CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 338

Il Dito di Dio: Pablo Trincia racconta il disastro della Costa Concordia

Al Salone del Libro di Torino

Erano le 21:45 quando la Costa Concordia naufragava nelle acque gelide dell’ arcipelago toscano nei pressi dell’Isola del Giglio in una fredda notte del 13 gennaio del 2012, impattando contro gli scogli delle “Scole” e riportando una falla lunga 36 metri sul lato sinistro della carena.
Qualche ore dopo, il gigante marittimo- dal valore stimato di 450 milioni di euro- si inclinava sul lato di dritta, con uno sbandamento prossimo ai 90°, naufragando definitivamente a 00:42.
La Costa Concordia è stata la più grande nave della Marina Mercantile italiana, assumendo il ruolo di ammiraglia fino al 2007. Il suo ultimo viaggio era iniziato a Savona con a bordo 4.229 persone (di cui 3.216 passeggeri e 1.013 membri dell’equipaggio). La crociera “Profumo d’Agrumi” prevedeva una rotta dislocata su tutto il Mediterraneo passando da Marsiglia, Barcellona, Palma di Maiorca, Cagliari, Palermo, Civitavecchia per concludere la rotta proprio nella città di partenza, Savona.
Durante quella tragica notte di dieci anni fa, moriranno 32 persone, di cui 27 passeggeri e 5 membri dell’equipaggio diversi per età e nazionalità.
Per omaggiare e raccontare la vita e l’intreccio tragico e magico dei destini delle persone a bordo, Pablo Trincia- autore televisivo e giornalista- scrive e legge “Il dito di Dio” podcast originale Spotify. Lo abbiamo incontrato al Salone Internazionale del Libro a Torino dove ha letto e raccontato alcune storie tratte del suo ultimo libro “Romanzo di un naufragio” (Einaudi editore), sequel letterario del podcast.

Uno dei grandi protagonisti di questa tragica storia è stato l’assurdo e misterioso incrocio dei destini delle persone presenti a bordo. Quanto è stato importante questa tematica nello sviluppo narrativo del podcast prima e del libro poi?

Il destino nella storia della Costa Concordia è tutto: è lo scheletro che regge il racconto. Infatti, ogni persona che presente quella notte sulla nave, ci è finita per uno strano intreccio di date, eventi e coincidenze. Questo è l’elemento dominante della narrazone. Tutti abbiamo un destino, ma quando finisci in quelle situazioni ti domandi “perchè proprio io sono arrivato in quel posto a quella determinata ora?”.

I destini delle vite dei passeggeri della Concordia sembra essersi intrecciati anche dopo quella tragica notte. Quanto è stato complesso per te raccontare il prima e il dopo delle vite dei protagonisti – inconsapevoli – di quella tragedia?

Molto, ascoltare le vicende delle persone presenti sulla nave è stato difficile. Mi sono trovato a commuovermi più di una volta, però è anche bello quando il racconto diventa così intenso.

L’altro grande protagonista di questa storia è stato il Comandante Francesco Schettino. Hai sottolineato la difficoltà di “mettersi nei panni” di un soggetto che ha compiuto le azioni che tutti conosciamo, per garantire una lettura più oggettiva possibile. Quanto è stato complesso distaccarsi da un giudizio morale su di lui? Pensi di esserci riuscito?

Sì, penso di averlo raccontato senza giudizio ma semplicemente narrando i fatti. Non mi sono messo a giudicarlo: lo aveva già fatto un tribunale oltre che tutto il mondo. L’ho semplicemente raccontato.

Passando all’iconografia della nave (un gigante da 290,20 metri di lunghezza e da 35,5 metri di larghezza), quali sono state le tue prime sensazioni quando hai visto le immagini di quel colosso riverso sul un lato e quasi completamente naufragato nelle acque dell’Arcipelago toscano?

Faceva impressione vedere delle immagini del genere in TV perché è qualcosa che non vedi abitualmente. Quando raccontavo la storia ho sempre cercato di tenerla a mente e l’ho guardato un sacco di volte. Inoltre ho cercato tutte le fotografie possibili perché volevo raccontarla bene. E’ un’immagine fortissima ed è anche il motivo per cui questa storia è rimasta così impressa nella testa delle persone.

La tua carriera da podcaster inizia nel 2017 con “Veleno”, inchiesta realizzata con la collaborazione della giornalista Alessia Rafanelli e narrata in sette puntate.
Trovo un legame tra quella storia e questa: il tragico destino che accomuna intere famiglie e le lega definitivamente. Sembra che tu sia particolarmente legato ai racconti che hanno come protagonisti le famiglie. E’ così?

