CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 261

Davanti alla Corona ferrea tra fede e leggenda

“Dio me l’ha data, guai a chi la tocca!”. Troppo bella, troppo preziosa. Non sbagliava di certo Napoleone quando pronunciò quella famosa frase mentre, da solo, si metteva in testa la Corona ferrea auto-incoronandosi re d’Italia nel Duomo di Milano.

La Corona ferrea, risalente al IV-V secolo, è il pezzo più pregiato conservato nel Duomo di Monza, al centro della cappella di Teodolinda, in una teca nell’altare. Vederla da vicino, a così tanti secoli di distanza, è un’autentica emozione, un grande spettacolo. Siamo dinanzi ad un oggetto incredibile, a tu per tu con la Storia. Una delle tante meraviglie della nostra penisola che possiamo ammirare solo per pochi minuti. Millecinquecento anni di storia ti passano di fronte in un istante, quel diadema immortale brilla di luce e colori, irradia un’energia straordinaria e ti ricorda che in quel momento sei davanti alla storia d’Italia e dell’Europa cristiana. Un oggetto antico utilizzato per l’incoronazione dei re d’Italia, per dare un riconoscimento quasi divino al loro regno, dai re longobardi a Carlo Magno, dal Barbarossa a Carlo V fino a Napoleone. La Corona ferrea è un vero gioiello formato da sei piastre in oro e argento decorate di gemme, zaffiri, smalti, rosette e petali dorati uniti tra loro da cerniere e legate da un anello di ferro. Secondo la tradizione cristiana il ferro fu ricavato da un chiodo con cui fu crocifisso Gesù e per la Chiesa cattolica si tratta di una reliquia che Sant’Elena avrebbe trovato nel 326 d.C. durante un viaggio in Palestina e inserito nella corona del figlio, l’imperatore Costantino. Ancora oggi, una domenica di settembre, la Corona ferrea viene portata in processione per il centro storico di Monza. Il suo valore è simbolico, la sua fama sta nell’incoronazione di grandi personaggi della storia. Tutto ciò è custodito nel Duomo di Monza ma non è questo l’unico tesoro pieno di fascino in cattedrale. La Corona di ferro risplende al centro di uno stupefacente tempietto, a sinistra dell’abside centrale del Duomo: è la celebre cappella di Teodolinda e, quando si accendono le luci, la cappella lascia di stucco chi la guarda. Sulle pareti, affrescate alla metà del ‘400 dai pittori milanesi Zavattari, c’è tutta la storia di Teodolinda in 45 scene di vita, le storie descritte risalgono al VI secolo, all’epoca di Teodolinda, ma i costumi indossati da uomini e donne sono del Quattrocento. Teodolinda era una regina longobarda, bavarese, cattolica, saggia e colta, che decise di fare di Monza la sede estiva del regno longobardo. Si sposò due volte, con Autari che morì un anno dopo le nozze, e poi con Agilulfo, duca di Torino, che convertì al cattolicesimo insieme al popolo longobardo. Esercitò molta influenza sulle scelte politiche del nuovo sovrano a tal punto che gli storici sostengono che le decisioni principali del regno furono prese da entrambi. Il loro figlio, Adaloaldo, fu il primo re longobardo ad essere battezzato cattolico. La regina e suo figlio sono sepolti in un grande sarcofago posto dietro l’altare della cappella. Anche Agilulfo ha il suo gioiello, è la Croce di Agilulfo, custodita nel Tesoro del Duomo.                Filippo Re
nelle immagini
la Corona ferrea
la cappella di Teodolinda
Duomo di Monza

Le avventure di “Don Chisciotte”, chiuse tra coraggio e follia

Sul palcoscenico dell’Alfieri, sino a domani, uno spettacolo da non mancare

La “Chanson” d’oltralpe, la poesia cavalleresca e le gesta, i nostri Pulci e Boiardo, Ariosto e Tasso (con i ricordi sui banchi di scuola), “Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori / le cortesie, l’audaci imprese io canto”, le tante figure e l’incrociarsi delle spade, gli assalti e le battaglie, Orlando innamorato e Cloridano e Medoro, la follia d’Orlando e Astolfo sulla luna: episodi e visioni a raccontare una lunga storia o forse una incredibile fiaba. In terra di Spagna, Miguel de Cervantes Saavedra dava vita al proprio cavaliere errante, Alonso Quijano ovvero Don Chisciotte, la sua biblioteca e i suoi interessi letterari e non soltanto, alla perenne ricerca della gloria e dell’avventura, teso per una vita intera verso l’amore per la idealizzata Dulcinea del Toboso, la donna più bella del mondo, cui dedicare le proprie imprese, da lui vista una volta soltanto, nelle vesti della contadina Aldonza, affiancandogli il pingue Sancho Panza come scudiero, nonché il suo versante razionale, legato al contrario alla realissima vita di ogni giorno, e il fido Ronzinante pronto a seguirlo ovunque, pubblicandone le vicende in due volumi, tra il 1605 e il 1615. E poi famigliari, popolani, nobiluomini e damigelle, parroci, dottori in un cumulo folto e incessante d’azioni.

