CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 388

Un concerto in Duomo per le vittime del ponte Morandi

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Concerto dedicato alle vittime del Ponte Morandi, in anteprima assoluta nel Duomo di Torino, sabato 2 aprile, presentato dall’Accademia Corale Stefano Tempia e dall’Accademia della Cattedrale di San Giovanni, con il patrocinio del Rotary Club Torino Duomo

 

Il Ponte Morandi e la sua caduta. Una tragedia da non dimenticare, le cui vittime riceveranno un omaggio da parte della musica.

L’Accademia Corale Stefano Tempia e l’Accademia della Cattedrale di San Giovanni, il Comitato  Ricordo Vittime Ponte Morandi e il Rotary Club Torino Duomo presentano, infatti, in anteprima nazionale, il 2 aprile prossimo alle 21 il concerto del ricordo e della speranza dedicato alle vittime del Ponte Morandi.

Il concerto, in programma in anteprima nazionale nella Cattedrale di San Giovanni Battista in piazza San Giovanni, con il sostegno del Rotary Club Torino Duomo, presenta un programma che abbina tre brani commissionati per l’occasione alla “Pastorale d’ete’” per Orchestra di Honegger e al tenero brano del “Siegfried-Idyll”di Richard Wagner.

I brani commissionati per l’occasione sono il “14 agosto” per mezzosoprano, coro e orchestra di Giuliana Spalletti (è stata il 14 agosto 2018 la tragica data in cui si verificò  il crollo del ponte Morandi di Genova), “Disoriente”, per mezzosoprano e orchestra,di Marco Sinopoli e “Vele di luce”, per mezzosoprano e orchestra,di Giancarlo Zedde.

L’evento, realizzato con il patrocinio del Comune di Genova  e dell’Arcidiocesi  di Genova, oltre  a celebrare la memoria di questa spaventosa tragedia, consentirà al pubblico di  ascoltare in prima esecuzione assoluta tre opere di autori contemporanei, che risultano di ampio respiro, nell’esecuzione della mezzosoprano torinese Laura Capretti e dell’Orchestra e Coro dell’Accademia Stefano Tempia, diretta dal maestro Luigi Cociglio. Dopo la dura fase della pandemia, finalmente Coro e Orchestra tornano a realizzare una grande produzione sotto la direzione del maestro Antonmario Semolini, nuovo direttore musicale. I brani di Spalletti, Zedde e Sinopoli, composti su testi poetici di Bottino, sono in prima esecuzione assoluta.

“14 agosto” risulta la presa d’atto e di coscienza della tragedia avvenuta con il crollo del Ponte Morandi, oltre che una progressiva consapevolezza del fatto che  tale cafastrofe, inizialmente assolutamente incredibile, abbia generato una sorta di dolore cosmico, senza, comunque, mai perdere il contatto con la realtà della cronaca e della storia umana.

Il brano “Vele di luce”  rappresenta un vero e proprio inno alla città di Genova, alla sua anima che è  stata ben descritta dal poeta Anton Cechov con le seguenti parole “Per le strade di Genova  cammina una folla meravigliosa. Quando si esce, di sera, tutta la strada è  colma di gente. Poi te ne vai a zonzo, senza una meta, tra quella folla; vivi della sua vita, ti confondi a lei nell’anima; e cominci a credere che possa esistere una sola anima universale”.

“Disoriente” rappresenta una riflessione sui segni dei tempi che stiamo vivendo, sullo spaesamento,  il disorientamento, lo smarrimento dei punti cardinali tradizionali e sulla necessità  del recupero del senso dell’umanità come bussola per ristabilire una piena alleanza con la natura e una direzione per l’esistenza.

La “Pastorale d’ete’” venne composta da Arthur Honegger nel 1920, appena tre anni prima del “Pacific 231”, la musica delle macchine. Ispirata alla poesia di Arthur Rimbaud, mantenne una provocazione a livello di soluzioni strutturali, in cui la partitura risulta per archi, fiati singoli e corno. È  stata ispirata al compositore anche da un soggiorno sulle Alpi Svizzere sopra Berna e rappresenta il suo primo lavoro  di rilevante importanza prima dell’”Horace vittorieux”, che scrisse nell’inverno del 1920/21.

L’Idillio di Sigfrido è  una composizione per orchestra da camera che Richard Wagner scrisse nel 1870, nata quale regalo di compleanno per sua moglie Cosima, figlia del compositore Liszt, sposata il 25 agosto. La sua prima esecuzione si tenne, infatti  in forma privata nella mattina di Natale di quello stesso anno presso la villa dei Wagner. I due temi principali sono il tema iniziale della Pace, anche chiamato tema dell’”amata immortale”, che evoca, molto probabilmente, la serenità della vita domestica e familiare del compositore in quel periodo, e il tema rappresentante il personaggio di Siegfried. L’orchestrazione originale prevedeva flauto, oboe, due clarinetti, fagotto, due corni, tromba e archi.

Il concerto vuole esprimere una nuova idea di Umanesimo, capace di porre, più che l’uomo, il rapporto uomo-natura al centro di una nuova cosmologia. Questo progetto memoriale dedicato alle vittime del Ponte Morandi segue una costellazione di fatti e stati d’animo, a partire dal crollo, attraverso la lacerazione, la tragedia, quindi il soccorso, la solidarietà,  la rinascita spirituale e il desiderio di riconciliazione e di redenzione, di rinnovamento dell’alleanza tra l’uomo e la natura.

Un sottile fil rouge accomuna i cinque brani proposti nel concerto; si tratta, infatti, di cinque “isole” di un arcipelago il cui centro è costituito dall’impulso, dallo slancio vitale, nonostante tutto, e soprattutto dalla speranza, nonostante l’irrompere del male nella quotidianità.

Si tratta di un’alternanza di forme creative e stilistiche che rappresenta uno degli assi portanti dello spirito e della progettazione dell’Accademia della Cattedrale di San Giovanni, che costituisce il centro di irradiazione culturale e artistica del Duomo di Torino.

Il concerto verrà  poi eseguito il 3 aprile, sempre alle 21, in prima esecuzione nazionale assoluta, a Genova, presso la Basilica della Santissima Annunziata del Vastato, in piazza Nunziata 4, con ingresso libero.

Per informazioni dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12.30 scrivere a

segreteria@stefanotempia.it oppure telefonare  al numero 3899117174.

