CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 395

Quei piccoli grandi doni di Santa Lucia

“La trappola dei ricordi”

Butto un occhio al calendario. Mi capita, a volte, mentre faccio colazione di mattina in cucinino. Più che la data che spesso dimentico (uno dei tanti regali dell’età), ciò che m’interessa è sapere qual è la Santa  o il Santo del giorno, per non bucare qualche “buon onomastico” alle amiche o agli amici o ai parenti più cari. Oggi è martedì 14 dicembre: San Venanzio. San Venanzio Fortunato. No, non conosco nessuno che porti il nome del Santo trevigiano eletto – leggo – nel 599 d. C. Vescovo di Poitiers, lì scomparso nel 607. Pericolo scampato. Non fosse che l’occhio mi fa un balzo sopra il 14. Ieri era lunedì 13 dicembre: Santa Lucia. No, anche di Lucie non mi ricorda presenze significative la mia segreta mnemonica “agenda amicale”. Eppure. Eppure. Cribbiolina! Ecco acchiapparmi, ancora una volta e senza pietà, la tenera ma anche un po’ fastidiosa “trappola dei ricordi”. Mi immobilizzo. Come potevo scordarmene? Santa Lucia, proprio Lei, la mia amata e tanto attesa dispensatrice di giochi pre-natalizi in tempi di una dolce infanzia dall’eco lontana. Un ricordo lo merita, eccome! Capitava una camionata d’anni fa. Si era a Pontenure, gran bel paesotto a un tiro di schioppo da Piacenza, dove ho abitato con mamma Giulia fino all’età di sette anni, in attesa di raggiungere papà Renzo, emigrato (come tanti, in quegli anni) a Torino, assunto come operaio alle Carrozzerie di Mirafiori, alla Fiàt. Sì, proprio con quell’à “accentata” che era dizione frequente per i molti emigrati dal Sud, che per la stessa ragione del babbo si erano trasferiti, valigie valigione e famiglie scaglionate al seguito, sotto la Mole.

Ebbene, proprio oggi 14 dicembre, se potessi per magia invertire (ma di tanto) la ruota del tempo, mi ritroverei bambino, felicissimo, nella cucina della piccola casa di Pontenure, in fondo al lungo cortile dove abitavano anche zia Ida, zio Natale e i cugini, l’Emma e l’Enrico, a giocare con i tanto attesi doni (doni? Andiamoci piano: un dono, un gioco, povero ma per me magnifico, una fetta di panettone, un mandarino o un’arancia) portati nella notte, fra il 12 e il 13 dicembre, dalla buona Santa Lucia. Il Piacentino è, infatti, una delle non poche province italiane in cui ancora oggi – credo – si pratica il culto di Santa Lucia, risalente pare al XIV secolo, quando i nobili veneziani, nel giorno dedicato alla Santa (siracusana e martire cristiana sotto la persecuzione dell’imperatore Diocleziano) erano soliti fare doni ai bambini. I doni che precedevano quelli un po’ più importanti (ma appena un po’) della notte di Natale. Noi bambini scrivevamo una letterina alla Santa – protettrice della “vista” per il nome che richiama la “lux” o luce latina – elencando con molta parsimonia i regali che avremmo voluto ricevere, mentre le mamme erano solite lasciare del cibo (arance, biscotti, caffè, mezzo bicchiere di vino rosso) per rifocillare e ingraziarsi la Santa, che viaggiava dalla sua Sicilia fino al Trentino a cavallo di un asinello, anche lui ripagato con un po’ di fieno o farina gialla. Alla mattina del 13 dicembre, noi bambini si trovava un piatto con gli avanzi lasciati dalla Santa (furtivamente smangiucchiati dalla mamma), ma arricchito di caramelle, monete di cioccolato e qualche mini-dono, lasciato lì in anticipo rispetto a quelli che ci avrebbe portato il più generoso Babbo Natale.

Ricordo confusamente un trenino (forse neanche elettrico), una macchinina di legno, qualche soldatino in terracotta, cow-boys o “giubbe” blu da mettere in guerra con i “grigi” della secessione americana. Mai i terribili (ingiusto sgarbo della Storia) Indiani Sioux. Pochi, piccoli ma grandi doni. Ci giocavo per giorni interi. Altroché playstation o tablet o altre (per allora) inimmaginabili futuristiche diavolerie! Per tutto il giorno di Santa Lucia – per detto popolare ancora oggi “il giorno più corto che ci sia” – non li mollavo un attimo. Me li portavo perfino sotto le coperte. Forse per paura che Santa Lucia venisse a riprenderseli. Ricordo di aver trascinato, un 13 dicembre di non so quale anno, una macchinina di legno legata ad una corda fino alla piazza del paese. Ciau Giani – mi apostrofò in stretto piacentino la signora dell’edicola mentre distribuiva copie della gloriosa “Libertà” – ist’an l’è sté bréve eh cun te Santa Lusia! E io con un sorriso ridicolmente tronfio: Cun me Santa Lusia l’è seimper bréva. Era quasi sera. Per mano alla mamma feci tutto il giro della piazza trascinandomi dietro orgoglioso la mia macchinina di legno. Fino al giorno di Natale, non l’avrei abbandonata un solo secondo. Faceva un gran freddo. E tirava un forte vento. Gelido come l’amara-dolce “trappola dei ricordi”. E come il caffè che questa mattina ho qui davanti, abbandonato a mezz’aria. Ormai imbevibile.

Gianni Milani 

Un vecchio copione (a tratti imbarazzante) affidato al vecchio Clint

Sugli schermi “Cry Macho”, forse il canto del cigno di Clint Eastwood

PIANETA CINEMA

a cura di Elio Rabbione

Il vecchio Mike, che per una vita ha allevato cavalli ed è stato un campione di rodeo, ha attraversato un periodo buio per la morte della moglie e del figlio in un incidente, è caduto nel labirinto dell’alcolismo e alimenta un caratteraccio di solitario e di uomo che ricaccia il mondo intero. Questa la centralità di “Cry Macho”, vecchio copione che gira sui tavoli di Hollywood sin dall’inizio degli anni Settanta, quando Richard Nash propose una sua sceneggiatura sempre rifiutata. Ma il soggetto era allettante, l’immagine di burbero, il vecchio West, le praterie e il road movie, ci provò anche il mitico Burt Lancaster ad appassionarsi alla storia e Roy Scheider iniziò persino a girare un film che venne interrotto dopo poche settimane. Col procedere del nuovo millennio il 91enne Clint Eastwood ha deciso di riprendere in mano lo script, lo ha prodotto interpretato e diretto, affidandosi per una bella revisione a Nick Schenk con cui già aveva collaborato per “Gran Torino” nel 2008 e per “Il corriere” dieci anni dopo.

Il road movie è rimasto e con lui le buone intenzioni. Quando il capo incarica Mike di riportare in Texas dal Messico il figlio Rafael che una madre snaturata tiene pressoché prigioniero in una grande casa, ben guardato da un gruppetto di scagnozzi dalla pistola facile, ecco che il vecchietto parte, costruendo giorno dopo giorno un rapporto con il ragazzino sempre più paterno. L’incedere dell’uomo non è certo più quello di un tempo, i movimenti sono un tantino arrugginiti, gli agguati dei malandrini che li inseguono sono debellati più dal caso che dal freddo ragionamento e se si aggiunge una nota romantica con una vedovella in area dei cinquanta c’è da chiedersi se sia vero e proprio innamoramento o piuttosto anelito intenerito ad uno status di badante. Mentre, inutile dirlo, il “macho” di un tempo è del tutto svanito, con la consapevolezza che il luogo comune della “virilità” è ormai un ricordo: tanto che, con un pizzico d’ironia che non guasta, il macho del titolo non è il protagonista ma un arzillo galletto da combattimento che il ragazzino si porta appresso da quando se ne è uscito da casa sua. Il culmine del traballante e imbarazzante copione nelle scene che guardano al finale, con sguardi e danze leggere che mirano agli anni gloriosi dei “Ponti di Madison County”: ma lì si era nel 1995 e spirava un’aria anagraficamente più esatta.