Un capolavoro della letteratura di tutti i tempi il “Don Chisciotte”, passato nei decenni più vicini a noi a infoltire le pagine della musica, del cinema (qui sarebbe sufficiente ricordare le “avventure” di Orson Welles e di Terry Gilliam per realizzare il loro film) e del teatro. Buon ultimo, e qui hai immediatamente la sensazione di una scommessa caparbiamente messa in campo e, diciamolo subito, stravinta, Alessio Boni nelle vesti di interprete – voce profonda e sguardo fiero, veemente e coraggioso quel tanto che basta ma pronto a rincantucciarsi nel grande lettone, avvolto nella corazza e ricoperto buffamente da un elmo a padella: eccellente anche in quella tonitruante vena gassmaniana, alla Brancaleone per intenderci, che spinge il pubblico a più di una risata – ha raccolto attorno a sé un gruppo d’amici e coautori, Francesco Nicolini che ha fatto un adattamento del romanzo, ancora lui e Boni con Roberto Aldorasi e Marcello Prayer a varare una solida drammaturgia, il trio Boni/Aldorasi/Prayer a siglare una regia che è un bell’esempio di ritmo e di vivacità, di quell’allegria di cui di questi tempi sentiamo parecchio la mancanza e di invenzioni, in primo luogo nella scena dovuta all’estro senza mezze misure e all’intelligenza di Massimo Troncanetti. I fondali che cambiano di materiali e di colori, il grande letto al centro della scena, le sagome degli alberi, la pala del mulino che compare improvvisa dalle quinte, la sala dove ormai troneggia lo scranno di Sancho convinto d’aver raggiunto il suo incarico di governatore dell’isola tanto desiderata; e poi i nitriti e le danze di Ronzinante guidato da Biagio Iacovelli in una perfetta macchina teatrale, la testa dell’uomo nascosta all’interno e le gambe fuori a manovrarlo, dando via libera alle rotelle che accompagnano gli zoccoli; e i costumi da straccioni o nobili dovuti a Francesco Esposito, con un ben preciso posto a sé per le luci di Davide Scognamiglio, che compongono atmosfere e quadri all’interno del palcoscenico, in un affascinante universo onirico certo degno di nota.

Accompagnando il suo eroe nelle due ore di spettacolo, Boni (semplifichiamo con lui soltanto ma non dimentichiamo il completo lavoro d’équipe) si chiede: “Chi è pazzo? Chi è normale? Forse chi vive nella sua lucida follia riesce ancora a compiere atti eroici. Di più: forse ci vuole una qualche forma di follia, ancor più che di coraggio, per compiere atti eroici.” Don Chisciotte che combatte contro i mulini a vento scambiandoli per mostri o distrugge armenti nell’idea errata che siano orde di nemici o assale degli oranti che trasportano una statua della Vergine scambiandoli per coloro che hanno catturato una donna: tutto è avventura e pazzia (o, allargando gradatamente lo sguardo, “la vita è sogno”), ed emblematico è il momento in cui il cavaliere combatte contro un suo simile avvolto nella nebbia, come precluso ad ogni ragione. Le avventure di ieri, la follia di oggi, sembra suggerire Boni, perché no?, un pizzico di follia per fare definitivamente propri i sentimenti, le mete che ci siamo prefissati, i traguardi che abbiamo sempre sognato, forse assai migliore di una incrollabile lucidità. Boni è sulla scia di Arrabal, chi più immaginifico e visionario dell’autore spagnolo: “Chisciotti e cavalieri erranti, sparpagliati per il mondo o chiusi dentro le mura, sono sempre gli stessi, quelli di un tempo, quelli di oggi e quelli di domani, savi e pazzi, eroi e insensati.” Ieri e oggi, in ogni campo, per lasciare spazio alle sfide.

