CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 22

E’ di scena MOV Summer Festival 2025

Musica, spettacolo e cultura: ritornano le grandi serate estive di “Mondovicino Outlet Village”

Dal 24 luglio al 14 agosto

Mondovì (Cuneo)

Segnatevi ben bene la data: giovedì 24 luglio (ore 21, stesso orario per tutti gli spettacoli con ingresso gratuito), piazza Centrale di “Mondovicino Outlet Village” a Mondovì (Cuneo). Sarà la grande Ivana Spagna (da Valeggio sul Mincio, in passato “Spagna” e basta) ad aprire la rassegna del “MOV Summer Festival” che da giovedì 24 luglio a giovedì 14 agosto tornerà a trasformare  “Mondovicino” in un palcoscenico a cielo aperto con cinque serate dedicate alla musica italiana e al più vario intrattenimento, con ospiti di rilievo e un programma fatto su misura per tutte le generazioni.

Icona intramontabile della “musica pop” italiana e internazionale, con oltre 30milioni di dischi venduti e una carriera che l’ha portata dalle “piste dance” europee alle “colonne sonore Disney”, Spagna è certamente una delle cantanti più versatili e amate dal pubblico più eterogeneo. Non poteva esserci dunque scelta migliore dell’affidare a lei il testimone della lunga “staffetta” che, anche quest’anno, impegnerà il monregalese “Mondovicino” nel clou della stagione estiva. Dopo il successo planetario di “Easy Lady” e “Call Me”, che l’ha consacrata anche nel mercato anglosassone, Ivana Spagna ha saputo reinventarsi “in italiano” con hit emozionanti come “Gente come noi” e “Siamo in due”. E forse pochi sanno che ha perfino scritto ed interpretato l’inno della squadra del cuore, il “ChievoVerona Calcio”. Lo show a Mondovicino sarà, come sempre, un viaggio musicale tra energia e sentimento, per cantare e ballare sulle note che hanno segnato un’epoca.

Classe 2006, fra le voci emergenti del panorama canoro nazionale e vincitrice dell’edizione 2024 di “Amici”, sarà invece la vigevanese Sarah Toscano a salire sul palco, nella serata di giovedì 31 luglio. Il suo primo EP ha subito scalato le classifiche, grazie anche ai singoli “Touché” e “Sexy Magica” , mentre la sua partecipazione al “Festival di Sanremo 2025” con “Amarcord” (classificatosi al 17° posto e in seguito al 19° della classifica “Top Singoli” fino alla certificazione di “disco d’oro”) l’ha ufficialmente consacrata tra i nuovi talenti della musica italiana. A Mondovì porterà l’energia del suo primo tour, già sold out nelle principali città.

A seguire. Dalla musica allo spettacolo più vario e spassoso. Ecco allora, venerdì 1° agosto un appuntamento originale e sorprendente: ParalleleBipedi a confronto” , il talk show condotto dal mitico comico cabarettista cantautore attore e scrittore spezzino Dario Vergassola , talk giunto alla sua quarta edizione. Nessun dubbio: sarà una serata tutta fuori dagli schemi, un mix di ironia, pensiero e spettacolo, ispirata – con spirito giocoso – all’imprevedibilità e al “trionfo dell’irregolarità” delle “bocce quadre”, tradizione ludica locale che a Mondovì attira centinaia di persone a giocare sotto i portici del centro. Vedere per credere. E per ridere!

E dopo il Vergassola? Udite, udite: giovedì 7 agosto sarà la volta di un vero personaggio cult della storia della musica e dell’intrattenimento italiano, il leggendario (anche lui non aspetta più i settanta!) Claudio Cecchetto . Produttore discografico, dj, conduttore radiofonico e televisivo (inventore di “Radio Deejay” e più volte conduttore del “Festival di Sanremo”), nonché scopritore di artisti come Gerry Scotti, Jovanotti, Fiorello, Max Pezzali e Amadeus, Cecchetto torna dietro alla consolle con il suo “Deejay Show” , uno spettacolo in cui musica, immagini e aneddoti si fondono in un racconto travolgente attraverso quarant’anni di “cultura pop”. Dagli Anni ‘70 alla “Dance 2000”, passando per momenti cult come “Gioca Jouer” , il pubblico sarà invitato a cantare, ballare e rivivere le stagioni più esuberanti della musica italiana. Dimenticando che intanto gli anni (quelli “più esuberanti”) per molti, purtroppo, se ne sono andati.

Ed eccoci, al “gran finale”. Giovedì 14 agosto sarà una serata tutta dedicata alla comicità targata Zelig” . Tre volti storici del celebre cabaret televisivo saliranno sul palco del “MOV Summer Festival” per un Ferragosto all’insegna delle risate: Gianluca Fubelli , in arte “Scintilla”, con il suo umorismo grottesco e surreale, Franco Neri , torinese doc e “calabrese nell’anima”, e Marco Marzocca , maestro del “nonsense” e della parodia, il celebre “Ariel” di “Zelig”, collaboratore domestico filippino di Claudio Bisio. Un mix esplosivo di sketch e battute per concludere il festival con leggerezza e allegria.

Si ricorda ancora che, durante le serate, i negozi e i punti food di “Mondovicino” resteranno aperti per permettere ai visitatori di vivere il “Villaggio” anche dopo lo spettacolo, tra shopping, musica e convivialità.

g.m.

