CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 244

Festival Nazionale Luigi Pirandello e del ‘900

È arrivato alla 17 edizione…iniziato in sordina a Coazze , per ricordare il passaggio di Luigi Pirandello a Coazze dove andava a trovare la sorella, negli anni si è arricchito di collaborazioni e sponsor.
7 appuntamenti a Coazze,10 appuntamenti a Torino
Il primo appuntamento sarà  al Circolo dei Lettori per ricordare i 100 anni di Italo Calvino, segue Marcovaldo in collaborazione Teche Rai,altro anniversario 130 anni della casa editrice Lattes,
Storie di Barriera ,due appuntamenti per ricordare Gipo Farassino a 10 anni dalla scomparsa del cantautore torinese,altro anniversario il ricordo di Mario Piovano.Il Festival farà inoltre tappa a Novi Ligure,Santo Stefano Belbo e Rivoli.
Gli spettacoli faranno parte di Corto Circuito in collaborazione con la Fondazione Piemonte dal Vivo.
Per scaricare il programma completo www.linguadoc.eu
Gd

 

Di sera al “Castello di Rivoli”, cinque film a visione gratuita e incontri “d’autore”

“Ever-Green: un Pianeta da salvare”

Da venerdì 16 giugno a venerdì 14 luglio

Rivoli (Torino)

Cinque film incentrati su temi di strettissima attualità (dalle guerre alla deforestazione alle sfide ambientali necessarie a salvare un Pianeta in sofferenza), argomentati e introdotti da voci autorevoli: questa la proposta in agenda della “Rassegna Estiva” organizzata, da venerdì 16 giugno a venerdì 14 luglio (inizio sempre alle 20,30), da “Distretto Cinema” e dal “Museo d’Arte Contemporanea” di Rivoli, nella cornice del “Teatrino del Castello”, in piazza Mafalda di Savoia 2, a Rivoli. Tutti e cinque gli appuntamenti sono a ingresso gratuito, in accompagnamento della mostra “Artisti in guerra” (da Goya all’Ucraina), allestita fino al prossimo 19 novembre – e, per l’occasione, aperta fino alle 20 –  negli spazi del Museo. “Ever-Green: un Pianeta da salvare”, il titolo dato alla Rassegna, volta a portare o a riportare l’attenzione sugli obiettivi dell’“Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile”, il programma d’azione “per le persone, il Pianeta e la prosperità” sottoscritto nel settembre del 2015 dai Governi dei 193 Paesi membri dell’ONU.

Spiega Fulvio Paganin di “Distretto Cinema”:  “Rendere il pianeta accogliente non solo è uno degli obiettivi dell’‘Agenda 2030’ ma è un dovere di ogni persona che abita questo mondo. I conflitti raccontati dagli artisti in mostra al Castello di Rivoli sono forse la forma più immediata ed evidente della distruzione di qualunque essere vivente, animale o vegetale. Con questa piccola rassegna vogliamo provare a raccontare le conseguenze che alcune azioni degli uomini, tra cui le guerre, lasciano non solo alle persone che le vivono, ma anche all’ambiente, che direttamente o indirettamente subisce il male dei comportamenti umani. La conoscenza ci aiuterà a fare scelte più giuste e consapevoli e il cinema è uno degli strumenti più diretti e, se vogliamo, più facili e veloci grazie al quale possiamo ampliare il nostro sapere”.

Il via, venerdì 16 giugno, con “Pluto”, regia di Renzo Carbonera (in lingua inglese, sottotitoli italiani), focus su un veterano dell’esercito americano ossessionato dalla guerra nucleare: il regista sarà in collegamento online  e dibatterà con Lia Furxhi, programmatrice del “Festival CinemAmbiente”, presente in sala.

Venerdì 23 tocca a “One Earth – Tutto è Connesso” di Francesco de Augustinis presentato da Elena Vallino, ricercatrice di “Economia dello sviluppo e studi ambientali” al “Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino”.

Venerdì 30 giugno – in occasione del “finissage” della mostra “Olafur Eliasson: Orizzonti tremanti” al Castello, sarà la volta di “Olafur Eliasson:Miracles of Rare Device” di John O’Rourke: a parlarne sarà Marcella Beccaria, vice direttore del “Castello di Rivoli” e curatore della mostra.

Venerdì 7 luglio, quindi, “Absconded. Young Russians On The Run” di Anna Winzer (lingua originale, con sottotitoli in italiano)  alla presenza di Bruno Maida, docente di “Storia Contemporanea” all’ “Università di Torino” e membro del “Comitato tecnico-scientifico” della “Presidenza del Consiglio” per la realizzazione del nuovo “Memoriale italiano ad Auschwitz”.

A chiudere la rassegna, venerdì 14 luglio, toccherà a Los Zuluagas” di Flavia Montini, presente in sala. Il film-documentario racconta la storia di Camilo, figlio di guerriglieri colombiani, che torna nel suo paese d’origine, dopo 25 anni di esilio in Italia, nel tentativo di comprendere le scelte radicali dei suoi genitori.

