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Si è tenuta il 5 maggio l’inaugurazione di Conscious connection, una mostra in occasione dei Torino Digital Days. Lo spazio espositivo comprende le opere interattive di XAARCHIVE, un collettivo composto da due artiste che si prefiggono di coniugare arte e sostenibilità. Nell’accattivante cornice di IN6 LAB SRL, posta al secondo piano presso il civico 30 di piazza Carlo Felice, la mostra prodotta da Artsted rimarrà aperta al pubblico fino al 9 giugno.
Dal 9 al 14 di maggio si terrà l’ultima edizione dei Torino Digital Days, un’iniziativa nata nel 2019 per promuovere e analizzare le tematiche legate al mondo digitale. Durante questo appuntamento la città si anima con presentazioni, workshop e incontri tematici tentando di favorire soprattutto la partecipazione giovanile. Le discussioni quest’anno ruoteranno intorno a temi come l’intelligenza artificiale, la realtà aumentata, l’automotive e le blockchain.
Per questo motivo lo spazio di Toro Legal Hub ha deciso di ospitare le opere di due giovanissime artiste, Nayla Cefarelli e Sofia Lorenzo. Entrambe hanno infatti indagato come si possa conciliare la natura e il rispetto per i suoi cicli con le tecnologie sempre più crescenti. Le tre ale utilizzate infatti vogliono ricreare l’illusione di una foresta composta di suoni e luci. I risultati sono sorprendenti e comprendono la realizzazione di immagini tramite algoritmi e la presenza di materiali biodegradabili realizzati tramite stampanti 3D. Su alcune sculture sono inoltre innestati dei funghi in modo da rendere ancora più evidente il legame con il mondo naturale e con il suo decorso. Infatti questi cresceranno autonomamente e moriranno alla fine dell’allestimento.
Così tramite gli oggetti presenti prendono vita le grandi domande che stanno infiammando la scena pubblica dalla fine della pandemia. Che fine fa ciò che utilizziamo? Qual è il ruolo dell’arte in un mondo sempre più automatizzato? Come cambierà il rapporto fra l’opera e il fruitore?
Conscious Connection sarà visitabile gratuitamente per tutta la Digital Week dalle ore 10 alle 18, registrandosi all’apposito link presente sul sito. Successivamente l’accesso sarà a pagamento solamente per i maggiori di 25 anni: il prezzo del biglietto è di 8 euro, sempre previa registrazione online. In questa circostanza sarà possibile fruire dell’esposizione grazie ad una visita guidata effettuata da un operatore in loco.
Leggi anche – Al via i Torino Digital Days
Francesca Pozzo
E´ di Donatella Andriolo e Donatella Spagnotto il libro Festa di compleanno nell’antico Egitto. A casa di Tuya, ambientato nell’antico Egitto, che narra le vicende della moglie di un ricco funzionario del Re del Nuovo Regno impegnata nell’organizzazione della propria festa di compleanno tra inviti, menu e vestiti da indossare. Il racconto porta il piccolo lettore a conoscere personaggi interessanti che introducono aneddoti coinvolgenti sulla vita quotidiana nell’antico Egitto. Per i giovani fruitori di questo testo e´ facile vestire i panni di dei vari personaggi in scena: scriba, cuoco, sarto, gioielliere e maestro di musica, imparando la realtà delle singole attività; la sua struttura, inoltre, è molto originale, all’interno di ogni capitolo si trovano, infatti, dei quiz divertenti, mentre al fondo e´ presente la sezione “approfondimenti” che scava a fondo su curiosità storiche molto interessanti.
Le autrici spiegano ai ragazzi, con semplicità, gli usi e i costumi dell’Antico, Medio e Nuovo Regno, le abitazioni, l’alimentazione, l’abbigliamento e i gioielli in uso, mettono insieme la didattica con il divertimento, una formula intelligente ed utile per insegnare e diffondere la storia in maniera leggera ed avvincente; il volume e´stato pensato, inoltre, con l’intenzione di stabilire un dialogo tra insegnanti e ragazzi e tra questi ultimi e genitori. Festa di compleanno nell’antico Egitto. A casa di Tuya e´un racconto che ha una parte più “tecnica”, per chi volesse approfondire gli argomenti trattati, e una piu´ ludica che comunque, con una modalita’ diversa, aiuta ad imparare ed appassionarsi.
Tuya è la “signora della casa” vissuta nel Nuovo Regno, l’ultimo grande periodo della storia egizia, (l’epoca in cui hanno regnato Tutankhamon o Ramesse II) che abitava in una città che gli egittologi hanno portato alla luce: Deir el-Medina. È una donna indipendente, molto attenta alla bellezza e all’eleganza, che vuole essere splendida per la festa del suo compleanno, non molto diversa, dunque, da qualsiasi donna moderna.
Oltre ai contenuti di testo, a rendere ancora piu´ leggibile e piacevole questo libro ci sono le illustrazioni della talentuosa Alessandra Marcati che e´ entrata sin da subito nello spirito dell’arte egizia, un mondo antico e complesso, un periodo storico ricco e leggendario.