E’ una domanda molto bella perché è vero. Mi piace l’idea di raccontare i nuclei familiari perché sono il primo mondo che abbiamo intorno a noi ed la prima cerchia di cui facciamo parte. Sono ricche di persone, caratteri e comportamenti che mi affascinano. Per la stessa ragione sono appassionato dalla letteratura latino-americana che ha come protagonista intere generazioni familiari tutte legate da un filo rosso. Quindi penso di avere una particolare propensione a questa tipologia di racconto.

Valeria Rombolà

Street art per ricordare Battiato

A un anno dalla scomparsa del Maestro Franco Battiato, lo street artist John Sale, lo ricorda con la frase estrapolata da una sua celebre canzone – e in un istante ritorna la voglia di vivere a un’altra velocità-. La poesia, la filosofia e la musica delle sue canzoni, ci parlano di mondi, spazi, e dimensioni altre nelle quali il Maestro continuerà a vibrare.

 Giovanni Saldì: Torino portici di Piazza castello lato Galleria Subalpina

“Adotta uno scrittore”, il Calamandrei a Librolandia

Tre classi dell’Istituto Tecnico Commerciale ‘Calamandrei’ di Crescentino, che appartiene all’Istituto di Istruzione Superiore Galileo Ferraris di Vercelli, dirigente Cinzia Ferrara, sono state lunedì 23 maggio al Salone del Libro di Torino.

Le ragazze ed i ragazzi delle classi Terze Agrari, Cat – Costruzioni ambiente territorio e  Sia – Sistemi informativi aziendali con le docenti di lettere Ilaria Rey, referente del progetto, e Beatrice Ferrari hanno preso parte, all’incontro finale dell’iniziativa ‘Adotta uno scrittore’ che quest’anno era Imma Vitielli., giornalista, scrittrice e sceneggiatrice. L’autrice, nel corso degli incontri durante l’anno ha saputo coinvolgere i ragazzi partendo dalla tematica, purtroppo attuale della guerra e poi li ha portati a scavare nella propria interiorità, nelle proprie guerre personali con un lavoro coinvolgente che li ha aiutati anche a mettersi di fronte a problematiche che, sinora, avevano ‘insabbiato’ anche a sé stessi.

“A regola d’arte”, i percorsi artistici di Ezio Gribaudo e Silvio Vigliaturo

Sino al 24 luglio, nella piazza Santa Croce di Avigliana

 

Ezio Gribaudo, classe 1929, studi a Brera e al Politecnico torinese, viaggi a Parigi (nel 1947), a Mosca (nel 1950) e a Bucarest nel 1953, nello stesso anno la prima personale alla Saletta Cristallo a Torino e sei anni dopo la prima grande mostra alla Bussola. L’inizio di un lungo percorso artistico e professionale, in veste di editore d’arte, che lo vede negli anni collaborare con artisti quali Chagall, de Chirico, Fontana, Peggy Guggenheim, Mirò e Moore. Nella seconda metà degli anni Settanta, organizza alla GAM di Torino una mostra della Peggy Guggenheim Collection e con Jean Dubuffet dà vita alla Promotrice alla mostra-spettacolo “Coucou Bazar”. Con i “Logogrifi” ha vinto il premio per la grafica alla XXXIII Biennale di Venezia (1966). Tra gli altri riconoscimenti: la IX Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma (1965), la IX Biennale di San Paolo in Brasile (1967), il Premio Pannunzio (2003), il Premio Tigullio (2009) e l’IIC – Istituto Italiano di Cultura -) Lifetime Achievement Award (2016); è stato inoltre insignito della Medaglia d’oro dei Benemeriti della Cultura, consegnata dal presidente Carlo Azeglio Ciampi nel 2003. Nello stesso anno è insignito della Medaglia d’Oro della Città di Torino, nel 2005 è nominato presidente dell’Accademia Albertina, di cui diviene Accademico onorario nel 2008. Per l’occasione è presentata una retrospettiva del Maestro.

Silvio Vigliaturo, nato ad Acri, in Calabria, nel 1949, si trasferisce a Chieri giovanissimo, dove tuttora vive e lavora. Le prime esposizioni, nel 1977, con la partecipazione al Padiglione Italia della 54a Biennale veneziana, sino alla personale nel 2012 nelle sale del Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino, in un percorso artistico di costante evoluzione, tra il dipinto e l’uso del vetro, tra l’acciaio e la terracotta. Nel 2006, Vigliaturo riceve la nomina di testimonial artistico dei XX Giochi olimpici invernali di Torino e nel giugno dello stesso anno la Città di Acri gli dedica il Museo arte contemporanea Acri che ospita una collezione permanente con più di duecento delle sue opere; nel 2010 la Regione Calabria lo invita quale testimonial all’Expo Shanghai mentre nel 2013 prende parte alla mostra Contemporary glass sculpture dell’Orlando Museum of Art.