Per info: tel. 011/9565270 o www.castellodirivoli.org

g.m.

Nelle foto. Immagini da:

–       “Pluto”

–        “Los Zuluagas”

–       “One Earth – Tutto è Connesso”

Il racconto di Federica Fulco, “Guerra non è libertà”

Tratteggia la storia d’Italia attraverso le due guerre mondiali

Guerra non è libertà è un racconto di Federica Fulco, in cui l’autrice tratteggia la storia d’Italia anche attraverso il racconto dei nostri nonni e non soltanto da ciò che è stato ricavato dai libri di scuola.

“Guerre dove protagonisti – afferma l’autrice- erano giovani uomini, giovani soldati mandati a combattere. Uno di questi era il fratello di mia nonna, Antonio Marengo, caduto in guerra disperso sul fronte russo. Mia nonna, Maria Maddalena Marengo, era l’ultima di undici fratelli e sorelle nata a Cherasco nel 1914 e mancata nel dicembre del 2018 all’età di 104 anni. Ricordo molto bene quando, da piccola, mi facevo raccontare il periodo della guerra che aveva vissuto.

Mi raccontava che durante la guerra la caserma occupata dai tedeschi era poco distante dalla loro Cascina e spesso andavano a fare dei veri e propri assalti da loro, anche mentre erano a tavola per vedere se nascondevano delle armi, oppure se fosse nascosto qualche partigiano”.

Un racconto questo in cui emergono limpidi i racconti della nonna nativa di Cherasco, accompagnati da particolari tratti dai testi di storia, quali i dati dei Ministero della Difesa, che forniscono cifre impressionanti di 84 mila e 830 soldati morti o dispersi, dei quali di ben 30 mila non si conosce il destino. Secondo la nonna dell’autrice del racconto, molti morirono soprattutto per congelamento.

MARA MARTELLOTTA

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

 

Mazo de la Roche “I frutti di Jalna” -Fazi Editore- euro 19,50

E’ il quinto capitolo della monumentale saga canadese che la scrittrice Mazo de la Roche scrisse tra 1927 e 1960, con al centro le vicende della tenuta della famiglia Whiteoak (di origini inglesi), nella natura selvaggia dell’Ontario, e dei suoi abitanti che si succedono negli anni.

Il racconto riprende da dove si era fermato nel precedente “Il padrone di Jalna”, ora la famiglia cresce, mentre i rapporti tra i suoi membri, tra ritorni e partenze definitive, sono sempre complicati.

Tanti capitoli che ci aggiornano sull’evoluzione di tensioni che già abbiamo conosciuto nei volumi precedenti e che qui si sviluppano ulteriormente.

Renny e Alyne all’inizio del quinto capitolo sono ai ferri corti per il tradimento di lui con Clara, che però è pronta ad andarsene visto che Renny non le offre un futuro insieme.

Alyne -che di Whiteoak ne ha sposati ben due (Eden, prima del fratello Renny)- capisce di non appartenere veramente alla famiglia e se ne va a New York presso una zia, decisa a voltare pagina e mettere una distanza definitiva tra lei e Jalna.

Renny rimane con la piccola figlia Adeline da crescere.

Il piccolo di casa, Wakefield, ora maggiorenne, nel passaggio dall’adolescenza alla maturità rompe il fidanzamento con Pauline per farsi monaco, una decisione radicale e inaspettata per la famiglia.

L’altro Whiteoak, Finch, nonostante il successo come pianista ottenuto in Europa, lascia Parigi e torna a Jalna con la moglie Sarah.

La coppia è in crisi e minaccia di travolgere gli equilibri familiari. Inoltre si presenta con una sorpresa; ha con se Patience, la bambina che Eden aveva avuto da Minnie, ma ora non può occuparsene perché è ricoverata in un sanatorio svizzero.

E vedremo se andrà a fare compagnia alla viziata e coccolata Adeline.

Dunque personaggi che abbiamo già seguito nei romanzi precedenti, ma anche interessanti new entry, come Sarah la moglie di Finch, e Miss Archer, la zia newyorkese presso la quale Alyne si è rifugiata…. con in serbo pure una sorpresa….

Dunque lo scorrere complesso della vita, tra pressanti preoccupazioni economiche e il timore costante di perdere la casa e con essa le radici della famiglia, tempeste affettive con fughe, fidanzamenti in frantumi e nuove nascite…..la vita che va avanti.

 

Annalena Benini “Annalena” -Einaudi- euro 17,50

E’ una figura monumentale quella di Annalena Tonelli, missionaria laica che ha dedicato la sua vita agli ultimi della terra, per 30 anni in Africa, uccisa da un commando nel 2003.

A ricostruire la sua vita, unica e incredibile, è la giornalista, autrice televisiva e scrittrice Annalena Benini, nuova direttrice del Salone del Libro di Torino. Stesso nome e un legame di parentela con la sua lontana cugina.