Grande presenza è quella di Serra Yilmaz, attrice ozpetekiana per eccellenza. Il suo Sancho Panza è un capolavoro di recitazione, avanza a piccoli passi dentro le braghe grossolane e al riparo di un cappellaccio rossastro, portandosi dietro un asinello di pezza che indossa come un salvagente, una gran serie di borbottii e di semplici massime a cui aggrapparsi nella vita, piena di calma e di quell’ironia con cui riempie le giornate del suo padrone, chiosando a una moglie (ad interpretarla è un attore, in un dialetto del Sud, tutto urli e rimproveri, dall’alto della balconata dell’Alfieri: e i suoi interventi sono un’altra felice componente della serata) che ha inevitabilmente lasciato a casa, sorniona, campione di praticità, realistica guardando a quel mondo e a quel folle disegno verso cui ha incanalato il suo scudiero. Una prova d’attrice a teatro che non fa che confermarci la simpatia e l’affetto che le dobbiamo ad ogni apparizione sullo schermo.

Elio Rabbione

Le immagini dello spettacolo sono di Lucia De Luise.

I concerti di Pagella non solo Rock

Il concorso musicale rivolto alle giovani e ai giovani musicisti, gruppi e soliste e solisti, entra nel vivo con la fase di selezioni LIVE.

I palchi che ospitano le selezioni sono Blah Blah, Capolinea (ex Taurus di Ciriè), CPG di strada delle Cacce, El Barrio, Spazio211 e l’ingresso è gratuito.

Le valvole si faranno roventi, i beat ossessivi, le melodie riempiranno l’aria e il sudore si mischierà ai sorrisi. Nasceranno nuove amicizie e scopriremo nuovi talenti. Attraverseremo la città alla scoperta di palchi veri tra watt e strobo e ammireremo LORO sul palco provando orgoglio e un pizzico d’invidia, fino al prossimo anno quando su quei palchi ci potremo essere anche NOI.

Pagella Non Solo Rock si inserisce a pieno titolo nel quadro delle politiche rivolte alle giovani e ai giovani creativi della nostra città con l’obiettivo di sostenere e promuovere la produzione culturale e la musica dal vivo.

Dopo la prima giornata di selezione live, svoltasi a sPAZIO211 venerdì 3 marzo con le esibizioni di FRENKIE, MAGO, THE BIG WAVES e, da Firenze l’headliner LOREN, siamo lieti di presentarvi il calendario completo di questa edizione.