 

Mara Martellotta

Il “Berretto” di Lavia, grande esempio di tragicità e divertimento

La commedia di Pirandello, al Carignano sino a domenica 3 aprile

Gabriele Lavia  continua a percorrere le strade che lo portano a esplorare sempre più la drammaturgia pirandelliana, in ultimo “I giganti” e “L’uomo dal fiore in bocca”, oggi “Il berretto a sonagli”, testo che lo scrittore siciliano scrisse per la grande vena comica di Angelo Musco nel 1916, con il titolo “A birritta cu’ i ciancianeddi” per trasportarlo nuovamente due anni in lingua (Eduardo ne consegnerà nel ’36 una versione napoletana) – sino a domenica 3 aprile al Carignano per la stagione dello Stabile torinese.

Con Lavia siamo abituati ad uno scavo profondo all’interno dei testi (tanto per cominciare, s’accoglie di buon grado quella contaminazione che ha deciso tra le due versioni, perché più si avvertano le differenze tra le classi sociali, o le eleganze o le affettazioni), si raffina con uno sguardo in più, ti avvolge sin dall’inizio della serata con quei manichini (o “pupi”) che scorgi entrando in sala, ai lati del palcoscenico, estremamente realistici, che diverranno una quindicina a sipario aperto, la gente del piccolo paese, curiosa, soffocante, pronta a giudicare, che vive di pregiudizi, vestita nelle vesti di primo Novecento, eleganti e no, tra cui si consumerà la tragedia di quell’uomo ridicolo che è Ciampa, lo scrivano del cavalier Fiorica, un uomo da poco, ma anche noi spettatori che assistiamo alla sua parabola.

In un ambiente altrettanto soffocante, costruito di mobili e piante e divani e poltrone sghembi, che esprimono un stato polveroso di precaria decadenza, ecco il calvario di Beatrice, la moglie del cavaliere, i suoi dubbi per una relazione tra il consorte e la giovane moglie dello scrivano, lemacchinazioni perché – come nel “Così è (se vi pare)” di quegli stessi anni – la verità venga alla luce. Ma perché rompere quelle regole che da sempre regolano la vita della città e la sua gente, perché nascondersi alle domande di Ciampa che le chiede di parlar chiaro, da galantuomo dando libero sfogo alla corda seria, perché non riuscire a vedere quelle conseguenze che porteranno al finale? Perché arrivare ad un arresto, ad uno scandalo? Si è scoperchiato il vaso, la gente mormora e parla a voce viva, le prove di quell’adulterio da grottesca ma dolorosa commedia non hanno valore, non esistono, bisognerà rimettere a tacere quel borbottìo che ha preso a invadere le strade del paese. È necessario riattivare la corda civile, sovrana al nostro vivere con gli altri, certe cose si possono anche fare, ma non se ne può dire. Più “raisonneur” di un Laudisi o dei tanti altri che occupano i dialoghi delle opere dell’autore, Ciampa, pronto a evadere dalla sua “stanza della tortura”, acchiappa al volo le parole degli stessi congiunti della signora, improvvise, pronunciate inavvertitamente, come un soffio, ma bandolo di ogni intricata matassa. Beatrice si proclamerà pazza, la pazzia di un momento ma irreparabile (quella pazzia che, verissima, toccava in quegli stessi anni Pirandello, costretto a far rinchiudere in un istituto la moglie Antonietta Portulano colpita da una follia fatta di gelosia e di terrore per un dissesto economico), basterà gridare in faccia a tutti la verità, nessuno la crederà e tutti la prenderanno per pazza, con grande tranquillità. La rottura della corda pazza. Pochi mesi di manicomio (che brutta parola, diciamo con il sorriso in faccia casa di salute!) e il gioco di sempre sarà ristabilito. Ancora una volta verità e finzione, realtà e camuffamenti, il gioco delle maschere da indossare, di volta in volta, secondo come gli altri ci vedono, come vorrebbero che fossimo.

C’è farsa e c’è tragicità in una delle più belle commedie di Pirandello e Lavia orchestra ogni cosa con grande, personalissima padronanza. Affida ai personaggi minori la risata e il divertimento – sempre con una piega brusca alla bocca, un pensiero fatto di tristezza, un capovolgersi della situazione in smarrimento, ma sempre divertimento – mentre, in un andare e venire di ombre scolpite sulla tela, a tratti incessante e incombente, da una tela a lato dalla quale Beatrice e Ciampa soli entrano ed escono, raccoglie in sé lo scorno, la disperazione, i ragionamenti, il “selvaggio piacere” che progrediscono man mano nel personaggio. Costruisce un personaggio perfetto, nella sospensione delle parole, nel modulare i toni della voce, nel muoversi attraverso il palcoscenico con gesti minimi, studiatissimi, decisi o impacciati, perfetto nel darsi in pasto agli altri. Gli è accanto Federica Di Martino, ossessionata e decisa, eccellente in quel disegno che architetta, nella rabbia e nel desiderio di rivincita che ritrova in se stessa, nel disorientamento che l’assale, nella sconfitta ultima. Non ultime le prove di Mario Pietramala (il delegato Spanò) e di Francesco Bonomo (don Fifì), che vive la propria vita tra le canzoni d’epoca buttate nell’aria da un grammofono e si muove e danza allegramente come un assiduo frequentatore di café chantant, ben assente dalla tragedia che s’è abbattuta sulla casa della sorella.

Elio Rabbione

Le foto dello spettacolo sono di Tommaso Le Pera

L’angolo della Poesia di Gian Giacomo Della Porta: Marco Isidori

Navigazione fluviale, giovane Orinoco verde, per Marion D’Amburgo che possiede lo sguardo del dio/ da Poesie militari, Marco Isidori, 1985

Navi eventuali sciolgono la monta dei piani nuvolosi che s’organizzava sottraendo

alla guerra principale l’acuminato blu proprietario della punta di lancia arrotata

degli affluenti del fiume brillante e conica meraviglia sul troncone degli armati di luce propria

conseguentemente vestiti col mantello capace d’includere il traino basato sul misfatto solvente

che trabocchettò la scarpa bianca sulla pellicola consistente di sangue perlato.

Il cielo schianterà completa la bocca perciò abbandonando alla prevalenza della gravità

bianco l’urlo e bianca la naufragata biancacoda densa sovraintendente

alla generazione subacquea degli organi riproduttori assegnati ai mammiferi mondiali

dei mondi estremi e se ce n’è d’oceanica totale la classe convenuta al quadrato bagno iniziale

prima che la geometria fosse e fosse attaccata dal branco presente dei lupi verbanti,

la folla nasce di questi giganti, e vive da un seme d’inchiostro bic nero che l’arbitro vero non è,

per adesso.