Le due non si sono mai incontrate, ma la Benini sembra essere entrata nella testa e nell’anima della sua omonima, che porge al lettore un ritratto a tutto tondo di una donna che ha dedicato ogni sua fibra al prossimo, fino al sacrificio estremo.

Annalena Tonelli nasce a Forlì il 2 aprile 1943, seconda di 5 figli. E’ bella, intelligente, studiosa, vince una borsa di studio in America a 19 anni. L’aspetta una vita formidabile, ma non nel senso comune.

Non aspira all’amore di un uomo, né di una famiglia e dei figli.

La sua è una visione più ampia, una vocazione assoluta che la conduce a rinunciare a tutto per mettersi al servizio di chi non ha nulla. Il suo è amore cosmico per l’umanità e i suoi figli sono tutti i disperati della terra.

Dopo la laurea in Giurisprudenza (presa per accontentare i genitori) nel 1970 punta dritta verso l’Africa, nel Nord ovest del Kenya.

Nel deserto del Wajir inizia innamorandosi degli ammalati di tubercolosi delle tribù nomadi. La sua vita è decisa. Rinuncia a qualsiasi comodità, dorme per terra come i poveri che aiuta, mangia poco nulla e dedica tutte le sue energie a curare, istruire, costruire scuole e ospedali.

E’ inarrestabile, per 30 anni salva vite umane rischiando la propria e fa un lavoro immenso, impedisce massacri, tra Kenya e Somalia, e ovunque l’Africa abbia bisogno di lei.

Una vita di felicità assoluta perché dedicata a chi non ha nulla e appagata dal condividere le loro vite di stenti. Dedizione assoluta, sprezzo dei pericoli che corre; è stata maltrattata, rapita, picchiata, diffamata e odiata.

Ma il suo era un disegno molto più grande di tutto questo: era madre, sorella, figlia, medico, maestra, al servizio di quelli che chiamava brandelli di umanità ferita, amati da nessuno, se non da lei.

La sua vita quasi mistica viene fermata da proiettili vigliacchi alla nuca, a Borama, il 5 ottobre 2003 prima di riuscire a vedere completata la nuova ala dell’ospedale per malati di tubercolosi.

Non temeva la morte e ora le sue ceneri sono sparse intorno all’eremo di Wajir, in Kenya, dove sognava di tornare e dove ora starà per sempre.

 

 

Mavie Da Ponte “Fine di un matrimonio” – Marsilio- euro 19,00

E’ il primo romanzo della spumeggiante giovane scrittrice italo francese dal profilo Instagram con 35mila followers, e due anni fa ha aperto un blog letterario in cui pubblica racconti brevi. E’ subito chiaro che la sua passione è scrivere, tra Parigi e Bari che è casa sua. Ora ha appena pubblicato un corposo romanzo in cui narra il terremoto emotivo di un divorzio.

Berta è una donna prossima alla cinquantina che ha una galleria d’arte, è sposata da 15 anni con il ginecologo Libero; non hanno figli, bensì il loro consolidato tran tran quotidiano che però sta per finire. Una sera lui arriva e senza tanti giri di parole le dice di avere un’altra donna e di volere il divorzio.

Mai fulmine fu più a ciel sereno e per Berta è come ricevere uno schiaffone che la manda al tappeto. E’ l’inizio di un viaggio nell’inferno interiore tra delusione, senso di solitudine, metabolizzazione di un tradimento, rimessa in discussione della propria vita. Tutto avviene senza scenate o recriminazioni; lei reagisce quasi in silenzio, ripensando alla sua vita, a quel matrimonio appena sfracellatosi, e soprattutto a come ricostruirsi una vita.

Mavie da Ponte ha scelto di raccontare in modo estremamente lineare come una donna di 47 anni si trovi sull’orlo di un gigantesco burrone.

Cade, si spezza e si piega, poi scatta la volontà ferrea di risalire la china.

Rispolvera -anche se a fatica e sbagliando strada facendo- le dinamiche di un nuovo amore al quale dare la possibilità di una storia nuova.

Il romanzo racconta proprio il nuovo inizio che la protagonista si costruisce a piccoli passi, con coraggio e tenacia, cercando di stare bene…. anzi, possibilmente, meglio di prima.

 

 

Costanza DiQuattro “Arrocco siciliano” -Baldini+Castoldi- euro 18,00

Ha un po’ il sapore di altri tempi l’ultimo romanzo della talentuosa scrittrice siciliana (nata a Ragusa nel 1986) che oltre ad averci regalato altri libri bellissimi (il primo “La mia casa di Montalbano” nel 2019) dal 2008 si occupa anche del Teatro Donnafugata. Teatro di famiglia che dopo un lungo restauro è tornato in attività grazie a lei.

E la passione teatrale fa capolino anche in “Arrocco siciliano” che vanta uno scorrevole ritmo perfetto per una pièce sul palco.

