CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 394

Vincenzo Buonaguro e Sèline in mostra alla galleria d’arte Malinpensa by Telaccia

Due artisti capaci di penetrare nel cuore dell’immagine fotografica, dal 17 al 27 novembre

È  dedicata a due artisti fotografici la mostra che la galleria d’arte Malinpensa by Telaccia ospita dal 17 al 27 novembre prossimo, Vincenzo  Buonaguro e Seline.

Vincenzo Buonaguro unisce nei suoi soggetti fotografici, quali quelli intitolati “Polvere di stelle”, “Giorno” e “Spirale”, la spontaneità  dell’immagine alla costante sperimentazione tecnica, unite all’esigenza di comunicare  allo spettatore una rappresentazione intrisa di significati e di sensibilità. L’artista  propone, infatti, un percorso fatto di messaggi provenienti dal mondo della natura e che invitano al suo rispetto, senza tralasciare i suoi veri valori, il tessuto poetico e il vissuto evocati da visioni cariche di simbolismo. Le sue opere fotografiche risultano ricche di fantasia e progettualità, capaci, al tempo stesso, di recuperare una dimensione di narrazione umana e emotiva con cui l’artista conquista il pubblico, invitandolo a scoprire sensazioni uniche. Il contrasto tra pieni e vuoti evidenzia un senso di movimento e tridimensionalità presente nella sua opera e capace di dimostrare una visione fotografica innovativa.

In alcuni lavori di Buonaguro il soggetto pare fuoriuscire dall’opera stessa, costituendo un’interessante modalità espressiva, senza eccessi nella composizione, ma in grado di dimostrare una graduale innovazione tecnica.

La seconda artista in mostra, Sèline  mostra un preciso linguaggio tecnico-stilistico, accompagnato da anni di ricerche e studi, che le hanno permesso di infondere nelle sue opere fotografiche una progressiva intensa spiritualità e abilità espressiva.

Ogni sua rappresentazione  diventa musicalità di immagini in cui il colore incisivo e ricco di vocazione onirica costituisce una forma di componente poetica e di chiarezza cromatica.

Gli alberi presenti nelle sue opere, padroni assoluti e imponenti, si impongono in tutta la loro essenza, vibranti di sentimento e di sensazioni in cui si identifica la loro anima.

L’artista rappresenta la natura che, a causa della manipolazione umana, si è  trasformata, divenendo espressione di un progressivo squilibrio ecologico e di sempre più  numerosi problemi ambientali; proprio la natura medesima diventa nelle sue opere strumento di narrazione attraverso una metafora, a tratti ricca di forza, a tratti vulnerabile. Nelle opere dell’artista emergono a volte dei toni del rosa, un colore che svolge una funzione altamente simbolica, che è quella di evidenziare la perdita della corteccia, paragonabile a quella degli esseri umani messi a nudo e privi di barriere difensive.

L’esplosione cromatica dei verdi brillanti, come nell’opera intitolata “Enigma”, e le loro dissolvenze coloristiche vengono utilizzate con grande effetto, unendosi a un uso della luce assolutamente sorprendente, capace di sprigionare dall’operaun’energia e una spinta vitali.

Nell’ultima serie  i toni di colore si fanno più pacati e caldi, rivelando, con le loro sfumature, contrasti chiaroscurali incisivi, una descrizione autonoma e una tecnica ricercata. La tecnica  su carta fotografica si alimenta di una notevole originalità visiva, in cui l’energia della natura è associata a una densa carica emozionale.

Mara Martellotta 

Galleria d’arte Malinpensa by Telaccia

Corso Inghilterra 51

Orario 10.30-12.30 ; 16-19 ( chiuso lunedì e festivi)

Tel 0115628220

www.latelaccia.it

I mondi di Mario Lattes #1

Ritorna in presenza la mostra dedicata dalla “Fondazione Bottari Lattes” al’eclettico e prolifico artista torinese

Fino a fine gennaio

Monforte d’Alba (Cuneo)

