sanitaria e la bellezza delle opere d’arte”. 

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Karmen Korn “Quando il mondo era giovane” -Fazi Editore- euro 20,00

Questo è il primo capitolo di un’altra saga familiare (in due volumi) della scrittrice e giornalista tedesca Karmen Korn, che ha riscosso enorme successo con la trilogia formata dai romanzi “Figlie di una nuova era”, “E’ tempo di ricominciare” e “Aria di novità”.
Ancora una volta, al centro della narrazione, c’è il quotidiano di tre famiglie in tre ambientazioni diverse collocate nel 1950, anno della rinascita dopo le devastazioni della seconda guerra mondiale. E per orientarvi meglio tra i tanti personaggi è utile la mappa iniziale che fissa il quadro generale.
A Colonia vivono Heinrich Aldenhoven che, a fatica e con scarsi guadagni, dirige una galleria d’arte, e sua moglie Gerda . La loro casa è stata distrutta durante la guerra e la galleria non riesce a far tirare avanti la famiglia, se non con rinunce e difficoltà. Con loro vivono i figli Ursula e Ulrich, con le cugine Billa e Lucy che hanno perso la casa sotto i bombardamenti.

Ad Amburgo ci sono l’amica di Gerda, Elisabeth e suo marito Kurt Borgfeld. Lui è il manager pubblicitario di una cassa di risparmio e hanno meno preoccupazioni economiche, ma altri tipi di grane. Avvincente è soprattutto la vita della loro figlia Nina che si ritrova a crescere da sola Jan, dal momento che il marito Joachim è disperso in Russia e ormai le speranze di un suo ritorno dalla guerra sono ridotte al lumicino.

Infine, a Sanremo troviamo la sorella di Henrich Aldenhoven, Margharete che per amore si è trasferita da Colonia nella riviera ligure. La vita con il marito italiano -storico dell’arte, rampollo di una ricca famiglia della buona borghesia sanremese, – potrebbe essere più felice e spensierata se non fosse che purtroppo deve fare i conti –difficili e amari- con le angherie continue della insopportabile e onnipresente suocera Agnese, dispotica matriarca.

Le storie di questi tre nuclei familiari si intrecciano nell’arco di un decennio, a partire dalla notte di capodanno del primo gennaio 1950. E il romanzo diventa un affresco corale e storico in cui ai protagonisti accadono molteplici cose che appartengono al normale dipanarsi della vita, alle prese con un ingombrante passato di guerra e morte, disgrazie varie e ferite da sanare. Tutti i personaggi guardano a un futuro di rinascita e grandi speranze.

 

Marta Dillon “Aparecida” -Gran Via- euro 16,00

Marta Dillon è nata a Buenos Aires nel 1966; è giornalista, scrittrice, sceneggiatrice e autrice di programmi e documentari televisivi, e questa storia è una cronaca personale e politica di enorme rilievo. Il libro è autobiografico e racconta la ricerca del corpo della madre desaparecida.
Una vicenda inversa a quella dei desaparecidos, perché qui quello che resta del corpo trucidato e sepolto frettolosamente della madre, riappare.
Nel 2010, Marta è all’estero con la compagna e il figlio quando una telefonata le comunica che l’Equipe Argentina di Antropologia Forense ha trovato resti umani in una fossa comune e dall’analisi delle ossa repertate risulta che alcune sono della madre, Marta Taboada.
Ed ecco la sua storia raccontata nelle pagine della figlia.
Marta era avvocato e militante impegnata in prima linea contro la dittatura militare. Era stata sequestrata nella sua casa il 28 ottobre del 1976, di fronte ai quattro figli ancora piccoli. Da allora di lei non si era saputo più nulla, solo che era stata fucilata insieme ad altri compagni e compagne.
Ora 34 anni dopo il suo sequestro, varie e infruttuose ricerche della figlia, eccola riapparire, o meglio vengono riportate in superficie le sue povere ossa.
Tutto il libro si muove intorno a un’assenza; quella di un corpo del quale ai figli resta il ricordo di un abbraccio, un’assenza ingombrante perché il vuoto di quella scomparsa ha segnato per sempre le loro vite.
Il ritrovamento di una manciata di ossa dello scheletro materno diventa spunto per raccontare la vita di Marta, attraverso ricordi e flash back, momenti passati e presenti, descrizioni di fotografie e dossier ufficiali che grondano bugie raccontate dagli aguzzini per coprire l’orrore di quello che hanno fatto.
Una sorta di memoir, tra biografia familiare, auto-fiction, collage e reportage giornalistico; pagine che non vi lasceranno certo indifferenti perché la tragedia che ha sconvolto la vita di Marta Dillon è comune a tante altre famiglie falciate dalla dittatura argentina dei colonnelli.

 

Kaho Nashiki “Le bugie del mare” -Feltrinelli- euro 16,00

La passione della scrittrice giapponese Kaho Nashiki (nata nel 1959 sull’isola di Kyūshū) per la botanica, i viaggi e la storia delle religioni traspare appieno in questo suo romanzo che narra la scoperta di se stesso del giovane protagonista.
A metà degli anni 30 il geografo Akino si reca sull’isola -immaginaria- Osojima che nella fantasia dell’autrice ha la curiosa forma di un cavalluccio marino e si troverebbe al largo della più meridionale delle isole giapponesi, Kyushu –che esiste davvero-. Il giovane studioso e appassionato di geografia è lì per svolgere delle ricerche sul campo lasciate incompiute dal suo maestro.
E’ l’inizio di un tragitto naturalistico, certo, ma soprattutto interiore e alla scoperta del sé più profondo.
Akino si porta dentro il dolore di 3 lutti strazianti avvenuti in pochissimo tempo: la morte dei genitori e della fidanzata. Tre buchi nell’anima che hanno accentuato il suo carattere già di per sé solitario.
Sull’isola si immerge nella natura che tutto domina, nota e annota ogni cosa, osserva con meraviglia e occhi esperti il rigoglio che lo circonda.
Farà anche incontri importanti, tra i quali una coppia di contadini e il proprietario dell’unica casa dell’isola su due piani. Sarà proprio questo figlio di un monaco nato a Osojima che, dopo una vita sulle navi da crociera, è ritornato alla base e farà da preziosa guida ad Akino.