Se il numero di molte vette di parola che dicono verdi le sfogliate pinne delle verdesche

a centinaia allineate nel progetto  di un mio vivo traghetto gettato tramite la doma del corpo

di quei pesci messo fissato fisso e irretito dalla ferrea trama dei versi che s’agganciano

alla criniera dei fratelli maggiori lanciati in carriere che spolverano il mondo, s’indovina,

è perché l’esatto confine del numero che gela il sangue e la sua dolce insipienza si trasforma

in gastronomia, si può tracciare senza tema d’orrore alcuno; ce ne telegrafa l’inaudita potenza

numerosa l’abaco celeste con la bella calma a disposizione dei grandi pallottolieri quando

li facciamo postini muti che bisogna far lavorare tanto e tutta tagliata la lingua alla canzone

sentirla egualmente in maestà sterminata la musica loro calarsi sul naso museruolato

degli squali giù per il filo ferrato teso ancora dalla bocca delle parole alla mia

che ancora scia rossa il sentiero di guerra aperto dallo scarponcino meraviglioso chiodato

sì e sì risuonante di tempestose lacrime sì fiume nel fiume divino sì che la porpora reticolata

sfoderi il suo viola la ripiena e d’amore fornito d’un’accordatura micidiale che intrecciar

possa l’oro universo del verso poetico nella corda sufficiente per il cappio del sole.

L’elica ammazza la luce e i brandelli superstiti eccoli in fuga franare alle rive di fieno

della foresta e il suono suo di rotore fatto pieno rotante tondo suono ecco si spinge sul pelo

della corrente arcionata d’abisso e già che si tiene la notte, lei, sulla groppa intrisa

mette anche la spugna del lunario gradinato nel docile smeraldo delle sponde artificiali

figlie d’un etimo schiacciante e implacato e goffo e rauco smagliatore di verità qualsiasi

nella smagliante mafia delle stelle.

Nottetempo è sbalordito dalla febbre e invaso dal nero colore che sta ripassando

la parte del notturno tropicale mal fatta perché giù di corda son le vocali e già in disaccordo

con quel suo baule d’inchiostro fabbricato apposta per tingere il semplice caso corrente:

cioè che il racconto della notte a queste latitudini, altro non deve essere

se non è lo spessore della pioggia bianca fino alla dannazione di doverlo in qualche modo

stanare sto bianco colore dal respiro della perla nera madre perla finta e, lacerate le insegne

dell’ordine naturale, permettendogli l’affronto supremo allo stato, quello dei cieli compreso,

composto all’ora dal trionfante assortimento dei fondali utili a prospettare per la grande foresta

l’alba con una sola ala, l’alba ripetente che non può diventar giorno pieno, volante,

né bene dormire sull’oceano neppure, se il verde congegno dell’oceano perlato,

che le farebbe e presto raggiungere la luce conclusiva, appare nel corso orizzontale

di questo navigare, come nel Romanzo, l’acquaverde maiolicata della piscina grande, appare.

Le foreste centroamericane avvenivano.

***

Marco Isidori è poeta, attore, fondatore della  Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa, compagnia teatrale tra le più originali e note del panorama artistico internazionale.

Poesia, musica e teatro si fondono perfettamente nell’opera di Isidori, eccellente nella sua personalissima riscrittura dei grandi testi classici, nei quali le parole diventano musica e la musica si fa verbo fino a diventare una sorta di ponte emotivo che collega il pubblico al vivo palco.

il testo che qui vi ho proposto in forma leggermente ridotta, che conserva comunque il suo originale spirito e consegna al lettore un grande esempio della poetica di Isidori,  “Navigazione fluviale, giovane Orinoco verde, per Marion D’Amburgo che possiede lo sguardo del dio”, fu portato in scena a Palazzo campana nella primavera del 1989. Condivido e cito il commento contenuto nel libro curato da Davide Barbato “I teatri della Marcido Marcidorjis e Famosa Mimosa” (Editoria e Spettacolo, collana Paesamenti): “…due poesie che molto distano nei cataloghi ufficiali, ma solidali invece e bene, nell’attore che su di esse, veicolo e anche passaggio, tenterà di scovare una traccia della propria necessità, esile. Un telaio di luce acquatica permette al poema dedicato a Marion D’Amburgo di torcersi e gonfiare fino alle proporzioni dell’epica, conservando al carattere suo di congegno barocco, la forza di attingere la sensibilità prismatica che lo riempie da uno spettro speciale, inteso come speciale della specie”.

Per quanto mi riguarda, so che ogni immagine, ogni verso che porti in sè la scelta meticolosa e curata della parola, finalizzata all’esaltazione della bellezza e del sentimento, è poesia. La forma stilistica, la ricchezza di contenuti che diventano una firma inconfondibile dell’opera di Isidori, mostrano un talento affinato e complesso che merita una lettura e una rilettura.

Gian Giacomo Della Porta

Che vita, la vita alla Corte dei Savoia!