Mostra travagliata come poche altre, quella dedicata alle “opere recuperate” di Mario Lattes – pittore, scrittore, editore e personaggio di spicco nel mondo culturale piemontese, e non solo, del secondo dopoguerra – dalla “Fondazione Bottari Lattes”, aperta per rendergli giusta memoria dalla moglie Caterina nel 2009, a Monforte d’Alba, in via Marconi 16 (tel. 0173/789282). Inaugurata online, causa emergenza sanitaria, il 22 dicembre dell’anno scorso, la rassegna é  stata aperta al pubblico, a seguito del passaggio del Piemonte in “zona gialla”, il 10 febbraio  e da lunedì primo marzo, di nuovo trainata dal passaggio della Regione in “zona arancio”, in visione web. E l’apri-chiudi non s’è fermato. Dal 4 novembre scorso, infatti la retrospettiva è ritornata ad aprire le porte al pubblico, pur  continuando a rimanere visitabile anche on line  sul sito www.fondazionebottarilattes.it , con una pagina di approfondimento sempre aggiornata con nuovi contenuti fotografici e video. In mostra, si diceva, le “opere recuperate” ovvero le “nuove acquisizioni” volte ad arricchire sempre più il patrimonio della collezione permanente. Preziose e “nuove” testimonianze di un dipingere inconfondibile nella suggestione di narrati che nascondono (e non è facile la decifrazione) i “mondi” più segreti e tormentati di Mario Lattes (1923-2001): dai suoi “soggetti onirici” alle “figure archetipe”  popolanti atmosfere surreali condivise da oggetti e presenze simboliche (la farfalla, la conchiglia, l’uovo, la mano) messe lì a far memoria dolorosa in un bagno profondo di risentito e amaro umorismo. Al pari delle sue “marionette” e dei suoi “alter ego” tutt’altro che giocosi e rassicuranti insieme alle nature morte con “cianfruscole” o cianfrusaglie che il pittore amava collezionare e agli studi di volti e personaggi dai  tratti scultorei ed essenziali nella geometrica astrazione delle forme. Una quarantina le opere esposte: dipinti figurativi, ma con valenze fortemente oniriche, dai tratti marcatamente espressionistici, realizzati da Lattes nell’arco temporale che va dal 1959 al 1990. Sono opere mai finora esposte, facenti parte delle nuove acquisizioni recuperate dal fondo di collezionisti privati per accedere al prezioso  patrimonio della pinacoteca a lui dedicata nelle sale espositive al primo e al secondo piano della “Fondazione”, accanto ai molti lavori già in essa presenti. Lavori che raccontano, nella quasi  totalità, il viaggio nei “mondi di Mario Lattes”, come recita il titolo dell’attuale rassegna con l’aggiunta di quell’ “# 1” , teso a connotarsi come prima tappa di una complessa esplorazione che verrà arricchita nel tempo attraverso ulteriori recuperi, resi disponibili al pubblico a più riprese. Articolata in quattro sezioni su progetto di Caterina Bottari Lattes, curata da Alice Pierobon con Chiara Agnello e accompagnata da un testo critico di Vincenzo Gatti, la mostra ci racconta, ancora una volta (ma ogni volta è sempre un cammino nuovo, inatteso e coinvolgente) il tormento,  gravante ma ampiamente accettabile, di dipinti che – al pari dei romanzi e racconti pubblicati da Lattes fra il 1959 ed il 1985- risentono delle vicende e delle ferite dell’anima derivate dal suo essere parte ben senbile e partecipe, sia pure nell’ottica di una laicità mai negata, di quel popolo ebraico vittima di un abominio storico senza pari, sul quale è impossibile calare la fronda dell’oblio. Nell’iter espositivo spiccano alcuni oli su carta intelata, come “Il cardinale” e “Il Re” del ’69, dove il segno anarchico e graffiante pare quasi voler irridere con sarcastico umorismo le immagini del potere; così come quelle “Marionette e manichino” del ’90 che raccontano non di squarci gioiosi legati all’infanzia ma di ricordi che “sono cicatrici di memoria” o come quella spettrale figura de “L’enfant et le sortilege” del ’67, incubo emergente da ragnatele di sogni ed emozioni che sono per Lattes eterne prigioni del cuore. Dice bene Vincenzo Gatti“L’accesso ai mondi di Lattes è insidioso. Occorre adeguarsi alle sue luci e alle sue ombre, intuire l’indefinito pur sapendo che esiste un lato oscuro che non potrà disvelarsi”.

La mostra è realizzata con il sostegno di Regione Piemonte.

g.m.

Nelle foto

–         “Senza titolo”

–         “Il cardinale”, s. d.

–         “L’enfant et le sortilege”, 1967

Regio Metropolitano, Noseda protagonista

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Per il Regio Metropolitano Gianandrea Noseda interpreta il 15 novembre, all’Auditorium Giovanni Agnelli del Lingotto, brani di Brahms, Smetana e Dvorak

 

Lunedì 15 novembre prossimo, alle 20.30, all’Auditorium Giovanni Agnelli del Lingotto, appuntamento con il Regio Metropolitano e il maestro Gianandrea Noseda, sul podio dell’Orchestra e Coro del teatro Regio per un ricco programma che prevede le Nanie di Johannes Brahms, il poema sinfonico Riccardo III di Bedrich Smetana, il “Canto delle parche” di Brahms e la Sinfonia n. 7 di Antonin Dvorak.

Il coro è istruito da Andrea Secchi; Gianandrea Noseda è stato recentemente nominato Direttore musicale generale del Teatro dell’Opera di Zurigo, oltre ad essere Direttore musicale della National Symphony Orchestra di Washington, Direttore ospite principale della London Symphony Orchestra e della Israel Philarmonic Orchestra.