Il viaggio non sarà solo tra felci, alberi e flora subtropicale incontaminata; ma anche, se non soprattutto, in quella ricerca del senso della vita insito nelle credenze che vanno dallo sciamanesimo al buddhismo e allo shintoismo. L’isola con le sue stranezze e meraviglie naturalistiche è una sorta di scrigno di tesori vivente in cui Akito finisce per trovare risposte al senso della vita e a lenire il bruciore delle ferite della sua anima.

Poi, dopo uno stacco di quasi mezzo secolo lo ritroviamo ormai anziano, sposato, con due figli e alle spalle una carriera accademica, nel corso della quale non aveva mai raccontato la sua esperienza nell’Eden di Osojima.
Il Giappone ha vissuto un incredibile progresso dopo la guerra, e la modernizzazione selvaggia non ha risparmiato neanche la lontana isola della giovinezza di Akino. Anzi scoprirà che proprio uno dei suoi figli è responsabile dell’imponente e devastante sviluppo turistico di quella terra.

 

Nicholas Sparks “Quando si avvera un desiderio” – Sperling & Kupfer – euro 19,90

Sparks è uno degli autori più amati dal pubblico, i suoi romanzi pubblicati in oltre 50 paesi sono quasi tutti dei best seller e molti hanno ispirato film di successo. Qui ancora una volta imbastisce una storia che va dritta al cuore, tocca buoni sentimenti, dolori, sconfitte e speranze rinnovate.
Protagonista è l’affermata fotografa che ha girato il mondo in lungo e in largo, ha immortalato innumerevoli situazioni in reportage di viaggio e di grande successo. Nel 2019 la troviamo a New York dove con un socio ha aperto una rinomata galleria in cui espone le sue foto più belle. E’ una donna matura e realizzata, ma la vita le ha riservato una brutta sorpresa. A 36 anni le viene diagnosticato un melanoma al quarto stadio e la sua vita subirà una battuta di arresto.
Ma lei è una combattente, ed è troppo giovane per arrendersi alla malattia. Così inizia il calvario delle pesantissime cure e decide di raccontare quello che sta vivendo sul suo canale Youtube. Questo diario per immagini e parole diventa ben presto virale, e lei non molla nemmeno quando l’oncologa le consiglia di pensare solo più alla qualità del poco tempo che le resta.

Nella sua vita entra un giovane entusiasta collaboratore che l’aiuta a mandare avanti la galleria, e il loro diventerà un legame importantissimo e profondo.
Maggie ha ancora tantissimi sogni nel cassetto da realizzare e allo stesso tempo un passato pesante alle spalle.

Nel lontano 1996 era stata una sedicenne rimasta incinta dopo una notte sbagliata con un giovane sconosciuto che non rivedrà mai più e che neanche si ricorda il suo nome e il suo viso.
Ma le conseguenze per lei saranno gravissime.
I genitori la allontanano per evitare lo scandalo. Lei smarrita e sola viene spedita da una lontana zia con la quale la convivenza, almeno all’inizio, non sarà facilissima.
Si ritrova nel North Carolina (location prediletta di Nicholas Spark che lì ha ambientato molti suoi romanzi) con un pancione che lievita e in attesa di mettere al mondo la creatura che dovrà dare in adozione.

Ma è anche il momento in cui incontra il grande amore della sua vita.
E’ il dolcissimo Bryce, poco più grande di lei e tanto maturo ed equilibrato da non essere minimamente scandalizzato dalla sua gravidanza. Il loro sarà un amore unico e Bruce darà anche il via alla passione di Maggie, perché le insegnerà tutto sulla fotografia che diventerà la sua carriera di successo…

 

Dalle Ande al Monferrato

DALLE ANDE AL PIEMONTE ED ALLA VALCERRINA IL CAMMINO ARTISTICO ED UMANO DI MONO CARRASCO

In Valcerrina vive un artista di caratura internazionale, la cui vita è da sola un poema, che ha sviluppato nel corso degli anni un forte legame con il Monferrato ed il Piemonte, pur essendo nato a migliaia di chilometri.

Eduardo ‘Mono’ Carrasco è il nome clandestino e provvisorio – ma tutto ormai lo chiamano così – di Hector Carrasco, nato a Santiago del Cile nel 1954, grafico, muralista, promotore culturale della ‘Brigada Ramona Parra’, vive in Italia dal 1974 anno in cui vi giunse come rifugiato politico dopo il golpe militare che rovesciò il governo democraticamente eletto di Salvador Allende per portare al potere Augusto Pinochet.

Operatore culturale, curatore di mostre tematiche e realizzatore di progetti per grandi eventi come fiere di settore e mostre multimediali, nel Luglio del 2004 l’Ambasciata del Cile a Roma gli conferisce la Medaglia Pablo Neruda, onorificenza governativa promossa dalla Fundación Pablo Neruda.

Ha anche scritto alcuni libri: Il ragazzo che colorava i muri, Edizioni Punto Rosso, Milano, 1998; Il sogno dipinto, Hobby&Works, 2003; Cile, 11 settembre, 2003. Franco Angeli Editore, Milano; Inti Illimani, Storia e mito, Ricordi di un muralista, Il Margine, Trento, 2010.

Attualmente vive a Cantavenna, frazione di Gabiano Monferrato, dalla quale si gode un’ottima vista panoramica sulla Valle del Po ed il ‘mare a quadretti’ delle risaie del Vercellese. E proprio qui, nella sala polifunzionale, ha proposto in una interessante mostra personale il suo percorso ‘Dalle Ande al Monferrato’, quasi un percorso a ritroso del racconto ‘Dagli Appennini alle Ande’ di deamicisiana memoria.

