CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 336

Garage Rock USA 1966. Discografia minore / 21

Caleidoscopio Rock USA Anni ‘60


Anche l’occhio vuole la sua parte” è frase sempre efficace, tantopiù nel mondo dello spettacolo e della musica. Ma noi qui parliamo di aspetto estetico delle etichette discografiche, soprattutto nei casi infausti in cui grafia, cromia e scelta della disposizione di nomi, numeri e loghi risultino infelici, azzardate o del tutto irrazionali. Nel garage rock americano di metà anni ‘60 ci si imbatteva a volte in 45 giri le cui vesti grafiche presentavano impostazioni cromatiche quasi imbarazzanti, che ne mettevano perfino a rischio la leggibilità (con casi di grigio canna di fucile su sfondo amaranto, bronzo su ocra, rosso su rosa intenso, grigio antracite su nero etc. etc.); o recanti caratteri (spesso per dischi autoprodotti) simili al dattiloscritto di un acetato o di una demo, o troppo piccoli, o talvolta mal distribuiti sull’etichetta. Nella presente sezione discografica compaiono alcuni casi di “cromie azzardate” che sfortunatamente contribuivano a dare una veste brutta (nonché ostica alla vista) a prodotti musicali non di rado interessanti e di livello più che discreto…

–  The New Arrivals “Let’s Get With It / Just Outside My Window”  (Macy’s/7Up SBM-45-104);

–  Jason & The Argonauts “I Don’t Need Anything / The Time For Weeping”  (Byit A-8166);

–  Finnicum  “On The Road Again / Come On Over”  (Ruff Records 45-1011);

–  Billy Rat & The Finks “All American Boy / Little Queenie”  (IGL Records 45-122);

–  The Quinns “I Knew / (It’s) Been A Long Time”  (Capito 2022);

–  Half Pint And The Fifths “Orphan Boy / Loving On Borrowed Time”  (Orlyn ORL-666242);

–  The Rotten Kids “Let’s Stomp / Twelve Months Later”  (Mercury 72558);

–  The Fabulous Wunz “If I Cry / Please”  (Pyramid 6-6934);

–  Jay Dee & The Chasers “I Do / Gloria”  (RI 2204);

–  The Outer Limits “Don’t Need You No More / Walkin’ Away”  (Goldust Records 45-5014);

–  The Raevins “The Edge Of Time / Around And Around”  (Big O 55-8114-01);

–  The Shades “I Need You / With My Love”  (Encore 1002);

–  The Shaggy Boys “Stop The Clock / In The Morning”  (Red Bird RB 10-074);

–  The Night Crawlers “Let[‘]s Move / Hiding”  (Shadow Records S-45 101);

–  Danny’s Reasons “Little Diane / Believe Me”  (International Recording Co. 6935);

–  The Pickwick Papers “I Want To Do It / You’re So Square”  (Phalanx 1026);

–  The Grim Reepers “Two Souls / Joanne”  (Chalon Records 1003);

–  The Red Coats “You Told A Lie / I’m Going To Tell You About My Baby”  (Orchid Of Memphis 507);

–  Al and The Echoes “The Whole Towns Talking / Baby Remember Me”  (Echo H 1003);

–  The Misty Blues “Still In Love With You Baby / I Feel No Pain”  (Stature 66-5-7);

–  The Clouds “You Tell Me Lies / Jeannie”  (Kidd 1333);

–  Pulsating Heartbeats “Anne / Talkin’ bout You”  (Pace Setters Internationale 007);

–  The Lee VI’s “I Don’t Know / Pictures On My Shelf”  (Radio S1-125);

–  The Immigrants “Time To Say Goodbye / Walkin’ The Dog”  (Starburst Recordings SR 3121).

 (…to be continued…)

Gian Marchisio

   

“Deus ex littera”

Si inaugura a Ivrea, con una mostra pittorica ed una fotografica, la nuova “casa” di “Ivrea Capitale Italiana del libro 2022”

Dal 15 ottobre all’8 gennaio 2023

Ivrea (Torino)