“Due rappresentanti di quella grande energia artistica che ha caratterizzato fin dagli anni Sessanta una nuova fecondità estetica”, due linguaggi artistici differenti, due strade di successo in campo italiano come internazionale, due personalità che sempre hanno guardato al loro mondo con passione e una buona dose di ironia, soprattutto con invidiabile creatività, immergendosi appieno nel mare magnum della più spericolata e felice sperimentazione. Negli spazi della ex Chiesa di Santa Croce e della galleria “Arte per Voi”, nella piazza Conte Rosso, il Comune di Avigliana – con il patrocinio della Regione Piemonte e della stessa Città – li riunisce (sino al 24 luglio, orario di apertura sabato e domenica dalle 16 alle 22) in una vetrina modernissima di “pitture, sculture in vetro e installazioni”.

Il tutto pensato e disposto “A regola d’arte”, come suona il titolo della mostra curata da Donatella Avanzo, che sottolinea: “La mostra nasce dall’idea di suscitare un sentimento di solidarietà con la cittadinanza dopo due lunghissimi anni che ci hanno visti colpiti nei nostri legami più profondi, isolandoci gli uni dagli altri e interrompendo di fatto il nostro modo di vivere. Come segno d’unione  con la città di Avigliana abbiamo pensato ad una mostra che non occupi solo spazi espositivi interni, quali una chiesa e una galleria, ma che si estenda quasi in un abbraccio alla bellissima piazza medievale Conte Rosso che fu, già nel XIII secolo, centro organizzativo nonché sede di mercati e fiere.” In questo indovinato allargarsi di emozioni alcuni degli edifici che si affacciano sulla piazza diverranno, con le prime luci della sera, “tableaux vivants” attraverso spettacolari proiezioni – curate dalla locale società Proietta srl – delle opere dei due maestri. Il catalogo della mostra è a cura de “Gli Ori – Editori Contemporanei” di Pistoia.

 

e.rb.

 

Nelle immagini: Ezio Gribaudo, “Brontosauro”, cm 140 x 100, tecnica mista e flami, 1993; Ezio Gribaudo, “Pinocchio e i frutti”, cm 150 x 150, tecnica mista e collage, 2014; Silvio Vigliaturo, “L’inganno”, cm 62 x 37, scultura in vetro, 2020; Silvio Vigliaturo, “Pinocchio”, cm 247 x 50, scultura in vetro, 2019.

Passano gli anni ma la storia degli Alpini è sempre attuale

Il punto di vista / Le interviste di Maria La Barbera

Gianni Oliva ci parla del suo legame con il famoso e antico corpo militare.

Ottantamila penne nere hanno sfilato per le vie di Rimini per celebrare il raduno annuale degli Alpini. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella è intervenuto ringraziandoli per il loro storico contributo alla pace e per l’impegno profuso durante la pandemia, migliaia di persone hanno partecipato a questo importante e tradizionale evento associativo condividendo momenti di festa e solenni memorie.
Gianni Oliva, legato anche per motivi familiari, allo storico corpo e membro ad honorem della “Tau”, la Brigata Alpina Taurinense, ci parla del suo significato storico e collettivo e dei valori di cui è portatore.

Perché gli Alpini sono così amati e seguiti in Italia?

Perché gli Alpini tra le unità dell’Esercito sono quelli che si identificano maggiormente con la società civile, è un corpo che si è radicato sul territorio con tante associazioni. Le loro manifestazioni coinvolgono molte persone, non esiste in Italia una festa popolare laica così partecipata e così ripetuta, siamo nel 2022 ed è davvero ancora molto seguita.
La commemorazione degli Alpini è anche la rievocazione dell’Italia, esiste una corrispondenza tra la storia degli Alpini e quella nazionale.

Chi sono e cosa rappresentano per la collettività?
Possiamo dire che gli Alpini sono una trasposizione delle attitudini dei montanari: pazienti, coraggiosi, resistenti, determinati. E poi sono portatori di una solidarietà quasi genetica che gli viene dalla provenienza geografica. L’Associazione Nazionale Alpini, poi, è la forma di volontariato laico con un’ottima organizzazione e mette diversi ed importanti servizi a disposizione della comunità, dalla protezione civile alla raccolta fondi, dalla collaborazione con le pro loco nell’organizzazione delle feste patronali ai campi scuola.

Perché è particolarmente affezionato a questo corpo dell’Esercito Italiano?

Ho un legame affettivo in quanto la mia famiglia proviene da una vallata di reclutamento alpino, hanno fatto parte del terzo Alpini sia mio nonno, nato nel 1881, che mio padre, classe 1910. Inoltre sono affezionato perché il mio primo libro è stato “Storia degli Alpini”, pubblicato nel 1984 da un editore della “Rizzoli”, Edmondo Aroldi .