Il vecchio Clint ce la mette tutta a rendersi credibile ma è un po’ dura credergli e reggergli il gioco, per ogni spettatore. Certi momenti sono frettolosi, altri girati come piccoli quadretti in ossequio alla nuova famiglia che potrebbe formarsi, si tenta d’approfondire i rapporti ma tutto rimane sul bordo e l’avventura non ha nulla di nuovo e denuncia appieno quel che di visto e rivisto porta con sé. La regia s’è resa fiacca, ti verrebbe da dire svogliata: e ti ritrovi a ripensare con rammarico, davanti a quello che potrebbe essere il canto del cigno, non certo all’antico Callaghan ma a tutti quei toni crepuscolari, saggi e meditativi, costruiti con una narrazione limpida e lineare che ci hanno fatto amare una delle figure di maggior spicco del cinema d’oltreoceano.

Gran Concerto di Natale con Filarmonica San Marco al Teatro Superga

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TEATRO SUPERGA

Mercoledì 15 dicembre, ore 21 

La Filarmonica San Marco è una delle più promettenti realtà musicali italiane guidata da Matteo Dal Maso. L’orchestra di fiati è composta da circa 50 musicisti: una formazione di grande respiro e innovativa che mantiene però tracce solide della tradizione orchestrale italiana.

La Filarmonica San Marco è riconosciuta come una delle più promettenti realtà musicali italiane. È un’orchestra di fiati nata nel 1983 a Buttigliera Alta in provincia di Torino per iniziativa di un gruppo di amici appassionati di musica, con lo scopo di divulgare la cultura musicale fra i giovani del proprio territorio. Cresciuta nel corso degli anni, l’orchestra svolge un’intensa attività concertistica in Italia e all’estero ed è composta da circa 50 musicisti. Dal 2018 la direzione artistica è affidata a Matteo Dal Maso con l’obiettivo di delineare un progetto culturale di grande respiro attento alla professionalità e alla qualità musicale, elementi fondamentali del processo di crescita dell’orchestra che aspira ad essere una formazione sempre più innovativa pur mantenendo tracce solide della tradizione orchestrale italiana.

 

INFO

Mercoledì 15 dicembre 2021, ore 21

Gran Concerto di Natale

Con Filarmonica San Marco, diretta dal Maestro Matteo Dal Maso

TSN Teatro Superga Nichelino, via Superga 44, Nichelino

011.6279789 www.teatrosuperga.itbiglietteria@teatrosuperga.it

Biglietti: 15 euro

 

La stagione 2021-2022 del Teatro Superga è promossa dalla Città di Nichelino e Sistema Cultura, con il sostegno di Fondazione CRT e Regione Piemonte, firmata dalla direzione artistica di Alessio Boasi, Fabio Boasi e Claudia Spoto, in collaborazione con Piemonte dal Vivo. Produzione esecutiva Reverse Agency. 

“Il diritto incontra l’arte”, personale di Andrea Sbra Perego

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Presso lo studio legale tributario Morabito, specializzato in diritto dell’arte.

 

Quando il diritto incontra l’arte, nasce un connubio perfetto come nel caso della mostra ospitata giovedì  16 dicembre prossimo presso lo studio Legale Tributario Morabito, in piazza Statuto 10,e dedicata all’artista Andrea Sbra Perego. L’esposizione,organizzata in collaborazione  con la galleria Raffaella De Chirico Arte Contemporanea, narra la dicotomia vicinanza -lontananza in un periodo storico in cui le distanze paiono essersi amplificate. Il viaggio viene a assumere una nuova chiave di lettura, non più  scontata, ma capace di stratificarsi attraverso la particolare tecnica mista utilizzata dall’artista, quale il collage, la pittura ad olio e la vernice spray, che si amalgamano per raccontare e restituire la complessità a luoghi percepiti per essere di passaggio.

L’artista Andrea Sbra Perego, nato a Bergamo nel 1982, vive e lavora a Torino. Diplomatosi all’Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano, ha da sempre compiuto una ricerca artistica  che si alimenta di viaggi e esperienze volti ad indagare lo stretto rapporto presente tra l’essere umano e l’ambiente che lo circonda. Proprio l’uomo risulta il protagonista dell’interazione, studiata dall’artista, con il territorio urbano circostante. Il luogo occupato è sempre umanizzato e risulta il testimone del condizionamento  che la società opera sulla natura. Il suo stile pittorico si è formatoispirandosi a maestri quali Fabio Maria Linari e Gianfranco Bonetti. Dal 2000 l’artista espone i suoi lavori in numerose mostre collettive e personali, dapprima nel Bergamasco, poi in città quali Milano, La Spezia, Genova e Roma, dove si è  trasferito per breve tempo nel 2008, per poi spostarsi a Rimini e Londra. Dopo una breve parentesi messicana, nel 2015 ha fatto ritorno nella città natale. Durante gli anni dei suoi spostamenti la sua produzione artistica si è  concentrata sull’uomo e sull’analisi del rapporto tra questi e la natura, sempre consapevole della necessità  di “narrare il presente perché questo è  o dovrebbe essere il compito di ogni artista”. L’opera d’arte, per Perego, non è soltanto il prodotto del suo lavoro in studio, sul cavalletto, ma rappresenta il vivere stesso seguendo i ritmi della società e facendone parte attiva. L’avventura dell’esistenza, in lui, avviene attraverso la ricerca dell’arte. La sua poliedricità  lo ha portato poi a spaziare dalla pittura alla scultura, dalla fotografia al video, fino ad abbracciare anche la performance.

https://www.andreasbraperego.com

Lo studio Morabito ha quale sua peculiarità  la specializzazione  in diritto dell’arte; i suoi avvocati, forti di una consolidata e lunga esperienza sul campo, sono in grado di sviluppare le soluzioni più  efficaci  per affrontare le sfide legali e commerciali dei clienti. Lo studio fornisce, inoltre, consulenze legali per collezionisti, gallerie d’arte, artisti e organizzazioni artistiche, occupandosi di materie inerenti il diritto dell’arte, la proprietà intellettuale, i contratti, la formazione aziendale, le fondazioni private e charity.

La galleria d’arte Raffaella De Chirico Arte Contemporanea, fondata nel 2011, ha da sempre focalizzato la sua attenzione sulla produzione e realizzazione di progetti per lo più  inerenti il territorio nazionale,  privilegiando i giovani artisti under 40, che si fossero già distinti  nella ricerca e proposta artistica anche fuori Italia. Lo stesso principio viene applicato agli artisti storicizzati trattati in galleria, con riguardo particolare a coloro che abbianocompiuto la loro ricerca negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta.

MARA MARTELLOTTA

La settimana al Circolo dei Lettori

GLI INCONTRI AL CIRCOLO 

Ingresso libero fino a esaurimento posti (salvo dove espressamente indicato). Con la Carta Plus è possibile prenotare il posto in sala: acquistabile sullo shop online o in Accoglienza.

 

lunedì 13 dicembre ore 18.30 | Circolo dei lettori, sala grande

Crepacuore (Rizzoli)

Selvaggia Lucarelli

Storia di una dipendenza affettiva

con Sara Ricotta Voza

“Quando non eravamo insieme sentivo uno strano disordine emotivo, una specie di febbre, di sete che dovevo placare. Vivevo le mie giornate senza di lui come un intervallo, una pausa dell’esistenza. Mi spegnevo, in attesa di riaccendermi quando lo avrei rivisto. Ero appena diventata una giovane tossica, convinta, al contrario, di aver colmato quella zona irrimediabilmente cava della mia esistenza.” Così Selvaggia Lucarelli descrive gli esordi di una relazione durata ben quattro anni in cui nulla, nella sua vita, ha avuto scampo: dal lavoro agli amici, l’ossessione per una storia che non aveva alcuna possibilità di funzionare, piano piano, come un fungo infestante, ha intaccato tutto quello che la circondava. Perfino l’amore per suo figlio, che finisce trascurato tra decisioni imprudenti e un’asfissiante sindrome abbandonica: “Oggi, guardandomi indietro, faccio ancora fatica ad ammetterlo, ma la felicità di mio figlio, la sua sicurezza perfino, erano la cosa più importante solo in quei rari momenti in cui sentivo di aver messo la mia relazione al sicuro. L’unico pericolo che avvertivo come costante e incombente era quello che lui mi lasciasse per la mia evidente inadeguatezza”. Con coraggio, senza fare sconti soprattutto a se stessa, racconta come un incontro tra un uomo che non vede nulla oltre se stesso e una donna che non vede nulla oltre lui può trasformarsi in una devastante dipendenza affettiva da cui la protagonista uscirà solo dopo aver toccato il fondo. Solo dopo aver compreso cos’era quel vuoto da colmare e perché ha coltivato la speranza distruttiva che qualcuno potesse colmarlo: “Siamo stati, insieme, una profezia feroce che per avverarsi aveva bisogno delle ferite di entrambi”.