MARIA LA BARBERA
Una suggestiva retrospettiva – omaggio all’avventura artistica collegata alla “Fiber Art” di Sergio Agosti
Da venerdì 12 maggio a martedì 30 maggio
Chieri (Torino)
A novant’anni dalla nascita, a Carpaneto Piacentino (1933) e a venti dalla morte a Chieri (Torino, 2003), Sergio Agosti, fra i nomi più prestigiosi e indimenticati dell’arte concettuale novecentesca nonché indiscusso pioniere dell’arte tessile, sarà ricordato a Chieri, dove visse per anni fino alla scomparsa, con una suggestiva personale ospitata, da venerdì 12fino a martedì 30 maggio, presso il “Museo del Tessile” ( “Sala della Porta del Tessile”, in via Santa Chiara 10), curata da Silvana Notache, insieme a Melanie Zefferino, cura anche il catalogo della rassegna dal titolo “Sergio Agosti. Off Loom / Oltre il telaio”. Pittore, scultore, incisore, Agosti è stato un artista poliedrico e raffinato che, nella sua ricerca di matrice concettuale ha sgusciato (senza mai troppo abbandonare l’originaria esperienza figurale) da “un espressionismo naturalista – per dirla con Aldo Passoni – ad un astrattizzazione dell’oggetto condotta con l’ausilio di varie tecniche”: dall’ olio e dall’ encausto, alla stratificazione dei cartoni vegetali e al collage anche con l’utilizzo di carte di riso giapponesi, all’acquaforte, alla litografia e alla calcografia per la realizzazione di “libri d’artista”, fino ad arrivare ai “Mandala” (disegni concentrici mistico-religiosi dalle antiche origini indiane) creati con pigmenti in polvere e minerali su supporti cartacei.
Artista di “segni a volte pericolanti e sghembi – scriveva nel ’75 Enrico Paulucci, in occasione di una sua personale a Rapallo –come alla ricerca della luce, talvolta tratteggiati e incrociati nella ricerca di piani e di spazi; talvolta spinti verso cieli più astratti: ma sempre essenziali, al di là di una mera ricerca descrittiva, impregnati di una loro delicata vita, di una loro viva ragione…”. A partire dagli anni ’70, l’artista di origini piacentine sviluppa un inedito ciclo di opere in cui impiega l’elemento tessile, sperimentando materiali diversi assemblati fra loro (pietre cucite con morbidi fili di lana, ad esempio, in “Ambiguità del segno”), anticipando in Italia le più innovative esperienze internazionali legate alla “Fiber Art”. Esperienze di cui sono chiara espressione i 12 lavori presentati in mostra a Chieri, facenti parte della “Collezione civica Trame d’Autore”, a cui si aggiungono alcuni prestiti della famiglia. Formatosi all’Istituto d’Arte “Felice Gazzola” di Piacenza, Agosti debutta giovanissimo, appena ventiduenne, frequentando il mondo artistico emiliano e lombardo e inaugurando con la sua prima mostra personale un’attività espositiva ininterrotta negli anni, in Italia e all’estero. Nel 1961 si trasferisce a Torino e successivamente a Chieri, dove vivrà fino alla morte, avvenuta nel 2003, e dove nel 1972 riceverà il prestigioso Premio “Navetta d’Oro”.
Come grafico pubblicitario, lavorò anche (dal 1966 al 1989) presso l’“Ufficio Pubblicità” della “Ferrero” a Pino Torinese. Folgorante, per lui instancabile sperimentatore di sempre nuove cifre stilistiche e narrative, l’inciampo (anni ’70) nell’elemento tessile. Inizia da qui una copiosa produzione di lavori “che si distinguono per connotazioni di avanguardia – precisa Silvana Nota – sul versante del movimento internazionale della ‘Fiber Art’, che proprio in quegli anni trova una sua precisa identità, e che a Chieri, troverà a partire dal 1998 un riferimento importante grazie alle ‘Biennali Chieresi’ che hanno visto l’approdo di artisti da tutto il mondo”. Alla chierese “Porta del Tessile”, già Cappella quattrocentesca del Convento di “Santa Chiara”, a sua firma si possono così ammirare eleganti “Arazzi” non convenzionali, gli “Assemblage”, i “Teatrini”, le “Pietre cucite”, i lavori realizzati con la tela “Bandera Chierese” (tipico tessuto locale in uso dal Settecento), sculture e installazioni che “rappresentano un veicolo importante – conclude la curatrice – per parlare al grande pubblico, come agli esperti, delle molteplici possibilità espressive dell’antica tradizione tessile chierese, che Sergio Agosti ha mirabilmente declinato in arte di matrice concettuale”.
Gianni Milani
“Off Loom / Oltre il telaio”
“Museo del Tessile”, via Santa Chiara 10, Chieri (Torino); tel. 329/4780542 o www.fmtessilchieri.org
Fino al 30 maggio
Orari: mart. 10/12 e sab. 14/18
Nelle foto:
– Sergio Agosti: “Teatrino”, 1999
– Sergio Agosti: “Ambiguità del segno”
– Silvana Nota
La bella e ondosa chioma bionda è tornata a far parlare di sé dopo secoli, un tempo allegoria del rinnovamento culturale del Rinascimento, oggi forse personificazione del nostro tempo caratterizzato da una generale mancanza di “logos”, passando da simbolo indiscusso di bellezza e sensualità, ad una moderna “sciatta”icona svuotata di ogni significato, una sorta di contemporanea versione alla Andy Warhol, ma priva del senso di critica e denuncia sociale che caratterizzava le opere della Pop Art.