 

Quando scoppia la guerra, la prima vittima è la verità

“Quando scoppia la guerra, la prima vittima è la verità”, disse il senatore americano Hiram Johnson nel 1917. E dal 24 febbraio del 2022 chi cerca un informazione, non drogata dalla propaganda filo russa o filo ucraina, trova solo il vociare confuso dei talk show televisivi e perde la consapevolezza delle ragioni della Storia.

A venire incontro al lettore anche in occasione del Salone del Libro di Torino, è il fumettista sardo Igort con ” Quaderni ucraini, le radici della guerra” Oblomov pag. 176 € 20(riedizione 2022).Resoconto di quasi due anni di vita passati in Ucraina a intervistare la gente incontrata sul posto e a farsi raccontare le loro vite. Ne viene fuori un affresco a tinte forti, dove gli altri due poli del pensiero politico contemporaneo, la giustizia e la libertà, entrano in corto circuito e le ombre dello stalinismo e dell’icompiuta contro rivoluzione gorbacioviana, ci restituiscono un’ Ucraina da secoli divisa tra l’anelito all’indipendenza e la difficoltà a conseguirla una volta per tutte. In epoca zarista prima, poi con i piani quinquennali stalinisti( seguiti alla rivoluzione leninista del 1917) e la grande carestia (Holodomor) ceata dal regime sovietico di quegli anni per piegare i gruppi nazionalisti e indipendentisti, l ‘Ucraina arriva così ai giorni nostri al colpo di stato del 2014 e agli accordi di Minsk in Bielorussia per la normalizzazione del Donbass. Ma il Donbass è ucraino. È come se Londonderry non fosse nord irlandese, come se Ajaccio non fosse corsa o Bilbao non basca. I nostri media fanno apparire quei territori come irredentisti russi, ma i confini non rettilinei stanno lì a testimoniare la naturale appartenenza di quelle terre come anche la Crimea, allo stato ucraino, praticamente da sempre. Con la caduta dell’ Unione Sovietica e del Muro nel 1989, il progetto della perestroika e della glasnost gorbacioviana tradito da Eltsin, fece il gioco dell’orso russo, nel concedere una finta indipendenza agli stati ricompresi nella Csi fino alla restaurazione putiniana( vedi Georgia e Shevardnadze). Lo sta a testimoniare l’ultimo testimone ucraino intervistato da Igort, che attribuisce all’utopia capovolta post-comunista (” con il comunismo quel poco che avevamo era nostro”) la tragedia ucraina dei nostri giorni. Unico limite dell’ opera e essersi fermata al 2009 e a non prendere in considerazione i fatti successi negli anni successivi a Kiev come la rivolta arancione, la caduta di Janukovyč, il successivo insediarsi di Porošenko fino alle elezioni del 2019 che hanno portato al governo democraticamente eletto di Zelens’ky. Non è poco. Ma i bei disegni e le fonti originali dell’epoca sovietica ( come aver avuto accesso alle fonti degli archivi della polizia segreta Ceka stalinista durante la carestia) fanno di questa graphic novel un opera da non perdere. Fidel Castro un giorno disse :” solo una contro rivoluzione, può cambiare lo status quo sortito da una rivoluzione, se no ne segue gioco forza una lenta e ardua ” normalizzazione ”. Ma li si era all’Avana e particolare non da poco, su un’ isola. Staremo a vedere. Slava Ukraïni!

Aldo Colonna

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Tove Ditlevsen “Infanzia” -Fazi Editore- euro 15,00

Una bellissima riscoperta letteraria femminile quella della penna di Tove Ditlevsen, importante poetessa e scrittrice danese del Novecento (nata nel 1917, morta suicida nel 1976); autrice della Trilogia di Copenaghen di cui “Infanzia” è il primo volume, pubblicato in patria nel 1967.
La trilogia è di fatto la sua struggente autobiografia, articolata anche nei successivi volumi “Gioventù” e “Dipendenza” di prossima pubblicazione, per la prima volta, in Italia.
Il suo sguardo sulla vita è amaro e disincantato: «L’infanzia è lunga e stretta come una bara, e non si può uscirne da soli….».
Racconta così i suoi stati d’animo, con frasi brevi, incisive, scolpite nel profondo del suo essere. Come tutti i sommi scrittori ha la capacità di trascinarci nel suo mondo, nel suo sentire e nella sua sofferenza con parole che ci afferrano e non ci lasciano più.
La piccola Tove è nata in un quartiere operaio di Copenaghen, figlia di un uomo dalle simpatie socialiste che perde il lavoro e scivola nell’inferno della disoccupazione; vissuta dalla famiglia come onta suprema e vergogna da nascondere.
La madre Alfrida, invece, è una donna astiosa, piena di rabbia e rancore, facile agli scatti d’ira, distante e, per la figlia, decisamente irraggiungibile e incomprensibile.
Tove l’adora e cerca disperatamente di conquistarne l’affetto…senza mai riuscirci e portandosi per sempre nel cuore questa ferita sanguinante.
Un’esistenza che sarà segnata dal desiderio di scrivere poesie; le custodisce e nasconde in un album in cui riversa i suoi pensieri e tutta la sua sensibilità, la difficoltà di crescere, il suo sguardo sugli adulti.
La fase dell’infanzia le va decisamente troppo stretta, eppure inizierà a rimpiangerla nel momento in cui se la lascerà alle spalle.