Lo abbiamo incontrato in quell’occasione e ne è nata una lunga chiacchierata, ricca di spunti su un’arte ed fatti storici che, pur avvenuti ‘alla fine del mondo’ ebbero una notevole eco in Europa e, particolarmente, in Italia.

Lei è considerato uno dei fondatori dell’arte dei murales che contraddistinse un particolare periodo della storia cilena ….

Nella seconda metà degli anni Sessanta c’era la guerra in Vietnam e in tutto il mondo gli studenti facevano manifestazioni contro questa guerra. Anche in Cile ci fu una marcia che toccava ogni piccolo paese e coinvolgeva diversi tipi di artisti come ballerini, poeti, cantanti. E c’era un gruppo di sette ragazzi e ragazze che dipingeva sui muri e sulle pietre la parola d’ordine ‘No alla guerra in Vietnam’. Questo è stato l’inizio del muralismo cileno, nato anche per sostenere la campagna elettorale di Salvador Allende. Siamo diventati novanta gruppi che riempivano le strade con la parola ‘Allende’ ed il numero ‘3’ che era quello che lo contraddistingueva sulla scheda per le presidenziali.

La domanda a questo punto è d’obbligo: ha conosciuto Allende ?

L’ho visto durante il suo mandato presidenziale ma l’avevo conosciuto prima perché era amico della mia famiglia. L’ho visto 4/5 volte a casa della mia famiglia. Un parente aveva creato l’Istituto del teatro universitario studentesco cileno.

Come ricorda il presidente Allende ?

Era una persona dotata di un carisma incredibile, irradiava allegria, sapienza, trattava tutte le persone da uguali. In precedenza era stato ministro della salute di Pedro Aguirre Serda e aveva fatto proprio il motto ‘Gobernar es educar’.

Ma torniamo a voi giovani che ne sosteneste la canddatura …..

Dopo le elezioni ‘l’esercito’ di giovani che eravamo si è domandato “E adesso cosa facciamo ?”. Così abbiamo iniziato a realizzare dipinti sui muri con disegni. In Cile, però, non c’era nessuna tradizione muralistica come in Messico, anche perché gli Arancanas, i nostri antenati erano un popolo guerriero e noi eravamo lontani dall’avere un precedente nelle bellezze dell’arta Inca o Azteca.

A quel punto che soluzione avete cercato ?

Abbiamo ‘rubato’ tecniche, simbologie. La nostra idea era quella di fare disegni che potessero essere dipinti da tutti. Di qui la decisione di prendere spunto da artisti che non usassero colori piatti, il nero aveva due utilizzi (colore che viene dato alla fine dell’opera, serve per coprire eventuali imprecisioni e a dare una dimensione all’opera).

I vostri lavori servivano a veicolare un messaggio politico ?

Nei tre anni di Governo Allende i dipinti non sempre avevano una simbologia politica. Molti servivano a dare un altro volto a quartieri marginali. Ad esempio c’era un campo giochi per bambini e vicino vennero fatti dei disegni colorati che si politico non avevano niente. Nessuno negli anni ha mai fatto il conto di quanti murales vennero realizzati.

Eravate riuniti in brigadas. Perché ?

I gruppi erano chiamati brigadas ma erano formati da ragazzi. La Brigadas Ramona Parra era così chiamata perché intitolata in onore di una ragazzadi 18 anni che nel 1947 venne ucciso dalla polizia durante uno sciopero generale.

Cosa è rimasto di questi murales ?

Tutto quanto è stato dipinto, tutta quell’arte di strada è stata totalmente cancellata, c’è pochissima documentazione fotografica. E’ rimasto solo il murales di un grande pittore Roberto Sebastian Matta. Lui, che viveva a Roma, essendo progressista, aveva scritto ad Allende offrendosi di realizzare un murales e Allende diede il suo assenso a che l’opera venisse realizzata in un quartiere periferico, molto povero, ‘La Granja’, nella piscina comunale. Successivamente con la dittatura venne coperto complessivamente da 16 mani di pittura. Il caso volle che uno dei ragazzi che faceva in bagno di quella piscina diventasse sindaco e attraverso l’intervento di restauratori si potesse riportarlo alla luce e recuperarlo con un lavoro veramente certosino. Sono andato a vederlo con la mia compagna ed è stato recuperato all’85% . Intorno a quel murale, poi, è stata eretta la ‘Casa della cultura, dove una decina di anni fa ho tenuto una conferenza.

Ma veniamo ad un giorno cruciale per il Cile, l’11 settembre 1973, il giorno del colpo di stato militare, il ‘Golpe’. Come lo ha vissuto ?

Frequentavo il penultimo anno dell’Istituto superiore di Commercio e studiavo vendita e pubblicità. Al mattino c’era lezione di ginnastica, mi stavo cambiano e uno dei custodi mi ha detto: “Vai a casa, c’è il colpo di stato”. Nessuno, però, in quel momento poteva immaginarsi la dimensione di quanto stava accadendo, di quello che sarebbe accaduto. Per strade vedevi i militari e ti chiedevi chi era a favore e chi era contro. Sono andato alla sede della gioventù comunista del Cile. Lì mi hanno detto di andare verso Sud e sono partito a bordo di una Fiat 600 con i fogli degli iscritti, raggiungendo un quartiere periferico dove sono stato per alcuni giorni.

Dunque non è entrato subito in clandestinità sino a giungere all’espatrio ?