LE SELEZIONI LIVE

VENERDÌ 24 MARZO 2023 – CPG – Strada delle Cacce 36, Torino – ore 21:00

ALLEGRA // ELIO FERRARA // IL COMPLESSO DI COLPA // IRIS //
IRIS-NONSONOPOETICA 
HEADLINER: RESPIRA TORINO

VENERDÌ 31 MARZO – sPAZIO211 – Via Cigna 211 Torino – ore 21:00

DAUT // DENARO // JUSTM%D // LITU Y.G.B // WESS
HEADLINER: TAMÈ

GIOVEDÌ 13 APRILE – BLAH BLAH – Via Po 21 Torino – ore 21:00

ALICE // GREEN ONIONS // INEDIA // KIARA // SØLK
HEADLINER: I SHOT A MAN

SABATO 15 APRILE CAPOLINEA (ex Taurus) – Via D’Oria 20 Ciriè – ore 21:00

ALESSIA // CINIERI FRANCESCA // SBAGLI ONESTI

HEADLINER: RODJA

VENERDÌ 21 APRILE – CPG – Strada delle Cacce 36, Torino – ore 21:00

ARDO // AYLEEN // RAGS // SPORE // VESPRI
HEADLINER: MEDICAMENTA

SABATO 29 APRILE – sPAZIO211 – Via Cigna 211 Torino – ore 21:00

BY STORM // CROSSIN’ MIDNIGHT // SQUARE DOTS // THE CRIMSON PROJECT

HEADLINER: CIJAN

VENERDÌ 5 MAGGIO – EL BARRIO – Str. Cuorgnè 81 Torino – ore 21:00 

COMMA // F3FA // EXIRA // SOUR JANE // TARQUILIO FRANCESCA

HEADLINER: BOOGIE BOMBERS

GIOVEDÌ 11 MAGGIO – BLAH BLAH – Via Po 21 Torino – ore 21:00

CONFESSIONAL DOLL // NON C’È VERSO // OSVALDO // PUNKACHE

HEADLINER: ASSENZIO

VENERDÌ 26 MAGGIO – sPAZIO211 – Via Cigna 211 Torino – ore 21:00

CRAZY TRAIN // KOREA // LIMITE // SHULLTED // YELLOW RICE

HEADLINER: ZYP

IL PUBBLICO VOTA E DECIDE

Anche il pubblico sarà chiamato ad esprimere la propria preferenza per le selezioni live. Per ciascuna serata, il pubblico potrà votare su web il proprio gruppo o solista preferito/a attraverso il consolidato meccanismo del commento/voto che, al termine di tutte le selezioni e dopo il conteggio, permetterà a un sesto gruppo o solista in concorso con il maggior numero di voti ricevuti, di partecipare alla FINALE, alle stesse condizioni dei 5 altri finalisti individuati dalla giuria. La votazione sarà considerata aperta dal momento in cui la performance degli/delle artisti/e sarà pubblicata sul profilo IGTV PAGELLA NON SOLO ROCK e si chiuderà 24h dopo.

EXTRA

Durante l’intera edizione saranno a disposizione dei partecipanti alcuni servizi gratuiti – pagina web, riprese video, foto, recensioni, interviste radio, registrazioni audio integrali delle selezioni live – e tutti i contenuti saranno pubblicati sul sito web e sui canali social di Pagella Non Solo Rock.

Live streaming ed interviste a cura di RADIOOHM

Le selezioni saranno presentate da Andrea “DUSE” Fedele e le interviste saranno condotte da Paolo Plinio Albera.

Pagella Non Solo Rock è un’iniziativa della Città di Torino | Servizio Giovani e Pari

Opportunità, Conciliazione dei Tempi e Famiglie e Città Universitaria | Ufficio Torino Creativa

Regolamento e informazioni: Città di Torino – Ufficio Torino Creativa

pagella.rock@comune.torino.it – Tel. 011.011.24740

Sito web: www.comune.torino.it/pagerock

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Tff dedica retrospettiva a Sergio Citti e un omaggio a John Wayne

Il 41° Torino Film Festival 

Il TFF annuncia due contenuti della sua prossima edizione, che si svolgerà a Torino dal 24 novembre al 2 dicembre 2023.

In collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale sarà proposta una retrospettiva dedicata a Sergio Citti, di cui quest’anno ricorre il novantesimo anno dalla nascita. Consulente, collaboratore e amico di Pier Paolo Pasolini, Sergio Citti ha proposto un cinema fortemente connotato nella compresenza tra popolarità e ricerca, un cinema in cui l’impegno non è mai disgiunto dalla semplicità e leggerezza del racconto.

La retrospettiva è curata da Stefano Boni, Grazia Paganelli, Matteo Pollone e Caterina Taricano e sarà accompagnata da un convegno e da un volume edito dal Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale, nel quale saranno raccolti contributi di David Grieco (nello staff del TFF), Giancarlo Scarchilli, Carlo Verdone, Claudio Amendola, Silvio Orlando, Fiorello, Malcom McDowell, Maurizio Ponzi, Harvey Keitel, Jodie Foster, Giancarlo Giannini e dei tanti altri autori e attori che hanno lavorato con Citti.

Dopo il successo dell’anno scorso, il TFF ripropone la rassegna Mezzogiorno di fuoco dedicata al western americano con un omaggio a John Wayne, il più grande attore western di tutti i tempi, nel 60° anniversario dell’uscita del suo film Donovan’s Reef (I tre della croce del sud), il film che meglio di tutti riassume il perfetto sodalizio tra Wayne e John Ford, il suo regista di riferimento.

D’altronde, come affermava Jean-Luc Godard, “come posso odiare John Wayne, perché simpatizza per Goldwater, e poi amarlo teneramente, quando prende improvvisamente tra le braccia Nathalie Wood, negli ultimi minuti di Sentieri Selvaggi?”

 

I film saranno, come di consuetudine, presentati ogni giorno alle ore 12 e introdotti da esperti e appassionati del genere.

Il Torino Film Festival è realizzato dal Museo Nazionale del Cinema di Torino

“Così è (se vi pare)”, nel pettegolezzo di paese un’altra “stanza della tortura”