Un prezioso spaccato nel nuovo libro di Andrea Merlotti

“Noblesse oblige”. Il celebre motto partorito dalla fervida mente dello scrittore e politico francese Pierre-Marc-Gaston Duca di Lévis (1764 – 1830) –  tratto dalle sue “Maximes et essais sur différents sujets de morale et de poltique – doveva essere “oro colato”, da mattina a sera e in ogni luogo e in ogni stagione, per tutti i membri della corte sabauda. Qualunque fosse il loro ruolo. Qualunque fosse il loro più o meno stretto vincolo di parentela con i Reali. Vita dorata, per i più. Ma – presumiamo– anche un tantino faticosa, per altri, anzichenò! Allora, come oggi, per le moderne monarchie. A tracciarne bene onori e oneri, lievità e obblighi da portarsi addosso come macigni è il nuovo libro di Andrea Merlotti “Vita quotidiana alla corte dei Savoia (1663 – 1831”, Edizioni del Capricorno, Torino, 2021), presentato in “Palazzo Madama-Museo Civico d’Arte Antica” a Torino. Blasonato storico, Andrea Merlotti, dal 2007 dirige il “Centro studi del Consorzio delle residenze reali sabaude” (Reggia di Venaria) ed é autore e curatore di numerosi lavori sull’Italia e gli Stati sabaudi fra Sei e Ottocento. Oltreché “Socio corrispondente” della “Deputazione Subalpina di Storia Patria” e membro del comitato scientifico del “Centre de Recherche du Château de Versailles (CRCV)” e  del “Centro Studi Piemontesi”. Scrive anche su “Il Sole – 24Ore” e su “Il Giornale dell’Arte” e ha collaborato a diversi programmi di Rai 3Rai5RaiStoriaFrance2 e France3. In questo suo ultimo libro, presentato a “Palazzo Madama”, Merlotti si prefigge di ricostruire con rigore e assoluta verità storica la vita quotidiana di “quella grande macchina” rappresentativa del potere che fu la corte sabauda. Macchina mossa da un ingegnoso e raffinato meccanismo, al cui funzionamento (volenti o nolenti) hanno partecipato per secoli migliaia di persone, ognuna interpretando ruoli imposti e ben definiti, con impeccabile precisione, dalle regole di palazzo e dagli innumerevoli cerimoniali. Il volume restituisce alla corte dei Savoia – si è ricordato in presentazione – il suo ruolo politico, per lungo tempo dimenticato o incompreso. Cerimonie e riti curiali sono ricostruiti in modo da comprendere il loro ruolo nella gestione e nella rappresentazione del potere da parte della dinastia, esemplare in tale senso il caso dei baciamani di Capodanno”. Una parte importante del volume è dedicata alla “sfera religiosa”, cui era attribuito un ruolo centrale nella vita di corte, e ai suoi spazi, fra i quali spiccano la “Cappella della Sindone” e la “Basilica di Superga”. Protagoniste del volume sono anche, ovviamente, le residenze sabaude, che furono il teatro, il grande palcoscenico della vita di corte e che, nel loro concepimento strutturale e architettonico, furono spesso definite proprio dalle cerimonie e dai riti che in essi solitamente si svolgevano. Sotto il segno di una grandeur – vera o talvolta presunta – che accompagnò per secoli la dinastia sabauda. “I grandi Stati – scriveva ancora nelle sue ‘Massime’ il Duca di Lévis – possono sopportare anche grandi abusi, sono i grandi errori che li fanno perire”. Parole sagge. Valide per ogni tempo e luogo. Oggi più che mai, stando purtroppo a quanto capita nel mondo.

g.m.

Nelle foto:

–       Cover libro

–       Andrea Merlotti

Mattarte, il Piemonte a Modenantiquaria

La casa d’arte e antiquariato di Verolengo

Ha preso il via il 26 marzo scorso, fino al prossimo 3 aprile,Modenantiquaria, manifestazione internazionale dedicata all’Alto Antiquariato, giunta ormai alla sua 35esima edizione. Designer, esperti e appassionati d’arte si ritrovano alla kermesse artistica di Modena, dove sono protagoniste le opere d’arte d’eccezione, garantite dai maggiori antiquari italiani e esteri.

Anche il Piemonte è presente a Modenantiquaria con la partecipazione, ormai consueta, di MATTARTE, realtà del territorio specializzata nella compravendita di arte e antiquariato, nata nel lontano 1896 come bottega d’arte. L’antiquariato ha, da sempre, rappresentato una passione di famiglia, anche negli anni Cinquanta, in cui era attivo Giovanni Matta, sensibile ai cambiamenti del mercato e capace di sviluppare ulteriormente l’azienda, introducendo anche il ruolo di casa d’aste. Oggi l’attività è arrivata alla quarta generazione con Pinuccia Matta e il marito Raffaello Lucchese, perito e esperto d’Arte del Tribunale di Torino.

Diverse le opere che MATTARTE, che gode di una affezionata clientela, espone a Modena, tra cui una coppia di dipinti di nature morte realizzate da Andrea Scacciati, nella fase più felice dell’attività dell’artista, negli anni Ottanta del Seicento. Andrea Scacciati, pittore di Casa Medici, favorito in particolar modo dalla granduchessa Vittoria, ma altrettanto apprezzato dal Granduca Ferdinando, mostrò una cultura figurativa capace di conciliare i preziosismi dei pittori fiamminghi e olandesi contemporanei, non tralasciando legami con le opere di Mario de Fiori.

Un altro dipinto di pregio esposto è quello intitolato “Madonna con il Bambino in trono e angeli musicanti”, realizzato a tempera su fondo oro, risalente al 1497. Il dipinto rappresenta il pannello centrale di un polittico, i cui laterali, San Filemone e San Giuseppe, Sant’Anna e San Francesco, sono conservati alla Pinacoteca di Brera a Milano. L’opera è stata notificata dai Beni Culturali Italiani.

Tra le altre opere presentate a Modenantiquaria figura anche l’olio su tela intitolato “Giochi di tre putti e due conigli” di Vittorio Amedeo Rapous  (Torino 1729-1800).

MARA MARTELLOTTA 

ModenaFiere

Tel 059848380

info@modenafiere.it

 

info@mattarte.it

“La Primavera” secondo Pejrone al Castello di Miradolo

Prosegue al ritmo delle stagioni, la mostra “Oltre il Giardino. L’abbecedario di Paolo Pejrone”

Fino al 15 maggio

San Secondo di Pinerolo (Torino)

Architetto-paesaggista fra i più celebri a livello internazionale. Ha raccontato di “giardini e orti felici” in numerosi libri, è fondatore e presidente dell’“Accademia Piemontese del Giardino” ed è l’ideatore della mostra-mercato “Tre giorni per il Giardino” al Castello di Masino. Nel 2013 è stato insignito del titolo di “Chevalier de l’Ordre des Art et des Lettres” dal Ministero francese della “Cultura e Comunicazione”. Creativo a larghe mani. Geniale. Originale e un po’ (quel tanto che basta) visionario, solo a Paolo Pejrone poteva venire in mente di organizzare una mostra nella mostra, incentrata sul viaggio nel tempo, “una mostra che segue il corso delle stagioni, che accompagna il loro trascorrere nel tempo, che muta prospettive, colori, luci e ombre, come un giardino”. Una rassegna che cambia pelle, voce, armonie e s’arricchisce di nuove opere e proposte a seconda del mutar delle stagioni. Così, dopo l’estate, l’autunno e l’inverno, “Oltre il Giardino. L’abbecedario di Paolo Pejrone” è arrivata finalmente, da alcuni giorni, alla primavera. E in tal veste proseguirà fino al 15 maggio. Il progetto espositivo, distribuito nelle sale storiche del Castello e nei sei ettari del Parco all’inglese che lo circondano, è stato immaginato come un cammino ideale lungo un anno, dove le opere in mostra, per l’appunto, cambiano con il variare delle stagioni. Nella sua inedita e ultima veste, quella primaverile, saranno esposti nuovi modelli e disegni pomologici di fragole, albicocche, mele e pere ( in tema con la stagione ) di Francesco Garnier Valletti (Giaveno, 1808 – Torino, 1889), ultimo ineguagliato modellatore e riproduttore di frutti artificiali, artigiano, artista e anche scienziato, e il “Tappeto natura – Cavolo canario” di Piero Gilardi. I “tappeti natura” (realizzati dall’artista torinese a partire dal 1965) riproducono fedelmente scenari naturali con intento ironico e polemico: l’artista prende spunto dalla Pop Art statunitense, in particolare dalle creazioni di Claes Oldemburg (origini svedesi di Stoccolma), per denunciare l’intervento dell’uomo che ha trasformato la natura in realtà asettica e del tutto artificiale. Le nuove opere si affiancano a quelle già presenti – provenienti per la maggior parte da collezioni private – di Andy Warhol, Giorgio Griffa, Lucio Fontana, Giovanni Frangi, Francesco Menzio, Arrigo Lora Totino, Gilberto Zorio, Umberto Baglioni, Paola Anziché, Robert Rauschenberg, Giuseppe Penone, Mario Merz e Giovanni Anselmo. Obiettivo: costruire un dialogo immaginario con le parole di Paolo Pejrone intessendo riferimenti e suggestioni e suggerendo letture e possibili interpretazioni del percorso di visita per costruire un cammino, “oltre il giardino”.