Mi sono reso conto che poteva diventare una mattanza soltanto nel giugno dell’anno successivo, il 1974. In un primo momento non ho avuto grossi problemi, ho fatto l’ultimo anno di scuola in un altro istituto. A giugno, sono entrato in clandestinità e questa fu la mia fortuna. Ero andato al cinema a vedere ‘Il fascino discreto della borghesia’ di Bunuel con una mia cugina che accompagnai a casa sua. Qui venni raggiunto da una telefonata  di mio padre che mi disse di non tornare. Nei mesi che seguirono conobbi tutte le case e tutte le classi sociali del Cile e, attraverso una organizzazione di solidarietà la Chiesa cilena prese contatto con l’Ambasciata italiana in Cile. Vennero create le condizioni perché saltassi letteralmente il muro. L’ho rivisto dopo 40 anni e mi sono chiesto: ma come ho fatto a saltarlo ? Di là però c’era la libertà. Poi mi vennero forniti i documenti e venni portato in aeroporto. Sono arrivato a Roma con un volo che è passato da Lima, New York e Francoforte. Sulla clandestinità vorrei aggiungere ancora che è una condizione terribile perché “Tu sei un essere umano inutile e dipendi economicamente dagli altri”.

Quando è tornato in Cile ?

Dopo il plebiscito del 1988.

Prima parlava del Partito Comunista Cileno. Ma è vera l’impressione che il segretario Luis Corvalan fosse più concreto, meno idealista di Allende nel portare avanti il programma di Unidad Popular ?

Corvalan, una delle sue figlie dipingeva con me. Era di origini contadine, un insegnante, persona molto a modo. Il Partito Comunista del Cile non frenava sul programma, ha sempre seguito il programma ed Allende sino all’ultimo giorno. Piuttosto si può davvero dire che Allende è nato troppo in anticipo. Lui parlava di una via pacifica al socialismo diversa dalla rivoluzione cubana. Ed è andato a toccare gli interessi della borghesia cilena che ha un potere economico immenso.

Come è stata la sua vita in Italia ?

Sono stato a Bologna, ho lavorato come operaro – rotativista alla Rusconi Editore, nei laboratori che effettuavano i rivestimenti per la Fiera di Milano quando era nella sua precedente collocazione in zona San Siro. E ho sempre continuato a fare murales in Italia, in Europa, in America Latina.

Adesso è cittadino italiano ?

Si. La cittadinanza l’ho presa tardi, anche se vivo qui da moltissimi anni. Ho aspettato che finisse la dittatura della giunta militare e dieci anni sono diventato cittadino italiano con la consegna dell’attestazione al Comune di Torino, dove vivevo. Poi, per varie ragioni ho scoperto Cantavenna, Gabiano e la Valcerrina, dove ho messo radici.

A proposito di rapporti tra Monferrato ed Ande, che rapporto ha con gli Inti Illimani ?

Sono rappresentante in Italia del gruppo musicale Inti Illimani Histórico. Nel 2022 torneranno in Italia, in particolare in Sardegna.

Per loro ha realizzato qualcosa ?

Ho contribuito con il disegno e parte della colorazione, insieme ad altri, alla copertina del loro quarto album, ‘Hacia la libertad’.

Ha conosciuto Victor Jara uno dei massimi esponenti della nueva cancion chilena, ucciso durante il Golpe ?

Victor lo conoscevo perché andava a mangiare dove c’era la sede della Brigada Ramona Parra. Era un uomo alto, gentile, di grande disponibilità verso gli altri.  Veniva preso in giro perché aveva sempre delle pulsantiere. SI pensava fosse un vezzo, invece era perché soffriva di reumatismi e le portava in lana cruda, ed anche in rame, perché eliminavano l’umidità.

Qual è il filo conduttore della mostra ‘Dalle Ande al Monferrato’ ?

Il connubio tra i due territori, le viti ed il vino, le montagne, i fiori. In Valcerrina ho anche realizzato alcuni pannelli che sono nel salone polifunzionale di Gabiano ed un murales a Mombello Monferrato.

Segno di un legame ormai fortissimo tra un artista di notevole caratura internazionale, la Valcerrina ed il Piemonte.

Massimo Iaretti

Inclusività e partecipazione culturale Prende il via a Torino Museo Fuori!

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Un laboratorio multiculturale per un dialogo tra il museo e la città

18 professionisti, 3 squadre, 2 musei e 9 giorni di ideazione, creazione e progettazione. L’obiettivo: immaginare e realizzare nuovi dispositivi di mediazione culturale e interculturale, che favoriscano l’integrazione sociale.

 

Una maratona creativa alla scoperta dei luoghi della cultura che restituisce le collezioni museali alla cittadinanza per promuovere la partecipazione culturale e l’integrazione civica. È il principio alla base di Museo Fuori! Laboratorio multiculturale per un dialogo tra il museo e la città, evento nato dalla collaborazione tra Generazione PonteMuseomix Italia e BAM! Strategie Culturali nell’ambito del progetto Ritorno al Futuro, sostenuto dal bando CIVICA 2019 della Compagnia di San Paolo.

In programma a Torino dal 16 al 24 ottobre, questo speciale format coinvolgerà 18 partecipanti con diverse competenze (dalla mediazione culturale al content creator, dalla programmazione al design e al making) che, divisi in tre squadre, avranno l’obiettivo di ideare, mettere a punto e presentare al pubblico il “prototipo”, uno strumento mediazione – digitale o fisico – che porti le collezioni museali fuori dalle mura, confrontandosi sui temi proposti dai musei e dalle organizzazioni culturali coinvolte. Il punto di partenza saranno le collezioni di due importanti musei torinesi: il Museo Nazionale del Risorgimento Italiano e il Museo di Arti Decorative – Fondazione Accorsi-Ometto. I temi su cui lavorare ad esempio proporranno gli oggetti delle collezioni museali come ponti tra culture diverse e faranno riflettere sulla storia dell’uomo, dei luoghi, sulle conquiste e lo sviluppo della società come frutto di una coralità che oggi è importante ricreare.

Il Pinocchio della Fondazione TRG al Garybaldi di Settimo

Domenica 17 ottobre alle 16 il Teatro Civico Garybaldi di Settimo Torinese ospiterà “Pinocchio”, una produzione della Fondazione Teatro Ragazzi e Giovani di Torino, per il penultimo appuntamento con gli spettacoli per famiglie della stagione “Battiti – Dentroefuori” organizzata da Santibriganti Teatro.