Quante parole e quante contestazioni intorno alla vicenda della “Venere influencer”, eppure penso che abbiamo ben poco di cui lamentarci, giacché, a mio modestissimo parere, questa odierna rivisitazione ce la meritiamo tutta.
Lasciate che mi spieghi.
Sul finire del 1400 – precisamente tra il 1485 e il 1486- Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi, meglio noto come Sandro Botticelli (1445-1510), dona al mondo una delle opere più strabilianti della storia dell’arte: un mare leggermente increspato, piccole onde che si susseguono secondo un ritmo simmetrico –quasi una decorazione da carta da parati- mentre sull’acqua si riflette un cielo terso. Dal lato sinistro del quadro si sporge Zefiro, ha le guance gonfie, soffia per far giungere l’avvenente Venere sulla riva, mentre la bella Clori si lascia avvolgere dal dio in un eterno abbraccio aggraziato. Dall’altro lato della tela, una fanciulla, probabilmente una delle Ore – o delle Grazie- porge con gesto gentile alla dea una veste, indumento che è di per séun tripudio di decorazioni naturalistiche, le pieghe della stoffa sono riccamente ricamate con primule, rose e rami di mirto, pianta sacra alla stessa Venere e raffigurata anche nell’altrettanto celebre dipinto dello stesso autore, la “Primavera”.
Al centro della composizione, lo strabiliante artista, allievo di Filippo Lippi, pone Venere. La splendida figura si staglia nuda all’interno di una conchiglia aperta, che la porta sulla marina, con un atteggiamento di timida riservatezza che tuttavia non la salvaguarda dal trasudare elegante sensualità. L’autore, che apprende le lezioni del Verrocchio e del Pollaiolo, è anche profondo conoscitore dell’arte classica, motivo per cui i tratti di Venere/Afrodite si fanno preziosi e leggiadri, ma altresì ispirati alla statuaria greca; secondo la tradizione iconografica della “Venere pudica”, la sempiterna fanciulla con una mano si copre il pube e con l’altra il seno, mentre i lunghi capelli le incorniciano il volto e contribuiscono a coprire la nudità del corpo.
Il soggetto raffigurato è ripreso dalle “Metamorfosi” di Ovidio (poeta romano I a.C. – I d-C.), tematica già rappresentata nelle “Stanze” di Agnolo Poliziano e in generale argomento assai apprezzato e conosciuto presso la corte intellettuale della famiglia Medici.
È bene precisare che, nonostante la titolazione “Nascita di Venere”, il momento ritratto è l’approdo di Afrodite presso l’isola di Cipro.
Come la celeberrima “Primavera”, anche quest’opera risponde al diffondersi del neoplatonismo presso la corte di Lorenzo il Magnifico, figura essenziale del Rinascimento, uomo colto e dai gusti raffinati, che amava circondarsi di artisti, filosofi ed intellettuali.
Secondo la filosofia neoplatonica l’amore è principio vitale e forza del rinnovamento della natura, per tale motivo l’opera del Botticelli va letta come celebrazione e allegoria della nascita di una nuova umanità, rappresentata proprio da Venere, la cui nudità diventa pura sublimazione del concetto di “bellezza”, esimio tentativo, da parte del pittore, di canonizzare i paradigmi estetici del pensiero di Plotino, per il quale la “mimesi” non è più pensata come copia del reale, ma come copia del modello “ideale”, ossia come “idealizzazione”.
Per secoli tale capolavoro si è fatto amare, senza alcuna difficoltà, perché il “bello” colpisce il cuore e la mente e non può che lasciare lo spettatore senza fiato.
Per secoli, appunto, fino alla nostra attualità, asettica e adiafora, ossia indifferente.
Silenzio che si è quietato giusto fino al 2020, il tempo di un battito d’ali d’una farfalla o di una storia su instagram, quando la più che nota Chiara Ferragni ha solcato i vasariani corridoi degli Uffizi.
E poi di nuovo il nulla.
Ma ecco all’improvviso il riapparire di quella inconfondibile chioma bionda.
È la nostra Venere, solo che ora non rappresenta più l’idea botticelliana, bensì la nostra. È tutta “moderna”, ora la bella Afrodite: alla faccia del “body positive” o del “girl power”, si presenta abbigliata da “radical chic”, non mostra nemmeno un centimetro dell’antica perfezione e sembra sorridere inebetita accanto alla sua bicicletta ecosostenibile, mentre presenta al mondo un’Italia stereotipata -che poi come sappiamo Italia non è-.