La Naenia di Brahms per coro e orchestra, su testo di Friedrich Schiller, fu composta fra il 1880 e l’estate del 1881 in memoria del pittore Anselm Fuerbach e ebbe la sua prima esecuzione a Zurigo il 6 dicembre di quell’anno. Nei versi di Schiller, cui Brahms si ispirò, è  presente il riferimento ai miti di Orfeo, Adone e Achille,e viene espresso il concetto che le cose belle e perfette sono destinate a perire ma, a differenze di ciò  che è  brutto, la loro morte è  accompagnata da canti di rimpianto. La Naenia presenta una forma tripartita.

Qualche anno prima, nel 1856, Smetana, allora trentaduenne, soggiornò per ragioni di salute a Saro, nella parte meridionale della penisola svedese di Goteborg, a quei tempi molto alla moda come meta di vacanze estive. Fu questa  la cornice che vide nascere il suo poema sinfonica intitolato “Riccardo III”, liberamente ispirato all’omonimo dramma shakespeariano.  Al centro la figura tragica e al tempo stesso crudele del monarca assetato di sangue  e di dominio. Smetana prende spunto dalla figura shakespeariana  per tracciare il profilo musicale del personaggio, descriverne l’ascesa al potere, i tormenti causati dai suoi omicidi e la sua successiva caduta.

Nel 1882 Brahms scrisse per coro e orchestra un inserto derivato dalla fine del penultimo atto dell’Ifigenia in Tauride di Goethe, in cui la protagonista, in un momento di disperazione, ripete un canto antico, originariamente intonato dalle Parche. Il coro fu suddiviso in sei voci, tre femminili e tre maschili , che spesso contrappongono duramente e drammaticamente le loro sonorità. La potenza del Canto delle Parche op. 89 risulta inarrivabile; aperto dall’orchestra con un vero  e proprio schianto, il brano va poi a scivolare verso tristezze abissali. Le asprezze poi si mitiganoin un’apparente apertura alla speranza, lasciata al dominio delle voci femminili. Si tratta di un presagio di scioglimento positivo che chiude la tragedia, anche se poi le note ritornano al colore terreno dell’inizio e sembrano inabissarsi tra i vapori dell’Ade.

La settima sinfonia di Dvorak rappresentò il momento di svolta nella carriera del compositore;in essa egli seppe fondere con inventiva sicura le ambizioni formali del genere sinfonico e quelle della musica popolare. In tutta la sinfonia si coglie, infatti, la sua capacità di saper intrecciare la vocazione monumentale propria di questo genere con inserti cameristici che ne attenuano la retorica. L’inizio mormorato e misterioso ha carattere introduttivo, tipico del recitativo strumentale e drammatico, capace di creare un clima che viene stemperato dal richiamo affettuoso dei fiati e dalla sonorità dei corni, che fanno pensare a boschi e elfi. Il Poco Adagio, fin dal cantabile iniziale del clarinetto, delinea un clima introspettivo venato di sarcasmo, ma orientato già  alle suggestioni folcloristiche che prendono il sopravvento nel successivo Scherzo, vero e proprio ballabile campestre. Il Finale conclusivo affianca passi di marcia a bizzarrie alla zingara, a inserti ottimistici dei fiati, trascinando tutto l’insieme verso l’epilogo di una marcia compatta.

Nonostante la buona accoglienza della sua prima esecuzione, avvenuta alla St. James Hall a Londra, diretta dallo stesso compositore nel 1885, Dvorak ebbe dei ripensamenti e ne rielaboro’ alcuni passi.

 

Regio Metropolitano è  realizzato con il sostegno di Intesa Sanpaolo, Socio Fondatore  del Teatro Regio, e con il patrocinio della Città  di Torino.

Sabato 20 novembre il Regio Metropolitano si sposterà  al teatro Colosseo dove l’Orchestra del Teatro Regio sarà diretta da Diego Fasolis. Venerdì  26 e domenica 28 novembre, all’Auditorium Giovanni Agnelli al Lingotto, verrà presentata in forma di concerto l’opera lirica verdiana Aida. Coro e orchestra del Teatro Regio saranno diretti dal maestro Pinchas Steinberg e Aida sarà  interpretata da una protagonista di rilievo internazionale, quale Angela Meade.

I biglietti e le card per i concerti e gli spettacoli sono in vendita presso la Biglietteria del teatro Regio , con orario da lunedì a sabato con orario 13-18.30; domenica 10-14. È  possibile anche l’acquisto presso i punti vendita Vivaticket.