Il ritratto è perfetto. Minuzia certosina nel tratto e piacevole gioco di colore reso in chiaroscuro. Piacevolissimo. Tanto più se si pensa alla singolare tecnica praticata. Il titolo è “Deus ex littera” e riporta il volto inconfondibile dell’illuminato ingegnere Adriano Olivetti (l’imprenditore della “felicità collettiva” che genera efficienza), figlio di Camillo, fondatore della prima fabbrica italiana di macchine da scrivere e figura iconica, da beatificare, per la Città di Ivrea. A firmarlo è l’artista siciliano Paolo Amico, gran maestro nella realizzazione di opere con una tecnica esecutiva, se non unica, quanto meno originale consistente nell’utilizzo di penne a sfera su carta. L’intenso ritratto di Olivetti è stato eseguito con una nuova (curiosissima) tecnica “a timbro”, ossia con i timbri originali dell’“Archivio Storico Olivetti”. E il titolo “Deus ex littera” è lo stesso della mostra a due che inaugura sabato prossimo 15 ottobre (ore 18,30, fino a domenica 8 gennaio 2023) e con cui si apre la nuova “casa” di “Ivrea Capitale Italiana del libro”, dedicata alle più varie attività culturali e posta all’interno dello storico “Palazzo Giusiana”, in via dei Patrioti 20, oggi cuore di un’importante opera di rigenerazione urbana e restituzione alla comunità. Mostra a due. Curata da Costanza Casali, assessore alla Cultura del capoluogo eporediese, insieme alle opere di Paolo Amico, la rassegna ospiterà anche quelle del toscano Massimo Giannoni, premio “Lubiam” nel ’79 come miglior studente delle “Accademie di Belle Arti” d’Italia. Artisti scelti per la peculiarità delle loro creazioni (strettamente connesse con il progetto di “Ivrea Capitale”), Giannoni è noto per le sue corpose e appassionate tele dedicate in particolare a “librerie”, “biblioteche” o a “Borse d’Affari”, mentre Amico, come detto, per la sua caratteristica di sostituire a pennelli e colori l’utilizzo di “penne biro” o di macchine da scrivere “Lettera 22”. Cosa di meglio per una mostra omaggiante al prestigioso ruolo letterario guadagnato quest’anno da Ivrea? A completare la proposta, la mostra fotografica “Scrittori in posa” del cuneese  Mauro Raffini: 47 scatti di autori e autrici contemporanei realizzati negli anni e collocati nella sala d’ingresso dedicata a “Ivrea Capitale italiana del libro”, un vero e proprio portale d’accesso in cui approfondire la conoscenza del progetto della “Capitale” e il percorso del “Manifesto” per il futuro del libro. In mostra infine alcuni volumi del “Fondo A” della “Biblioteca Olivetti”, donata al Comune nel 1973 e ora esposti a quasi cinquant’anni di distanza. Con questa apertura i saloni del quattrocentesco “Palazzo Giusiana” (che nel 1800 ospitarono per alcuni giorni Napoleone Bonaparte) diventano protagonisti di un prezioso intervento di recupero urbano da parte del Comune di Ivrea, dopo essere stati a lungo sede del Tribunale e, in seguito, dismessi e lasciati miseramente senza destinazione.

Sono molto orgogliosa – sottolinea l’assessore alla Cultura, Costanza Casali – che la città possa tornare a fruire dei saloni di Palazzo Giusiana, da tempo non utilizzati e chiusi al pubblico. Le opere esposte, per la grande parte realizzate appositamente per la mostra, hanno permesso di porre in risalto tutte le declinazioni della scrittura, dalla penna al pennello e al timbro, sino, per l’appunto, alla macchina da scrivere ‘Lettera 22’, simbolo olivettiano per eccellenza. La mostra, che ho curato personalmente, è stata progettata appositamente ripercorrendo i temi del dossier che ci hanno portato alla vittoria del titolo”.

Gianni Milani

“Deus ex littera”

Palazzo Giusiana, via dei Patrioti 20, Ivrea (Torino); per info: www.ivreacapitaledellibro.it

Dal 15 ottobre all’8gennaio 2023

Orari: giov. e ven. 15/18; sab. e dom. 10/13 e 15/18

 

Nelle foto:

–       Paolo Amico: “Deus ex littera. Ritratto di Adriano Olivetti”, tecnica “a timbro”

–       Massimo Giannoni: Galignani Parigi”, olio su tela

Libri e danza alla Caffetteria Lavazza del Carignano

Due volumi sulla danza verranno presentati nell’ambito del Festival TORINODANZA  

Il 14 e 20 ottobre

 

Nell’ambito del festival TorinoDanza, sotto la direzione di Francesca Cremonini, verranno presentati due volumi scritti da due tra i maggiori critici italiani dell’arte della danza, Sergio Trombetta e Elisa Guzzo Vaccarino.

La prima presentazione avrà luogo venerdì 14 ottobre, seguita da giovedì  20 ottobre prossimo, nella Caffetteria Lavazza del Teatro Carignano  di Torino.