La vicenda è ambientata nell’incanto barocco di Ibla, paesino siciliano dove si conoscono tutti e la vita scorre con una lentezza antica.

Pochi avvenimenti eclatanti e la consolidata abitudine di ruotare intorno a due luoghi di ritrovo prediletti, in cui incontrarsi e spettegolare di piccole cose del quotidiano.

Sono il Caffè 900 e la farmacia del paese, dove più che per pillole e sciroppi si va per curare anche l’anima con i rimedi forniti dalla saggezza del farmacista, personaggio strategico e punto di riferimento della comunità.

Il romanzo inizia nel 1912 proprio con il funerale dello storico farmacista Filippo Albanese che era stato l’uomo più affidabile del paese, stimatissimo e amato, al quale i compaesani avevano confidato segreti e stati d’animo da sempre.

Il dolore per la perdita accompagna la vedova, ma quello che più cattura l’attenzione dei compaesani è l’arrivo inaspettato di un giovane napoletano mai visto prima, Antonio Fusco, che il defunto avrebbe designato come suo successore.

Partono immediati curiosità, commenti, diffidenza, ipotesi e tanto altro riguardo al forestiero. La vedova Albanese lo accoglie come il figlio che non ha mai avuto, fiduciosa della saggezza delle disposizioni lasciate dal marito.

Ben diverso è l’approccio dei notabili del paese e dei cittadini che lo mettono sotto una spietata lente di ingrandimento… e si scatenano in pettegolezzi e illazioni.

Chi sia Antonio Fusco lo scoprirete poco a poco e con continue sorprese dosate con maestria dalla scrittrice, che mette in scena un certo clima di provincia, e ci svela per gradi la storia di quell’uomo in fuga dal suo passato, i suoi errori e debolezze.

Ancora una volta Costanza DiQuattro fa centro con un romanzo che scava sotto la superficie delle convenzioni e mette a nudo anfratti dell’anima.

 

Rock Jazz e dintorni a Torino: The Dark Side Orchestra e i Coma_ Cose

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. Al Cafè Des Arts suona l’Underbar Trio.

Martedì. Al Blah Blah i The Layer Between sonorizzano il documentario “Bergensbanen”. Al Jazz Club si esibisce il duo femminile Maramalde. “Lazarus” con la regia di Valter Malosti e l’interpretazione di Manuel Agnelli, è in cartellone al teatro Carignano ancora per sei giorni.

Mercoledì. All’Osteria Rabezzana è di scena Lil Darling. Al Jazz Club blues con il chitarrista Fast Frank. Al Blah Blah suonano i Sail Away.

Giovedì. Al Jazz Club si esibisce Ignacio Etchegaray. Al Blah Blah sono di scena gli The Obsessed. Alle Gallerie d’Italia improvvisano “al buio” Enrico Gabrielli, Vittorio Cosma, Plastica e Ivan Bert.

Venerdì. Alla Palazzina di Caccia di Stupinigi il tributo al disco più famoso dei Pink Floyd, con la The Dark Side Orchestra. Nel Sound Garden dell’Hiroshima Mon Amour suonano i tuareg del Mali Tinariwen. Al Magazzino sul Po si esibiscono i Pietra Tonale. Al Blah Blah sono di scena i Giuda. Alla Casa del Quartiere si esibisce Laurino. All’Off Topic è di scena An Early Bird.

Sabato. Al Jazz Club suonano i BluesCreen. Debutta la rassegna “Musicastelle” in Val d’Aosta. A Plan De Moudzons si esibiscono i Coma _Cose. Al Magazzino sul Po suonano gli Osaka Flu. Al Blah Blah  sono di scena i Grave-T.

Domenica. Allo Ziggy si esibisce Lili Refrain. All’Imbarchino sono di scena i C+C=Maxigross.