Mara Martellotta 

Presenze impertinenti tra risate e suggestioni occulte

Il 13 novembre alle ore 20,30 presso il Teatro Sant’Anna di Torino, la compagnia teatrale ON OFF ritornerà in scena aprendo la stagione con una commedia brillante dal titolo: “Presenze Impertinenti”.
Trama
Un romanziere in cerca di suggestioni “occulte”, un’eccentrica quanto maldestra medium ed un fantasma che vuole ricomparire nell’aldiquà!
Quando ci si confronta col soprannaturale i risultati possono essere davvero sorprendenti!
Momenti di esilarante divertimento, sul palco e tra il pubblico!
PRESENZE IMPERTINENTI
Sabato 13 novembre 2021
Ore 20:30
Teatro Sant’Anna
Via Brione, 40 – Torino
Costo del biglietto: euro 10,00
Prenotazioni su WhatsApp al n° 338 7262627

Lettere Scontrose di Giovanni Arpino

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Centro Studi Piemontesi, via Revel 15, Torino – Martedì 16 Novembre ore 18:00

Interventi di Bruno Quaranta, Massimo Romano

Con la testimonianza di Tommaso Arpino

Dagli articoli scritti da Arpino per il settimanale «Tempo» tra il 1964 e il 1965 nasce Lettere Scontrose, una raccolta inedita di lettere rivolte a grandi personalità a lui contemporanee e appartenenti a mondi differenti: dalla politica (Fanfani, Moro), allo spettacolo (Gassmann, Vitti, Chaplin), alla letteratura (De Amicis).

Una corrispondenza dai toni irriverenti e sarcastici, ma sempre garbati, che tocca i personaggi più in voga del decennio, approfondendone questioni private e pubbliche e affermando un profondo anticonformismo. Opinioni pungenti, talvolta scomode, espresse in contrasto con uno stile chiaro, schietto e scorrevole, che offre una limpida analisi della società del tempo e riflessioni sempre attuali.

Le lettere sono in realtà per l’autore un pretesto per l’analisi introspettiva dell’animo umano, per valorizzare chi va controcorrente e per esprimere la propria opinione sul controverso periodo storico-politico in cui si trova a vivere.

Arpino ha una profonda fede in ciò che fa: scrivere è per lui un lavoro da dannati, «un modo di peccare e confessarsi in pubblico», ma è necessario perché rappresenta un modo per raggiungere la verità, a cui tende costantemente.

Allo scrittore israeliano David Grossman il premio letterario dedicato alla Resistenza

Lunedì 22 novembre, alle 20,30, il Teatro Sociale di Omegna ospiterà la serata dedicata all’assegnazione del l’ edizione 2021 del Premio letterario “Della Resistenza” promosso dalla municipalità del capoluogo cusiano.