 

lunedì 13 dicembre ore 21.00 | Circolo dei lettori, sala grande

Brillo. La guerra degli ovetti (Oblomov)

Igort

L’edizione integrale di un fumetto dal sapore antico

con Bruno Ventavoli

Brillo nasce sulle pagine di “Linus” a metà degli anni Novanta, durante l’esperienza giapponese di Igort. Serie tra le migliori mai scritte da Igort e molto amata dai lettori, rende omaggio al fumetto dei tempi antichi, quello di Herriman, Segar, della tradizione dei funny animals, gli animali parlanti dell’epoca d’oro del cartooning americano. Piccoli uomini, disegnati con le sembianze di pupazzi – un richiamo a Maus di Spiegelmann – vivono, soffrono e si confrontano con l’irrompere nel loro mondo fiabesco della realtà drammatica della guerra. Storie poetiche, dolenti, ironiche al contempo, che rivelano echi di Buzzati e George Grosz. Il paese di Fafifurnia – omaggio al Buzzati de La famosa invasione degli orsi in Sicilia – è scosso da una guerra che dura da sette lunghi anni. Noto con l’irriverente appellativo di “guerra degli ovetti”, il conflitto è il risultato di un effetto domino che origina dal banale errore di un impiegato innamorato: uno scambio di forniture di ovetti di cioccolato con sorpresa, nell’ordine provoca: la rabbia nazionalista di due popoli, una grave crisi diplomatica tra Stati, il fallimento di un’antica fabbrica di cioccolato con il conseguente licenziamento di 400.000 dipendenti e, infine, la guerra. Inserito da Oreste del Buono, mitico direttore di “Linus”, tra i “fumetti del millennio”, Brillo arriva in libreria in un’edizione integrale che include tutte le storie della serie pubblicate su “Linus” e le immagini inedite che restituiscono il percorso di una serie amatissima, oltre una postfazione di Igort sulle genesi della serie.

 

martedì 14 dicembre ore 18 | Teatro Colosseo, via Madama Cristina 71

Una vita nuova (Mondadori)

Fabio Volo

«Ero bambino e vivevo in un mondo più lento, e senza paure»

con Alberto Infelise
a cura di Fondazione Circolo dei lettori e Mondadori

in collaborazione con Teatro Colosseo Torino elaFeltrinelli Torino

Due amici su un’auto rossa attraversano l’Italia: musica da cantare, il vento tra i capelli, la mano fuori dal finestrino a giocare con l’aria. Hanno una quarantina d’anni e una vita incagliata. Andrea aspetta un verdetto da cui dipende la sua vita sentimentale. Paolo è in crisi: di coppia, di identità, di mezza età. O forse è solamente bisogno di leggerezza. L’auto su cui viaggiano è una vecchia Fiat 850 spider. Il padre di Paolo l’aveva dovuta vendere per far spazio alla famiglia, e ancora la rimpiange. Così Paolo ha deciso di recuperarla e fargli una sorpresa. Mentre risalgono dalla Puglia a Milano, Paolo e Andrea parlano tra loro con la spietatezza che ci si può concedere solo fra amici: l’amore, il lavoro, i genitori… E quelli che sembravano problemi insolubili si sgonfiano alla luce di una leggera ironia. Sarà un viaggio pieno di divertentissimi imprevisti e di scoperte, delle bellezze che a volte non si vedono mentre siamo concentrati a fare quello che gli altri si aspettano da noi. Un viaggio che condurrà Paolo dal dovere al volere, dal pensare al sentire, dal pudore alla tenerezza. Ingresso gratuito con posto assegnato | prenotazione obbligatoria su https://bit.ly/EventbriteVolo | Prenotazione Carte Plus 011 8904401 | info@circololettori.it

 

martedì 14 dicembre ore 18.30 | Circolo dei lettori, sala gioco

La prima figlia (e/o)

Anna Pavignano

Quel conflitto tra desiderio e paura di far venire al mondo un essere umano

con Enrica Baricco e Antonella Parigi

Una storia sul conflitto tra cuore e ragione, sul legame viscerale tra madre e figlio che si instaura prima della nascita, sul perché sentiamo il desiderio di procreare e sul timore di farlo per la responsabilità che comporta il decidere di far venire al mondo un essere umano. Un modo trasversale per accostarsi al mondo della diversa abilità, a ciò che significa essere genitori di una persona down, al “dopo di noi”. Sassi lanciati nello stagno e non risposte, perché quelle si possono trovare solo nella consapevolezza di ognuno e nel proprio modo di vedere la vita. E forse in un “sentire” che poco ha a che fare con la ragione e la saggezza. Poliana è incinta e ricoverata in day hospital per fare l’amniocentesi: ha quarant’anni, il rischio di avere un bambino down è piuttosto alto. Non ha mai pensato al feto che ha in corpo come a un bambino, l’ha sempre considerato un essere provvisorio il cui futuro è legato all’esito dell’esame. È scontato che se dovesse essere down non lo farà nascere. Poliana ha una fervida immaginazione e, così come in passato aveva dato vita con la fantasia a una figlia che non ha mai nemmeno concepito, ma che ha molto desiderato tanto da immaginarne ogni particolare, anche il modo in cui l’avrebbe vestita – la bambina con il vestito a pois – ora si concede di pensare alla creatura che ha in grembo, di parlarle, di essere certa che è femmina, di darle un nome, di farla essere viva e, in qualche modo, di affezionarsi a lei.

 

martedì 14 dicembre ore 21 | Circolo dei lettori, sala grande

La casa senza ricordi (Longanesi)

Donato Carrisi

Un bambino, un ipnotista e una storia da brividi

con Petunia Ollister

Un bambino senza memoria viene ritrovato in un bosco della Valle dell’Inferno, quando tutti ormai avevano perso le speranze. Nico ha dodici anni e sembra stare bene: qualcuno l’ha nutrito, l’ha vestito, si è preso cura di lui. Ma è impossibile capire chi sia stato, perché Nico non parla. La sua coscienza è una casa buia e in apparenza inviolabile. L’unico in grado di risvegliarlo è l’addormentatore di bambini. Pietro Gerber, il miglior ipnotista di Firenze, viene chiamato a esplorare la mente di Nico, per scoprire quale sia la sua storia. E per quanto sembri impossibile, Gerber ce la fa. Riesce a individuare un innesco – un gesto, una combinazione di parole – che fa scattare qualcosa dentro Nico. Ma quando la voce del bambino inizia a raccontare una storia, Pietro Gerber comprende di aver spalancato le porte di una stanza dimenticata. L’ipnotista capisce di non aver molto tempo per salvare Nico, e presto si trova intrappolato in una selva di illusioni e inganni. Perché la voce sotto ipnosi è quella del bambino. Ma la storia che racconta non appartiene a lui.