Pier Luigi Fuggetta

Chiacchiere tra cadaveri etnicamente diversi

Quando la guerra bussa alla tua porta, non sai mai cosa potrà accadere. Lo scoprirai solo strada facendo. Forse lo potrai raccontare, se saprai sopravvivere all’orrore”. Così inizia la nota in quarta di copertina di Chiacchiere tra cadaveri etnicamente diversi ( Infinito edizioni, 2023), l’ultimo libro di Luca Leone, giornalista e scrittore tra i più attenti e profondi conoscitori della Bosnia e dei Balcani occidentali. Un libro diverso, una silloge poetica composta da versi asciutti, duri, essenziali dove pare che l’autore abbia scelto di riversare le emozioni e i ricordi di trent’anni di viaggi e di incontri nel cuore dell’Europa di mezzo, soprattutto in terra bosniaca ed erzegovese dove tutto sembra impastato con il sangue di un popolo martoriato da un conflitto che non ha mai cessato di produrre sofferenze e dolore anche dopo che le armi hanno taciuto. In Chiacchiere tra cadaveri etnicamente diversi sono i sommersi e i salvati della decade malefica dell’ultimo scorcio del secolo breve che animano le trentaquattro poesie, riesumando e rianimando storie di persone e paesi che hanno conosciuto guerre e violenze, fame e morte sotto il tiro dei cecchini, amputazioni per gli scoppi delle granate, la pazzia e l’odio del nazionalismo portato agli eccessi e la pulizia etnica, terribili miserie umane e incredibili lampi di generosità e condivisione. Una realtà che pesa come una sorta di maledizione per un paese, la Bosnia, tanto bello quanto disgraziato. Ha ragione Andrea Cortesi quando, nella sua presentazione, afferma che questo è forse “il più intimo, personale e sofferto libro che Luca Leone abbia mai scritto”. In poemi come E’ tempo si condensa la storia recente del paese che rappresentava il cuore più jugoslavo della Jugoslavia, una storia di conflitti e di terribile pace segnata anche dal fallimento dell’Occidente e dell’Europa, dove “i fantasmi del ’93 cercano attoniti un ponte che non c’è. A Mostar l’aria è grave d’esplosioni d’intonaci e tetti saltati e sbriciolati. Volano, danzano schivando granate che piovendo dilaniano popoli alla fame. A Mostar la Neretva è rosso sangue d’un odio sconosciuto ma eccitante. E gridano esaltati i generali: crepino i cattolici, schiattino i musulmani. E scannano sedotti i militari: a morte gli ortodossi, nel fiume i musulmani. E’ tempo di distruzione. Giacciono nuvole di sporco in superficie, gelide osservano le alte ciminiere. A Zenica è di nuovo blu la Bosna ma il cielo è un coperchio che isola e sconforta. Tremano le anime di donne oltraggiate, vittime impotenti di guerre programmate. Assolti e affrancati, soldati e mercenari banchettano coi corpi di civili ignari. Gridano assetati i generali: stuprate i cristiani, violentate i musulmani. E’ tempo di distruzione, di utile disperazione, di nuovi ricchi, di chierici contenti. E’ tempo di trasformazione, di nuova occupazione, di bui nazionalismi, di mafia e di fascismi”. La poesia di Luca Leone, come scrive Silvio Ziliotto nell’introduzione, è una risposta a un malessere quasi fisico, a un dolore morale lancinante dovuto ad anni di narrazione, confronto, scontro, denunce, amarezze, tante altrui bassezze nel raccontare e capire la Bosnia Erzegovina. Per questo si può comprendere perché i versi sembrano di carta vetrata, stridenti anche quando esprimono sarcasmo e sconcerto o diventano un urlo strozzato che cerca di riscattare le vittime di quella come di tutte le guerre. Un libro diverso ma non meno importante di Srebrenica, i giorni della vergogna, Višegrad o La pace fredda, dove ancora una volta si chiede e si reclama giustizia perché un popolo torni a sperare, per risollevare cuori intimoriti, per riprendere a vivere e a progettare il futuro. Una giustizia che deve partire dal cuore di ciascuno senza coprire quel sangue con lo sporco dei nazionalismi, dell’indifferenza, della distrazione, dell’oblio. Un compito difficile ma necessario perché come scriveva Predrag Matvejević, uno dei più grandi intellettuali jugoslavi del XX secolo, “i tragici fatti dei Balcani continuano, non si esauriscono nel ricordo, come avviene per altri. Chi li ha vissuti, chi ne è stato vittima, non li dimentica facilmente. Chi per tanto tempo è stato immerso in essi non può cancellarli dalla memoria”.

Marco Travaglini

A Torino la prima edizione del Palio dei Poeti

Il 17 giugno si svolgerà la  competizione poetica tra le varie Contrade ovvero tra le varie Circoscrizioni

 

Il Club dei Cento Aps promuove la prima edizione del Palio dei Poeti, nato da un’idea proposta e sostenuta dal Cavalier Giorgio Milanese e da Giuseppe Mastarone, in collaborazione con Giorgia Catalano e Mario Pippia del Direttivo del Club. Si terrà sabato 17 giugno presso il Teatro Cecchi Point alle 15.30, in via Antonio Cecchi 17 a Torino.

Si ispira alle regole e allo spirito del Palio, inteso come una gara tra le contrade, Circoscrizioni di una Città.

Le circoscrizioni che hanno aderito sono sette, tutte meno la Circoscrizione 1, e hanno messo in campo quattordici poeti che verranno giudicati da una giuria popolare e da una giuria tecnica.

I poeti sono Domenico Cavallo, Luciana Navone Nosari, Sergio Donna, Cinzia Morone, Cinzia Guglielmino, Donato De Palma, Egle Bolognesi, Rosita Panetta, Francesco Tomas, Angela Donna, Gianni Stuardi, Claudia Caldarola e Giorgio Motta.

I giurati della giuria tecnica sono Max Ponte, Francesco Rodolfo Russo, Margherita Oggero, Patrizia Valpiani e Bruno Rullo. Padrino del Palio sarà l’attore Franco Barbero. I giurati della giuria popolare sono Ivana Posti, Vincenza De Ruvo, Bruno Giovetti, Enrico Maria Lazzarin e Cristina Codazza.