Sarà presente lo scrittore David Grossman, premiato per il libro “Sparare a una colomba”, edito in Italia da Mondadori. La presenza dello scrittore israeliano sulla scena internazionale va oltre i suoi romanzi: i suoi saggi e interventi su politica, società e letteratura sono ormai diventati un punto di riferimento ineludibile per tantissimi lettori ai quattro angoli del mondo. “La situazione è troppo disperata per lasciarla ai disperati” sostiene Grossman. Nei saggi e nei discorsi che compongono questo libro, lo scrittore nato nel 1954 a Gerusalemme non si limita ad analizzare la situazione di Israele cinquant’anni dopo la Guerra dei Sei Giorni, descrivendo le conseguenze dell’impasse politica in Medio Oriente, o a parlare dell’emergenza sanitaria imposta dalla pandemia da Covid ma finisce sempre per raccontare qualcosa della sua esperienza personale. Infatti il libro è un’appassionata e lucida difesa dei valori della libertà e dell’individualità dove la strenua opposizione a disfattismo e disimpegno prendono corpo nei testi. Grossman è l’ultimo scrittore ad aggiudicarsi il più importante riconoscimento letterario a livello nazionale dedicato alla memoria della lotta di Liberazione Questo concorso è riservato a libri di narrativa, poesia o saggistica che “coniugando valori letterari e impegno civile” abbiano dato risalto a una delle “questioni fondamentali del nostro tempo”. Dal 1959 al 1974,l’appuntamento omegnese rappresentò un evento di notevole rilievo nel panorama culturale italiano e internazionale. Nato da un incontro tra l’allora sindaco Pasquale Maulini con il comandante partigiano Cino Moscatelli e gli scrittori Mario Soldati e Mario Bonfantini, vide la collaborazione di prestigiosi nomi della cultura italiana nel corso delle tredici edizioni che si svolsero nella città che aveva dato i natali al celebre Gianni Rodari. Della giuria fecero parte scrittori e intellettuali importanti. Tra i tanti vanno ricordati Guido Piovene, Mario Soldati, Carlo Salinari, Paolo Spriano, lo stesso Gianni Rodari, Cesare Zavattini, Rossana Rossanda, Orio Vergani, Raffaele De Grada, Italo Calvino, Franco Fortini, Filippo Frassati. Una rapida lettura del “libro d’oro” dei premiati offre l’idea del valore e dell’importanza dell’evento nella sua prima e storica edizione. Henry Alleg fu il primo ad essere premiato nel 1959 per “La tortura”; l’anno successivo il riconoscimento toccò ad un mostro sacro come Jean-Paul Sartre per l’intera opera. Nel 1961 Gunther Anders, filosofo e scrittore tedesco, vinse con “Essere o non Essere” e nel 1962 Frantz Fanon psichiatra e antropologo francese, nativo della Martinica e rappresentante del movimento terzomondista per la decolonizzazione, per “I dannati della terra”. Dopo il poeta spagnolo Blas de Otero per l’opera omnia (1963), Roberto Battaglia con “Risorgimento e Resistenza” nel ’64 e gli statunitensi Paul M. Sweezy e Leo Huberman per “Il presente come storia” e i volumi sulle teorie della politica estera americana e dello sviluppo capitalistico (1965), il premio venne assegnato simbolicamente ai lavoratori della “Cobianchi” di Omegna in lotta per la difesa del posto di lavoro. Dopo una pausa di quattro anni, nel 1970, la scelta venne replicata per i lavoratori della “Rodhiatoce” di Pallanza, impegnati in una durissima vertenza. Nel 1971 il premio venne destinato alla memoria di George Jackson, uno dei leader delle “pantere nere”, autore de “I fratelli di Soledad”, ucciso da un secondino nel carcere di San Quentin il 21 agosto di quello stesso anno. Nel 1972 e nel ’73 l’assegnazione toccò a due italiani: Camilla Cederna per “Pinelli: una finestra sulla strage” e Pietro Secchia per “La Resistenza accusa” e “Lotta antifascista e giovani generazioni”. L’anno dopo, il premio Omegna “Della Resistenza” fu assegnato al poeta e intellettuale ellenico Alekos Panagulis, fiero oppositore del regime dei Colonnelli, per “Vi scrivo da un carcere in Grecia”. Da quell’edizione e per vent’anni il premio venne sospeso. Una lunga pausa interrottasi nel 1995 in occasione del cinquantesimo anniversario della Liberazione con un’edizione straordinaria che segnò l’affermazione di “Appunti Partigiani 1944–1945″ di Beppe Fenoglio. Il successo dell’iniziativa convinse l’amministrazione Comunale a rieditare dall’anno successivo e con una formula rinnovata il premio letterario intitolato alla Città di Omegna. Da allora sono stati premiati Adolfo Mignemi (Storia fotografica della Resistenza), Gherardo Colombo (Il vizio della memoria), Vincenzo Cerami e Roberto Benigni (La vita è bella), Tahar Ben Jelloun (Il razzismo spiegato a mia figlia), Giovanni Giudici (Eresia della sera) e Theo Richmond (Konin.La città che vive altrove), Ryszard Kapuscinski (Ebano), Cesare Garboli (Ricordi tristi e civili) e Giorgio Boatti (Preferirei di no), Giulietto Chiesa e Vauro (Afghanistan,anno zero), Nuto Revelli (Le due guerre. Guerra fascista e guerra partigiana),Susan Sontag (Davanti al dolore degli altri),Guido Craiz (Il dolore e l’esilio.L’Istria e le memorie divise d’Europa), Angelo Del Boca (Italiani,brava gente?), Roberto Saviano (Gomorra), Boris Pahor (Necropoli), Alessandro Leogrande ( Uomini e caporali), Bianca Guidetti Serra e Santina Mobiglia (Bianca la rossa), Marco Paolini (Ausmerzen), Anna Bravo (La conta dei salvati), Giuseppe Catozzella (Non dirmi che hai paura), Massimo Zamboni (L’eco di uno sparo), Massimo Cirri (Un’altra parte del mondo), Alberto Melloni ( le opere di Don Milani nei Meridiani), Anna Lavatelli (Il violino di Auschwitz) e Enzo Bianchi (La vita e i giorni. La vecchiaia). Il premio dedicato alla Resistenza non è solo un evento culturale e letterario ma un punto fermo nell’identità di questa città insignita della medaglia d’oro per la lotta partigiana che ebbe tra i suoi cittadini più celebri quel Gianni Rodari che seppe inventare un nuovo modo di guardare il mondo attraverso gli occhi dei bambini, portando l’elemento fantastico nel cuore della crescita democratica dell’Italia repubblicana.