Questa tanto dibattuta Venere mondana è l’effigie dell’altrettanto discussa campagna promozionale “Open to meraviglia”, voluta dal Ministro del Turismo Daniela Santanché e costata ben 9 milioni di euro. Le problematiche paiono essere effettivamente complesse, al punto che il caso è finito in parlamento con l’accusa di “grave danno di immagine al Paese”. Gli scivoloni in effetti sono molteplici, èinnegabile, e grossolani, per lo più traduzioni errate e locazioni geografiche inesatte. Solo un esempio: sul sito si legge che Palladio interviene, per l’edificazione della Basilica Palladiana, sul preesistente Palazzo della “Regione”, in realtà Palazzo della “Ragione”, definizione data all’edificio poiché lì si esercitava la “ratio”.
A far discutere sono anche le immagini da cartolina “pizza e mandolino”, che per altro non sono nemmeno state realizzate sul territorio. E infine questo “claim” ibrido e maccheronico che richiama quel “Verybello” voluto nel 2015 dal Ministero dei Beni culturali, espressione per altro ritenuta inadatta e poco internazionale.
Insomma questa trovata pare fare acqua da tutte le parti.
Eppure non sono tali numerosi errori a colpire la mia attenzione.
Mi pare, a guardarla bene, che sul volto della mirabile Afrodite non ci sia più un aggraziato sorriso, ma un ridere sommesso e beffardo, una smorfia celata e trattenuta da photoshop, una presa in giro rivolta a noi, noi osservatori automatici, a noi incapaci di agire attivamente e icon criterio, a noi “che come s**** rimaniamo a guardare” per dirla parafrasando il titolo di un film di PIF, geniale quanto veritiero.
Quello che penso è che questa “Venere influencer” ce la meritiamo.
Come la Dea botticelliana era allegoria della “ratio” rinascimentale, dell’ “uomo misura di tutte le cose” e della nuova umanità illuminata, questa contemporanea Venere influencer è perfetta metafora del tempo in cui stiamo vivendo.
La storica bellezza lascia spazio ad un aspetto banalizzato e standardizzato, la simbolica nudità che esaltava la perfezione del corpo è ora censurata con abile e subdolo moralismo, infine lo “slogan”, così tristemente scarno, riecheggia la pochezza di contenuti inculcata dalla cultura del Social.
Non è dunque l’attualizzazione ironica dell’icona rinascimentale, bensì una sorta di nemesi: una fanciulla vacua e vaga truccata da capolavoro, personificazione “ad hoc” di una società dove la leggerezza spadroneggia, i ruoli si sfaldano e nessuno vuole assumersi le proprie responsabilità.
Lo dimostrano le recenti circostanze, in particolar modo i fatti riguardanti la scuola.
Il sistema educativo si sta sgretolando, sta cedendo il luogo in cui i ragazzi vengono istruiti, in cui si concretizzano i verbi latini “disco” e “nosco” secondo le accezioni più late dei termini.
Le cose funzionavano “bene” fino a non troppo tempo fa. La famiglia ricopriva il suo ruolo essenziale per la crescita dei giovani, parimenti la scuola contribuiva alla formazione del futuro cittadino (secondo quanto sostenuto nel documento chiamato Patto di Corresponsabilitàtra Famiglia e Istituzione), rivestendo un ruolo chiave nella crescita dell’individuo, il quale si preparava così ad inserirsi attivamente nella collettività.
D’un tratto i due nuclei non hanno più viaggiato in parallelo, l’uno ha improvvisamente debordato nell’altro, che a sua volta ha perso senso di fermezza e concretezza. Di nuovo andrei a ricercare le cause in questa violenta e forzata intromissione tecnologica nelle nostre vite.
Scusate poi se mi appello a quello che è propriamente il mio campo: lo abbiamo già dimenticato il “casus belli” del David di Michelangelo? Una vicenda che come sempre ha acceso gli animi per qualche pomeriggio, poi è passata in sordina: Hope Carrasquilla, preside della Classical School di Tallahassee, in Florida, è costretta a rassegnare le dimissioni per aver mostrato la statua del David di Michelangelo Buonarroti durante una lezione di arte -tra l’altro proprio sull’arte del Rinascimento italiano- in seguito alle proteste dei genitori degli alunni, i quali hanno accusato la docente di “pornografia”.
Certo, è successo lontano da noi, nella stessa terra misteriosa dove la Cancel Culture vuole eliminare Dante e Omero dai programmi scolastici perché ritenuti offensivi e razzisti, nello stesso luogo in cui i grandi classici della Disney sono eliminati dalla storia della filmografia e con la stessa ignorante presunzione vengono trattati alcuni capisaldi del cinema internazionale (“Via Col vento” giusto per citarne uno).
Eppure è la stessa patria che guardiamo con fascinazione e adorazione, è la stessa America che vogliamo tanto imitare, quindi scusate se mi indigno e un po’ mi spavento.
In più vi confesso, certo non a questi assurdi livelli, ma anche nelle nostre scuole tutte italiane noi docenti dobbiamo entrare in classe in punta di piedi, non tanto per timore dei ragazzi, ma per le eventuali rimostranze che potrebbero giungere da casa.
Lo dico sorridendo, ma pensatemi mentre spiego Storia dell’Arte, che praticamente è tutta un nudo e quando non si parla di religione si tratta di scene di violenza! Cosa dovrei spiegare? Forse rimangono alcune opere fiamminghe, ma non possiamo soffermarci solo sul genere “natura morta” – che poi per lo più si tratta di scene di “vanitas” e qualcuno potrebbe comunque sentirsi turbato all’idea di sfiorire e non essere immortale-.