Sul palco saliranno Claudio Dughera, Daniel Lascar e Claudia Martore, diretti dalla regia di Luigina Dagostino, che si è anche occupata della riscrittura drammaturgica. La storia è quella di Pinocchio, il burattino ribelle, simpatico, impertinente e ingenuo che vuole fuggire dalla condizione di diversità per diventare una persona vera. Lo spettacolo accompagna gli spettatori tra gli innumerevoli episodi del romanzo di Collodi. Accanto a quelli più noti che tutti si aspettano di vedere, sono stati affiancati altri meno noti, in cui il protagonista si troverà a vivere un mondo che per lui è tutto da scoprire e da interpretare. Un’allegoria della società moderna, dove emerge il contrasto tra razionalità e istinto, fame e benessere, generosità e ricerca del profitto personale. Ma anche la complessità del mondo infantile, così come quella di un mondo adulto che non sempre ascolta e guarda davvero all’essenza delle cose. Non solo una storia per bambini, perché Pinocchio è in ognuno di noi.

Per consentire il distanziamento tra il pubblico, il numero di posti disponibili sarà limitato. Per questo motivo è caldamente consigliato prenotare il proprio posto chiamando lo 011-645740 o pre-acquistarlo online sul sito www.ticket.it.

 

Domenica 17 ottobre ore 16.00

“Pinocchio”

con Claudio Dughera, Daniel Lascar, Claudia Martore

drammaturgia e regia Luigina Dagostino

Fondazione Teatro Ragazzi e Giovani

Garage rock USA 1966. Discografia minore / 9

?? CALEIDOSCOPIO ROCK USA ANNI 60

Io ora credo, guardandomi indietro, che non abbiamo combattuto contro il nemico… Abbiamo combattuto contro noi stessi. E il nemico era dentro di noi”.

Il finale del film “Platoon” (1986) di Oliver Stone riassume il dramma universale della tragedia della Guerra del Vietnam, in quell’inferno dove “il vero nemico è quello che si annida nel più profondo della coscienza”.

In relazione al tema della nostra rubrica posso solo dire che l’impatto della chiamata alle armi fu devastante per moltissime bands di garage rock americano nel biennio 1966-1967; videro interrompersi in modo traumatico la parabola musicale che avevano avviato, senza poter (in molti casi) raccogliere nemmeno i frutti di medio termine di tanto impegno ed entusiasmo impiegati nel costruire un’idea di futuro per le loro compagini musicali.

Nella seguente lista di questa sezione discografica sono presenti alcune bands che subirono proprio questo trauma dello “scioglimento forzato” a causa dell’arruolamento nell’esercito.

–  Long John and The Silvermen “Heart Filled With Love / Wind In The Sky”  (Wanted 001);

–  Syndicate Of Sound “Little Girl / You”  (Hush G-228);

–  Limey and The Yanks “Love Can’t Be A One Way Deal / Guaranteed Love”  (Star-burst Records SB-127);

–  The Scoundrels “Easy / The Scoundrel”  (ABC-Paramount 45-10892);

–  Paul Bearer & The Hearsemen “I’ve Been Thinking / Route 66”  (Riverton 105);

–  Phil and The Frantics “I Must Run / What’s Happening”  (Ramco ARA 1970);

–  The Outspoken Blues “Not Right Now / Mister You’re A Better Man Than I”  (Orlyn ORL 66821 / 8140-6821);

–  Theze Few “I Want Your Love / Dynamite”  (Blacknight BK-901);

–  The Tempo’s “All That I Really Want / Termite”  (Twin-Spin Records 105);

–  The Ariel “I Love You / It Feels Like I’m Crying”  (Brent 7060);

–  Joe Frank & The Knights “Can’t Find A Way / Won’t You Come On Home”  (Block 510);

–  The Staccatos “Gypsy Girl / Girl”  (Syncro Records 661);

–  Zorba and The Greeks “One And Only Girls / You’ve Had Your Chance”  (Golden State Records GSR-597-A);

–  The Wizard’s “I Want To Live / I’m A Blind”  (Era Records 3161);

–  The Chants “Hypnotized / Elaina”  (B. Ware 869);

–  The Yo Yo’s “The Raven / Crack In My Wall”  (Coral 62501);

–  The Uniques “Run And Hide / Good Bye, So Long”  (Paula Records 245);

–  S.J. and The Crossroads “The Darkest Hour (I / II)”  (Salmar Productions SJ 100);

–  The Laymen “Time Or The Place / Searchin’ Round The World”  (Minaret MI-123);

–  Robin and The Three Hoods “I Wanna Do It / That’s Tuff”  (FAN Jr. Records 884S-5680);

–  The Mor-loks “What My Baby Wants / Lookin’ For A New Day”  (Decca 31950);

–  The Regents “Words / Worryin’ Kind”  (Penthouse 502);

–  The Darelycks “Wait For Me / Bad Trip”  (Fine Records FI-111);

–  The Bats “How Could You Have Known / Evelyn”  (Merben Records MR 501).

(… to be continued…)

Gian Marchisio

A “Camera” ultimi giorni con Niedermayr

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Fino al 17 ottobre le prime e fino al 26 settembre le seconde

Si intitola “Transformations” la personale di Walter Niedermayr (Bolzano, 1952), ospitata, fino al 17 ottobre, nelle sale principali di “CAMERA- Centro Italiano per la Fotografia” di via delle Rosine, a Torino.