Al teatro Gioiello, sino a domenica prossima

Con “Liolà” del 1916 Luigi Pirandello abbandonò quel gruppo di commedie che sino ad allora aveva scritto in dialetto siciliano, per aprirsi al panorama nazionale prima ed europeo poi con una produzione che avrebbe dato vita ai capolavori che conosciamo. E sempre per molte occasioni affidandosi al mare magnum delle sue “novelle per un anno”, un bagaglio narrativo, grottesco, spirituale, filosofico in cui già avevano trovato posto e continuavano a trovare i tanti personaggi (“È mia vecchia abitudine dare udienza, ogni domenica mattina, ai personaggi delle mie future novelle”) che dalla pagina scritta sarebbero stati per così dire “sceneggiati”, saggiando con successo la strada del palcoscenico. Il primo quanto innovativo caposaldo di questa seconda fase – che trova altresì all’inizio fervido terreno nelle condizioni mentali della moglie Antonietta Portulano e nel disastro economico che la portò al centro della pazzia – è “Così è (se vi pare)” del giugno dell’anno successivo, che l’autore trasse con qualche cambiamento e con felici aggiunte da “La signora Frola e il signor Ponza suo genero”, ritratto di una provincia squallida e gretta alla ricerca, come in un giallo che si rispetti e che abbia tutte le carte in regola, di una verità che ognuno dei personaggi costruisce in autonomia, nella ricerca affannosa della autentica identità della moglie del nuovo segretario di Prefettura.

Quante signore Frola ha visto nei vari decenni l’appassionato di teatro, quanti signori Ponza, quanto s’è divertito davanti al caustico filosofeggiare dei diversi Lamberto Laudisi che si sono avvicendati in palcoscenico. Sempre tutti davanti alla ricerca di una verità, della Verità onnicomprensiva, e allo smacco finale, alle tre sonore risate che ad opera del “raisonneur” Laudisi chiudono gli altrettanti atti della commedia, al cicaleccio ossessivo e al pettegolezzo e quasi alla ferocia con cui nel paese dove sono riparate le tre anime tormentate – s’aggiunge ai due di quel titolo la donna del mistero -, dopo che un terremoto ha distrutto il loro piccolo paese del centritalia, e con esso i documenti e le testimonianze e le notizie tutte che potrebbero far completa luce, si spera di chiarire lo scandalo che attanaglia i cuori e le menti; far luce sullo strano comportamento del Ponza che tiene segregata la moglie impedendole di vedere, se non da lontano, uno sguardo e qualche letterina posata in un panierino che viene sceso e rialzato dal balcone di casa, la vecchia madre, con l’affermazione che la donna rinchiusa è la sua seconda moglie e la signora Frola è una povera pazza che la crede sua figlia, mentre le parole dolorose della vecchia Frola stanno a sostenere che non è vero che sua figlia sia morta e che il pazzo è lui che la credette morta al tempo di un ricovero in una casa di cura, dovendosi all’occasione dar vita ad un secondo matrimonio per fargli accettare la moglie al suo ritorno dalla clinica.

È chiaro che ogni regista – Ferrero, De Lullo, Sepe, Ferro, Castri, De Fusco, Dini e quanti altri – ha voluto imporre la propria cifra. Geppy Gleijeses porta al Gioiello sino a domenica la propria edizione, edificata scenicamente (da Roberto Crea) in un compatto gioco di specchi, perfetto e pirandelliano sino al midollo, entro cui ognuno scorge il suo doppio, uno spazio buio all’interno del quale i personaggi maggiori s’annullano, entro cui la maschera finale appare e scompare, in una bella idea di triplice rifrazione, un rifrangersi a cui Laudisi indirizza il proprio celebre monologo in un impatto di confronto e di sfida. Ma ad inizio, dopo aver preso a prestito alcune frasi dalla novella “Tragedia di un personaggio” – che avrebbe incanalato nel ’21 la tragedia dei sei personaggi -, rifacendosi al Fileno pirandelliano con la sua “Filosofia del lontano” e all’intuizione di Giovanni Macchia che parlava di “cannocchiale rovesciato” circa la visione dell’Uomo e del mondo da parte del drammaturgo, affida al videoartist Michelangelo Bastiani la creazione di una mezza dozzina di ologrammi “assolutamente tridimensionali” a raffigurare in una grandezza di una sessantina di centimetri quell’assaggio di popolino che vibra a tratti all’unisono nella continua ricerca. Racchiude in quell’espediente, per una buona ventina di minuti le prime tre scene del primo atto: e a chi scrive è sembrato davvero troppo, ridondante, negativo. E un’idea di troppo. Con l’arrivo della signora Frola tutto torna agli abituali binari e, togliendo ancora qualche trovatina registica che vorrebbe spingere il pubblico ad un facile sorriso (il versante “comico” di Pirandello sta ben altrove, sta nello spirito di Laudisi, nella sua filosofia e nel suo sberleffo, sta nel suo infiocchettato sarcasmo e nel suo tenersi fuori, come all’interno di una torre d’argento, dal contesto generale, sta in quel suo decretare la scoperta e il raggiungimento della parola che mette fine a ogni dubbio, sta in quel ”Siete contenti?” che rivolge ancora allo spettatore di oggi, un ritratto che la grandiosa interpretazione – di quelle interpretazioni fatta a volte di piccoli tratti, basta un sospiro, un impercettibile movimento, un occhiata tra il serio e il sornione: godetevi quel piccolo capolavoro di intarsio che è la chiacchierata con le pettegole Cini e Nenni – di Pino Micol rende in tutta la sua perfezione), la serata si fa corposa e lo spettacolo si pone a fianco dei tanti di cui in passato si è definito il successo.