Il primo libro che verrà presentato, scritto da Elisa Guzzo Vaccarino, si intitola “Confini. Conflitti. Rotte. Geopolitica della danza”, volume in cui emerge come la danza, considerata la Cenerentola delle arti, intrattenitiva e estimativa, in continua lotta tra corpo e spirito, sia, in realtà,  tutt’altra cosa. Le sue condizioni di esistenza si trovano nelle strutture sociali e nelle scelte politiche di ogni luogo della terra in cui si dispiega con la sua tecnica, la sua estetica e i suoi messaggi, nel tempo e nello spazio.

La parola ‘danza’ in Occidente rievoca la forma del balletto, dalle espressioni moderne a quelle postmoderne, considerate superiori e più evolute delle altre.

Avvenuta la svolta del millennio, le vicende del corpo in performance diventano via via più complesse e vanno lette in una dimensione maggiormente globale, comprensiva delle questioni di razza, genere, identità e costume.

A partire dall’Excelsior ottocentesco, omaggio  alla civiltà europea, alla scienza e alla tecnologia capaci di colonizzare il mondo, si approda all’Excelsior degli anni Duemila, che pone in luce tutte le contraddizioni di questo schema, disegnando un lungo cammino che individua i percorsi più adatti con cui rileggere l’arte, la pratica della danza, espressione di un vasto intreccio geopolitico che, nelle sue concezioni, riflette gli eventi della storia.

Il secondo volume, che verrà presentato al teatro Carignano alla Caffetteria Lavazza giovedì 20 ottobre prossimo, si intitola “Vaclav Niźsinskij” e rappresenta la biografia scritta da Sergio Trombetta su di una leggenda e un mito dell’arte coreutica. Si tratta della narrazione di una vita gloriosa e tragica scandita da genio e follia, testimoniata da un diario che, come presa diretta, registra il precipitare di un essere umano nell’oscurità.

Dieci anni di successo, dagli esordi a San Pietroburgo fino agli spettacoli dei mitici Ballets Russes, che impazzarono nei teatri parigini, e altri quaranta di quasi completo oblio, tra deliri e isolamento.

Vaclav Nizinskij,  nato a Kiev nel 1889 da una famiglia di danzatori polacchi, è stato enfant prodige della Scuola Imperiale di San Pietroburgo e futura star acclamata in tutto il mondo.

La sua debordante fisicità e il suo carisma lo hanno accomunato ad altri due ballerini russi protagonisti del secondo Novecento, Rudolf Nureyev e Michail Baryšnikov. Ma Nizinskij ha lasciato una ricca eredità coreografica. Basti ricordare  la sua leggendaria “Sagra della Primavera”, che ribaltò completamente i canoni della scuola accademica, aprendo la strada alla danza contemporanea.

La vita di Nizinskij fu divisa tra un amante e un pigmalione dispotico, Sergei Djagilev, la sorella e collega, Bronislava, e una moglie ambiziosa, Romola de Pulszky.

Mara Martellotta

“Il Terzo Paradiso dei Talenti”

A Cuneo, inaugurazione-spettacolo della grande scultura di Michelangelo Pistoletto in omaggio al trentennale della “Fondazione CRC”

Venerdì 14 ottobre, ore 17,30

Cuneo

Tredici metri di lunghezza per sette di altezza e la celebre forma (segno matematico dell’infinito) dei tre cerchi consecutivi composta da un centinaio di serigrafie in metallo su cui sono rappresentati i disegni di bambini di alcune scuole cuneesi, e non solo: eccoci di fronte alla grande scultura site specific “Il Terzo Paradiso dei Talenti” realizzata da Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933) per “A cielo aperto”, il progetto di arte pubblica ideato dalla “Fondazione CRC” per celebrare il suo 30^ compleanno e realizzato in collaborazione con il “Castello di Rivoli – Museo di Arte Contemporanea”. L’opera è stata appositamente sviluppata dall’artista biellese, fra i massimi animatori e protagonisti dell’Arte Povera, per l’area di fronte al “Rondò dei Talenti”, a Cuneo (via Luigi Gallo, 1), in relazione alla curvatura dell’edificio e alla struttura della piazza stessa. L’inaugurazione, in agenda per venerdì 14 ottobre (ore 17,30), sarà preceduta, alle ore 16, da un’azione condivisa di “arte pubblica partecipata” che vedrà rielaborato il segno-simbolo (presentato, per la prima volta, alla 51^ edizione della “Biennale di Venezia” nel 2005) del “Terzo Paradiso” con materiali di alluminio, al fine di realizzare un’opera collettiva temporanea. Nel pomeriggio del giorno seguente, sabato 15 ottobre, sempre al “Rondò dei Talenti”, alle ore15 e alle ore 16, è in programma un laboratorio per bambini e famiglie sempre sul tema inerente all’opera (iscrizioni su www.fondazionecrc.it). “L’inedita scultura di Michelangelo Pistoletto – sottolinea Ezio Raviola, presidente della ‘Fondazione CRC’ – rappresenta il completamento in chiave culturale dell’intervento di riqualificazione del ‘Rondò dei Talenti’. Un’opera straordinaria che si ispira ai valori formativi e di crescita collettiva, che ci hanno guidato nella realizzazione di questo polo educativo, e che lascia un segno per i trent’ anni di vita della nostra istituzione. Siamo altresì persuasi che quest’ opera potrà diventare un forte punto di attrazione per i flussi del turismo internazionale”. Dopo i Quadri specchianti”, gli “Oggetti in meno” e le prime opere “con gli stracci” (“Venere degli stracci” del 1967), il “Terzo Paradiso” di Pistoletto rappresenta la fase più recente del suo lavoro. Ne scrive il “Manifesto” nel 2003 e nel 2010 un “Saggio” edito da “Marsilio”. L’idea di quel “segno matematico” rappresentante l’“infinito” e riguardante la terza fase dell’umanità, quella fatta da “ogni genere di artificio”, nasce nella sua “Cittadellarte – Fondazione Pistoletto” istituita a Biella nel 1998 nei locali in disuso dell’ex-lanificio “Trombetta”, con l’intento di farne “un evento collettivo rivolto ad adulti e a bambini, all’insegna del rispetto verso la natura e verso gli spazi urbani tramite un coinvolgimento creativo e basandosi sull’interazione fra arte e società”. Nel 2020, il simbolo è stato donato al Comune di Biella, divenuta nell’anno precedente “Città Creativa UNESCO”.