La mostra, realizzata dalla “Fondazione Cosso” al Castello di Miradolo a San Secondo di Pinerolo (Torino), a cura di Paola Eynard e Roberto Galimberti, si sviluppa attorno al concetto di abbecedario: un “ABC” del giardino, in rigoroso “dis-ordine alfabetico”, secondo le parole e i pensieri di Pejrone, ma soprattutto una riflessione profonda e intima su temi come la luce, l’ambiente, la calma, i dubbi, le speranze, le sfide che il mondo contemporaneo offre al rapporto tra uomo e ambiente. L’esposizione è completata da un’installazione sonora appositamente dedicata, a cura del progetto artistico “Avant-dernière pensée”, articolata attorno a tre nuclei essenziali. Il primo, al piano terra, si concentra sulla musica di Gioachino Rossini proponendo un’architettura sonora nello spazio dell’opera giovanile del compositore “6 Sonate a quattro”. Nelle sale del primo piano l’installazione sonora presenta una reinterpretazione della Sesta Sinfonia, “La Pastorale”, di Ludwig van Beethoven. Infine, dedicata all’opera “Venti frammenti” di Giorgio Griffa, un’inedita riscrittura di “Apartment House 1776” di John Cage, nella versione per quartetto d’archi. Le ricerche iconografiche per la mostra sono a cura di Enrica Melossi.

g.m.

“OLTRE IL GIARDINO. L’abbecedario di Paolo Pejrone”

Castello di Miradolo, via Cardonata 2, San Secondo di Pinerolo (Torino); tel. 0121/502761 o www.fondazionecosso.com; solo su prenotazione

Fino al 15 maggio

Orari:ven. sab. dom. e lun. 10/18,30

Nelle foto

–         Paolo Pejrone

–         Piero Gilardi: “Tappeto natura. Cavolo canario”, poliuretano espanso, 2020, Courtesy Biasutti & Biasutti

–         Orto Castello di Miradolo

Allevi e non solo al teatro Colosseo

 

TEATRO COLOSSEO
Via Madama Cristina 71 – Torino

La stagione 2021 – 2022

 

Mercoledì 30 marzo ore 21
OPEN
poltronissima € 33,70 | poltrona A € 28,50 | galleria € 25,50 | galleria B € 22,50

Open, scritto a quattro mani dal coreografo americano – innamorato dell’Italia – Daniel Ezralow con la moglie Arabella Holzbog, è un patchwork di piccole storie che strizzano l’occhio allo spettatore con numeri a effetto, multimedialità, ironia e umorismo, all’insegna del più puro entertainment.  “Un antidoto alla complicazione della vita“, come dichiara lo stesso Ezralow. Uno spettacolare inno alla libertà creativa, al ciclo della vita e alla rivisitazione dei successi da lui creati, volto a trasportare il pubblico in una nuova dimensione dove umorismo e intensità danno vita a una miscela esplosiva di straordinaria fantasia creativa ed emozione scenica. “Prima di chiamare lo spettacolo Open, pensando a Calvino avevo pensato a Recostruction, perché dobbiamo continuamente rimuovere e ricostruire. Il titolo però non funzionava, così mia moglie mi ha suggerito Open: una parola che, con le sue quattro lettere molto bilanciate ha in sé tanta energia. I motivi per cui ho deciso di chiamare lo spettacolo Open sono diversi: aperti possono essere il cuore, la mente, gli occhi, una finestra. Open vuol dire aperto al mondo, al lavoro, al business, agli altri. Bisogna guardare al presente senza remore, appunto con mente aperta. La vita è spesso pesante, ma abbiamo tanta energia positiva che aiuta a risolvere i problemi. Il titolo fa riferimento a un’apertura culturale ma anche stilistica. A me piace mescolare. La mia formazione non è classica, quindi ci sono poche punte; non è neanche la break dance, quindi non roteo tanto sulla testa. Posso però usare ognuno di questi elementi per comunicare il senso del momento”.
Sul palcoscenico, oltre ad una scenografia molto semplice composta di quattro pannelli su cui vengono proiettati una successione di quadri visivi e vignette in movimento, vi sono otto ballerini della sua compagnia americana che, nelle numerose sequenze di gruppo così come negli assoli, coniugano con scioltezza il linguaggio neoclassico e la modern dance, incantando il pubblico in un mix tra sorpresa, divertimento, leggerezza e agilità. Nella coreografia di Open si susseguono emozioni e sensazioni differenti, come l’ironia, il dolore, o la speranza, fino ad arrivare a un’idea ecologista. “In Open c’è il contrasto tra città e natura, laddove solo quest’ultima può liberare l’uomo dalla frenesia della vita. Il filo conduttore è che attraverso la città arrivo alla natura. Ritengo che oggi i più giovani siano cresciuti con dei nuovi valori che noi non avevamo, come il rispetto per l’ecologia. L’ho visto in mio figlio che a dieci anni nella sua scuola di Los Angeles aveva seguito programmi innovativi sul rimboschimento. Saranno loro a salvare il mondo. Con questo spettacolo la mia intenzione non è raccontare una storia, tant’è che il clima è piuttosto astratto, ma sono i vari elementi messi insieme a fare la storia. I danzatori per metà spettacolo sono vestiti, l’altra metà sono nudi ma dipinti. È stato a diciannove anni che avevo scoperto che potevo esprimermi e raccontare col corpo. Del resto, il nostro linguaggio nasce dal corpo, che è il nostro strumento. La tecnica, invece, è un modo di esprimersi; a differire sono solo le finalità