Dopo la proclamazione della Contrada ( Circoscrizione) vincitrice del Palio, gli spettatori potranno gradire alle 18.30 una esibizione della banda musicale dei vigili urbani di Torino.

Attraverso la competizione poetica il Palio si propone di porre e rafforzare il senso di appartenenza al territorio in cui si vive e lavora.

Questo evento riesce a dare luce alla ricchezza della vita culturale di Torino, a partire dalle tante realtà che operano nelle otto Circoscrizioni.

La modalità di partecipazione è gratuita e avviene a coppie.

Ogni coppia rappresenta, idealmente, il territorio di una Contrada (Circoscrizione).

La coppia richiama metaforicamente l ‘idea di un team (fantino- cavallo), che si battono per il Palio.

Non è prevista alcuna distinzione di ruoli tra i concorrenti che la compongono, che possono essere sia di sesso diverso sia dello stesso sesso.

In un mondo in cui i rapporti interpersonali diventano sempre più difficili e in una società in cui silenziosamente cadono uno a uno i valori e le certezze, promuovere il senso di appartenenza alla propria Circoscrizione, in questo caso alla Contrada, risulta fondamentale. Si tratta di un modo di risvegliare il legame di unione con il territorio, che nulla ha che fare con i partiti politici o gli interessi di parte. L’attaccamento al luogo, nello specifico alla Circoscrizione, rappresenta qualche cosa di profondo, una radice. In certi casi si può parlare di ‘demone di appartenenza’.

Il Palio, con questa specifica competizione, rappresenta uno stato della mente che porta a gioire e soffrire insieme agli appartenenti alla stessa squadra.

MARA MARTELLOTTA

Le sonate da Chiesa di Mozart alla Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso

Domenica 11 giugno

REGIE ARMONIE

eseguite da un gruppo d’archi e dall’organista Luca Benedicti

 

 

Per Regie Armonie. Itinerari musicali lungo la Via Francigena la Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso ospita, domenica 11 giugno alle ore 17, l’organista Luca Benedicti che utilizzerà l’organo conservato a Ranverso, risalente alla metà del Settecento e caratterizzato da una particolarità costruttiva: l’inversione della colorazione dei tasti (normali neri, diesis bianchi). Ad accompagnare Luca Benedicti un gruppo d’archi composto da Edoardo De Angelis e Raul Roa al violino con Manuel Zigante al violoncello.

In programma le Kirchensonaten di Wolfgang Amadeus Mozart. Le Sonate da Chiesa risalgono tutte al periodo salisburghese di Mozart, tra il 1772 circa e il 1780 e continuano la tradizione delle antiche sonate religiose seicentesche. Le sonate venivano eseguite durante la Messa tra la lettura dell’Epistola e quella del Vangelo e testimoniano una religiosità legata agli ideali stilistici della musica sacra napoletana allora in voga.

Prima del concerto, alle ore 14, in occasione dell’ultimo giorno della Museum Week, “La scuola a Ranverso” presenta alcuni tra i laboratori più interessanti realizzati con le scuole di ogni ordine e grado, compresi i lavori realizzati con la Libera Accademia Novalia di Alba. Segue, alle ore 15.30, una visita guidata alla Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso.

 

PROGRAMMA

Domenica 11 giugno

Ore 14

La scuola a Ranverso

Ore 15.30

Visita guidata alla Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso

Costo: 3 euro

Ore 17

Regie Armonie. Mozart e le Kirchensonaten

Luca Benedicti, organo

Edoardo De Angelis, violino I Raul Roa, violino I Manuel Zigante, violoncello

Concerto a offerta libera

 

Johann Sebastian Bach (1685-1750)

Dalla Cantata BWV 147, Corale “Gioisci anima mia”

Dalla Suite BWV 1068 n.3 Aria sulla IV corda

Arcangelo Corelli (1653-1713)

Tema e Variazioni sull’Aria della Follia per organo e violino

Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)

Kirchensonata in Fa maggiore KV 244

Kirchensonata in Sol maggiore KV 274

Johann Pachelbel (1653-1706)

Canone in Re Maggiore per archi

Wolfgang Amadeus Mozart

Andante in Fa maggiore KV 616 per organo

Kirchensonata in Re maggiore KV 144

Kirchensonata in Do maggiore KV 328

 

INFO

Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso

Località Sant’Antonio di Ranverso, Buttigliera Alta (TO)

Info: 011 9367450 (attivo da mercoledì a domenica) o ranverso@biglietteria.ordinemauriziano.it

www.ordinemauriziano.it

Al Miit Tang Tang e la collettiva “Dreams”

Due nuclei di opere inaugurano la mostra prevista sabato 10 giugno al Museo di Guido Folco

 

“Tang Tang” e “Dreams” rappresentano i due nuclei della mostra che si inaugura sabato 10 giugno prossimo al Museo MIIT, Museo Internazionale di Italia Arte di cui è  direttore Guido Folco, e visitabile fino al 23 giugno prossimo.