Una meravigliosa scoperta quella di questa autrice che ebbe vita difficile, breve e travagliata, con i sassi dell’esistenza che la ferivano continuamente. La prigione dell’infanzia lascerà il posto a quella dell’età adulta.
Lei, che era uno spirito creativo e libero, non riuscirà mai a venire a patti con la vita; si sentirà sempre fuori posto ed affogherà il suo male di vivere in alcol e droghe. Fino al tragico epilogo: la morte per un’overdose di sonniferi che fermò la sua vita a soli 58 anni.

Amélie Nothomb “Primo sangue” -Voland- euro 16,00

E’ il trentesimo romanzo pubblicato dalla baronessa belga 55enne -scrittrice di lingua francese che mette a segno un libro all’anno (sempre in testa alle classifiche), ed è dedicato al padre morto a 83 anni, il primo giorno del lock-down.
Un romanzo catartico in cui presta la sua voce al genitore, Patrick, ex diplomatico ed eroe che nel 1964 aveva salvato 1.450 ostaggi in Congo. Artefice di estenuanti trattative con i ribelli, inoltre era rimasto immobile e coraggioso di fronte al plotone d’esecuzione che era sul punto di fucilarlo.
117 pagine in cui la Nothomb, con la sua scrittura elegante e poetica, racchiude infanzia, giovinezza, matrimonio e primo incarico diplomatico di Patrick Nothomb; nato nel 1936 e morto nel 2020, erede di una delle famiglie più importanti del Belgio.

Quando aveva solo 8 mesi era rimasto orfano del padre; militare 25enne saltato in aria mentre imparava a sminare un terreno (destino volle che qualcuno avesse sbagliato usando una mina vera). Due anni prima aveva sposato Claude, donna bellissima che rimase vedova a soli 25 anni; ne indossò la maschera per non togliersela mai più.
Una giovane donna quasi inaccessibile al figlio. Lasciò volentieri che lo crescessero i nonni; mentre lei passava da un ricevimento all’altro, veleggiando nell’alta società, sempre impeccabile ma scostante.
Claude è la nonna della scrittrice e nel libro è una presenza incostante, distante e fredda con il figlio, che chiamava “Paddy” come imponeva l’anglofilia. Tendenza in voga nell’aristocrazia belga dell’epoca (durante la Seconda guerra mondiale e protratta fino agli anni Sessanta) per cui il massimo dello chic era fingersi inglesi, e Claude parlava francese con accento inglese.

Compaiono spesso i nonni di Patrick; dai genitori della madre che praticamente lo hanno cresciuto, alle trasferte dai nonni paterni, esperienza che finirà per divertirlo parecchio, nonostante le privazioni.
E si, perché quando andava dal barone Pierre Nothomb, che viveva nella roccaforte di Pont d’Oye,-in un castello, ma faticava a sfamare i numerosi figli- Patrick cadeva sotto l’incantesimo di quel luogo.
Il nonno paterno aveva avuto la bellezza di 13 figli, (dei quali 3 erano morti, incluso il padre di Patrick) e due mogli. La sua casa pullulava di vita e Patrick entrava a pieno titolo in quell’orda di Unni che erano tecnicamente i suoi zii e zie, compagni di giochi e di scoperte continue.
Una casa in cui il cibo scarseggiava e comunque prima andava agli adulti; solo se avanzava qualcosa era dato ai bambini, perché gli spiegarono «..se arrivi all’età di 16 anni poi sarai sfamato».

Scorrono altre pagine che ci danno la misura di Patrick: il suo tallone d’Achille per cui sveniva alla vista del sangue (persino a quello di una bistecca), le amicizie e le delusioni, le aspirazioni e l’incontro con l’amore della sua vita che finirà per sposare ad ogni costo.
Ampio spazio anche al suo eroismo come ambasciatore nel Congo, che si era appena liberato dal colonialismo ed aveva conquistato l’indipendenza. Sulla situazione politica di quel paese e l’esperienza del sequestro scrisse anche il libro “Dans Stanleyville”.
Insomma un magnifico omaggio a quel padre a cui la Nothomb assomiglia tanto, che vedeva immortale, salvo poi non poterlo neanche accompagnare al cimitero causa epidemia. Quel padre tanto affascinante e pieno di coraggio ci appare vicino in questo bellissimo libro che lo riporta in vita.