In esposizione troviamo una cinquantina di opere di grande formato, spesso e con originalità presentate nella formula del dittico o del trittico, realizzate negli ultimi vent’anni e in cui il celebre fotografo altoatesino intende approfondire e documentare con strabiliante esattezza di particolari il tema dei cambiamenti (di qui il titolo della rassegna) dello spazio ambientale. Sia esso naturale, alpino soprattutto, ma anche specchio di architetture urbane in cui non manca di interagire l’uomo, causa concreta degli stessi mutamenti narrati da Niedermayr. Mutamenti spaziali, climatici, ma anche mentali, determinati dal rapporto ambiguo fra uomo e natura che il fotografo pare voler sottolineare attraverso tonalità quasi sempre poco contrastate e neutre, volte a muovere riflessioni morbide (mai impositive) su comportamenti che sarebbe giusto modificare o, per lo meno, limitare per non snaturare l’ambiente, trasformandolo in “altro”, quasi sempre di danno all’immagine  originale e all’uomo stesso. “Le sue fotografie – racconta Walter Guadagnini, direttore di CAMERA e curatore della mostra insieme a Claudio Composti e Giangavino Pazzola – si fondano infatti sulle mutazioni che il paesaggio alpino ha subito e continua a subire e trovano la loro ragion d’essere e la loro identità proprio in questo elemento, nella presenza di qualcuno o qualcosa che ha cambiato, e continua a cambiare, l’elemento naturale”. L’interesse dunque di Niedermayr per l’indagine dei luoghi, del classico armonioso paesaggio dell’ambiente alpino- naturale, non è solo interesse di carattere geografico, ma anche e soprattutto di tipo sociale. “Per il fototografo altoatesino – sottolineano ancora i curatori– lo spazio fisico appare come perno di una relazione trasformativa tra ecologia, architettura e società”. Così, ad esempio, la presenza dell’uomo, in alcuni lavori della serie “Alpine Landschaften” (“Paesaggi Alpini”) è interpretata “come un parametro di  misurazione delle proporzioni dei panorami alpini e al tempo stesso come metro politico del suo intervento nella metamorfosi degli equilibri naturali”. Intenzioni rimarcate anche nella serie “Portraits” dove i cannoni sparaneve ripresi durante la stagione estiva – quindi inattivi e coperti da teli– diventano ambigue surreali presenze che abitano il paesaggio. In mostra sono esposte anche due dittici inediti realizzati a seguito di una committenza che ha permesso a Niedermayr di scattare, a inizio anno, nel cantiere di Palazzo Turinetti a Torino che diventerà la quarta sede delle “Gallerie d’Italia” di Intesa Sanpaolo in Piazza San Carlo. In apertura, nei primi mesi del 2022, il Museo sarà dedicato prevalentemente a fotografia e a videoarte.

Gianni Milani

“Walter Niedermayr. Transformations”

“CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia”, via delle Rosine 18, Torino; tel. 011/0881150 o www.camera.to

Fino al 17 ottobre 

Orari: fino al 5 settembre, merc. – dom. 11/19; dal 6 settembre, lun. merc. ven. sab. dom. 11/19 e giov. 11/21

Nelle foto:

–         Walter Niedermayr: “Hintertuxergletscher”, dittico, 2004

A San Mauro, tre giornate di incontri musicali gratuiti per i più piccoli

“Terra, mare e cielo” Primo appuntamento, sabato 16 ottobre

San Mauro (Torino)

Avvicinare i ragazzi alla musica. E’ sicuramente una bella pensata, quella del Comune di San Mauro. Che, alla bella pensata, ha dato anche un titolo molto significativo: “Terra, mare e cielo”. A realizzarla, attraverso incontri periodici, assolutamente gratuiti (e questa è stata anche un’altra gran bella pensata), all’Amministrazione civica è venuto in soccorso il musicista sanmaurese Umberto Poli, in collaborazione con il collega e musicoterapista Flavio Rubatto e con l’organizzazione della ludoteca comunale “L’Albero Amico”, gestita dalla Cooperativa Sociale Onlus “apPunto”. Tre gli appuntamenti. Tutti e tre di sabato. Il primo è per sabato 16 ottobre; a seguire il 13 novembre e il 4 dicembre, con tre proposte diverse che si susseguono nella giornata. Luogo d’incontro è il “Centro Giovani” di San Mauro, in via dell’Asilo 11. Obbligatoria la prenotazione: tel. 348/5159634. Queste le tre proposte ideate nell’arco delle varie giornate:  alle 9,30 un laboratorio dedicato ai bambini con disturbo dello spettro autistico e deficit cognitivo (6-11 anni) sul “paesaggio sonoro”, per scoprire il benessere, la libertà regalate dalla musica, per provare la stimolazione sensoriale, la condivisione, la sperimentazione. A tenere questo e gli altri laboratori della giornata, Poli e Rubatto che affiancano, da sempre, all’attività musicale l’impegno nella formazione. Dalle 14,30 alle 16,30 “Musica disegno e perfomance”, occasione per avvicinare bimbi e ragazzi tra i 6 e gli 11 anni a body percussioni, strumenti a cordapelli, ma anche lettura, interpretazione e messa in scena.  Infine, dalle 17 alle 19 una proposta pensata per la fascia più grande, 12-15 anni: un laboratorio di “ascolto e songwriting”, una travolgente immersione nei generi musicali tra ritmi, parole, creatività e composizione dei brani originali.

“Con questo tipo di didattica, a vincere è la combinazione di passione, tecnica, originalità e, soprattutto, la voglia di creare insieme qualcosa di unico e irripetibile. Sia nelle sedi extracurricolari sia in ambito scolastico la musica accompagna il cammino di bambini e ragazzi nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza e oltre, in un continuum progettuale dinamico e al tempo stesso formativo» spiega Poli, che aggiunge: “Sarà un viaggio emozionante fatto di integrazione e incontro tra musiche, storie, tradizioni, suoni, generi, culture da tutto il mondo”.