 

mercoledì 15 dicembre ore 18 | Circolo dei lettori, sala gioco

Ecchecavolo (Einaudi)
Mariolina Venezia

Il mondo secondo Imma Tataranni, la PM più famosa della tv
con Vanessa Scalera

I colleghi che si sentono in dovere di fare i simpatici a tutti i costi, le suocere impiccione, i tuttologi dell’ultimo minuto. Quelli che non si regolano durante il pranzo della domenica e quelli che chiedono «ti è piaciuto?» dopo aver fatto l’amore: nel suo mondo ideale Imma Tataranni non fa sconti a nessuno. Neanche a se stessa. Dopo il successo televisivo, la Dottoressa torna in libreria, ma non con una delle sue indagini: questa volta vuole dettare legge. Cosí, mentre risolve un caso o fa la spesa al supermercato, elabora le sue personali normative. Un libro divertente, struggente, pungente. Proprio come lei. In questa raccolta di leggi immaginarie, decreti e piccoli editti, architettati mentre fa la fila alla posta o risolve un caso, la Piemme piú chiacchierata di tutto il Centro Sud esprime la sua visione del mondo. Non com’è, naturalmente, ma come dovrebbe essere. Almeno secondo lei. Dalle misure per i proprietari di cani agli incentivi per chi è capace di starsene zitto, dal patentino per diventare madre alla lettera di motivazione per i turisti in visita nei Sassi di Matera, la Tataranni ne ha per tutti. Paradossale, insofferente, allergica ai luoghi comuni, ma anche capace di autocritica e autoironia, Imma si colloca di prepotenza fra i grandi pensatori di ogni epoca, da Platone a Cesare Beccaria. Immagina cosí una sua Società Ideale, un po’ dispotica, certo, ma con una profonda aspirazione alla giustizia. Legge dopo legge, intanto, prendono vita i personaggi che l’hanno accompagnata nei libri precedenti, il marito Pietro, la figlia Valentina, il bel Calogiuri, le compagne di scuola e tutta la Procura. Emergono in filigrana pensieri e desideri inconfessabili, idiosincrasie, debolezze, aneddoti inediti e segreti del Sostituto Procuratore che passando dai romanzi alla fiction di Rai 1 ha conquistato tanti cuori. Imma salta fuori dalla pagina grazie a una scrittura briosa, dissacrante, personalissima e letteraria, che attraversando il genere poliziesco e la commedia racconta la nostra società, le sue storture e il coraggio di tante straordinarie donne comuni.

 

mercoledì 15 dicembre ore 18 | Circolo dei lettori, sala biblioteca

La voce d’oro di Mussolini (Neri Pozza)

Sandro Gerbi

Storia di Lisa Sergio, la donna che visse tre volte

con Barbara Berruti e Enrica Bricchetto

Chi era l’elegante figurina che la sera del 9 maggio 1936, dai gradini più alti del Vittoriano, trasmetteva in inglese il famoso discorso di Mussolini sulla conquista dell’Impero?

Si chiamava Lisa Sergio (1905-1989) e stava vivendo la sua prima incarnazione: quella della «fervente fascista», nota all’estero come la «voce d’oro» di Roma. Giornalista fiorentina plurilingue, di madre americana e padre napoletano, nel 1937 fu licenziata dal ministero della Propaganda forse perché sospettata di mormorare contro il regime o più probabilmente perché ritenuta troppo loquace circa una sua breve relazione con il genero del duce Galeazzo Ciano. Protetta da Guglielmo Marconi, approdò negli Stati Uniti nel 1937 e ricominciò una brillante carriera radiofonica all’insegna della democrazia americana: ecco la sua seconda vita. Dopo la guerra però, ottenuta la nazionalità statunitense, fu accusata dall’FBI di simpatie per il comunismo, allontanata dalla radio e inserita in alcune «liste nere» da seguaci del maccartismo. Alla fine decise di trasferirsi a Washington, dove si reinventò come conferenziera.

 

mercoledì 15 dicembre ore 18.30 | Circolo dei lettori, sala grande

La mappa del mondo

Trent’anni dopo la caduta dell’Unione Sovietica

con Dario Fabbri, Orietta Moscatelli e Lorenzo Pregliasco

a cura di LIMES”

in collaborazione con YouTrend

 

mercoledì 15 dicembre ore 21 | Circolo dei lettori, sala grande

Il martirio di Norma
Cantata per Norma Cossetto, studentessa istriana caduta per la Libertà
musica di Luigi Donorà su testo di Luca Dorizzi
nell’ambito di Identità oltre confine

progetto realizzato da Fondazione Circolo dei lettori

in collaborazione con Assessorato all’Emigrazione Regione Piemonte

Cantata da Camera per Soprano, Baritono, Voce Recitante, Quartetto d’Archi e

Pianoforte.

La Cantata è stata scritta in onore e memoria di Norma Cossetto, studentessa istriana caduta per la Libertà. L’assassinio di Norma si consumò nella notte tra il 4 e il 5 ottobre 1943 assieme a quello di altre venticinque persone. Il suo cadavere venne estratto dalla foiba di Villa Surani il 10 dicembre dello stesso anno. Secondo la ricostruzione di autorevoli storici la ragazza fu ripetutamente violentata e successivamente le furono pugnalati i seni e penetrata nella vagina con un oggetto di legno, rinvenuto sulla salma. Su denuncia di Licia Cossetto, sorella di Norma, i soldati tedeschi catturarono sedici partigiani che avevano partecipato alle sevizie e li costrinsero a vegliare tutta una notte la salma di Norma, per poi fucilarli all’alba del giorno successivo: di questi, tre partigiani impazzirono nel corso della notte. La vita e soprattutto la morte di Norma – o meglio le ragioni delle violenze subite e della sua uccisione – continuano tuttavia a essere oggetto di interpretazione politica, in particolare il suo presunto legame diretto con il fascismo. Ricerche d’archivio avvalorano di contro la tesi che Norma ha sempre dimostrato un totale disinteresse per la politica e la non militanza fascista. Norma, come molte altre centinaia di donne e uomini infoibati, è stata uccisa perché colpevole di abitare un’area geografica oggi divisa tra Italia, Slovenia e Croazia. Non da ultimo, la drammatica vicenda di Norma Cossetto è riconducibile all’altrettanto drammatico fenomeno che oggi conosciamo con il nome di femminicidio. Prenotazione consigliataprenotazioni@circololettori.it

 

giovedì 16 dicembre ore 18 | Circolo dei lettori, sala musica

Estetica dell’improvvisazione (il Mulino)

Alessandro Bertinetto

Quella miscela di abitudine e creatività alla base dell’agire
con Pietro Cavallotti, Gaetano Chiurazzi, Nicola Perullo eFederico Vercellone

L’improvvisazione è un tema in auge fin dal secolo scorso, come testimoniano i grandi nomi dei filosofi che se ne sono interessati, fra gli altri Derrida ed Eco. Felice miscela di abitudine e creatività, di norma e libertà, l’improvvisazione è costitutiva dell’agire. La consentono e spesso la richiedono in gradi variabili molte pratiche umane anche ben regolamentate, come il gioco degli scacchi, il pilotaggio di aeroplani o la medicina. Ed è anche la sorgente stessa dell’esperienza artistica. L’arte nasce come improvvisazione, eppure quest’ultima ha una sua dimensione estetica specifica: quella di una «grammatica della contingenza» in cui nozioni quali emergenza, presenza, curiosità e autenticità spiegano il piacere dell’avventura improvvisativa e il coinvolgimento empatico che essa può generare. Questo libro propone una teoria estetica generale dell’improvvisazione nell’arte, in tutte le arti, performative e non, in riferimento a molti casi concreti.

 

giovedì 16 dicembre ore 19 | Circolo dei lettori, sala biblioteca

L’ultimo lupo (Rizzoli)

Corrado Fortuna

Enigmi e passioni nelle montagne della Sicilia

con Petunia Ollister

Tancredi Pisciotta ha quarant’anni, è nato a Palermo ma vive a Milano. Sente forte la mancanza di un figlio, che sembra non arrivare mai. E sente forte la Camurrìa, che invece sembra perseguitarlo. Ha bisogno di staccare e così si rifugia a Piano Battaglia, nelle Madonie. In quel pezzetto di terra sperduto tra le montagne siciliane, mezzo secolo prima, suo nonno Adelmo ha portato una casa mobile, che è diventata l’abitazione di famiglia. In quel luogo Tancredi spera di ritagliarsi qualche giorno di pace. Mai però avrebbe immaginato di essere catapultato tra le maglie di un mistero. Dopo una notte di luna piena infatti è lui a ritrovare il corpo di Amir, un pastore marocchino: è riverso a terra, con un grosso ramo vicino alla testa. Dalla sua bocca escono due parole debolissime: «Il lupo». Ma l’ultimo lupo delle Madonie è stato ammazzato tanto tempo prima. A Piano Battaglia la gente mormora; c’è anche Angela. È bionda, sulla ventina, di una bellezza selvatica, e non parla da quando era bambina. Dentro i suoi occhi si celano segreti più grandi di lei. Toccherà a Tancredi guadagnarsi la fiducia di questa strana ragazza, per riportare a galla verità nascoste in un remoto passato. In un romanzo caldo e amaro come la Sicilia, Corrado Fortuna si misura con le passioni indecifrabili dell’animo umano. Rivelazione dopo rivelazione, esplora i lati più inaspettati di personaggi sorprendenti, costretti a fare i conti con le proprie vite e con un enigma insondabile custodito dai boschi.