OPEN – Olympiads -Photo by Fabio Diena
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Venerdì 1 e sabato 2 aprile ore 21
MAURIZIO BATTISTA
Tutti contro tutti
sold out

Maurizio Battista torna sul palco con uno spettacolo inedito, “Tutti Contro Tutti”.
È proprio vero che si è destinati a vivere tutti contro tutti? Che si è costretti ad assecondare i ritmi frenetici di una vita mandandola spesso fuori giri? Che i social sono l’unico momento di aggregazione o non piuttosto il modo migliore per alienarsi e soffrire di solitudine?
A queste e a tante altre domande risponde nel suo nuovo show Battista che, con la sua indiscutibile capacità di far ridere, riesce ad unire tutti gli spettatori all’insegna del divertimento e delle risate.
«Perché la risata, udite udite, unisce tutte le persone! – afferma – Visto che la cosa più bella che abbiamo in questa vita, sono proprio gli altri! Oddio, non proprio tutti, eh…»

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Domenica 3 aprile ore 18
GIOVANNI ALLEVI
Estasi Tour
poltronissima € 50,00 | poltrona A € 39,80 | galleria € 32,60 | galleria B € 25,50

Il  nuovo  tour  europeo  del  compositore  e  pianista Giovanni Allevi, il 3 aprile, al Teatro Colosseo di Torino. In questo concerto presenta live  i  brani  della  sua  ultima  opera  musicale,  Estasi,  per  pianoforte solo.
Attraverso  le  note  del  pianoforte,  il compositore  Giovanni  Allevi  conduce  per  mano  l’ascoltatore  nelle molteplici emozioni dell’essere umano, fino alla più sublime: l’estasi, percorrendo  momenti  di  riflessione,  di  sognante contemplazione, impennate aggressive e rarefatta tenerezza. Le coinvolgenti note del nuovo lavoro del compositore-filosofo, saranno l’occasione per il pubblico di avvicinarsi all’esperienza meravigliosa  dell’estasi,  attraverso  il  tocco  inconfondibile  del  suo pianoforte.


Giovanni Allevi – Photo credit Max Valerio

Tutte le informazioni sul sito www.teatrocolosseo.it e sui profili social del Teatro.

 
 

 

Bere il territorio, raccontare il vino attraverso un viaggio

Ventunesima edizione per il Concorso Letterario Nazionale di Go Wine

Il bando di concorso scade il 30 aprile 2022
L’associazione Go Wine promuove la ventunesima edizione del Concorso Letterario Nazionale
“Bere il Territorio”. Il Bando viene divulgato più avanti rispetto ai tempi abituali di tutte le
precedenti edizioni, con scadenza per la consegna degli elaborati al prossimo 30 aprile 2022.
La cerimonia di premiazione è fissata per sabato 28 maggio ad Alba.
Il Concorso Nazionale “Bere il Territorio” è un progetto culturale che ha sempre accompagnato la
vita dell’associazione fin dalla sua costituzione, caratterizzandosi come un’iniziativa qualificante
per Go Wine e sempre molto partecipata.
Il Concorso anche quest’anno rimane fedele all’idea che l’ha originato e risponde alla volontà di
contribuire in modo concreto ad accrescere e diffondere la cultura del vino e il consumo
consapevole di un prodotto strettamente connesso con il suo territorio. “Bere il Territorio” per
attribuire un valore aggiunto a ciascun vino di qualità ed apprezzare, attraverso il calice, non solo
il prodotto in sé, ma anche la cultura e l’ambiente che esso racchiude.
Il tema del concorso si lega da alcuni anni in modo più diretto all’idea che ha ispirato fin dalla
costituzione l’associazione Go Wine: ovvero guardare ad una figura qualificata di consumatore
che non ama solo conoscere e degustare i vini, ma avverte il desiderio di farsi viaggiatore per
scoprire i luoghi dove ciascun vino si afferma e dove uomini e donne del vino operano.
Si mantiene peraltro inalterato lo spirito di fondo che anima l’iniziativa culturale: storia, tradizioni,
paesaggio e vicende culturali sono diversi i fattori che distinguono il vino da una qualsiasi
bevanda e che si esaltano nel percorrere un territorio del vino.
“Raccontare il vino attraverso un viaggio”: il Bando si lega a uno dei temi ispiratori
dell’Associazione Go Wine e invita i partecipanti a farsi idealmente viaggiatori, narrando un
percorso in un territorio del vino italiano, raccontando un’esperienza, evidenziando il rapporto
con i valori cari all’enoturista: paesaggio, ambiente, cultura, tradizioni e vicende locali.
La sezione generale del Concorso Nazionale “Bere il Territorio” si divide in due categorie – una
riservata agli over 24 anni senza distinzioni e una riservata a giovani dai 16 ai 24 anni – con la
finalità di stabilire un ideale confronto fra generazioni.
A fianco delle due categorie della sezione generale e agli altri riconoscimenti, si inserisce in questa
edizione la novità di un nuovo Premio Speciale con una connotazione più rivolta ai temi
dell’ambiente: è destinato infatti a realtà del comparto vinicolo che si siano distinte per aver
salvaguardato il patrimonio territoriale in un’ottica di valorizzazione del paesaggio, come recita
l’art. 8 del Bando.
È prevista inoltre la sezione speciale riservata agli studenti degli Istituti Agrari: in questa sezione
il Bando intende valorizzare e premiare lavori di ricerca rivolti al tema dei vitigni autoctoni, anche
tenendo conto di interessanti contributi che in ogni edizione pervengono.
Gli elaborati saranno sottoposti al vaglio della giuria composta da Gianluigi Beccaria e Valter
Boggione (Università di Torino), Margherita Oggero (scrittrice), Bruno Quaranta (La Stampa),
Massimo Corrado (Associazione Go Wine). Saranno quindi selezionati dalla sezione generale i due
migliori testi, uno per ciascuna categoria: i vincitori riceveranno ciascuno un premio di euro
500,00. Sarà selezionato dalla sezione speciale riservata agli Istituti agrari il migliore lavoro di
ricerca: il vincitore (o il gruppo) della sezione speciale riceverà un premio di euro 500,00.
Oltre ai premi riservati agli aspiranti scrittori, Bere il territorio conferma altri due Premi: ovvero il
riconoscimento a “Il Maestro” e il Premio Speciale a favore di un libro, edito durante l’anno
2021, che abbia come tema il vino o che, comunque, riservi al vino una speciale attenzione.