 

A Cuneo lo vediamo rappresentato in verticale, sospeso in aria come un “grande segno” che sottolinea la presenza del “Rondò” e realizzato, come detto, serigrafando su metallo e unendo insieme oltre centoventi disegni di bambini studenti – tra cui alcuni che frequentano le scuole cuneesi dell’infanzia “Arnaud” e “Fillia”, le primarie “Revelli” e “Rolfi”, le secondarie di primo grado “D’Azeglio” di Cuneo e di Castelletto Stura –raccolti dal “Dipartimento Educazione” del “Castello di Rivoli” (che dal 2005 promuove l’“Oper-Azione Terzo Paradiso” su scala globale), in collaborazione con l’ “Ambasciata Rebirth/Terzo Paradiso Cuneo” e l’ “Associazione Con.Te.StoOo”. In tal modo, l’opera sottolinea la missione particolare dello stesso “Rondò dei Talenti”, Polo educativo voluto dalla “Fondazione CRC”, in cui i più giovani possono, attraverso specifiche attività proposte, far crescere e scoprire le proprie vocazioni e, per l’appunto, i propri “talenti”.

Gianni Milani

Nelle foto:

–       Michelangelo Pistoletto: Rendering de “Il Terzo Paradiso dei Talenti”, acciaio corten, stampe digitali su d-bond, 2022

–       Michelangelo Pistoletto, Ph. Stephan Rohl

–       “Rondò dei Talenti”

Giuseppe Conte, tra il fanciullino e la giovinezza

 

POESIA  Giuseppe Conte, nato a Imperia nel 1945, è considerato una delle più importanti voci poetiche italiane contemporanee.

Comincia a interessarsi di poesia già ai tempi del liceo,frequentando il Ginnasio e Liceo Classico De Amicis a Oneglia,anni in cui inizia a sperimentare le prime traduzioni dall’inglese(da Whitman, Blake, Shelley e Lawrence) e a comporre i suoi primi versi. Si appassiona inoltre alle opere di Mallarmé, Baudelaire e Henry Miller. Risalgono ai primi anni Settanta i suoi due primi libri di poesia, intitolati “Il processo di comunicazione secondo Sade” ( 1975) e “L’ultimo aprile bianco” (1979), raccolte che riscuotono un ottimo successo di critica, cosiccome i suoi due primi libri di narrativa dal titolo “Primavera incendiata” e “Equinozio d’autunno”, risalenti agli anni Ottanta.

Nel 1994, in ottobre, promuove l’occupazione pacifica della Basilica di Santa Croce a Firenze, con un gruppo di poeti che si definiscono “i capitani del Commando eroico” di cui fanno parte, oltre allo stesso Conte, anche Tomaso Kemeny, Roberto Carifi e Lamberto Garzia.

L’evento precede il sorgere di un nuovo movimento poetico che è chiamato  Mitomodernismo, una corrente provocatoria e di rottura che proclamava come la vera battaglia consistesse nel sognare un mondo rifatto da capo attraverso la bellezza e il mito. Proprio il mito entra a far parte della vita di Giuseppe Conte sin dalla giovinezza e lo impegna durante tutta la sua carriera artistica fino ai giorni nostri, quando pubblica la sua ultima opera a lui dedicatadal titolo “Il mito greco e la manutenzione dell’anima”. È  stato vincitore dei più importanti premi di poesia tra cui il “Premio Viareggio” .