Marco Travaglini

A Camera riflessioni su potere, sicurezza e controllo sociale

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“Salvatore Vitale. How to Secure a Country +”.  A “CAMERA” negli scatti del fotografo siciliano

Fino al 12 dicembre

Classe ’86, di origini palermitane, Salvatore Vitale è un artista visivo, ma anche editore e docente, residente oggi a Zurigo. E proprio dal risiedere in uno dei Paesi, la Svizzera, noti per essere politicamente e socialmente fra i più sicuri al mondo, deriva il suo interesse ad esplorare le strutture di potere, la mediazione tecnologica e l’influenza di questi elementi nella società. Così, quando nel 2014 gli svizzeri votarono a favore di un’iniziativa popolare federale “contro l’immigrazione di massa”, l’immigrato Vitale sentì il bisogno di mettere mano ad un progetto teso ad esplorare le misure di sicurezza nazionale del Paese che lo ospitava, concentrandosi “su istruzioni, protocolli, burocrazie e soluzioni concrete adottate”, da lui visualizzate in fotografie, diagrammi e  illustrazioni grafiche. Nel 2015, quel progetto dal titolo “How to Secure a Country” riceve un premio dallo “Swiss Arts Council” e oggi ne troviamo testimonianza nella “Project Room” di “CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia” di Torino. Prima personale dell’artista palermitano in un’istituzione italiana, la mostra è curata da Giangavino Pazzola, con il sostegno della “Fondazione Svizzera per la Cultura Pro Helvetia” in collaborazione con OGR Torino e la Galleria “Ncontemporary” di Milano. Oltre quaranta le opere esposte realizzate con differenti media e appartenenti a due nuclei di lavori, relativi ad altrettante ricerche di lungo periodo realizzate da Vitale a partire dal 2014 sino ad oggi. La maggior parte di esse appartengono alla serie “How to Secure a Country +” (2014 – 2019), racconto quasi didattico, neutro e acritico del sistema di sicurezza nazionale svizzero esplorato dal suo interno. “Articolando il discorso in diversi capitoli, Vitale ricostruisce un quadro esaustivo – sottolineano gli  organizzatori – del sistema di sicurezza di uno stato, portando lo spettatore a riflettere sull’idea di protezione nella relazione tra autorità e individuo”. Incluse nel percorso espositivo, sono anche due opere del progetto “Persuasive System”, ricerca iniziata dall’artista nel 2020, e attualmente ancora in corso, incentrata sul tema dell’influenza della sorveglianza digitale nel controllo sociale degli individui. E proprio in quest’ottica, nella “Corte Est”, antistante l’ingresso principale di OGR Torino, è stata ospitata l’installazione di tre telecamere di sorveglianza che registrano in tempo reale il passaggio delle persone in una area delimitata, e segnalata per mezzo di un segno grafico, in conformità con le direttive europee. Le immagini sono state trasmesse contestualmente in diretta sia sui grandi schermi allestiti nel foyer di OGR (rimossi dopo la prima settimana di mostra) sia in due monitor installati a “CAMERA”, tutt’oggi in funzione, per “rafforzare così l’idea di pervasività della sorveglianza nella vita sociale odierna”. Sempre a “CAMERA” troviamo anche l’installazione di un “video-essay” realizzato per l’occasione da Vitale, con il quale viene messa in scena la rievocazione di un esperimento sociale sul comportamento delle persone. “Combinando immagini fisse e in movimento, filmati d’archivio, dati fattuali e testo, l’opera si avvale della ‘metafora dell’aeroporto’ per svelare i paradossi connaturati alla logica della sorveglianza sistemica, evidenziando la necessità di porre maggior attenzione ai processi di omologazione dei comportamenti collettivi e dei sistemi che regolano la loro formazione”.

A completamento della mostra, Salvatore Vitale terrà un incontro aperto al pubblico il 25 novembre alle ore 18.30 a “CAMERA” e dal 26 al 27 novembre un workshop teorico-pratico, “The Narrative Impulse”, in cui condurrà i partecipanti nella creazione di un progetto narrativo costruito mediante la combinazione della fotografia con media diversi come suono, video, piattaforme social, web, immagini d’archivio. Per informazioni e iscrizioni, www.camera.to

“How to Secure a Country +” rientra nel ciclo di mostre “Passengers. Racconti dal Mondo Nuovo”, programma dedicato da “CAMERA” agli artisti mid-career che maggiormente rappresentano esempi di innovazione del linguaggio visivo contemporaneo.

Gianni Milani

“Salvatore Vitale. How to Secure a Country +”

CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia, via delle Rosine 18, Torino; tel. 011/0881150 o www.camera.to

Fino al 12 dicembre

Orari: lun. merc. ven. sab. dom. 11/19; giov. 11/21. Mart. chiuso

Nelle foto:

Immagini da “How to Secure a Country +”

Incipit Offresi, dal vivo la settima edizione

Giovedì 18 novembre 2021, ore 18

Dal vivo la settima edizione del primo talent letterario itinerante per aspiranti scrittori

La Biblioteca Nino Colombo di Beinasco ospiterà giovedì 18 novembre, dal vivo, la settima edizione di Incipit Offresi, il primo talent letterario itinerante dedicato agli aspiranti scrittori, ideato e promosso dalla Fondazione ECM – Biblioteca Archimede di Settimo Torinese, in sinergia con Regione Piemonte. A condurre l’incontro, vero e proprio spettacolo di intrattenimento, gli attori di B-Teatro, con le incursioni musicali del chitarrista Ivano Gruarin.