Umberto Poli, classe 1983, ha affiancato all’attività di compositore e musicista (è leader dei “Gospel Book Revisited” e cofondatore de “Lastanzadigreta”) quella, sempre a San Mauro, di docente dei corsi di “Giocomusicarte” e “Propedeutica”, speciali lezioni dove i bambini, in modo divertente e originale, possono iniziare a muovere i primi passi in campo musicale e a farne esperienza diretta per mezzo di forme e linguaggi trasversali. Ci sono anche i corsi di “Ensemble“, dei laboratori monostrumentali dedicati allo studio della chitarra e dell’ukulele, e “Band”, un percorso polistrumentale avanzato di musica d’insieme. Si svolgono al pomeriggio a “L’Officina sul Po”, da ottobre a maggio. Gli stessi corsi vengono anche organizzati allo “Zac” di Ivrea. Il tema didattico scelto per la stagione 2021-2022 è “L’America intesa come enorme e caleidoscopico insieme di generi musicali” (dal blues al folk, dal rock al pop al soul), passando con disinvoltura dagli spiritual alla voce di Etta James, dai classici di Ray Charles alle badlands di Bruce Springsteen fino alle musiche dei più recenti lungometraggi targati Disney / Pixar. Info: www.umbertopoli.com.

g.m.

Kashmir, conflitto e lavoro ad ago. Al Museo del tessile

Museo del Tessile di Chieri

ADAM STCLAIR

KASHMIR: conflict and stitchery

KASHMIR: conflitto e lavoro ad ago

Mostra di fotografia e cultura materiale tessile

Dal 16 al 26 ottobre 2021

 

Sabato 16 ottobre, alle ore 15.00, si inaugura al Museo del Tessile di Chieri, in via Santa Chiara 5, la mostra del fotografo, antropologo e docente inglese Adam STCLAIR (Norwich, 1967, vive e lavora a Torino), che, insieme ad una selezione di fotografie di viaggio, presenta anche una collezione di manufatti di artigianato artistico dal Kashmir.  

 

Come il vicino Afghanistan, anche il Kashmir ha subito una delle più lunghe occupazioni militari al mondo. Tuttavia, la comunità internazionale sembrerebbe aver ignorato per decenni la negazione o la ripetuta violazione dei diritti umani delle popolazioni che abitano il territorio oggi identificato come Kashmir, le cui terre sono controllate in parte dall’India, in parte dal Pakistan e in parte dalla Cina. L’instabilità derivante da questa situazione ha pesato inevitabilmente sulle attività delle piccole manifatture e botteghe di artigiani, la cui vitalità e maestria traspaiono dagli smaglianti manufatti tessili che ancora producono.

 

Adam STCLAIR ha avuto modo di rapportarsi direttamente con la vita in Kashmir poiché, per diverso tempo, è stato ospite di una famiglia sul lago Dal, nei pressi della città di Srinagar, e ha viaggiato in lungo e in largo attraverso il Kashmir per condurre la sua ricerca di dottorato in antropologia visiva, che già lo aveva condotto a Mumbai (India). Durante i suoi viaggi attraverso paesaggi himalayani, ha fotografato, ripreso e intervistato persone che lavoravano nelle botteghe e piccole manifatture tessili del Kashmir. Ha così realizzato il valore dell’intenso lavoro manuale necessario a realizzarli, quasi sempre eseguito da donne che operano in condizioni ambientali estreme subendo ingiustizia ed esclusione dalla vita sociale e culturale. Ha osservato le loro abili mani filare, pettinare e tessere disegni intricati con fili di seta, lana e cotone a telaio. Ha visto la manifattura di bellissimi tappeti in seta, stole in lana Pashmina (ricavata dalla capra tibetana) tessute con aghi porgifilo lignei detti kani, ma anche scialli in lana Shahtoosh (ricavata dall’antilope tibetana) decorati con splendidi disegni ricamati a mano, ognuno dei quali esprime un senso di identità e orgoglio per i Kashmiri.

 

«Il Kashmir non è una storia, bensì una moltitudine storie che accadono intorno all’osservatore»,afferma Adam STCLAIR, la cui mostra, ospitata al al Museo del Tessile di Chieri fino al 26 ottobre, offre scorci sulla sua esperienza di viaggio in quell’area tormentata nel cuore dell’Asia centrale. Oltre a raffinati tappeti e stole, sono esposti strumenti tradizionali quali aghi uncinati per il ricamo a punto catenella, pettini e kaniimpiegati a telaio per oltre un secolo e persino un Corano Kashmiri. Le fotografie ritraggono bambini e adulti in abiti tradizionali, ambienti domestici e paesaggi, manufatti di alto artigianato e particolari di quegli stessi lavori d’arte tessile. Una produzione audiovisiva restituisce i suoni che erano parte integrante della vita quotidiana del Kashmir al tempo in cui furono effettuate le riprese – musica trasmessa da una stazione radio locale, l’adhān (chiamata islamica alla preghiera) da diverse moschee di Srinagar, il suono ubiquo della voga prodotto sul lago Dal da chi cerca un incontro o la fuga dal coprifuoco.

 

«Questa esposizione dalle diverse anime racchiude ‘storie personali’ che restituiscono il senso di cosa significa vivere in Kashmir, dove conflitto e lavoro ad ago coesistono-spiega di Melanie ZEFFERINO, Presidente della Fondazione Chierese per il Tessile e per il Museo del Tessile, e curatrice del ciclo di eventi “Ars et Industria”-Scriveva la storica e scrittrice di viaggi gallese Jan Morris che “il Kashmir è sempre stato più di un mero luogo. Esso ha la qualità di un’esperienza, di uno stato mentale o forse di un ideale”. Anche Adam STCLAIR vede il Kashmir come una realtà dalle molteplici sfaccettature, e le diverse tradizioni tessili del Kashmir, seppure diffuse anche in alcune regioni limitrofe, sono presentate per la prima volta al Museo del Tessile in questa intrigante mostra, contestualizzandole attraverso immagini di grande impatto. Tutto ciò non solo nell’ottica di esaltare il valore estetico ed etnografico dei manufatti esposti, ma anche di riconoscere, attraverso la cultura materiale, la diversità come valore per l’essere umano».