Capita talvolta e, in particolar modo ai poeti, una certa discordanza tra corpo, età e spirito, quel fanciullino tanto caro a Pascoli, che emerge sia in Giuseppe Conte uomo sia nel suo esserepoeta, il primo dall’aspetto saggio e consapevole, il secondo dall’indole più fragile, più delicata e maggiormente dubbiosa riguardo a se stessa e ai propri sentimenti che, con forza e grande intensità, vengono evocati e di cui, contemporaneamente, pare cercare una conferma nel soggetto della sua poesia.

“L’amore vero, tu lo sai, è volere

la gioia di chi non ci appartiene

è questo uscire, traboccare da se stessi, come sangue dalle vene

per un taglio, è l’irrinunciabile, amore energia mutabile eterno bene.”

Poesie (Mondadori, 2015)

 

Colpisce, oltre alle immagini e al ritmo che ben rappresentanol’intensità del sentimento, l’utilizzo dell’espressione “tu lo sai” contenuta nel primo verso, quasi una richiesta inconscia di non rimanere solo di fronte al travolgimento emotivo e alla bellezza stessa del momento ispirato. È forse questo ciò che rende il poetauna sorta di eterno fanciullo: l’ingenuità del voler condividere ciò che realmente l’altro non può sentire o che non può farlo come un poeta vorrebbe.

Quel ‘tu lo sai’ viene percepito come un baluardo di illusione che combatte la solitudine.

Ingenuità, ricordiamo, tipica soltanto della grande poesia.

 

Un’altra poesia degna di nota è quella intitolata “Il poeta”

 

 

“Non sapevo che cosa è un poeta

Quando guidavo alla guerra i carri

E il cavallo Xanto mi parlava.

Ma è passata come una cometa

L’età ragazza di Ettore e di Achille:

non sono diventato altro che un uomo:

la mia anima si cerca ora nelle acque

e nel fuoco, nelle mille

famiglie dei fiori e degli alberi

negli eroi che io non sono

nei giardini dove tutta la pena

di nascere e morire è così leggera.

Forse il poeta è un uomo che ha in sé

La crudele pietà di ogni primavera.”

 

Anche in questa poesia ritorna il tema dell’uomo e del poeta, dei loro rispettivi dubbi se essere l’uno o l’altro, nel tempo in cui Ettore e Achille furono uomini e, a loro volta, portatori della crudele pietà di ogni primavera.

Vi è in questo testo poetico un tema molto caro a Giuseppe Conte che è quello della giovinezza, riscontrabile anche in altre sue opere, e molto diversa dal fanciullino prima citato. Giovinezza che, come uomo, lo porta a essere promotore della poesia giovanile e impegnato, oggi come allora, sul fronte della cultura e della parola poetica.

Gian Giacomo Della Porta

Mara Martellotta

Filastrocca sul Piemonte

Di Giovanni Mattia


Un giro in Piemonte

Vidi un uomo
e dissi:
“Poirino!”
Lo vidi camminare scappava verso Trino. Le risaie che si fece
in un posto sconsiderato fu così
che andò nel Monferrato. Lì tra balli e feste
e un po’ di vino
gli ricordarono
che il vero Piemonte
non è Torino.
L’anima sta dentro
sotto la sottana
andiamo via
ed eccoti arrivato a Cumiana. Oh, Gabriella
quanto sei bella
ma quanta Strada
vorrei conoscere la Liguria ma no
mi fermo a Ovada.
O vada verso di lì
c’è una splendida Alba annerita dal cioccolato
e se uno è Cocconato
non è detto che stupido sia ma lui reggia reggia
lontano dai guai
si rifugia a Venaria.
Tanti sono i pasti
che durante il tragitto consumò ad Asti
e fu così che fu un po’Mona e po’ calvo.
Mamma che freddo Sir,
Sir Moncalvo.
Di Santi ne nominò tanti
uno di quelli delle zone
San Damiano,
gli disse:
vai ovunque,
ma mai a None
e se vai a Carmagnola
occhio ai taglialegna
e ai tagliagola.

Un sorriso apparve
in un battibaleno
un fungo fresco in mano
ed eccoti a Giaveno.
Ma il finale si sa,
non è prevedibile
e il Poirino finì trascinato
da tramvieri e ferrovieri
che lo lasciano in un tratto di mezzo tra Chieri e Moncalieri.
Non si arrese il babbione
che l’allegria voleva provare
Pensò ad una casa
e vide Casa Martini:
“dopo tanto girovagare
ho trovato la mia Pessione.”