Tang Tang è  una giovane artista cinese, che realizza lavori di ricerca e sperimentazione in diverse discipline e tecniche, a partire dalla fotografia fino a approdare alla pittura, che viene declinata in tecniche mistiche materiche e in action painting. Ella fa dell’astrazione la sua principale cifra stilistica, recuperando oggetti frantumati, frammenti naturali e elementi della propria esistenza.

Lavorando per serie, Tang Tang mette  a fuoco aspetti diversi della sua emotività e della sua interiorità,  prendendo spunto dal quotidiano, dal reale, dalle circostanze e dagli oggetti in cui abita e vive.

“La serie “Home” – spiega Tang Tang – parla della mia vita, di quando sono a casa e mi faccio un’idea della bellezza presente negli oggetti che mi circondano  e che portano tracce della miavita,  acqua piovana, frammenti di vasi rotti, foglie, piante cadute a terra”.

Nell’effimera esistenza del tutto sta il particolare e Tang Tang elabora il suo linguaggio della sintesi di ciò che appare, cercando di sondare la profondità dell’anima e dello spirito del mondo.

Negli scatti della pittrice l’elemento umano, il suo mondo e il suo spazio diventano palcoscenici  di esistenza percorsi da silenzi. Le radici della sua Terra, del Paese in cui è  nata, e della sua città rimangono indelebili nel ricordo e nell’arte di Tang Tang.

Ad affiancare la mostra di Tang Tang una collettiva di artisti italiani e stranieri dal titolo “Dreams”, con una selezione di opere dall’informale al figurativo.

MARA MARTELLOTTA

Il Borgo San Donato tra sacro e profano

La quarta Circoscrizione del Comune di Torino conta circa 95 mila abitanti ed è situata nella parte Ovest di Torino; attraversata dalla Dora Riparia è delimitata a Sud da Corso Francia, a Nord da corso Regina Margherita e corso Mortara, a Est da corso Principe Oddone e a Ovest dal confine con il Comune di Collegno. La quarta Circoscrizione comprende il borgo San Donato, che conferisce il nome alla Circoscrizione medesima e  che ha origine da una omonima chiesetta, edificio andato poi distrutto dell’assedio del 1536. Nel 1855 fu sostituita dall’attuale chiesa della Immacolata Concezione e San Donato. Nel 1943 i bombardamenti la danneggiarono in parte, ma fu poi restaurata.

L’antico borgo di San Donato sorgeva più  a Est dell’attuale, nell’area del centro storico compreso tra le vie Consolata, Garibaldi,  Giulio e corso Valdocco. Anche se esterno alla mura romane e medievali su cui era addossato, risultava difeso da una cinta muraria e da un fossato, munito di due porte, una rivolta alla strada dell’abbazia di San Solutore e una alla strada Romana verso Pozzo Strada. La popolazione di Borgo San Donato ebbe una drastica diminuzione a causa della peste del 1630 e in seguito alsusseguirsi delle guerre. Tornò a crescere durante il Rinascimento.

A irrigare il quartiere il Canale di Torino, derivazione della Dora Riparia e del canale Ceronda, derivazione del torrente a Ovest di Torino, oggi inesistente,  che seguiva il tracciato delle vie San Donato e Pacinotti.

Il quartiere attirò numerose attività caritative, data la vasta presenza di latifondi di proprietà religiosa, come quelli afferenti agli ordini di Sant’Agostino e Santa Chiara. Le iniziative caritative che si svilupparono riguardano il Pubblico Scaldatoio, l’Istituto della Sacra Famiglia, che accoglieva duecento orfane, la Casa di Sanità del dottor Casimiro  Sperino e un oratorio femminile  fondato dal teologo Giuseppe Saccarelli.

Fu proprio il teologo Saccarelli a ottenere dall’arcivescovo Fransoni che la sua chiesa locale diventasse parrocchia e l’arcivescovo volle che al nome  San Donato alla chiesa fosse aggiunto quello di Immacolata Concezione, avendo papa Pio IX proclamato questo dogma proprio poco prima dell’inaugurazione della chiesa, l’8 dicembre 1854.

Un altro importante passaggio fu l’edificazione dell’ospedale Maria Vittoria , all’incrocio tra corso Tassoni e via Cibrario, su terreni che erano stati donati da un medico specializzato in Ostetricia e Ginecologia, Giuseppe Berruti, allo scopo di farne un ospedale dedicato alla salute di donne e bambini. Il progetto venne redatto dallo stesso creatore di piazza Statuto,  Giuseppe Bollati, ecinaugurato nel 1885.

Il borgo San Donato promosse nel corso del Novecento  lo sviluppo di importanti industrie dell’area piemontese, quali le Pastiglie Leone, la Bosio  Caratsch, la Metzger, la fabbrica di cioccolato Caffarel-Prochet.