 

John O’Hara “Elizabeth Appleton” -Nutrimenti- euro 20,00
Questo romanzo è un grande classico della letteratura mondiale e mette a fuoco i campus americani: le loro dinamiche, ipocrisie, gelosie, rivalità, e molto altro di una società arroccata nel perbenismo. Scritto dall’americano John O’Hara (1905- 1970), considerato uno dei più importanti autori della sua generazione, anche se dal carattere difficile. O’Hara era abilissimo nelle short story; narratore dallo sguardo disincantato che scandagliò, soprattutto in questo romanzo, l’America e le sue mille sfumature.
Protagonisti sono il docente John Appleton -preside di facoltà nel College più antico del luogo- e la moglie Elizabeth; che nel 1950 vivono immersi nel mondo puritano e sonnolento della cittadina universitaria di Spring Valley in Pennsylvania. Abitano in una casa che è l’emblema anche del loro matrimonio, ovvero solida, rispettabile e comoda. Almeno così appare a un primo sguardo veloce.
O’Hara però ci conduce nei loro pensieri e ci offre un’immagine più approfondita. John è un insegnante in carriera, stimato e rispettato. Ma per quanto lontano possa arrivare non riuscirà mai a ricompensare appieno la moglie Elizabeth, abituata al benessere della sua ricca famiglia di origine. Lei riesce a permettersi qualche piccolo lusso solo grazie al denaro inviatole dalla madre rimasta vedova dopo un matrimonio infelice.
Agli occhi del microcosmo in cui vive, Elizabeth, si è ritagliata l’immagine pubblica di moglie devota e operosa.
Ma l’autore ci offre una ricostruzione provocatoria in cui mette a nudo le falsità, i maneggi sotterranei, i giochi di potere, gli intrighi e i segreti che vanno ad intaccare l’immagine sacra delle università americane. Lo fa con una sottigliezza che emerge dai dialoghi serrati e dall’immergersi negli stati d’animo dei protagonisti. Dietro le quinte dei riti sociali si annidano insoddisfazioni, tradimento, discrepanze tra classi sociali.

 

Giorgio Van Straten “Una disperata vitalità” -HarperCollins- euro 18,00

Possiamo leggere questo libro dell’autore fiorentino come una sorta di bilancio della vita del protagonista, Giorgio, alle soglie del 60esimo compleanno. Momento in cui si trova sospeso tra la vita precedente a Roma e Firenze dove ha lasciato –ma non del tutto- l’ex moglie e la sua esperienza newyorkese con ritmi di vita frenetici, tra un incontro e l’altro.
L’omonimia con l’autore, la professione di scrittore e agente letterario, e New York (dove Van Straten è stato direttore dell’Istituto di Cultura Italiano tra 2015 e 2019) inducono a pensare che il protagonista altri non sia se non l’autore stesso. Comunque in queste pagine ci sono parecchie cose in comune tra i due: mestiere, passioni, interessi, città.
Nelle pagine del romanzo abbondano i malanni -veri o presunti- del protagonista, il rapporto con il corpo e l’usura del tempo, l’idea di una vitalità a tutti i costi, lo spettro della morte. Giorgio ci porta con lui tra un evento newyorkese e l’altro, le infatuazioni più o meno passeggere per donne che per un po’ abitano il suo cuore. Party, presentazioni di libri, film, mostre d’arte, in cui i discorsi vacui affogano in cocktail ad alta gradazione alcolica con cui stordire l’affanno del vivere.
Questa frenesia, la vitalità disperata e a tutti i costi, gradatamente perdono consistenza e diventano meno interessanti. Invece iniziano a pesare le paure, le tachicardie a ogni rampa di scale.

Giorgio fa un bilancio della sua esistenza secondo parametri che hanno a che fare con il tempo che fugge, i fallimenti sentimentali, la disillusione della sua generazione, e una nuova realtà newyorkese che lo spiazza parecchio, intrisa di decadenza morale ed etica.
Un disincanto che alberga abbondantemente in questo libro di auto-fiction, in cui l’autore si è anche parecchio divertito a prendere in giro non solo se stesso, ma anche persone amiche o incontrate strada facendo.

Una serata con il poeta Roberto Mussapi

Al Teatro MARCIDOFILM! di corso Brescia 4, stasera alle ore 20,45

 

Dopo gli esiti felici delle serate dedicate alla Poesia nelle scorse stagioni, i Marcido ripropongono quest’anno una ulteriore indagine sul rapporto tra il Teatro e la Poesia, con il poeta Roberto Mussapi. Mussapi, nato a Cuneo nel 1952, è considerato uno dei maggiori poeti italiani contemporanei, è drammaturgo, autore di saggi, di traduzioni da testi classici e contemporanei e di opere narrative. La sua opera poetica è stata raccolta nel volume Le poesie, prefazione di Wole Soyinka, saggio introduttivo di Yves Bonnefoy, (Ponte alle Grazie, 2014). Tra i volumi recenti di poesia, I nomi e le voci. Monologhi in versi, Mondadori 2020. Lirici greci, Ponte alle Grazie, 2021. Tra le opere in prosa, Il sogno della Luna (Ponte alle Grazie, 2019), Villon (teatro, La Collana, 2019). E’ editorialista e critico teatrale di Avvenire.