Il caos interiore di Frida Khalo. Mostra alla Cittadella

A Torino, presso il Mastio  è ospitata la mostra dedicata all’ artista messicana diventata di fama mondiale

 

La mostra intitolata “Frida Khalo- Il caos dentro”, ospitata al Mastio della Cittadella di Torino dal 1 ottobre al 26 febbraio prossimo, si concentra su di una figura centrale dell’arte messicana, la pittrice latinoamericana più celebre del Novecento.
Con il marito Diego Rivera, uno tra i più importanti muralisti messicani, ha costituito una delle coppie più significative della storia dell’arte mondiale.
L’esposizione è organizzata in sezioni tematiche, tutte contraddistinte da una particolare scenografia, che rappresentano un viaggio colorato nella caotica esistenza della pittrice messicana. Simbolo dell’avanguardia artistica e culturale grazie alla sua geniale sensibilità e alla sua forza al tempo stesso trasgressiva, Frida Khalo costituisce una delle icone più amate del Novecento.
La sua opera affonda le radici nella tradizione popolare, ma anche nelle esperienze di vita e sofferenze patite, che è stata capace di esprimere con un talento straordinario. Il travaglio esistenziale e il suo caos interiore hanno trovato espressione in una produzione artistica eccezionale, in cui risultano costanti i riferimenti a un Messico che ha conosciuto profonde trasformazioni dal punto di vista sociale, politico e culturale, in grado di condurre alla modernità del ventesimo secolo.
Il percorso espositivo della mostra accompagna il visitatore attraverso una narrazione fatta di film, documentari e lettere che l’hanno vista protagonista.
La mostra ricostruisce perfettamente gli spazi in cui l’artista visse, come il suo studio e la sua camera da letto. Molti i disegni, le pagine di diario e gli oggetti della vita quotidiana, i gioielli e le fotografie scattate all’epoca nella suggestiva Macondo, tanto amata da Gabriel Garcia Marquez, da Leo Matiz, fotografo molto amico di Frida. Presenti nell’esposizione anche alcuni dipinti originali che non sono mai stati esposti prima, quali il “Ritratto di Frida”, disegnato da Rivera nel 1954, o la “Nina de losabanicos”, sempre di Diego Rivera, risalente al 1913.
La mostra dal titolo “Il caos dentro” rappresenta un percorso espositivo di grande impatto sensoriale che riesce a coinvolgere ancora maggiormente il visitatore, facendo uso della multimedialità.

Mara Martellotta

L’esposizione, inaugurata il 1 ottobre 2022, rimarrà aperta fino al 26 febbraio 2023.
Orari dal lunedì al venerdì ore 9.30-20
Sabato e domenica 9.30-21.

Camera subalpina tra storia e diplomazia

E’ recente l’ incontro dei maggiori Ministri degli affari esteri membri del Consiglio d’Europa

Costruita nel 1683 sul progetto di Guarino Guarini, era il salone d’onore al piano nobile del palazzo dei principi di Carignano. 50 giorni dopo la promulgazione dello Statuto Albertino fu riadattata per scopi parlamentari, divenendo sede della Camera, progettata da Carlo Sada. Fu trasformata in un anfiteatro, con i seggi dei deputati messi a semicerchio davanti al banco del presidente e dei segretari. Inaugurata ufficialmente l’8 maggio 1848, permettendo l’acceso anche al pubblico. Successivamente, nel 1860 ci fu un ampliamento, tale lavoro venne affidato all’architetto Peyron, gli fu chiesto di creare un’aula provvisoria nel cortile. L’aula della Camera Ellittica progettata da Peyron fu chiusa, ma non smantellata. Dopo il restauro del 1988, la Camera non è più accessibile, ma solo in occasione della “Giornata dell’Unità Nazionale e della Costituzione” ad un ristretto numero di persone. Ma durante l’incontro conclusivo del semestre di Presidenza italiana, il quale avvenne a Torino il 19 e 20 maggio, giorni in cui il capoluogo pimontese ospitò la riunione dei Ministri degli Affari Esteri dei 46 Stati membri del Consiglio d’Europa. Ai Ministri fu offerta una visita straordinaria nell’aula della Camera dei deputati del Parlamento subalpino. La Camera, inoltre, venne riconosciuta come monumento nazionale dal 1898 e tutelata dall’Unesco dal 1997 come “Patrimonio dell’Umanità”.

L’evento oltre ad aver rappresentato un’occasione per ricordare i valori del Consiglio d’Europa: cooperazione multilaterale, democrazia, diritti fondamentali, stato di diritto, pace. Diede anche l’opportunità per ricordare la lunga tradizione diplomatica di Torino e del Piemonte, nata fin dall’800.