 

venerdì 17 ore 18.30 | Circolo dei lettori, sala grande

La cucina di famiglia (Einaudi)

Antonino Cannavacciuolo

40 ricette spiegate come a casa

con Elena Loewenthal

Quella di Antonino Cannavacciuolo è una cucina che nasce dal cuore, fatta di ingredienti scelti con cura ed elaborati con passione, sempre attenta a mantenere un perfetto equilibrio fra tradizione e innovazione. Ora, per la prima volta, le preparazioni complete, i suggerimenti per rendere eccezionale ogni piatto e i segreti che hanno conquistato migliaia di appassionati sono raccolti da Antonino in un libro che è una sintesi della sua arte: dall’antipasto al dolce.

 

sabato 18 dicembre ore 16 – 17.30 | Circolo dei lettori, sala grande

Il rapimento geometrico

dal movimento incontrollato a una direzione
laboratorio per bambini 6-10 anni con Fabrizio Einaudi

€ 10 (merenda compresa)

prenotazione obbligatoria 011 8904401 | info@circololettori.it

 

sabato 18 dicembre ore 18 | Circolo dei lettori, sala biblioteca

L’omino rosso (Sandro Teti Editore)

Doina Ruşti

Uno spaccato della Romania di oggi tra realtà e virtuale

con Roberto Merlo
a cura di Accademia di Romania in Roma e Libreria Internazionale Luxemburg
partner Dipartimento di Lingue e letterature straniere e culture moderne Università di Torino

Laura Iosa è una quarantenne costretta a competere con una società che delle donne apprezza soprattutto aspetto, giovinezza e impudenza. Trattata con sufficienza dalle case editrici a cui chiede invano di pubblicare un suo dizionario e delusa dall’ambiente che la circonda, Laura decide di scrivere la sua storia su un blog, aperto ai commenti dei visitatori, imprimendo così una svolta radicale alla sua vita: sviluppa una relazione con due strani personaggi, un ragazzo solitario, mago dell’informatica e un sorprendente omino saggio che la condurrà in un paradiso virtuale e allucinante. Doina Ruşti è una delle scrittrici romene contemporanee più celebrate dalla critica e dai lettori per la forza epica e l’originalità della narrazione.

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Jonathan Franzen “Crossroads” -Einaudi- 22,00
E’ il primo capitolo della trilogia “A Key to all Mythologies” e racconta la banalità della vita, con la maestria e l’empatia che contraddistinguono i romanzi dell’autore de “Le correzioni”.
Al centro della storia c’è la normalissima famiglia Hildebrant di un quartiere residenziale benestante a New Prospect nell’Illinois, i cui membri sono avvolti da un’infelicità come tante altre, sullo sfondo degli anni 70 in cui la cultura hippy scuote il moralismo religioso.

L’onda rivoluzionaria impatta ancora più pesantemente sul nucleo protestante degli Hildebrand, dove tutti i membri -cresciuti nella dottrina della colpa- faticano a trovare una collocazione nell’esistenza.
Il padre Russ è il ministro del culto della First Reformed; dovrebbe essere l’esempio per la famiglia e la comunità, invece è insoddisfatto, nostalgico e pericolosamente attratto da una giovane parrocchiana.
In bilico ci sono la sua fede e pure il matrimonio ventennale con Marion che arranca nel ruolo di sua moglie, si addebita colpe che non ha e si è lasciata parecchio andare anche fisicamente.

I loro figli poi sono un capitolo a parte.
Per i fratelli Hildebrant è complicato essere i rampolli di un predicatore. Devono destreggiarsi nel dilemma tra mito dell’innocenza (l’obbligo di essere buoni e all’altezza) e quella che avvertono come una naturale intrinseca imperfezione (intrisa di vergogna per le loro azioni poco nobili).

I più grandi si appropriano dell’indipendenza rinnegando il padre e il suo impegno solo di facciata.
Il primogenito Clem abbandona l’università e vorrebbe partire per il Vietnam….
Bechy, cheerleader e reginetta della scuola, aderisce al gruppo giovanile della chiesa Crossroads, animato dal pastore (antagonista di Russ) Rick Ambrose, carismatico e manipolatore. La giovane poi si invaghisce del cantante folk Tanner Evans e si complica ulteriormente la vita.
Tra le fila di Crossroads c’è anche il più piccolo degli Hildebrant; il geniale (quoziente intellettivo 160) Perry -problematico e uso a fumare marijuana- che disquisisce sui massimi sistemi della vita ed è alla ricerca di ciò che è giusto, buono…..ma fa anche i conti con l’egoismo intrinseco negli esseri umani.
Ancora una volta Franzen scandaglia in profondità i meccanismi delle relazioni umane e l’intimità dei personaggi alle prese con la crisi della morale conformista borghese.

 

Vigdis Hjorth “Lontananza” – Fazi Editore- euro 18,50
E’ bellissimo e profondo questo romanzo della scrittrice norvegese che racconta in modo magistrale una missione impossibile; quella della riconciliazione tra una madre e la figlia, e come corollario minore quella tra due sorelle.
Vigdis Hjorth affonda la penna nei vuoti e nel dolore della vita, nelle incomprensioni laceranti, nelle occasioni rincorse e mancate, nell’irrigidimento dell’anima che non porta mai nulla di buono se non tonnellate di greve solitudine.
A narrare la perigliosa impresa emotiva è Johanna che torna in Norvegia dopo 30 anni di lontananza e il violento strappo dalla famiglia, che non le ha mai perdonato di aver scelto la sua strada indipendentemente da quella tracciata dal padre. Lui era un avvocato che aveva spinto la figlia a seguire la stessa carriera. Lei, studentessa di legge sposata da poco, aveva abbandonato l’affidabile marito ben visto in famiglia. Era scappata nello Utah con il suo professore di arte, Mark, insieme al quale aveva avuto un figlio, ed era diventata una pittrice di successo.
Da allora era stata ostracizzata da padre, madre e sorella. Vietato mettersi in contatto con loro.
Ora, Mark è morto, il figlio è ormai indipendente, e lei torna nel suo paese di origine nel tentativo di sanare quella ferita, di colmare l’abisso che la divide dalla madre. Alla colpa della fuga si è aggiunta quella di non essere tornata per il funerale del padre. Ulteriore pietra tombale sul rapporto con la genitrice che non le ha mai perdonato neanche questa assenza.

Il romanzo si inerpica su infiniti pensieri e stati d’animo che affondano le radici nell’immenso e spesso imperscrutabile legame con chi ci ha messi al mondo. Il mistero della maternità qui è sviscerato con una bravura che è alta letteratura e ci induce a pensare in profondità.
Johanna mette a nudo la sua anima, ripercorre episodi e legami che sono le sue radici, tenta ripetutamente di contattare la madre, che però non le risponderà mai.
Stesso vuoto siderale con la sorella diventata alleata dell’anziana 80enne irrigidita sulle sue posizioni. Difficile, impossibile riappacificarsi con questa figliola prodiga che si apposta fuori dall’abitazione materna, segue lei e la sorella che sotto la pioggia si recano sulla tomba del padre, e non mancano i colpi di scena……

Eshkol Nevo “Tre piani” -Neri Pozza- euro 16,00
Questo romanzo, pubblicato in Italia nel 2017, ora torna alla ribalta anche grazie al film di Nanni Moretti presentato a Cannes. Il libro è ambientato in una palazzina di 3 piani vicino a Tel Aviv, in Israele. Tre i nuclei familiari benestanti e le loro storie, diverse e scandite come racconti.
Al primo piano vive la giovane coppia formata da Arnon e la moglie avvocato Ayelet. Quando nasce la loro prima figlia Ofri iniziano ad affidarla alla coppia che vive sul loro stesso pianerottolo; gli anziani Herman e Ruth i cui figli e nipoti sono sparsi per il mondo.
Poi Hermann inizia a manifestare dimenticanze e vuoti dell’Alzheimer, non sa dire cosa sia successo un pomeriggio in cui è sparito con la piccola Ofri. Inizia così il tormento di Arnon che sospetta abusi e vuole a tutti i costi scoprire la verità.
Poi a complicare tutto arriva la nipote di Hermann e Ruth. La provocante e non ancora maggiorenne francesina Karin, che si fa scarrozzare da Arnon …e ogni volta è una tentazione in più. Infine qualcosa tra i due accade, spariglia le carte e Arnon rischia di perdere tutto….