Nel 1826 Pier Paul Caffarel rilevò una conceria di via Balbis, situata nel quartiere di San Donato,  per trasformarla da conceria a Laboratorio dolciario, dando avvio alla produzione europea di cioccolato solido di qualità.  L’imprenditore acquistò diversi macchinari in grado di produrre più di 320 chili di cioccolato al giorno.

Il nipote di Pier Paul Caffarel,  Ernesto Alberto, conobbe un altro artigiano del cioccolato che si chiamava Michele Prochet e nacque così un sodalizio che portò  alla formazione della fabbrica Caffarel – Prochet, iniziando a miscelare il cacao con un nuovo ingrediente, che diede origine al gianduiotto.

Il gianduiotto, delizioso cioccolatino a forma di barca rovesciata, si ottiene con l’impasto del cioccolato noto come gianduia e  tra gli altri suoi ingredienti troviamo la nocciola tonda gentile del Piemonte, un prodotto molto noto della tradizione piemontese.

La nascita del gianduiotto si intreccia con un evento storico, il blocco continentale voluto da Napoleone Bonaparte, che fece sì  che il cacao provenisse in Europa a prezzi elevati e quantità ridotte. Michele Prochet si impegnò a sostituire gran parte del cacao con la nocciola delle Langhe.

Il borgo San Donato è  anche il borgo delle pastiglie Leone. In realtà la prima fabbrica fu costruita ad Alba nel 1857 come confetteria che produceva  delicate pastiglie colorate. La fabbrica venne poi trasferita nel 1934 non lontano da quella Caffarel Prochet, in un edificio in stile Liberty, in corso Regina Margherita .

Il Borgo San Donato non era soltanto un borgo dolciario,  ma è stato il primo in cui sia nato un birrificio, nel 1845. Fu chiamato “Birreria del Giardino” e la sua prima sede fu in via della Consolata, nel centro storico cittadino. La seconda generazione del birrificio fu quella di Edoardo Bosio che, nel 1887, di comune accordo con il cugino Simone  Caratasch, trasferì il birrificio nel Borgo San Donato.

L’azienda mutò la propria ragione sociale e divenne Bosio &Cartash. Ottenne il primo riconoscimento italiano,  con la medaglia d’oro all’Esposizione dell’Industria italiana. Fu poi rilevata, insieme alla concorrente Metzger, dal gruppo Luciani e, anni dopo, dalla Holding Mobiliare  Industriale Cisalpina di Milano  nel 1952.

Un altro birrificio presente in borgo San Donato era  quello di nome  Matzeger, fondato a Torino nel lontano 1848 da Karl Metzger e da altri soci. Karl Metzger era un maestro birraio originario dell’Alsazia.

La prima fabbrica sorgeva a Borgo Dora, poi nel 1862, una volta divenuto unico proprietario del birrificio, spostò la produzione a San Donato,  ampliando il proprio campo di azione e conquistando anche i mercati delle colonie italiane dell’Africa.  Venne poi rilevata, con la rivale Bosio & Caratsch, dal gruppo Luciani.

Borgo San Donato fu abitato fin dal Medio Evo da famiglie di mercanti e di soldati e, per secoli, fu chiamato il borgo del Martinetto, data la presenza di pistoni attivati dai canali d’acqua derivati nel quartiere.

Nel 1835 prese il suo nome dall’antica chiesa dedicata  a Donato d’Arezzo, distrutta durante un assedio francese nel 1536 e ricostruita nel 1855 con il nome di Immacolata Concezione e San Donato.

Attualmente il quartiere di San Donato è  un quartiere dal buon livello di qualità della vita. Si trova in una posizione strategica e racchiude entrambe le anime della città,  quella pre industriale e post industriale. A tagliare in due il quartiere è  corso Regina Margherita, per i torinesi noto come Corso Regina.

La parte meridionale del quartiere è quella caratterizzata da bellissimi palazzi in stile liberty, come la celebre casa Fenoglio-Lafleur, attività e negozi che gravitano intorno alle vie Cibrario e San Donato.

Qui, appunto, sorgeva la fabbrica delle pastiglie Leone, qui nacque il primo birrificio italiano. Lo storico birrificio Metzger attualmente è un centro culturale, mentre la fabbrica delle pastiglie Leone si è  trasformata in una condominio molto lussuoso e la conceria Fiorio è  diventata piazza dei Mestieri.

Nel quartiere di San Donato è  anche presente il parco Dora che, sulla carta, costituisce una delle  più interessanti aree di Torino.  Il Parco Dora risulta una bella area verde con innesti di archeologia industriale. Un altro polo attrattivo per le famiglie è rappresentato dal mercato all’aperto in piazza Barcellona nella zona Sud, cui si affiancano numerosi centri commerciali nella zona Nord, tra cui quello di Parco Dora, che vanta parecchi negozi e un cinema Multisala.

MARA MARTELLOTTA