Accanto al Laudisi di Micol, la Frola di Milena Vukotic, remissiva e affabile, la tristezza negli occhi ma anche la ricchezza dei sorrisi, ma anche scatti di risentimento rappreso e rabbia verso chi perseguita il loro segreto, soprattutto capace di lasciar trasparire il desiderio di protezione che nutre nei confronti del genero: anch’essa applauditissima dalla sala strapiena di pubblico. Non ultimo certo per merito Gianluca Ferrato, un signor Ponza che forse ha abbandonato un certo selvaticume immesso nel personaggio dai tanti che l’hanno preceduto, ma reso più umano, pieno di commiserazione, teatrante perfetto nella recita di follia che ha a sostenere davanti all’uditorio convocato, forte e appassionato. Come gli esserini iniziali, fuori misura le musiche di Teho Teardo, mentre efficiente è il coro radunato a “violentare” le tre povere vittime (d’altronde con quanta forza Macchia ha parlato per il teatro pirandelliano di “stanza della tortura”: un compito qui afferrato appieno dall’intera compagine).

Elio Rabbione

La sesta tessera del Puzzle Musicale: Lamberto Curtoni

 10 E 17 MARZO – SALONE DELLA BIBLIOTECA DELLA CORTE AL PARCO DELLA TESORIERA – INGRESSO LIBERO

Rassegna organizzata dal Centro di Formazione Musicale della Città di Torino in collaborazione con la Biblioteca Civica Musicale ‘Andrea Della Corte’

 

La sesta tessera del Puzzle Musicale, ciclo di conversazioni, ascolti e musica dal vivo, organizzato dalla Città di Torino in collaborazione con la Biblioteca Civica Musicale ‘Andrea Della Corte ‘, ha in programma nei giorni 10 e 17 marzo (dalle 17 alle 18.30) l’appuntamento con Lamberto Curtoni. Compositore e docente di violoncello e di musica da camera al Centro di Formazione Musicale condurrà il pubblico in un percorso sulla storia del suo strumento.

I due incontri da 90 minuti dal titolo ‘Il violoncello da Bach ai Beatles e oltre’ saranno a ingresso libero. Una passeggiata musicale attorno a uno strumento in grado di evolvere nelle varie epoche e che ha trovato nei secoli sempre nuove definizioni.

Curtoni accompagnerà gli ascoltatori in un viaggio che partirà dall’origine dello strumento e arriverà alle partiture di recente composizione. Due lezioni-concerto dedicate al violoncello, alla storia del repertorio e alla sua vocalità in grado di appassionare e affascinare.

LAMBERTO CURTONI 

Violoncellista e compositore, laureato al Conservatorio ‘Giuseppe Verdi’ di Torino.

Si esibisce nelle più grandi istituzioni concertistiche italiane e collabora con alcuni tra i più grandi artisti del nostro tempo: musicisti, scrittori, coreografi e registi di fama internazionale. Ha inciso per Universal, Stradivarius, Egea e Warner e le sue composizioni sono edite dalla Casa Musicale Sonzogno di Milano. www.lambertocurtoni.com

Per maggiori informazioni sugli incontri del Puzzle Musicale: http://www.comune.torino.it/corsimusica/news/dal-13-gennaio-ripartono-gli-incontri-aperti-a-tutti-del-puzzle-musicale/

Il mondo di Tim Burton protagonista al Museo Nazionale del Cinema

Dal 10 ottobre al 7 aprile 2024

Il Museo Nazionale del Cinema presenta, per la prima volta, l’ipnotica mostra di Tim Burton, che debutterà dal 10 ottobre prossimo, dedicata al suo genio creativo e curata da Jenny He, in collaborazione con la Tim Burton Productions.

Per la prima volta in Italia la mostra sarà  allestita alla Mole Antonelliana dal 10 ottobre prossimo al 7 aprile 2024.

Si tratta di un viaggio nell’universo visionario e nella creatività di Tim Burton. Il nucleo principale dell’esposizione si concentra sull’archivio personale del regista, mostrando una varietà nella sua produzione creativa.