A me “in primis” era capitato qualche anno fa: una mamma mi aveva atteso fuori da scuola, per dirmi che era contraria alla consegna che avevo assegnato alla figlia (un disegno attraverso il quale i ragazzi avrebbero dovuto esprimere ciascuno le proprie emozioni): classe I media, studio delle emozioni, con tanto di spiegazione e restituzione del lavoro da parte mia ad ogni fine ora, completo di confronto attivo tra gli alunni, basato su riflessioni e raffronti. Lezioni a cui per altro l’alunna in questione partecipava volentieri, senza ansie né traumi.Ricordo che la vicenda si era poi conclusa senza eccessive difficoltà, qualche delucidazione in più e una spiegazione accurata di quanto avveniva in classe avevano appianato i dubbi della madre che si era dimostrata aperta al dialogo.
Accade qualche giorno fa vicino Napoli. Alcuni genitori, membri dell’Associazione Borromeo, protestano perché la classe dei figli realizza, sotto la supervisione del docente, un film “horror”, attivitàche, a detta di tali individui, è “di cattivo gusto e senza un finale educativo”. Il filmato però tratta tematiche importanti e di grande attualità quali il bullismo, l’emarginazione, la violenza in etàadolescenziale, ma anche l’amicizia e la rivalsa; inoltre gli alunni vengono preparati studiando testi specifici, quali alcuni romanzi di Stephen King, maestro per eccellenza della letteratura “horror”contemporanea, abilissimo scrittore e uomo di grande cultura e genialità, insomma non proprio improvvisando su filmati di serie B o libri privi di messaggio come certe saghe dark che poi riscuotono pure troppo successo.
Sono davvero numerosi i casi in cui la scuola, e i componenti di tale comunità educante, devono retrocedere a favore di questa prepotenza diffusa, basata su villania e ignorantaggine.
Ad oggi non mi crea sconcerto l’appunto di un “signor nessuno”, ma temo grandemente il fatto che queste assurde prese di posizione non solo vengano ascoltate, ma abbiano spesso la meglio sulle scelte didattiche e sulle metodologie educative impiegate del docente, che per altro è un professionista dell’erudizione, pagato (molto poco) per istruire i ragazzi e prepararli alla vita, non solo all’interrogazione imminente.
Questi sono i veri atteggiamenti che sminuiscono il ruolo del Professore, non i rapporti più o meno stretti che talvolta si instaurano all’interno della classe, non gli strumenti e i metodi che gli insegnanti decidono di adottare, e non è nemmeno colpa dei banchi a rotelle o dei libri di testo digitali.
La colpa è dei padri e delle madri di questa Venere influencer.
Che poi è figlia nostra, di noi adulti, dei miei coetanei, di questa bizzarra generazione che crede di sapere tutto, che non vuole vedere i propri figli crescere perché ciò significherebbe “invecchiare”, che non basta a se stessa e perciò sproloquia su tutto, che non ha ancora capito i cambiamenti che ormai sono avvenuti e colpevolizza le nuove generazioni.
Questa Venere influencer non ha proprio nulla di sbagliato, al contrario.
Solo che guardarsi allo specchio talvolta può essere doloroso.
ALESSIA CAGNOTTO
È stata presentata alle Gallerie d’Italia di Torino la tredicesima edizione del Festival internazionale di fotografia Cortona on The Move, in programma dal 13 luglio al primo agosto prossimo a Cortona.
Tema scelto per questa edizione la dicotomia “More or less”. Sono stati invitati più di trenta artisti per 26 mostre che saranno allestite tra il centro storico cittadino, la fortezza medicea del Girifalco e la Stazione C nei pressi della stazione di Camurcia Cortona.
”More or Less – spiega il direttore artistico di Cortona on The Move, Paolo Woods – delineano due categorie che definiscono il mondo in cui viviamo, le nostre aspirazioni, le nostre paure e le nostre appartenenze.
La contrapposizione tra l’abbondanza e la scarsità, il superfluo e l’essenziale, l’elite e le masse, l’accumulo e la dispersione sono temi molto cari alla fotografia, attorno ai quali si sono sviluppati interi generi.
On the Move 2023, a Cortona, si concentrerà sul More, guardando al passato e al presente, e si soffermerà sul Less, studiandone gli stereotipi e offrendo un programma ricco di spunti per comprendere il nostro mondo. La priorità assoluta nella lista degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite è quella di debellare la povertà. La delusione per i fallimenti delle ideologie egualitarie e i timori per gli estremi del capitalismo sarebbero stati stemperati dal successo delle democrazie, che avrebbero livellato gli estremi e ci avrebbero assicurato un ceto medio più strutturato che avrebbe governato il mondo. Ma ciò non è accaduto. Secondo la maggior parte degli indicatori, i ricchi sono diventati sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Un americano medio dovrebbe lavorare per tre milioni di anni per diventare ricco come l’americano più abbiente.
“Il nostro obiettivo – ha spiegato Veronica Nicolardi, direttrice di Cortona on The Move – è quello di continuare l’indagine della contemporaneità e del mezzo fotografico, che ha caratterizzato il percorso intrapreso già dall’inizio dal Festival, arricchendola di nuovi strumenti”.