Al secondo piano si annida la solitudine della giovane Hani alle prese con i due figli, mentre il marito Assaf è sempre lontano per lavoro.
A smuovere la sua opaca esistenza e il tran tran quotidiano arriva a bussare alla sua porta il cognato Eviatar, da tempo bandito dalla famiglia. Sta scappando dai creditori e dalla malavita ed è ad Hani che chiede aiuto. Per lei che lo ospita sarà un gran bel cambiamento…..

Al terzo piano vive la giudice Dovra, ormai in pensione e vedova del collega Michael.
Il filo del dialogo tra i due ora continua in modo insolito. Dovra riempie il vuoto delle sue giornate parlando e raccontando la sua quotidianità alla segreteria telefonica del marito defunto, del quale può così riascoltare la voce.
Meglio che rivolgersi a una fredda lapide; è anche il modo di riallacciare i fili del passato, rivedere gli errori e le dinamiche del difficile rapporto con il figlio Arad, espulso dalle loro vite.

 

Fern Britton “Le figlie della Cornovaglia” -tre60- euro 18,00

Fern Britton è un’autrice televisiva inglese e i suoi romanzi, tutti ambientati in Cornovaglia, sono best seller. Non fa eccezione questo “Le figlie della Cornovaglia” che si snoda su tre piani temporali, raccontando le vite di tre donne della stessa famiglia alle prese con segreti, guerre, morti, tragedie varie ed assortite.
Sono Clara, sua figlia Hanna e infine Caroline che ha custodito i segreti della famiglia.
Tutto ha inizio con Clara Carter, giovane donna che durante la Prima Guerra Mondiale cerca di stare a galla facendo affidamento sulle sue forze e cercando l’indipendenza. L’amore della sua vita è Bertie, col quale si fidanza, senza raccontargli però tutta la verità sul suo passato.
La notte dell’11 maggio 1917 è una data fondamentale perché mentre lei dava alla luce Michael, il suo Bertie moriva in Francia falciato dai colpi di un cecchino nemico. Mentre lui giaceva senza vita in una trincea iniziava un’altra esistenza.
Nel 1918 Clara si reca a Callyzion in Cornovaglia a conoscere la famiglia del suo amore e finisce per farne parte, dal momento che sposa il fratello di Bertie, Ernest, e gli darà tre figli.

Al centro del secondo piano del racconto, intorno al 1947, c’è una dei figli di Clara.
E’ Hannah, è nata a Penang in Malesia dove il padre, Ernest Bolitho, membro dell’Ordine dell’Impero Britannico possiede una piantagione di alberi della gomma e lavora per il Malayan Civil Service.
Da piccola era stata spedita dai nonni in Inghilterra ed aveva patito il distacco dalla madre. Poi Clara la raggiunge e in Cornovaglia apre il negozio “Clara Bolitho Silks”, importando stoffe dalla Malesia, dove invece è rimasto Ernest.

Hannah fatica ad afferrare i nuovi equilibri della famiglia, cresce troppo in fretta ed ha la sventura di perdere la testa per l’uomo sbagliato. Rimane incinta e sola, perché il giovane l’abbandona.
Lei fa di tutto per proteggere Caroline, la bimba che mette al mondo; compiendo così una scelta ben diversa da quella di sua madre Hanna, che custodisce un enorme segreto e per questo la capisce benissimo

Ed eccoci ai giorni nostri quando Caroline è ormai una donna adulta, vedova, legatissima a sua figlia Natalie. Un giorno riceve un vecchio baule appartenuto al nonno Ernest e rimette insieme i vari pezzi della storia familiare, svelando i segreti sepolti e nascosti negli anni.

 

Eloísa Díaz “Sparire a Buenos Aires” -Piemme- euro 17,90

E’ molto più che un thriller questo romanzo di esordio della scrittrice- avvocato nata a Madrid da genitori argentini, che ha studiato alla Sorbona a Parigi e alla Columbia University a New York.
Cittadina del mondo, ma fortemente ancorata all’Argentina e al suo drammatico passato; quello della dittatura militare e dei desaparecidos.

L’avvio è quello di un giallo con tanto di cadavere. Siamo nel 2001 quando l’ispettore di polizia Joaquin Alzada viene convocato all’obitorio dove sul tavolo settorio giace il corpo massacrato di una giovane sconosciuta.
L’anatomopatologo Petacchi gli indica «…una gran bella figliola», bianca, sulla trentina, senza documenti, con tracce plurime di violenza, e varie ecchimosi post mortem. E’ stata freddata da tre colpi di pistola alla testa e l’hanno trovata nel cassonetto dei rifiuti accanto all’obitorio.

Alzada è prossimo alla pensione, ha un carattere ruvido, poco incline ad ubbidire e seguire le regole, non vede l’ora del meritato riposo che però rischia di essere procrastinato a causa della crisi socioeconomica del paese nel 2001.
La mattina in cui viene trovato il cadavere della donna, Alzada raccoglie anche la denuncia della scomparsa di Norma Eleonora Echegaray; rampolla di una delle famiglie più ricche e potenti di Buenos Aires, i cui lineamenti potrebbero coincidere con quelli della morta, che però a causa delle lesioni è difficile identificare con certezza. Cosa hanno in comune le due vicende?

Nelle indagini l’ispettore si trova anche a dover fare i conti con il passato e la crisi del momento. Nel 1976 il colpo di stato aveva portato al potere i generali, Vileda in testa.
Ora nel 2001 serpeggia una grave crisi economica che a sua volta rende instabile la politica: il presidente De la Rùa potrebbe dichiarare lo stato d’assedio e ricorrere all’esercito. Il paese è travolto dalle proteste, povertà e rastrellamenti

L’intreccio miscela passato e presente, accostando le due storie separate da 20 anni; ma delinea anche la storia personale e familiare di Alzada.
Scopriamo che la sua carriera aveva subito una pesante battuta d’arresto perché era fratello di Jorge, rivoluzionario finito nel nulla con migliaia di desaparecidos e di cui si erano perse le tracce nel 1981.
Il passato doloroso sembra dietro l’angolo pronto a balzare di nuovo in scena. Joaquin ora è più vecchio e stanco, ma tenta comunque di proteggere il giovane nipote Sorolla, figlio di Jorge.

E l’autrice imbastisce una trama che non parla solo di sparizioni irrisolte; ma anche di politica e di una città sulla soglia di un baratro che richiama quel passato che pesa tutt’ora nell’animo dell’ispettore. Un giallo a tinte fosche e colpi di scena.

 

Sull’Altipiano dei Bau’

Stoccareddo , ovvero Stocare – Stocarè , nell’antica lingua cimbra Stocharech, Stokhare, Stockharecck, è una frazione di Gallio, centro del’Altopiano di Asiago (uno dei Sette Comuni della Spettabile Reggenza con Asiago, Lusiana, Enego, Fotza, Roana e Rotzo) in Provincia di Vicenza e diocesi di Padova. Questa frazione ha una particolarità: la quasi totalità dei residenti porta lo stesso cognome, Baù, una stirpe che da studi recenti discenderebbe dallo stesso capostipite da quale hanno ereditato fattori genetici protettivi verso alcune malattie.