Non sono solo presenti preziosi documenti, ma anche disegni e bozzetti contenenti i temi e i motivi visivi ricorrenti, da cui hanno preso corpo e vita i suoi personaggi, che caratterizzano i suoi mondi cinematografici distintivi.

Tim Burton  sarà protagonista di una Masterclass, ricevendo il Premio Stella della Mole, riconoscimento del suo contributo visionario e innovativo.

“Il Museo Nazionale del Cinema – sottolinea il suo Presidente Enzo Ghigo – rende omaggio a un artista di fama internazionale, che ha dato vita a film universali, apprezzati da tutti. Per oltre trent’anni ci ha conquistato con le sue storie, da Beetlejuice a Batman, fino al recente successo di Mercoledì, la seconda serie Netflix in lingua inglese più  vista in assoluto.

“Ospitare Tim Burton a Torino è  un sogno che si realizza – spiega il direttore del Museo Nazionale del Cinema. L’immaginario fantastico dei suoi film ha accompagnato le nostre vite, dai bambini agli adulti, e sarà meraviglioso poter vedere come il mondo colorato e stravagante di Tim Burton si inserisca  nellospazio della Mole Antonelliana. La mostra è stata ospitata in altri Paesi in spazi espositivi convenzionali e sono sicuro che il Museo Nazionale del Cinema si possa trasformare per unire follia architettonica e genio creativo, oltre a inserirsi nel progetto strategico di internazionalizzazione del nostro ente.

Questa grande mostra immersiva rappresenta una sorta di viaggioesclusivo nella mente di un genio creativo, l’esplorazione definitiva della produzione artistica, dello stile e della prospettiva specifica di Tim Burton.

Suddivisa in dieci sezioni tematiche questa mostra presenta oltre 500 esempi di opere d’arte originali, raramente o mai viste prima, dagli esordi fino ai progetti più  recenti, passando per gli schizzi, i dipinti, i disegni, le fotografie e la concept art, i costumi e le opere in movimento, moquette, pupazzi e installazioni scultoree a grandezza naturale.

La mostra ripercorre le orme del regista e dell’evoluzione della sua singolare immaginazione visiva di artista postmoderno multidimensionale,  in una sorta di autobiografia raccontata attraverso un processo creativo senza limiti.

Attraverso la presentazione unica dell’opera di Tim Burton la sua visione unica trascende mezzi e formati, rendendo chiaro come idee, temi e alcune immagini specifiche della sua arte siano finite nei film più iconici oggi associati allo sfarzoso spettacolo cinematografico.

Tim Burton, molto prima del successo critico e commerciale nei generi animazione e live action, si è  ispirato ai film in televisione, alle animazioni e ai fumetti sui giornali. Gli schizzi della sua infanzia dimostrano la varietà di Burton e richiamano il lavoro dei suoi predecessori, tra cui illustratori classici quali Edward Gorey, Charles Addams, Don Martin e Theodore Geisel. Anche l’impatto dei film di mostri giapponesi, del cinema espressionista, del catalogo horror, degli Universal Studios e dei maestri della suspense William Castle e Vincent Price permeano il suo lavoro.

MARA MARTELLOTTA

Il rogo della Vijećnica negli scatti di Siccardi

 

Tra le immagini esposte nella mostra fotografica di Paolo Siccardi “La lunga notte di Sarajevo”, organizzata da La Porta di Vetro e giunta alla quinta settimana ( resterà aperta al pubblico nel Mastio della Cittadella di Torino, tra corso Galileo Ferraris e via Cernaia, fino al prossimo 19 marzo ) quella dedicata al rogo della biblioteca nazionale di Sarajevo è particolarmente evocativa.