Sostengono questa iniziativa la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo e un Comitato di aziende
vinicole italiane che sostengono i progetti culturali di Go Wine:

Per informazioni:
Associazione Go Wine tel. 0173 364631 gowine.editore@gowinet.it – www.gowinet.it

IN ONDA: il palinsesto digitale di Fondazione Torino Musei

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Si trasforma in network, con nuovi contenuti dedicati a tutto il pubblico. La Fondazione Torino Musei presenta il suo nuovo canale. Una stratificazione di ispirazioni, punti di vista e approfondimenti che si articola tra MAO, GAM e Palazzo Madama

 

inonda.fondazionetorinomusei.it

Guarda il trailer

Il progetto IN ONDA è nato nell’ottobre del 2020 con lo scopo di offrire, principalmente agli insegnanti e studenti costretti alla didattica a distanza, un ampio e innovativo palinsesto di contenuti didattici multimediali, grazie a video e laboratori altamente professionali che hanno permesso di portare il museo a scuola, con il coinvolgimento di oltre 6.000 studenti.

Con 38 video, 3 visite guidate virtuali 360°, 7 podcast, 3 virtual tour interattivi e 12 percorsi didattici, oggi IN ONDA – ideato e curato da Fondazione Torino Musei in collaborazione con lo studio creativo multidisciplinare MYBOSSWAS e realizzato con il supporto di Camera di commercio di Torino – si trasforma in un vero e proprio network dedicato a un pubblico eterogeneo. Un canale Video On Demand ricco di contenuti inediti, a costruire il nuovo patrimonio digitale della Fondazione Torino Musei, amplificando in rete un’offerta culturale dal valore inestimabile. Il palinsesto include visite in realtà virtuale, mini-serie documentaristiche focalizzate sulle opere, approfondimenti dal taglio divulgativo, podcast e format didattici.

AFFLUENTI

Il cuore del palinsesto digitale di IN ONDA è il format Affluenti, che vede la partecipazione straordinaria di personaggi di spicco del panorama culturale italiano chiamati a interpretare le collezioni dei musei secondo le loro personali visioni e competenze. Mario CalabresiGloria CampanerGiada MessettiSavina NeirottiPiergiorgio OdifreddiGiuseppe PenoneCarlo Ratti e Marco Revelli sono i primi nomi coinvolti in un piano destinato ad arricchirsi, per approfondire temi legati alla fotografia, matematica, architettura, cinema, musica, storia, arte e letteratura, nelle prestigiose sale della GAM, del MAO e di Palazzo Madama.

 

RADIOGRAFIE DI UN’OPERA

Una serie di 9 video da circa 5 minuti raccontano ciascuno un’opera, scelta tra le collezioni di GAM, MAO e Palazzo Madama. Radiografie di un’opera vede direttori e conservatori approfondire i particolari di alcuni lavori iconici rivelandone il contesto storico, la tecnica, la composizione, in un racconto scandito da riprese video di alta qualità. La macchina da presa si avvicina e riprende il più piccolo dettaglio, e chi guarda può quasi entrare nell’opera e individuare nei particolari la tecnica: dalle pennellate alle incisioni, al segno lasciato dallo scalpello. Sacco di Alberto Burri, Ritratto d’Uomo di Antonello da Messina, Novembre di Antonio Fontanesi, il Cofano del Cardinale Guala Bicchieri, la scultura di un Guerriero giapponese e un Albero delle monete cinese sono solo alcune delle opere rappresentate.

LETTURE IN MUSEO

Con questo format il museo diventa teatro e palcoscenico di un contenuto che apre alla riflessione.

Grazie alla partnership con la Scuola Holden fondata da Alessandro Baricco, le Letture in museo hanno coinvolto gli allievi che, offrendo nuove chiavi di lettura ai capolavori esposti, sono impegnati nella lettura, direttamente nelle sale, di alcuni brani tratti dai classici della letteratura. Mattatoio n°5 di Kurt Vonnegut abbinato a Sacco di Alberto Burri, Il manuale dello spadaccino di William Scott Wilson con le armature dei samurai, Il deserto dei tartari di Dino Buzzati con la torre panoramica di Palazzo Madama, Un uomo solo di Christopher Isherwood con Portrait Relief of Claude Pascal di Yves Klein, Le città invisibili di Italo Calvino con lo scalone juvarriano, I cani romantici di Roberto Bolaño con Le Baiser di Francis Picabia, L’isola di Aldous Huxley con il Buddha sdraiato in Parinirvana, L’eleganza del riccio di Muriel Barbery con la stanza da tè tradizionale giapponese, La gioia di scrivere di Wislawa Szymborska abbinato alla Sala Stemmi di Palazzo Madama.

PODCAST

Il palinsesto di Fondazione Torino Musei non poteva non aprirsi a uno degli strumenti di approfondimento ormai divenuto imprescindibile per i fruitori di cultura. I podcast di IN ONDA sono audio racconti di storie e curiosità condotti dalle voci gli ospiti illustri di Affluenti, che guidano nell’esplorazione delle collezioni mettendole in relazione con altre discipline.

 

VIRTUAL TOUR E VISITE GUIDATE VIRTUALI

Il portale IN ONDA offre due tipologie di visite virtuali. Una visita guidata a 360° che prevede un itinerario studiato dai curatori, e un virtual tour per attraversare le sale dei musei in autonomia anche da casa. Un’esperienza digitale completa e immersiva, che offre l’opportunità di conoscere per la prima volta le collezioni, o rivivere il proprio percorso di visita approfondendo alcuni highlights grazie alla presenza di contenuti video mirati. I virtual tour sono realizzati con un sistema di scansione 3D che ricostruisce l’ambiente museale con fotografia ad alta risoluzione.

DIDATTICA

Continua l’impegno verso le scuole, gli insegnanti e gli studenti, per cui IN ONDA è nato.

Il successo che Fondazione ha raggiunto con il suo canale digitale pensato per le scuole conferma la volontà di proseguire nello sviluppo delle soluzioni dedicate agli alunni. Per questa ragione il palinsesto legato ai percorsi didattici si implementa con nuove proposte che arricchiscono l’offerta online.

Alle precedenti proposte si aggiungono 4 nuovi percorsi educativi, realizzando un nuovo video accompagnato dal relativo laboratorio per ciascun museo, più un percorso dal tema Natura, trasversale tra le tre realtà museali, sempre con un’attenzione particolare alla disabilità uditiva: alcuni video sono disponibili in LIS Lingua dei Segni italiana.