More or Less sono categorie che presentano un valore che cambia nel corso degli anni e a livello geografico. Non si tratta solo di categorie economiche ma anche ontologiche, un prisma attraverso il quale vediamo il mondo.
È anche stato indetto il Premio Vittoria Castagna dall’Associazione Culturale On the Move, nell’ambito dei giovani in formazione o che abbiano già concluso il loro percorso di studi, massimo trentenni, che operino nell’ambito del marketing edella comunicazione per la produzione culturale.
Vittoria Castagna ha rappresentato per anni un punto di riferimento umano e professionale, contribuendo in modo unico alla crescita del team di lavoro con cui si è relazionata in direzione dello sviluppo di Cortona on The move, affiancando la direzione del festival nella gestione dei partner e nelle strategie di comunicazione.
La manager del marketing e della comunicazione è una figura professionale caratterizzata da capacità di comunicazione e marketing tradizionali e innovativi, accanto alla conoscenza di strumenti e mezzi di sostentamento economici per progetti culturali quali bandi e fundraising, unitamente a competenze di gestione delle risorse umane e di coordinamento.
Il candidato, la candidata saranno ospitati nei giorni di inaugurazione del festival, dal 13 al 16 luglio 2023.
Il Premio Vittoria Castagna sarà di 5 mila euro e verrà riconosciuto sulla base di un’idea progettuale che indichi come il candidato svilupperebbe un’idea di progetto di comunicazione volto a sviluppare relazioni e progetti corporative, di modo da garantire nel tempo sostenibilità alla manifestazione.
MARA MARTELLOTTA
L’Osteria Rabezzana, nelle sue eleganti sale, accoglie la mostra, inaugurata sabato 6 maggio scorso alla presenza dell’artista e intitolata “La pittura di Gianni Bui”.
Da diversi anni l’ex giocatore del Torino Gianni Bui, centravanti granata indimenticato degli anni Settanta, si dedica alla pittura e ora l’Osteria Rabezzana ne ospita una mostra personale, che consente di apprezzarne il suo talento artistico.
“La pittura – afferma il professor Marco Basso – in qualcosa assomiglia allo sport del calcio e richiede una personalità assoluta. Gianni Bui non ha mai frequentato l’Accademia, ma si esprime artisticamente a livelli molto elevati. Diversi artisti provenienti dal mondo dello sport si sono espressi a livelli abbastanza simili.
Gianni Bui, ex giocatore del Verona, è stato un prolifico attaccante a cavallo degli anni Sessanta e Settanta.
È stato anche giocatore del Torino e capocannoniere in serie B con il Catanzaro.
Lasciato il calcio si è dedicato alla grande passione della sua vita, la pittura.
Già da bambino si divertiva a disegnare e ha avvicinato questa disciplina da autodidatta”.
“Mi dilettavo – afferma Gianni Bui – con i colori. Nei ritiri prima della partita si giocava a carte, ma io mi annoiavo e così iniziavo a dipingere, a disegnare riempiendo quaderni su quaderni. I pennelli sono diventati i compagni più assidui della mia vita”.
Seguo il mio istinto, qualche paesaggio a volte me lo chiedono, ma non sono temi che mi attraggono molto.
Se devo proprio dipingere un paesaggio lo faccio mostrando qualcosa di nuovo, allontanandomi dal linguaggio classico.
Anche i ritratti li dipingo in modo diverso, magari contorto, ma sicuramente unico”.
Quello compiuto da Gianni Bui rappresenta un percorso pittorico lungo che gli ha permesso di sviluppare una notevole sensibilità che ha attraversato negli anni diverse fasi artistiche, ben rappresentate dai suoi quadri.
La figurazione tocca il ritratto, il paesaggio, la natura morta, fino a raggiungere una sensibilità astratta in cui forma e colore si compensano con delicatezza e raffinatezza. Gianni Bui dipinge ciò in cui si rispecchia e risulta molto indicativa la ricerca di un linguaggio personale in cui figura un graduale abbandono della stesura pittorica più significativa. Proprio questo abbandono della stesura pittorica più figurativa e tradizionale lo conduce alla sperimentazione, dimenticando i riferimenti alla realtà e privilegiando il processo tecnico del colore con garbo e gusto. In questo modo Gianni Bui conquista la libertà espressiva dell’astrattismo, assimilando elementi dei grandi maestri del Novecento che, dalla pittura figurativa, sono passati al non figurativo. In lui sfuma il bisogno di misurarsi con la realtà oggettiva, traducendo la propria emotività nel segno e nel colore.
Il suo viaggio pittorico ha origine dell’emozione e proprio attraverso l’emozione è possibile avvicinare il percorso di questo artista, in cui l’esplorazione viene affiancata sempre all’introspezione.
Gianni Bui, la cui mostra rimarrà aperta all’Osteria Rabezzana fino al 28 maggio prossimo, lavora molto con l’acrilico e la grande novità della sua arte è stata la sua capacità di conquista rappresentata dalla novità dell’astrattismo, che lo ha reso capace di assimilare elementi propri dei maestri del Novecento.