“Ecco dunque il terzo atto di un programma di Teatro/Poesia che ha esordito nella stagione 2018, programma che si ripropone di mettere in strettissima relazione la testualità poetica con l’espressione drammatica, in un testa a testa che riveli l’identico nucleo germinativo di entrambe le esperienze, che noi vediamo e sosteniamo essere sostanzialmente uguali.” Con gli attori Maria Luisa Abate, Paolo Oricco, Valentina Battistone, Ottavia Della Porta, Alessio Arbustini e Marco Isidori a dirigere lo spettacolo, tra i titoli di Roberto Mussapi saranno presentati Otello, Cassandra  e  Antigone, da I nomi e le voci. Monologhi in versi (Mondadori 2020).

Mussapi ha scelto tre personaggi simbolo, insinuandosi nelle pieghe della loro vicenda drammatica, svelando i lati segreti delle trame che li riguardano; portando così alla luce quegli scarti esistenziali, quelle titubanze sentimentali, quel mondo di sensazioni, di ricordi, di presentimenti che, secondari nella “storia” ufficiale di questi protagonisti del teatro di tutti i tempi, qui risultano eloquenti, anzi determinanti, per disegnarne tutta la complessità psicologica ed umana.” Sottolinea Marco Isidori: “Giova ripeterlo, giova anche virgolettarlo per potenziarne il significato: “il Teatro dei Marcido nasce da una costola della poesia”; ed è in questo clima, in questa temperie sentimentale che abbiamo pensato di immergere una parte significativa dell’attività di MARCIDOFILM! Infatti l’appuntamento con la Poesia della stagione, vede nuovamente ospite Roberto Mussapi, un poeta di livello internazionale che insieme a noi presenterà una serata strutturata sulla nostra ricerca della coniugazione tra il verso letterario e la sua espressione vocale, uno sposalizio questo che secondo noi offre alla parola poetica quella consapevolezza della sua genitiva teatralità, che è appunto una delle ipotesi fondanti del lavoro della Compagnia. Nel corso della serata, alcune delle sue composizioni, verranno “cantate” dai Marcido, a voce nuda, singolarmente e coralmente, nel solco tracciato da una partitura “musicante”, intavolata per cercare di trasportare la testualità verbale verso quel destino drammatico che secondo noi le è proprio; verso il pieno teatro, appunto.”

Nella medesima sala, il 28 e 29 maggio, alle ore 20,45, “Studio per Otello” da William Shakespeare (esito del Laboratorio Teatrale 2021/2022): diretti da Maria Luisa Abate, in scena Alessio Arbustini, Beatrice Borsa, Sebastiano Cenedese, Davide Cera, Mario Elia, Giovanna Gagliardotto, Beatrice Gai, Federico Mirabella, Vincenzo Quarta.

 

TEATRO MARCIDOFILM!

Torino, corso Brescia 4 bis

ingresso gratuito, con prenotazione obbligatoria, prenotazioni cell. 339.3926887-328.7023604,

info.marcido@gmail.com

 

e.rb.

Nella foto, Roberto Mussapi; e “Il Poeta”, visto da Daniela Dal Cin

22 maggio: la liberazione di Torino da parte degli austro russi nel 1799

Riceviamo e pubblichiamo. Inviate commenti e opinioni a redazioneweb@iltorinese.it


Una pagina memorabile ma proscritta della storia della città.

 

Il 22 maggio è una data che non dice nulla alla stragrande maggioranza dei torinesi. Eppure, 223 anni orsono, la nostra città visse una pagina memorabile della propria storia che vogliamo qui ricostruire. Piemonte, ultimi anni del 1700. Lo Stato sabaudo è stato travolto dal dilagare della rivoluzione francese. Sorretto dalle baionette delle armate repubblicane, a Torino s’installa un governo giacobino. Il nuovo regime raccoglie consensi fra le sole élite cittadine mentre è profondamente inviso alla massa della popolazione che lo identifica con l’occupazione e le ruberie dell’esercito francese.

Approfittando dell’assenza di Napoleone in Egitto, nella primavera del 1799 Austria e Russia formano una coalizione anti-francese per cacciare i giacobini dal norddell’Italia. Il comando delle truppe alleate è offerto al Feldmaresciallo Aleksandr Vasil’evič Suvorov (1729–1800).