La prima cosa che viene in mente è la canzone intitolata Cupe Vampe, contenuta nell’album Linea Gotica che il Consorzio Suonatori Independenti pubblicò nel 1996: “Di colpo si fa notte e s’incunea a crudo il freddo. La città trema, livida trema. Brucia la biblioteca, i libri scritti e ricopiati a mano che gli ebrei sefarditi portano a Sarajevo in fuga dalla Spagna. S’alzano i roghi al cielo, s’alzano i roghi in cupe vampe. Brucia la biblioteca degli Slavi del Sud, europei dei Balcani..”. La Vijećnica è uno dei simboli tragici dell’assedio di Sarajevo, il più lungo della storia moderna. Prima del conflitto che insanguinò i Balcani occidentali rappresentava il solo archivio nazionale di tutte le pubblicazioni bosniache. Un  milione e mezzo di libri, tra i quali oltre centocinquantamila esemplari rari e preziosi e numerosi manoscritti unici al mondo. La sua imponente maestosità in stile pseudo moresco, opera degli austroungarici che nel 1894 la eressero ai piedi delle colline dove nacque la città, la pone da allora  in stridente contrasto con le  case e le vie strette dellaBascarsija, l’antico mercato ottomano. Le altissime finestre di vetro intarsiato si affacciavano sul fiume Miljačka e  sul monte Trebević. All’interno tra panchine, sedie e scrivanie di legno massiccio “c’era un odore misto di polvere antica e di quel grasso che un tempo si usava per conservare il legno”. I visitatori entravamo in silenzio,  quasi con il fiato sospeso, cercando di smorzare il suono dei passi. Avvertivano l’importanza di quel grandioso palazzo dove si conservavano libri che a Sarajevo erano sempre stati considerati alla stregua degli oggetti sacri. Il 25 agosto 1992, scoccata la mezzanotte, dalle colline che circondano la città i serbi spararono le prime bombe incendiarie sulla Vijećnica. La biblioteca fu bersagliata dall’artiglieria degli assedianti per tre intere giornate. L’accuratezza dei lanci non lasciava dubbi sul fatto che il bersaglio fosse proprio l’ostentato e  volgare desiderio di cancellare le memorie, i percorsi, le storie, le vite degli altri. Dopo tre giorni di incendi della biblioteca rimasero solo lo scheletro di mattoni anneriti e una montagna di cenere. Un disastro che rimase impresso nella memoria di Kemal Bakaršić, uno dei bibliotecari: ”Tutta la città fu coperta da brandelli di carta bruciata. Le pagine fragili volavano in aria, cadendo giù come neve nera. Afferrandola, per un attimo era possibile leggere un frammento di testo, che un istante dopo si trasformava davanti ai tuoi occhi in cenere”. Perché bombardare una biblioteca? Perché lanciare proiettili e bombe, impiegando mezzi, uomini e tempo per distruggere qualcosa che non spara, che non offende? Una semplice domanda, quasi ingenua, che si fecero in molti mentre cercavano, armati di secchi di acqua sporca, di spegnere i roghi e smorzare le  fiamme. La risposta, che valeva allora come vale oggi, la diede il mite bibliotecario Bakaršić: “perché lì dentro la loro guerra non esiste. Perché lì dentro gli scrittori serbi sono nello stesso scaffale di quelli bosniaci”. Una convivenza culturale inaccettabile per l’ottuso, ignorante e violento nazionalismo. Solo tre mesi prima i medesimi incendiari avevano distrutto alla stessa maniera l’Istituto Orientale a Sarajevo. Un odio aggressivo verso il sapere degli altri e di tutti che mandò in fumo la grande collezione di manoscritti e testi rari, spesso documenti unici in arabico, persiano o ebraico che testimoniavano mezzo millennio di storia della Bosnia e dell’Erzegovina. In quel momento la perdita aprì gli occhi a molti esponenti della cultura e della scienza. Tra loro si fece strada la consapevolezza che stava accadendo qualcosa di terribile. Ma quando toccò alla Biblioteca Nazionale, il dolore venne avvertito da tutti i sarajevesi, compresi quelli che non avevano mai preso in prestito  un suo libro. I cecchini e l’artiglieria serba non stettero a guardare e concentrarono il fuoco sui vigili del fuoco, sui bibliotecari e sui giovani volontari che formavano una catena umana nel tentativo di salvare i libri. Una ragazza che lavorava alla Vijećnica, Aida Buturović, perse la vita per salvare quei preziosi documenti. Lo scrittore bosniaco Goran Simić , guardando dalla sua finestra la Biblioteca in fiamme, in preda alla disperazione, prese carta e  penna e  con rabbia  lanciò il suo urlo di dolore in versi:”Liberati dalla canna fumaria, i personaggi girovagavano per la città, mescolandosi con i passanti e le anime dei soldati morti. Ho visto Werther seduto sul recinto del cimitero distrutto; Quasimondo dondolante sul minareto di una moschea; Raskolnikov e Mersault sussurravano, per giorni, nella mia cantina; Yossarian già commerciava con il nemico; il giovane  Tom Sawyer era pronto a vendere, per pochi soldi, il ponte Principov”. Le foto di Siccardi, fotoreporter torinese che frequentò a lungo la “Gerusalemme d’Europa” e i Balcani, restituiscono trent’anni dopo ricordi tragici e emozioni che non possono lasciare indifferenti.

Marco Travaglini

“Emanuela Loi, la ragazza della scorta di Borsellino” al Teatro Concordia