Piemonte, Lombardia, Liguria, Valle d’Aosta, Lazio: Incipit Offresi toccherà, per la prima volta, cinque regioni. È un format a tappe: la sfida si giocherà a colpi di incipit all’interno delle biblioteche e dei luoghi di cultura, in presenza e/o online, in diretta streaming, da ottobre 2021 a giugno 2022. L’obiettivo non è premiare il romanzo inedito migliore, ma scovare nuovi talenti. In 6 anni Incipit Offresi ha scoperto più di 40 nuovi autori, pubblicato 60 libri e coinvolto più di 10mila persone, 30 case editrici e più di 50 biblioteche e centri culturali. Incipit Offresi è un vero e proprio talent della scrittura, lo spazio dove tutti gli aspiranti scrittori possono presentare la propria idea di libro, incontrare e dialogare con gli editori coinvolti nelle varie fasi del progetto.

Durante ogni appuntamento (19 in totale, più un ballottaggio, due semifinali e la finale) gli aspiranti scrittori avranno 60 secondi di tempo per leggere il proprio incipit o raccontare il proprio libro. La novità di quest’anno è la sfida uno contro uno tra i concorrenti che saranno giudicati dal pubblico in sala, nel caso degli eventi in presenza, e dalla giuria tecnica. Il/la concorrente che, tra i due sfidanti, avrà ottenuto più voti, passerà alla fase successiva, dove avrà ancora 30 secondi di tempo per la lettura del proprio incipit prima del giudizio della giuria tecnica che assegnerà un voto da 0 a 10. Una volta designato il/la vincitore/trice di tappa, si aprirà il voto del pubblico che, da casa, attraverso la piattaforma di voto predisposta dal Comitato Organizzatore, potrà esprimere entro 60 minuti dalla conclusione della gara, la propria preferenza per un altro concorrente. Chi otterrà più voti potrà partecipare alla gara di ballottaggio. I primi classificati di ogni tappa e gli eventuali ripescaggi potranno accedere alle semifinali per giocarsi la possibilità di approdare alla finale, in programma a giugno 2022. Le ultime tre finali sono state presentate da Neri Marcoré, Boosta dei Subsonica e Iaia Forte. I concorrenti primo e secondo classificato riceveranno rispettivamente un premio in denaro di 1.500 e 600 euro; saranno inoltre messi in palio, fra tutti i partecipanti alla finale, il Premio Italo Calvino, Indice dei Libri del Mese, Golem, Leone verde, Coop ed eventuali altri premi assegnati dagli editori.

La partecipazione a Incipit Offresi è gratuita e aperta agli scrittori, esordienti e non, maggiorenni, di tutte le nazionalità. I candidati dovranno presentare le prime righe della propria opera: l’incipit, appunto, un massimo di 1.000 battute con le quali catturare l’attenzione dei lettori e una descrizione dei contenuti dell’opera (max 1.800 battute). L’incipit deve essere inedito (le opere autopubblicate sono parificate alle inedite poiché prive di regolare distribuzione). La gara si svolgerà in lingua italiana. La possibilità di partecipare alle tappe è garantita fino ad esaurimento dei posti disponibili.

La gara di Incipit Offresi sarà trasmessa sulla rete 7WEB.TV e disponibile sulle pagine Facebook e Youtube di Incipit Offresi e sulle pagine delle biblioteche partner e altri canali collegati.

 

Incipit Offresi è un’iniziativa ideata e promossa dalla Fondazione ECM – Biblioteca Archimede di Settimo Torinese e Regione Piemonte, con la collaborazione della Scuola del Libro di Roma e con la sponsorizzazione di NovaCoop.

Il Premio Incipit e il campionato sono dedicati a Eugenio Pintore per la passione e la professionalità con cui ha fatto nascere e curato Incipit Offresi.

 

INFO E ISCRIZIONI

 

Giovedì 18 novembre, ore 18

Incipit Offresi

Biblioteca Nino Colombo, piazza Alfieri 7, Beinasco

www.incipitoffresi.it – info@incipitoffresi.it

Dal “Diavolo veste Prada” al Museo del Cinema: Stanley Tucci alla Mole

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L’attore americano Stanley Tucci è stato ieri in visita al Museo Nazionale del Cinema.

In Italia per girare una puntata della serie Searching for Italy della CNN, l’attore ha manifestato il desiderio di visitare in forma privata il Museo Nazionale del Cinema. La visita è stata preceduta da una proiezione strettamente privata al Cinema Massimo del film 007 No time to die, quale sorpresa di fine riprese per la crew che lo ha accompagnato in città.