A settant’anni Suvorov è riconosciuto quale uno dei più grandi geni della storia militare. Egli conduce la campagna secondo una propria linea che lo mette in contrasto con gli alleati austriaci, desiderosi di sfruttare gli eventi

Per estendere i domini dell’Impero nell’area padana. Suvorov invece fa appello ai sentimenti legittimisti e religiosi della popolazione per suscitare sollevazionipatriottiche. Mettendo in rotta, uno dopo l’altro i generali francesi che confluiscono per sbarrargli la strada, dopo Verona e Milano Suvorov giunge a fine maggio a Torinodove ordina immediatamente di issare la bandiera del Regno di Sardegna. La città accoglie il vecchio generale quale liberatore dal regime giacobino e dalle sue vessazioni e gli reputa accoglienza ed onori degni di un imperatore. Portato in trionfo dalla popolazione,

Suvorov viene celebrato in Duomo dal vescovo Buronzo che lo chiama “novello Ciro”. La municipalità gli dedica un inno e pubblica la sua biografia in italiano.

Si trattò di un’esperienza effimera ma intensa e significativa. Prima della fine dell’anno, lo Zar Paolo I richiamò le sue truppe. Il Piemonte fu lasciato

all’ingombrante tutela austriaca e venne presto riconquistato da Napoleone. Tuttavia, contro il volere austriaco, la presenza russa cercò di favorire l’indipendenza del Piemonte, richiamando il Re Carlo Emanuele IV dall’esilio imposto e ricostituendo l’esercito nazionale. Per questi servigi, il Re conferì a Suvorov il titolo di Principe di Casa Savoia.

E sorprendente che nell’odierna Torino non sia presente alcun segno visibile a commemorazione di una pagina di storia cittadina di una tale intensità.

Conto tenuto dell’accoglienza e dell’ammirazione che i torinesi gli dedicarono, una figura storica quale quella di Suvorov meriterebbe una via od un monumento a memoria di quei giorni. Al contrario, quanto descritto viene mantenuto nell’oblio

 

L’auspicio è che nel futuro questo episodio trovi la collocazione che merita, anche perché ciò

contribuirebbe a porre le relazioni fra Italia e Russia in una più ampia prospettiva storica e a superare l’odierno clima da “nuova guerra fredda” causato dall’attuale crisi in Ucraina.

 

Fabrizio Vielmini

 

La leggendaria avventura di Arnoldo Mondadori

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Rai Fiction, Anele e Film Commission Torino Piemonte hanno dedicato uno spazio di approfondimento all’interno del Salone del libro ad Arnoldo Mondadori con due appuntamenti per celebrare uno dei più grandi imprenditori dell’industria editoriale italiana.

Ieri sera al Cinema Massimo il primo appuntamento, che rientra nel Salone off, l’anteprima della docu-fiction “ArnoldoMondadori – i libri per cambiare il mondo” con protagonista Michele Placido. Il film in onda prossimamente sulla Rairipercorre la vita privata e professionale del grande editore, dalleumili origini, Arnoldo era figlio di un ciabattino di Ostiglia con la passione della lettura, ai primi passi come ragazzo di bottega in una tipografia (interpretato da Brenno Placido) fino alla creazione di un impero editoriale, mosso dal desiderio di rendere la lettura accessibile a tutti e creare una società migliore con la scelta di un’“editoria  popolare”, che ha favorito la crescita culturaledell’Italia in gran parte ancora semi analfabeta e povera.

Il film abbraccia tutta la parabola del grande pioniere dell’editoria: dalleaudaci collaborazioni degli inizi con personaggi che spaziano da D’Annunzio a Walt Disney, alla passione genuina e viscerale nei confronti dei grandi scrittori che pubblicava da Ernest Hemingway e Giuseppe Ungaretti, dal concepimento dei Gialli e Oscar Mondadori come letteratura di evasione, alla creazione della rivista Epoca, prima affidata al figlio Alberto (creatore della collana Il Saggiatore), con cui ebbe sempre un rapporto conflittuale, e poi ad Enzo Biagi. Il secondo Appuntamento si è tenuto nello Spazio Rai del Salone del Libro con il titolo “L’importanza dell’investimento nella cultura e nell’editoria il caso Arnoldo Mondadori”. Sono intervenuti Michele PlacidoAnouk Andaloro, capostruttura Rai Fiction, Gloria Giorgianniproduttrice e founder di Anele, Marco Frittella, direttore di Rai Libri, Gian Arturo Ferrari, ex direttore di Mondadori e Marino Sinibaldi, Presidente del Centro per il libro e la lettura che ha moderato l’incontro partendo dalla figura di Arnoldo Mondadori. Si è discusso su come è cambiato il ruolo dell’editoria, se ha ancora il ruolo centrale che ebbe nel secondo dopoguerra per favorire la rinascita del Paese.

Giuliana Prestipino