Sofia Scodino

Confini/Sconfinamenti, ovvero un contemporaneo percorso di riflessione

Dall’11 ottobre al 6 novembre ritorna il “Festival delle Colline”

 

Un ritorno in palcoscenico, l’organizzazione di TPE – Teatro Astra, un calendario fitto di impegni dall’11 ottobre al 6 novembre, un panorama costruito attraverso 7 prime, 8 produzioni, 20 spettacoli, 27 giorni e 37 recite: il Festival delle Colline si ripresenta al pubblico torinese e non soltanto, nella sua 27ma edizione. L’appuntamento teatrale – sottolineano le storiche guide, Sergio Ariotti e Isabella Lagattolla – “prosegue il suo nuovo cammino di festival d’autunno ribadendo il rapporto con la creazione contemporanea anche grazie alla partnership progettuale con la Fondazione Merz, nei cui spazi, durante la settimana di Contemporary Art, avranno luogo gli appuntamenti di teatro performativo.” Come con altrettanta forza i responsabili guidano lo spettatore all’interno del tema generale del Festival che “viene sintetizzato ancora da ‘confini/sconfinamenti’, ovvero da un percorso di riflessione che accompagna al superamento dei molti steccati posti tra i linguaggi artistico-espressivi e che ipotizza un affrancamento – per spettacoli e performance, ove possibile – dai luoghi che tradizionalmente li ospitano. Si tratta di un tema a più declinazioni se si pensa anche agli sconfinamenti generati dalle guerre, di drammatica attualità, dalle migrazioni di ogni genere; senza dimenticare le diaspore di artisti minacciati e perseguitati.”

L’inaugurazione (al teatro Astra, 11 ottobre, replica il 12) è affidata a “Una imagen interior” con la Compagnia El Conde de Torrefiel, un ritorno al festival del gruppo spagnolo che coniuga teatro e arte dalle pitture rupestri all’action painting di Pollock, il tentativo di portare in primo piano la propria personale immaginazione nel tentativo di contrastare la padronanza della parola. Una scommessa è lo spettacolo ideato e raccontato attraverso i linguaggi del digitale dalla regista Irene Dionisio e dalla drammaturga Francesca Puopolo, “Queer Picture Show”, interprete Giovanni Anzaldo recente Premio Ubu, tracciando un percorso cinematografico che va da Gus Van Sant a Todd Haynes, da Derek Jarman a Bruce LaBruce (Off Topic, 13/15 ottobre); al Teatro BellArte, il 15 e il 16 ottobre, “Funerale all’italiana”, un monologo di Benedetta Parisi (in scena) e Alice Senigaglia (regista) che tra passato e futuro ci parla di famiglia e di tradizione, di quelli che sono stati e di discendenze; all’Astra, con il teatro della Tosse, la serata del 18, il copione più censurato di Fassbinder, scritto nel 1975 e rappresentato soltanto nel 2009, “I rifiuti, la città e la morte”, ovvero le ferite aperte della guerra e del dopoguerra, dal nazismo all’antisemitismo, dalla corruzione capitalistica alla violenza metropolitana.

Ancora, tra le altre proposte, la danza di Virgilio Sieni con una nuova creazione condivisa e proposta con un danzatore non vedente (“Danza cieca”, 20 e 21), “Manfred” tra le parole di Byron e la musica di Schumann (Fondazione Merz, 28/29), “The dancing public” nei giorni 28 e 29, al teatro Astra, che è un invito a tutti gli spettatori da parte della coreografa e danzatrice danese Mette Ingvartsen a godere del ballo, “un concerto di parole e una manifestazione di follia fisica fino allo sfinimento.” Tra il 30 ottobre e il 6 novembre una trilogia dedicata ai Motus e suddivisa tra gli spazi dell’Astra e della Fondazione Merz.

 

e.rb.

 

 

Nelle immagini, scene tratte da “Una imagen interior”, “Danza cieca” e “”The dancing public”

Le visionarie “psichedeliche” realtà di Gianluca Capozzi

“Il giardino reciso / The severed garden”

In mostra alla “galleria metroquadro” di Torino

Fino al 12 novembre

Se si dovesse accompagnare la personale di  Gianluca Capozzi  – allestita alla torinese “metroquadro” di Marco Sassone, fino al 12 novembre –  con una specifica colonna sonora capace di interpretare ad hoc le immaginifiche realtà narrate e poste in parete dall’artista avellinese, penso si potrebbe scegliere qualche pagina (fra le più famose, misteriche e mistiche e sensuali) del “rock psichedelico” di Jim Morrison, “profeta della libertà” per antonomasia, fra le figure “di maggior potere seduttivo” nella storia della musica e una delle massime icone, nel mondo dello spettacolo, dell’inquietudine giovanile. Perché questa mia affermazione? Per due ragioni.