I primi Baù arrivarono in questo posto probabilmente nel 1400, forse una famiglia patriarcale con numerosi figli e fratelli con numerose moglie e figli. La provenienza era, come del resto per gran parte di coloro che vivevano nei territori della Reggenza (che rispondeva alla Repubblica di Venezia sino a quando Napoleone non ne dichiarò la fine con l’infame Trattato di Campoformido cedendola all’Austria asburgica) era dalla Baviera o, come qualcuno sostiene addirittura da una parte del territorio dell’attuale Danimarca. Per secoli hanno vissuto come contadini, boscaioli, carbonai, vivendo onestamente i loro giorni e fidando nel’aiuto dell’Onnipotente, pur con qualche influenza di credenze precristiane.

Per me, nato in Piemonte, orgogliosamente piemontese, fortemente radicato in Piemonte, Stoccareddo era fino all’estate scorsa soltanto il nome di una località geografica della Provincia di Vicenza, dove si svolgeva il ‘raduno dei Baù’ con una cadenza annuale, che riuniva i moltissimi Baù ‘dispersi’ ai quattro angoli d’Italia e del mondo.

La scorsa estate, poiché sono figlio di una Baù, Lucia, nata nel 1933 e mancata il 12 dicembre del 1969, figlia di Arturo, maggiore dei carabinieri, nato a Codroipo nel 1890, figlio di Giovanni,maresciallo dell’Arma nato a Sasso d’Asiago (come mi spiega una nota di mio zio Gianfranco, il primo dei figli di Arturo e fratello di Lucia, che risaliva al 1993), si fa forte in me l’idea di andare sui posti dai quali veniva la famiglia della Mamma.

Da giornalista la prima cosa che mi viene in mente è di chiedere  ad un collega del posto indicazioni utili su chi contattare. Chiamo il Giornale di Vicenza, mi passano il corrispondente dai 7 Comuni, Giovanni Rigoni (altro cognome molto diffuso sull’Altipiano, vadasi l’indimenticato Mario Rigoni Stern). Questi gentilissimo mi indirizza per la cultura cimbra al presidente dell’Istituto di Cultura Cimbra di Roana, Giancarlo Bortoli, per Stoccareddo ed il raduno ad Amerigo Baù,

Con entrambi, che incontrerò di lì a pochi giorni, le telefonate sono cordialissime. Con Amerigo l’appuntamento è nella piazza di Stoccareddo. “Non si preoccupi a descriversi, tanto la riconosco subito’ mi dice.

Arriva il giorno e nell’ultima decade di agosto parto con destinazione prima Asiago, poi il giorno dopo Stoccareddo. Il giorno prefissato prendo l’auto, supero il Sacrario dei Caduti della Grande Guerra e seguo le indicazioni per Stoccareddo. Una breve fermata per fare qualche foto alla chiesetta di Santa Maria Maddalena, poi il superamento del ponte sul Buso, inaugurato alla fine degli anni Ottanta che ha avuto l’onore della menzione della rivista della Federacciai, ‘Acciaio forma e funzione’.

E man mano che mi avvicino a Stoccareddo mi prende una strana sensazione, come di esserci sempre stato, quel paesaggio fatto di boschi e di verde non contaminato più di tanto dalla mano dell’uomo, mi sembra familiare, anche se non ci sono mai, mai stato e non l’ho mai visto neanche in cartolina.

Poi arrivo nella frazione, la supero e, essendo in anticipo sull’orario (cosa per me strana, ritardatario cronico) vado sino a Sasso, dove il bisnonno Giovanni nacque, dove tutto – per la mia parte materna – ha avuto inizio.

Nella frazione di Asiago, però, non mi fermo, torno nella ‘Patria avita’ dei Baù, parcheggio in piazza dove c’è uno splendido panorama ma prima faccio una visita alla chiesa parrocchiale, costruita dall’architetto Vincenzo Bonato di Magrè di Schio intitolata al Santo Patrono, San Giovanni Battista, in stile gotico alpino, dopo pochi anni dichiarata dalla Sovrintendenza ai beni culturali ‘Monumento di interesse nazionale’  soltanto pochi anni dopo la sua inaugurazione nel 1923.

Poi l’incontro con Amerigo, persona solare, altruista, emigrato prima in Svizzera (sono stati moltissimi i Baù nel corso degli anni a lasciare le valli avite, per i più disparati motivi), poi tornato nel luogo natio e coordinatore dei raduni dei Baù, momentaneamente interrotti soltanto per la maledetta emergenza sanitaria da Covid-19.

In breve mi illustra quella che è la storia della borgata, della grande famiglia dei Baù, il contributo che hanno dato in più momenti alla storia d’Italia, come siano sparsi in tutto il mondo, ma anche di come il legame con la terra d’origine sia sempre rimasto.

Particolarmente impressionante è il monumento ai Caduti che riporta quasi esclusivamente il cognome Baù, uniti ad un paio di Marini della vicina contrada Zaibena (alcuni dei quali emigrati in Sardegna dai quali dovrebbe avere avuto origine anche la star televisiva Valeria Marini).

 

E nel colloquio si parla anche di un dramma che risale alla Grande Guerra e che i libri di storia non riportano, se non raramente ed in estrema sintesi: quello dei profugati. I profugati furono gli abitanti dei 7 Comuni che, sotto il fuoco delle artiglierie austriache, perché sull’Altopiano c’era il fronte, dovettero lasciare le loro case e le loro cose, per cercare scampo in un’Italia che spesso li accoglieva con sospetto perché parlavano una lingua simile al tedesco (il cimbro, la lingua antica) e per questo sovente erano considerati come spie.

Questa è la massa umana che abbandonò con un silenzioso dolore l’Altopiano e che Emlio Lussu, allora giovane ufficiale della Brigata Sassari che andava a prendere posizione (e a morire) incontrò e descrisse nel suo bellissimo ‘Un anno sull’Altpipiano’.

Mentre parlo con Amerigo arriva Terenziano Baù, altro nativo del luogo che è emigrato nel 1972 come semplice manovale ed è diventato imprenditore immobiliare in Lussemburgo con 3 figli che vivono in Europa, ma che quando si trovano parlano nella antica lingua.

Terenziano, quando sa che sono un giornalista, mi punzecchia (è una persona simpatica la cui vita dovrebbe essere di esempio per tutti) e cita il ‘banchiere di Dio’, facendo riferimento allo scandalo Giuffrè. Io gli rispondo, gli dico che , pur non essendo ancora nato, conoscevo quanto era accaduto e ricordo che all’espoca era ministro delle finanze il socialdemocratico Luigi Preti (politico di altri tempi che incontrai nella sua casa di Bologna nella penultima tappa del mio viaggio di nozze).

Intanto passa il tempo, seduti nel bar davanti alla chiesa beviamo un primo giro di spritz, e intanto passano signori e signore che hanno tutti in comune il fatto di chiamarsi Baù, tutte e tutti con gli occhi azzurri (come li aveva ma Mamma).

In questo lasso di tempo con queste persone, in particolare con Amerigo e con Terenziano, si crea un dialogo e cresce forte una sensazione, come di essere sempre stato lì, di avere lì, Sasso di Asiago del resto è a tre chilometri e le famiglie Baù sono anche lì, una parte forte della mia radice, del mio essere.

Eppure non siamo parenti, non ci siamo mai sentiti prima, sino a qualche ora prima non sapevo neanche della loro esistenza.

Parliamo poi delle ricerche per cui i Baù avrebbero ereditato delle caratteristiche particolari nel preservarsi da malattie cardiovascolari, cosa che li ha portato loro e Stoccareddo all’attenzione della grande stampa internazionale, addritittura in Cina e negli Stati Uniti.

Racconto di una mia esperienza del 2017 quando in vacanza a Baden Baden con mia moglie, anziché vedere la Foresta Nera, complice uno svenimento e conseguente ricovero urgente in Ospedale, ho trascorso 4 giorni in terapia intensiva monitorato ora per ora nel timore dei sanitari tedeschi (che spero di un giorno poter rivedere per ringraziarli di persona) di qualcosa di brutto. Fortunatamente fu soltanto una sincope che mi ha portato a dover perdere peso, mangiare e bere meglio e vivere una vita più sana. Nel raccontare questo sia Amerigo che Terenziano non hanno avuto dubbi: “Ti ha difeso il sangue”.