Il giorno dell’inaugurazione della mostra, sabato 16 ottobre, sarà possibile visitare presso la sede del Museo del Tessile di Chieri anche il laboratorio di ricamo diretto da Anna Ghigo, Presidente dell’Associazione Amici del Ricamo Bandera, tecnica di tradizione chierese che contempla anche il punto catenella tipico del lavoro ad ago nel Kashmir.

 

Prenotazione obbligatoria (prenotazioni@fmtessilchieri.org, tel.329/4780542)

costo del biglietto 6 euro (Museo + mostra)

Orari: Martedì, Mercoledì e Venerdì: 9:30-12:30Sabato: 14:00-18:00 Domenica 10:00-12:00

I visitatori devono essere in possesso di green pass, da esibire all’ingresso,

e indossare la mascherina in ottemperanza delle norme di sicurezza in vigore

 

Adam STCLAIR

Fotografo, attore, antropologo e docente, Adam STCLAIR (Norwich, 1967), si è laureato in Archeologia e Antropologia alla University of Manchester. Ha lavorato in diversi ambiti, dalla ricerca urbanistica alla pratica museale alle industrie creative fra Austraila, Stati Uniti e Regno Unito. Ha trascorso diversi anni in India mentre era impegnato nella sua ricerca universitaria e, dal 2018, vive e lavora a Torino. Si focalizza sull’impatto sociale e storico della fotografia, sugli aspetti legati alla rappresentazione, al viaggio e alla visione di chi lo compie, ma anche sui diversi linguaggi con cui è possibile raccontare le storie delle persone.

 

L’evento, che riceve il sostegno del Churchill British Centre di Torino, fa parte del ciclo di conferenze «ARS ET INDUSTRIA», organizzato dalla Fondazione Chierese per il Tessile e Museo del Tessile con il patrocinio del Comune di Chieri, della Città Metropolitana di Torino, della Regione Piemonte, e il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo nell’ambito del bando CivICA-progetti di cultura e innovazione civica.

 

A Omegna il Festival e il museo dedicati a Gianni Rodari

Torna a Omegna l’ottava edizione del Festival della Letteratura per Ragazzi  dedicato al più illustre cittadino del capoluogo del lago d’Orta, lo scrittore Gianni Rodari. Da sabato 16 a domenica 24 ottobre il Festival sarà accompagnato da molti eventi in un crescendo che culminerà con l’inaugurazione del Museo “Una fantastica storia”, interamente dedicato a Rodari.

L’edizione 2021 dell’evento rodariano si inaugura con una  serie di mostre che porterà  sulle rive del Cusio  importanti autori ed editori . “Per questa ottava edizione – commenta Sara Rubinelli, assessore comunale alla Cultura – avremo ospiti Beatrice Masini, Angelo Ruta, Nicola Cinquetti, Giuseppe Festa, Sergio Olivotti, Guido Quarzo e Cinzia Ghigliano”. Evento importantissimo, sabato 23 ottobre, giorno del 101° compleanno di Rodari. l’inaugurazione di ‘Una fantastica storia’ , il museo realizzato a Omegna dopo un attento lavoro di riqualificazione di un immobile comunale fatiscente, allestito dalla società torinese Aurora Meccanica in collaborazione con un gruppo di esperti conoscitori dell’opera di Rodari, prenderà spunto dalle sue opere e da quel testo fondamentale intitolato Grammatica della Fantasia. Nello spazio espositivo del Forum saranno visitabili l’interpretazione artistica delle opere letterarie di Rodari a cura dell’artista omegnese Giorgio Rava, nonché la mostra sugli illustratori di  C’era due volte il barone Lamberto ,curata dal professor Pino Boero che, attraverso sedici roll up, presenterà la figura dell’illustre omegnese, affrontando le diverse sequenze narrative attraverso la riproduzione delle illustrazioni di Paola Rodari, Federico Maggioni, Bruno Munari, Francesco Altan, Javier Zabala e Mauro Maulini. Gianni Rodari era nato a Omegna il 23 ottobre 1920, in riva al Lago d’Orta dove i genitori, originari della Val Cuvia nel Varesotto, si erano trasferiti per lavoro. E il ricordo dell’infanzia nella città sul lago d’Orta emerse più volte nelle su interviste e nei racconti. “Da ogni punto della parola Omegna partono, per me, fili che si allungano in ogni direzione  […]. Per adesso preferisco che i ricordi, quando si fanno vivi, rimangano dentro di me a nutrire le mie emozioni, a colorare le mie fantasie”. In C’era due volte il barone Lamberto  scrisse: “Se vi mettete a Omegna, in piazza del Municipio, vedrete uscire dal Cusio un fiume che punta dritto verso le Alpi. Non è un gran fiume, ma nemmeno un ruscelletto. Si chiama Nigolia e vuole l’articolo al femminile: la Nigolia”. E anche le sue umili origini  ( aveva visto la luce in via Mazzini, una delle vie principali di Omegna, dove il padre, Giuseppe Rodari, fornaio, svolgeva la sua attività) vennero descritte così: “Credo di averlo già detto sono figlio di un fornaio […] La parola “forno” vuol dire, per me, uno stanzone ingombro di sacchi, con un’impastatrice meccanica sulla sinistra, e di fronte le mattonelle bianche del forno, la sua bocca che si apre e chiude, mio padre che impasta, modella, inforna, sforna. Per me e per mio fratello, che ne eravamo ghiotti, egli curava ogni giorno in special modo una dozzina di panini di semola doppio zero, che dovevano essere molto abbrustoliti. L’ultima immagine che conservo di mio padre è quella di un uomo che tenta invano di scaldarsi la schiena contro il suo forno. È fradicio e trema. È uscito sotto il temporale per aiutare un gattino rimasto isolato tra le pozzanghere. Morirà dopo sette giorni, di broncopolmonite. A quei tempi non c’era la penicillina“. Nonostante l’infanzia segnata da quel lutto, Rodari seppe sviluppare al meglio la sua straordinaria fantasia, diventando uno dei più grandi scrittori per l’infanzia di tutti i tempi.

Marco Travaglini