Orari da martedì a sabato dalle 9.30 alle 12; 16.30-19.
Chiuso lunedì e domenica.
MARA MARTELLOTTA
Per la stagione d’opera 2023 il teatro Regio di Torino propone “La figlia del reggimento”, opera comunque di Gaetano Donizetti, con la partecipazione straordinaria di Arturo Brachetti, e sul podio, per l’occasione, Evelino Pido’. La regia immaginifica è del duo Barbe &- Doucet.
Inizia la mattina 29 aprile, alle ore 11, la vendita per l’Anteprima Giovani de “La figlia del reggimento” di Gaetano Donizetti, in scena venerdì 12 maggio e riservata al pubblico under 30.
Da sabato 13 maggio al 23 maggio tornerà al Teatro Regio, dopo 29 anni di assenza, “La figlia del reggimento “, la più fortunata opera francese scritta da Gaetano Donizetti, in un nuovo allestimento coprodotto dal teatro La Fenice di Venezia.
La regia immaginifica mescola con un tono umoristico elementi reali e elementi surreali, come risulta tipico delle produzioni del duo Barbe & Doucet.
L’opera, piuttosto impegnativa, è diretta da Evelino Pidò, ambasciatore dell’opera romantica e del bel canto nel mondo, che torna al teatro Regio alla guida di un cast superbo di specialisti del repertorio, il soprano Giuliana Gianfaldoni nella parte di Marie, il grande tenore John Osborn in quella di Tonio; il mezzosoprano Manuela Custer quale interprete della marchesa di Berkenfield e il baritono Roberto De Candia, che vestirà i panni di Sulpice.
Straordinaria la partecipazione di Arturo Brachetti nel ruolo della Duchessa di Krackentorp, un personaggio che pare un cameo, capace di esaltare le doti dell’artista, icona del trasformismo internazionale.
Mercoledì 10 maggio al Piccolo Regio Puccini, con ingresso libero, si terrà la Conferenza Concerto condotta dalla giornalista Susanna Franchi , con la partecipazione di Evelino Pidò, direttore d’orchestra, del baritono Roberto De Candia e del soprano Amélie Hois, del tenore Francesco Lucii e del basso Guillaume Andrieux, che interpreteranno arie dell’opera di Donizetti, accompagnati al pianoforte da Carlo Caputo.
Il 12 maggio, a partire dalle 19, si potrà condividere un aperitivo e, nel Foyer del Toro, assistere a una breve presentazione spettacolo con la partecipazione straordinaria di Arturo Brachetti, prima dell’inizio, alle ore 20, dell’anteprima Giovani.
Al termine 300 under 30 potranno accedere al Foyer del Toro per assistere a “Contrasti”, una sezione che ospita sia Cecilia sia Corgiat. La prima è un’artista e cantautrice torinese diplomata al Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino.
Corgiat, alias di Giovanni Corgiat Mecio, è produttore italiano di musica elettronica, specializzato in Composizione musicale Elettroacustica presso il Conservatorio di Torino.
Per Anteprima giovani l’ingresso è riservato a under 30 e a minori di anni 14 accompagnati da un maggiorenne under 30.
“La fille di régiment” rappresenta un’opera comique in due atti di Gaetano Donizetti, una delle tante opere composte dal maestro quando era a Parigi.
Le donne forti sono una costante nella produzione di Donizetti e Marie, la protagonista della Figlia del reggimento, risulta la più solare e insieme la meno femminile. Ha imparato dell’esercito napoleonico ad amare la patria e a imprecare come un soldato. Per la ragazza tutto cambia quando scopre di essere la figlia di una marchesa, anche se la vita aristocratica la delude un poco. Ritroverà il sorriso grazie all’aiuto dell’adorato Tonio, con l’aiuto dei papà militari.
Composta a Parigi nel 1840, si tratta della prima e fortunata opera francese di Donizetti di cui, messo da parte ogni snobismo, i transalpini si innamorarono, tanto che adottarono il “Salut a la France” come inno non ufficiale, in alternativa alla Marsigliese.
L’opera risulta una successione di marce brillanti, numeri vocali di virtuosismo sbalorditivo e episodi spiritosi. Molto nota l’aria di Tonio “Ah! mes amis” con i suoi nove do di petto. A farceli ascoltare sarà la voce di John Osborne, affiancato dalla Marie di Giuliana Gianfaldoni e da un cast di specialisti del repertorio.
La regia dell’opera è firmata dal duo Barbe & Doucet.
L’edizione è in lingua originale francese.
Ne “La figlia del reggimento”, uno dei capolavori dell’opera comique, la musica si alterna a scene recitate. Melodramma comico in due atti, musicato nell’estate e autunno del 1839, su libretto di Jules Henry Vernoy de Saint Georges e Jean Francois Bayard, reca la versione italiana di Callisto Bassi. Fu rappresentata per la prima volta a Parigi, al Thétre de l’Opera Comique l’11 febbraio 1840.
Mara Martellotta
Lunedì. Al Cafè des Arts suonano i Lametia. Al teatro Colosseo arriva Raf.