La prima è che lo stesso Capozzi ci porta su questa strada, fin da subito e volutamente (ritengo) attraverso il titolo della stessa rassegna, quel “The severed garden” letteralmente “rubato” al titolo di una tarda poesia del cantautore e “poeta maledetto” di Melbourne, suo “addio annunciato”  a una vita quotidianamente e brutalmente sfidata e che tristemente si spegnerà il 3 luglio del 1971 a Parigi, quando Jim aveva solo 27 anni. “Sai quanto pallida e sfrenatamente eccitante  – scriveva Jim Morrison – viene la morte a una strana ora / inattesa, imprevista / come uno spaventoso ospite più che amichevole che ti / sei portato a letto”: parole dure, profetiche. Fortemente visionarie.

Scritte in una sorta di nirvana psichedelico in cui s’agitano forme, memorie, pensieri, squarci di vita srotolati in una discesa senza fine e senz’ombre di paura. Un intreccio di emozioni, parvenze tattili o impalpabili apparentemente fra loro inconciliabili, che abitano anche i lavori di Capozzi. E questa è allora la seconda ragione. Anche se indubbiamente s’ha da credere ad Andris Brinkmanis (critico d’arte di origine lettone) curatore della mostra, quando asserisce che “se per Morrison il giardino con i fiori recisi era quello simile a un cimitero, per Capozzi forse significa esattamente l’opposto, poiché resta pregno di una possibile rifioritura. Anche se attualmente reciso seguendo i canoni estetici, sociali e politici dominanti, questo Giardino può rifiorire selvaggiamente, appena lasciato intatto o incondizionato per un certo periodo di tempo”.

Sono d’accordo. Ma, sia chiaro, non è facile entrare e appropriarsi degli stranissimi universi dell’artista di Avellino. Puoi trovarci di tutto. Girotondi di figure libere e in pieno volo circondate – in una sorta di decomposizione del reale – da “coriandoli” o informi pianeti di colore,  stanze (quasi sempre la stessa) dove al soffitto o appese a testa in giù sbucano sagome figurali – fantasmi, memorie, un lontano passato? – entrate a curiosare chissà chi chissà da dove, forse la giovane “addivanata” con il telefono alla mano sinistra e la sigaretta alla destra o ancora, in un sussulto di piena astrazione, girandole di colore, gialli, bianchi, verdi o turchesi o grigi, come frammenti meteoritici inarrestabili nel loro confuso orbitare. “L’arte – afferma lo stesso Capozzi – è la possibilità di rendere visibile agli occhi tutto quello che non è visibile”. Affermazione che uno come lui può tranquillamente permettersi di fare, senza destare sospetti. Dietro a queste sue personalissime opere, ci sta infatti un mestiere indubitabile. Inizialmente artista iper-iper-realista, Capozzi è sempre, ancora oggi, grande maestro di segno e colore. I colori lo esaltano, diventano grumo e materia capace di dare corpo ed espressionistico spessore al racconto. Tanto più a un racconto di straordinaria spaesante surreale e onirica visionarietà. E allora puoi permettergli di tutto. “Luce e colore– dice –sono l’anima dell’arte e della vita”. Sono strumenti di pura magia nelle mani, negli occhi e nel cuore di un artista che, negli ultimi anni, è anche particolarmente attratto – ricorda ancora il curatore della mostra, Brinkmanis – da temi e teorie di singolare impronta filosofica: dalla psichedelia, al pensiero magico sudamericano e a quello orientale. “Lo sgretolarsi della percezione del reale, che vediamo in alcune opere esposte – afferma Brinkmanis –  deriva quindi non soltanto dalle sue riflessioni teoriche, ma anche da stati di coscienza espansa attraverso profonda meditazione e altre pratiche, seguendo le quali è possibile accedere a più sottili piani della realtà, per vedere come la nostra vita quotidiana in fondo non è altro che una sorta di teatro d’ombre cinesi”.

Gianni Milani

“Il giardino reciso / The severed garden”

Galleria “metro quadro”, corso San Maurizio 73/F, Torino; tel. 328/4820897 o www.metroquadroarte.com

Fino al 12 novembre

Orari: dal giov. al sab. ore 16/19

Nelle foto:

–       “Sky”, acrilici su lino, 2021

–       “Interior”, acrilici su lino, 2021

–       “Untitled”, acrily on canvas, 2021

–       “Mushroom”