Accolto al museo dal presidente Enzo Ghigo e dal direttore Domenico De Gaetano, Tucci è rimasto affascinato dalla bellezza dell’edificio, tanto da prendere l’ascensore panoramico e salire fino in cima alla Mole Antonelliana per ammirare la città dall’alto. Una prova di grande coraggio per lui che soffre tantissimo di vertigini, e l’emozione è stata così forte che ha affermato che la prossima volta ha intenzione di fare la salita nell’intercapedine della cupola.

Molto colpito e incantato dallo splendore del museo  e dell’Aula del Tempio: uno spazio così suggestivo e inaspettato che per lui rappresenta un grande omaggio al cinema, soprattutto la mostra Photocall con i volti di attori conosciuti, da Isabella Rossellini a Monica Bellucci.

Ha dimostrato molto interesse alla programmazione e alle attività delle salette dedicate alla realtà virtuale CineVR, posizionate di fianco al Moloch del film Cabiria, film da lui conosciuto e apprezzato.

Molto conosciuto in Italia per diverse sue interpretazioni, ha dichiarato che uno dei suoi personaggi preferiti è Nigel ne Il Diavolo veste Prada, e ha acconsentito a firmare il manifesto e la locandina.

“Les italiens” e quella Parigi così viva tra le due Guerre

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“Parigi era viva. De Chirico, Savinio e les Italiens de Paris”: questo è il titolo della mostra che si è aperta il 21 ottobre scorso presso il Museo di Arti Decorative Accorsi-Ometto.

Attraverso settanta opere viene raccontata l’avventura di sette artisti italiani che, arrivati nella Ville Lumière, in momenti diversi, per vivere, lavorare e fondersi in quell’atmosfera artistica di grandi movimenti e di immensi pittori, espongono insieme per la prima volta nel 1928: Giorgio De Chirico, Alberto Savinio, Massimo Campigli, Filippo De Pisis, Renè Paresce e Gino Severini. Parigi, in quegli anni, mantiene intatto il proprio fascino e si conferma capitale dell’arte e delle arti. Montparnasse ha, ormai, definitivamente sostituito Montmartre quale cuore pulsante della vita culturale parigina. Picasso, Braque, Soutine, Pascin, Aragon, Cocteau, Dalì, Man Ray vivono e lavorano nel quartiere, animano le notti alla Cupole e stravolgono l’arte. Modigliani è morto nel gennaio 1920, ma la sua straordinaria leggenda e la forza espressiva delle sue opere continuano a influenzare il mondo culturale parigino. E’ in questo luogo meraviglioso, come definirà Breton la Parigi di quegli anni che les italiens dipingono alla ricerca di conferme e aperti a nuove influenze.

La mostra, divisa in sette sezioni, ci regala, attraverso le tele, gli sguardi diversi e complementari di questi pittori. Les italiens, ciascuno secondo il proprio “sentire” e la propria tecnica e il proprio stile, evocano nei quadri atmosfere classiciste, influenzate dal surrealismo con il quale vengono a contatto a Parigi.

Accompagnato dalle fotografie e dalla musica di quegli anni spensierati, lo spettatore si immerge in un percorso espositivo multiforme che desta in lui emozioni e sensazioni diverse, trasportandolo in mondi lontani, immoti e quasi pietrificati, in vie brucianti di vita, in paesaggi assolati, in ambienti dove il tempo sembra essersi fermato. Stanza dopo stanza, sezione dopo sezione, si incontrano l’ossessiva ricerca e reinterpretazione del mito classico di De Chirico, le immagini surreali e inquietanti di Savinio, le donne dagli occhi grandi che riemergono da qualche dipinto parietale di micenea memoria di Campigli, le pennellate calligrafiche, avvolgenti e malinconiche di De Pisis, le forme cubiste di Paresce, i dolenti Pulcinella di Severini che tanto ricordano gli arlecchini e gli acrobati del Picasso del periodo blu e rosa e le tensioni plastiche di Mario Tozzi.

La parabola de les italiens dura pochi anni. I sette artisti proseguono singolarmente il loro percorso pittorico, seguendo ciascuno una strada diversa. Tuttavia, questo sodalizio segna profondamente la storia dell’arte europea tra le due guerre e rappresenta una testimonianza importante di come gli artisti italiani riuscirono a conquistare Parigi.

Barbara Castellaro

 

PARIGI ERA VIVA DE CHIRICO, SAVINIO E LES ITALIENS DE PARIS (1928-1933) Museo di Arti Decorative Accorsi -Ometto | Torino 21 ottobre 2021 – 30 gennaio 2022

ORARI Martedì, mercoledì e venerdì 10.00-18.00 │ Giovedì 10.00-21.00 │ Sabato, domenica e festivi 10.00-19.00 │ La biglietteria chiude mezz’ora prima │ Lunedì chiuso

INFORMAZIONI PER IL PUBBLICO: Museo di Arti Decorative Accorsi-Ometto Via Po 55 | Torino | 011 837 688 int. 3 www.fondazioneaccorsi-ometto.it info@fondazioneaccorsi-ometto.it