Martedì. Al Blah Blah si esibiscono i Bikini Mood. Allo Spazio 211 è di scena Peter White. Al teatro Colosseo 2 concerti consecutivi con orchestra per i Modà. Al Jazz Club suona il trio Underbar.
Mercoledì. Al Jazz Club si esibisce Zelda & The Blues Society. All’Osteria Rabezzana suona Emanuele Cisi con i Four & More.
Giovedì. Al Mad Dog si esibisce il quartetto Twombao. Allo Spazio 211 è di scena Mick Harvey con J.P Shilo, la cantante Amanda Acevoe e il quartetto d’archi Sometimes With Others. Al Dash suona la Ukuele Turin Orchestra. All’Hiroshima Mon Amour sono di scena i Sick Tamburo. Al Jazz Club suona il quartetto MiTo Hammond.
Venerdì. Al teatro Colosseo Angelo Branduardi con Fabio Valdemarin, presenta “Confessioni di un malandrino”. Al Magazzino sul Po si esibisce Farina Tree e Follia Nuda. Al Concordia di Venaria è di scena Cosmo. Al Folk Club si esibisce Jon Gomm. All Hiroshima Mon Amour è di scena Lucio Corsi. Al Blah Blah suonano i Vicious Rumors. Allo Spazio 211 si esibiscono i Leatherette con i Hangarvain. A El Paso suonano i Regrowth, Middle Finger e Toxic Youth.
Sabato. Da Gilgamesh si esibiscono i Melty. Allo Spazio 211 suonano i The Soft Moon. Al Jazz Club sono di scena i Son Machito. Al Blah Blah suonano gli Alma Thaur. Allo Spazio Kairòs si esibisce Lastanzadigreta. Al Cap 10100 sono di scena i rapper Rico Mendossa, Dani Faiv e Jack The Smoker.
Domenica. Al Jazz Club suonano i Soul Food Family. I Casino Royale suonano alle OGR.
Pier Luigi Fuggetta
Tu fotografavi e mi dicevi: “Adoro Venezia, perché ogni volta che ci torniamo è diversa, ogni volta che ci torniamo riusciamo a scorgere qualcosa di nuovo che la volta precedente ci era sfuggito”. E mentre parlavi ti stringevi a me. E io ti cingevo le spalle con un naturale gesto d’affetto e protezione. Camminavamo senza avvertire stanchezza, in cerca d’immagini ed emozioni. In fondo alle Fondamenta Nove, dove la laguna si fa larga e quasi mare, s’intravedeva la sagoma dell’isola di San Michele. Come un antico pesce galleggiava nella bruma, quasi sospesa tra l’acqua grigia e il cielo intonato al più brunito dei metalli. Oltre al cancello di ferro battuto, il silenzio del riposo dei morti: dei più umili e di quelli che, in vita, suscitarono passioni e invidie. E più giù, varcato il confine immaginario del sestiere del Castello, l’imponente edificio dell’Arsenale, per secoli il più grande del mondo, con i suoi leoni a far da immobili guardiani al cantiere e ai granai della Serenissima repubblica. Scattavi immagini e nelle pause, guardandomi negli occhi, mi sorridevi, felice. Felice di poter trattenere nella memoria della reflex i colori delle case e delle barche che si fondevano le une nelle altre, specchiandosi in quell’acqua che ha visto passare secoli di storie e di passioni. Di tanto in tanto s’intravvedeva qualche veneziano andare di fretta tra un ponte e l’altro, nei pressi delle chiese di San Zaccaria e San Giovanni in Bragora. Un brivido, un lungo brivido lo provammo quando, ormai persi senza meta, in prossimità del Ponte dei Conzafelzi incontrammo la Corta Botera dove un tempo c’erano i fabbricanti di botti. E più avanti la Corte Sconta detta Arcana di Corto Maltese, marinaio mai sazio d’avventure. Seguendo la sua ombra e quella di chi gli diede la facoltà di vivere nel suo mondo di viaggi e d’amori di carta, scopriamo la “favola di Venezia”. Accompagnati dall’ombra di Hugo ci avviamo verso i tre luoghi magici e nascosti. Sembra d’udire la voce profonda, mediterranea, di Corto: “Uno in Calle dell’Amor degli Amici, un secondo vicino al Ponte delle Maravegie, il terzo in Calle dei Marrani, nei pressi di San Geremia in Ghetto Vecchio. Quando i Veneziani (qualche volta anche i Maltesi …) sono stanchi delle autorità costituite, vanno in questi tre luoghi segreti e, aprendo le Porte che stanno nel fondo di quelle Corti, se ne vanno per sempre in posti bellissimi e in altre storie”. E noi, tornando a Venezia una, due, cento volte faremo lo stesso, schiudendo cancelli e abbassando la testa nei sotopòrteghi. Incontreremo per la strada ogni cinquanta, cento metri un ponte, e poi un altro e un altro ancora.
gnocchi, schiene gibbose, avvallamenti, depressioni, displuvi; le fondamenta digradano verso i rii, i campi sono trapuntati dai tombini come bottoni affondati nei gonfiori di una vecchia poltrona. Perdersi in lei, in compagnia di noi stessi, non ha alcun prezzo. Cannaregio,
Marco Travaglini