La Fondazione Torino Musei si prende cura delle oltre 150.000 opere delle collezioni d’arte della Città di Torino. Il passato con Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica, l’Oriente con il MAO Museo d’Arte Orientale e il futuro con la GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea: offriamo prospettive diverse su epoche storiche e mondi apparentemente lontani eppure connessi fra loro. La mission è la tutela di questo patrimonio e la sua divulgazione, con una particolare attenzione all’accessibilità e ai progetti educativi, per bambini e ragazzi di ogni età e le loro famiglie.

Per informazioni:

inonda.fondazionetorinomusei.it –  www.fondazionetorinomusei.it – www.gamtorino.it  – www.maotorino.it –www.palazzomadamatorino.it

Un omaggio al legame tra Carmelo Bene e Torino

 

Nella  mostra Bene, bis. 85 anni dalla nascita, 20 dalla scomparsa

Torino rende omaggio a Carmelo Bene nel ventennale della scomparsa con diversi appuntamenti tra cui la mostra “Bene, bis. 85 anni dalla nascita, 20 dalla scomparsa” a cura di Mario Serenellini al centro PHOS in Via Giambattista Vico 1 a Torino.L’esposizione si concentra sulle stagioni teatrali di fuoco degli anni 1966-1968 con una selezione di scatti d’autore (Gianfranco Mantegna, “Stephan”, Riccardo Orsini, Claudio Abate) scelte dal curatore ed esposte per la prima volta nel 2017 al MAV di Ercolano e al Festival Magma di Acireale/Milo.

L’artista dalla personalità straripante con il vizio della provocazione e una instancabile volontà di sperimentare l’arte come attore, regista, drammaturgo, scrittore e poeta, trovò un terreno fertile nella Torino degli anni Sessanta, percorsa da unfervido spirito avanguardistico. A vivacizzare la scena culturale torinese indipendente tra la metà degli anni Sessanta e Ottanta spiccava Edoardo Fadini, fondatore del Cabaret Voltaire, con unasensibilità artistica vicina a quella di Carmelo Bene, con il quale portò avanti un sodalizio artistico trentennale.

Il “sommo Bene” nel 1966, il 17-18 maggio, porta per la prima volta a Torino il suo Pinocchio e, sostenuto dall’Unione culturale Franco Antonicelli, animata da Edoardo Fadini, e con la mediazione del futuro sindaco Diego Novelli, lo spettacolo viene ospitato al Teatro Alfieri, e il 18 pomeriggio Bene lo presenta incontrando il pubblico nella sede storica di Palazzo Carignano dell’Uc. L’anno successivo, nel giugno 1967, il “Primo Convegno Nazionale per un Nuovo Teatro” di Ivrea promosso da Fadini e dall’Uc accoglie interventi e spettacoli di Eugenio Barba e dell’Odin Teatret, di Leo De Berardinis e Perla Peragallo, di Carlo Quartucci e Carmelo Bene, le cui contestazioni segnano fortemente lo svolgersi degli incontri. Nel 1968, l’8-9 e 11 marzo, l’Unione culturale e il Piper Pluri Club (che lo ospita) organizzano lo spettacoloconcerto di Carmelo Bene e Vittorio Gelmetti dal titolo Majakovskij. L’8 dicembre 1968, all’Unione culturale, va in scena Don Chisciotte di Carmelo Bene (con Bene, Mancinelli, De Berardinis e Peragallo), replicato dal 9 al Teatro Gobetti grazie alla co-organizzazione dello spettacolo tra Uc e Teatro Stabile. Il 14 gennaio 1969, Torino ospita quella che viene presentata come la prima nazionale di Nostra signora dei Turchi al Cinema Gioiello. Anche in questo caso si organizza a Palazzo Carignano un incontro pomeridiano di presentazione del film con Bene. Nei decenni successivi, Bene tornerà poi in città nell’ambito del progetto Toreat, realizzato sempre dall’inesauribile Fadini con il suo Cabaret Voltaire, l’Uc e le Università di Torino e Cagliari e verrà ricordato nell’anno della sua scomparsa dal convegno Le arti del Novecento e Carmelo Bene (GAM, ottobre 2002) organizzato da Fadini e i cui atti sono stati recentemente stampati da Kurumuny editore con il titolo Il sommo Bene.

La mostra, realizzata in collaborazione tra Le Plateau de la Méduse di Parigi, MAV (Museo Archeologico Virtuale) di Ercolano, Unione culturale Franco Antonicelli, Teatro Stabile di Torino e PHOS – Centro per la Fotografia e le Arti Visive, è stata inaugurata il 21 marzo alla presenza del curatore Mario Serenellini. È aperta da lunedì a venerdì, dalle 15.30 alle 19.30 o su appuntamento fino all’8 aprile.

Mario Serenellini, giornalista, critico (“France Culture/Radio France”, “la Repubblica”, “Alias–il manifesto”, “la Gazzetta del Popolo”), cura rassegne e mostre internazionali con la sua associazione Le Plateau de la Méduse. Già direttore artistico di Cinéma italien Nouvel Air all’Espace Pierre Cardin, Capolavori d’un giorno all’Institut Culturel Italien, AniMav a Ercolano e Napoli, Sottosopra18 a Torino, guida a Parigi con Ysé Brisson il FDFC-Festival Droits des Femmes & Cinéma. Traduttore (da Proust, Lewis Carroll, Tim Burton, Hitchcock), autore di pièces e video, ha pubblicato tra l’altro Max Ernst dada e surrealista, Le figure incrociate, L’AnNez Pinocchio/Il NasoMese, François Truffaut: il ragazzo salvato.

PHOS è un centro culturale polifunzionale in cui confluiscono molteplici attività incentrate sullo studio, la promozione e la produzione della fotografia e delle arti visive. Fondato nel 2011 da un collettivo di artisti, fotografi e professionisti legati al mondo della fotografia Fine Art, ha come finalità quella di costituire un punto d’incontro per chiunque si interessi al mondo dell’immagine. Il Centro offre supporto alla realizzazione e valorizzazione di progetti fotografici, iniziative editoriali (tirature in edizione limitata e libri d’artista) e mostre, con particolare attenzione al lavoro di giovani autori. Propone inoltre percorsi di riflessione e mostre di grandi maestri della fotografia come Michael Ackerman, Lisette Model, Jacob Aue Sobol, Luigi Ghirri, Mario Cresci e Mario Giacomelli. Il Centro opera poi per l’istituzione di concorsi, l’organizzazione di residenze per artisti provenienti dall’Italia e dall’estero e per l’attivazione di collaborazioni e scambi con istituzioni analoghe.

GIULIANA PRESTIPINO

Contatti: tel. 011 7604867; web: www.phosfotografia.com; email: phos@phosfotografia.it