Da quella giornata sono ripartito arricchito con una certezza: tornerò sull’Altipiano perché comunque vorrò ancora andare alla ricerca delle mie radici materne e tornerò ancora scrivere di questa splendida gente, di questi luoghi e dell’Altopiano.

A chi volesse saperne di più consiglio il libro

‘Stoccareddo: il paese dei Baù – Una grande famiglia in un piccolo villaggio 600 anni di vita e di storia’ di Amerigo Baù.

Non lo faccio mai, un giornalista deve riportare i fatti ma in questo caso vorrei dedicare queste righe

A mia mamma Lucia, a mio nonno Arturo, a tutti i miei famigliari Baù

A tutti i Baù di Stoccareddo e sparsi per il mondo, in particolare ad Amerigo e Terenziano Baù per la bella e sincera accoglienza e per la lezione di vita nelle poche ore che abbiamo trascorso insieme

Massimo Iaretti

Gli ex voto della Consolata: Torino allo specchio

A CURA DI “TORINO STORIA”

Nella grande collezione del santuario, centinaia di piccoli quadri dipinti, donati in segno di ringraziamento, raccontano frammenti di vita quotidiana.

Nel Santuario della Consolata la celebre galleria degli ex voto – piccoli quadretti dipinti, donati al santuario per ringraziare la Madonna dopo una grazia ricevuta – presenta una sorta di storia parallela, fatta di fede, tradizione e attaccamento a un culto che è parte integrante dell’identità torinese. Innumerevoli gli ex voto conservati alla Consolata, un’esposizione di fronte alla quale si ha la sensazione di un mondo che non c’è più, o quanto meno di un mondo che è profondamente cambiato, anche nel modo di porsi al cospetto del divino.

Continua a leggere:

Gli Ex Voto della Consolata: Torino allo specchio

Musica da camera in jeans

IL 12 E IL 19 DICEMBRE 4 CONCERTI A INGRESSO GRATUITO

Domenica 12 dicembre ore 17 e ore 21

Domenica 19 dicembre ore 17 e ore 21

Tutti i concerti sono a ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria da effettuarsi sulla piattaforma Eventbrite

Per i concerti delle ore 17 su: https://www.eventbrite.it/e/biglietti-musica-da-camera-in-jeans-mignon- -nel-mondo-199199770877

Per quelli delle ore 21 su: https://www.eventbrite.it/e/biglietti-musica-da-camera-in-jeans-idealismo-e-intimita-199212238167

Entrambi entro le ore 12 del venerdì precedente allo spettacolo. Eventuali posti ancora disponibili saranno distribuiti un’ora prima del concerto. Per accedere in sala è necessario presentare il Super Green Pass e indossare la mascherina.

 

L’Associazione Sistema Musica, di cui fanno parte, oltre alla Città di Torino, i principali enti musicali presenti in città, è lieta di presentare gli esiti della call Musica da camera in jeans.

Il progetto è frutto di un lungo percorso. Sistema Musica ha proposto la call con l’obiettivo di fornire un sostegno economico ai giovani musicisti la cui attività è stata colpita dagli effetti della pandemia da Covid-19 e dare loro la possibilità di esibirsi in questo periodo tanto difficile per chi opera nel settore culturale. I requisiti di partecipazione individuati sono stati l’età media (non superiore ai 32 anni, con requisito minimo il diploma accademico di I livello), l’essere organizzati in un complesso da camera con organico compreso tra i 2 e i 5 elementi, la residenza o il domicilio in Piemonte della maggior parte dei membri del gruppo.

Agli ensemble interessati è stato chiesto di presentare un programma di repertorio cameristico della durata di circa un’ora la cui progettualità avesse caratteristiche di organicità, coerenza tematica e originalità.

Alla scadenza dei termini di presentazione delle domande, il 30 maggio 2021, avevano risposto ben 27 gruppi: un successo straordinario per una iniziativa al debutto.

Una Commissione rappresentativa delle eccellenze artistiche di Sistema Musica, composta dal presidente Antonio Valentino e dai commissari Andrea Maggiora, Andrea Malvano, Michele Mo, Francesco Pennarola, Sebastian Schwarz, Giovanni Tasso ha giudicato i lavori pervenuti e ha scelto i cinque gruppi più meritevoli che si esibiranno al Conservatorio Giuseppe Verdi dal 5 al 19 dicembre 2021 in concerti a ingresso gratuito. Si ringraziano a tal proposito la Città di Torino e il Conservatorio Giuseppe Verdi per la concessione gratuita della sala.

Si tratta di Le fil rouge (Laura Capretti, mezzosoprano, Tommaso Santini, violino, Lucia Sacerdoni, violoncello, Edoardo Momo, pianoforte e Francesco Parodi, percussioni), Freitag Lied Duo (Cristina Injeong Hwang, soprano e Mirko Bertolino, pianoforte), Nuovo Quintetto di Torino (Lyn Vladimir Mari, violino, Beatrice Spina, violino, Giuseppe D’Errico, viola, Giulio Sanna, violoncello e Giovanni Carraria Martinotti, pianoforte), Trio Tau (Tommaso Santini, violino, Giorgia Lenzo, viola e Jacopo Gianesini, violoncello) e Pentafiati (Roberta Nobile, flauto, Matteo Forla, oboe, Simone Benevelli, clarinetto, Irene Masullo, corno e Carlo Alberto Meluso, fagotto).

Il Principe Gonzaga a Casale

Palazzo Treville Gozzani sabato 4 dicembre:  grande evento organizzato dall’avvocato Alberto Costanzo delegato provinciale dell’istituto nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon e dal conte  Pier Felice degli Uberti, con la consorte Loredana, consigliere direttore del Circolo dei Cento e non più Cento.

L’importante avvenimento é stato dedicato  all’intitolazione della sezione di Alessandria dell’INGORTP al generale di corpo d’armata  Don Maurizio Ferrante Gonzaga (1861-1938) SAS principe SRI, senatore del Regno d’Italia nel 1922,  marchese del Vodice e di Vescovato. Formato alle scuole militari di Modena e Torino, sposò ad Alba nel 1833  Angiolina Alliana, sorella di Ester che sposò nel 1894 il generale medico Francesco Gozzano (1849-1928) di Agliè. Gli Alliana, famiglia di generali senza blasone ma molto  benestante,risiedevano nella bellissima casa  padronale accanto alla chiesa di San Domenico di Alba.
Nel 1917 il generale assunse il comando della 53° divisione conquistando il monte Vodice,in seguito a lui giustamente attribuito, e dirigendo i suoi soldati nella battaglia dell’Isonzo.Nonostante le gravi ferite riportate, cercò di arrestare l’avanzata nemica dopo Caporetto.Alla sua morte espresse il desiderio di essere sepolto sulla cima del Vodice. Gli furono attribuite due medaglie d’oro e tre d’argento al valore militare.Hanno presenziato alla messa di  suffragio a lui dedicata nella chiesa di S.Stefano e alla cerimonia in palazzo Treville Gozzani,sede dell’accademia filarmonica, ospiti illustri quali SAIR l’arciduca Josef Karl d’Asburgo e la consorte SAIR arciduchessa Margareta d’Asburgo nata principessa  d’Hohemberg; i principi d’Asburgo SAIR arciduca Josef,SAIR arciduca Paul, SAIR arciduchessa Johann, SAIR arciduchessa Elisabeth; il principe SRI Don Maurizio Gonzaga,nipote del generale.
L’INGORTP é un ente morale sotto la vigilanza del Ministero della Difesa, nato per  mantenere viva la memoria legata alla casa Savoia,alle tradizioni militari e al Risorgimento, essendo la più antica associazione combattentistica e d’arma in  Italia. É intervenuto il presidente dell’ente, il capitano di vascello Ugo d’Atri.
Il Circolo dei Cento e non più Cento, nato da una tradizione rinascimentale all’epoca di Casale capitale del Ducato di Monferrato, ha sede in palazzo Treville Gozzani e promuove attività culturali, ricreative, turistiche e artistiche. Al ballo di metà quaresima si prevedevano 199
persone, scelte tra i 100 della nobiltà e i 99  della borghesia, tradizione annuale che continua ancora oggi.
Armano Luigi Gozzano