Nelle foto: Ivana Spagna; Dario Vergassola; Claudio Cecchetto (Ph.Giovanni Gastel)

Marcello Soleri a 80 anni dalla morte

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
Ottant’anni fa moriva a Torino Marcello Soleri, ministro del tesoro in carica dal 4 giugno 1944. Era già stato ministro delle Finanze e della Guerra, parlamentare liberale vicino a Giolitti fino al 1928 quando il fascismo lo dichiarò decaduto. Ho ripubblicato le sue memorie nelle edizioni di “Libro aperto”  di Antonio Patuelli,  stampato con prefazione di Luigi Einaudi nel  1949 dall’editore Einaudi che non rimise  più in circolazione il libro.
Soleri è stato ricordato oggi a Cuneo e verrà ricordato da chi scrive in settembre ed ottobre a Torino, a Cuneo e a Roma insieme alla pronipote Olimpia Soleri e a Enrico Morbelli, presidente della Famija Piemonteisa della Capitale. Nel 1945 se la malattia non lo avesse stroncato a 63 anni, era considerato il vero leader del rifondato Pli. Lui non aveva ceduto al fascismo come tanti liberali e vide anche i limiti dell’ Aventino. Soleri ministro della Guerra aveva predisposto il decreto dello stato di assedio per impedire manu militari la Marcia su Roma. Il re non firmò, anzi chiamò al governo Mussolini che cercò in tutti i modi di circuire inutilmente  Soleri che riconosceva come valoroso combattente nella Grande Guerra, ufficiale volontario nel corpo degli Alpini, decorato di medaglia d’argento al Valor  Militare. Esiste a Cuneo il  suo diario di guerra su cui scrisse Umberto Levra tanti anni fa un bel saggio. Perché Soleri è stato dimenticato innanzi tutto dal partito liberale che dal 1976 eleggeva a Cuneo il ministro Raffaele Costa? Non ci vuole molta fantasia per rispondere. Ma anche i vari  Altissimo e Zanone non hanno mosso un dito per lui. Qualche discorso celebrativo a Cuneo lasciandolo schiacciato dalla figura di Giolitti. Le scorribande pseudo storiche del preside di  Saluzzo hanno fatto il resto per relegare Soleri ad epigono di Giolitti. Tutti gli antigiolittiani hanno riservato oblio a Soleri perché lo statista piemontese per il suo rigore morale contraddiceva alla vulgata salveminiana del “ministro della mala vita”.
Soleri concluse la sua vita, lanciando il prestito nazionale del 1945 che salvò  la lira. Nel 1945 Soleri era ministro ed Einaudi venne da lui nominato governatore della Banca d’ Italia.
Oggi questi ricordi sono appannati, ma il Centro “Pannunzio” farà in modo che gli studiati silenzi e i meditati  oblii, come disse il mio amico Prunas, siano superati e venga garantita adeguata giustizia storica ad un grande piemontese che ebbe il rigore di Sella e di Lanza, ma anche la lungimiranza di Cavour.

Una nuova stagione estiva per San Sicario

Fra teatro e cinema, la nota frazione di Cesana Torinese, s’attrezza per un’estate “come si deve”

Dal 25 luglio al 16 agosto

San Sicario di Cesana (Torino)

In tre settimane8 spettacoli teatrali e 4 proiezioni cinematografiche. Con il titolo di “Spettacoli di mezza estate … in vetta”, ai 1700 metri di San Sicario ci si attrezza per una nuova, interessante “stagione estiva”. Tre settimane, dal prossimo venerdì 25 luglio a sabato 16 agosto: avanti tutta! Con una programmazione estiva, di sicura qualità, promossa, presso il locale Cinema Teatro “San Sipario”, dalla torinese Compagnia Teatrale “Onda Larsen” in collaborazione con la sansicariota Associazione “Non solo Neve”, che già il nome dice tutto!

Spiega Riccardo De Leo, vicepresidente “Onda Larsen”: “La sfida di ‘Onda Larsen’ e ‘Non solo Neve’ è portare un’offerta culturale continuativa per gli abitanti e i turisti con l’obiettivo di animare il borgo durante il periodo estivo, un momento in cui la montagna perde la neve ma non il fascino e le opportunità attrattive. Il cartellone è costruito sulla multidisciplinarietà, sulla contaminazione di linguaggi e su una proposta multi-genere: abbiamo selezionato spettacoli, concerti e serate di cinema per coinvolgere l’intera comunità, rendendola partecipe e facendola sentire protagonista del processo creativo culturale”. Il programma si presenta, quindi, come un allettante “viaggio tra musica, teatro e parole”.

In estrema sintesi, si spazierà dai testi di Fabrizio De Andrè (con “Volta la carta” dell’“Accademia dei Folli”) alle riflessioni dell’attrice comica Giulia Pont su come la fine di un rapporto possa essere il principio di un nuovo inizio, da “Lemon Therapy”, che indaga gli adolescenti di oggi attraverso un’indagine di sette mesi tra i ragazzi, a “Ai fiori non serve il pettine” che narra un’importante storia di rinascita e affermazione di una bambina che convive con l’“alopecia”. Inizio degli spettacoli sempre alle ore 21.

Si parte sabato 25 luglio, proprio con il reading intenso e toccante “Ai fiori non serve il pettine”, scritto da Ilaria Santambrogio e Marina Gallona, con Barbara Altissimo sul palco. Ispirato dal libro edito da “Capovolte Edizioni”, il recital racconta la storia di Ilaria che fin da bambina convive con l’“alopecia”. Sarà un fiore, l’“elleboro” tatuato sulla testa, a diventare per lei simbolo di rinascita e nuova affermazione, in un racconto che invita a riflettere sull’autenticità in una “società performativa” e su come la “diversità” possa trasformarsi in un valore aggiunto. A chiudere la programmazione di questa prima stagione sarà, sabato 16 agosto, il film “Sotto le stelle di Parigi” dello sceneggiatore e regista tedesco Claus Drexel. Basato su una storia vera, è una “fiaba per tutta la famiglia” che racconta la storia di una donna che ha avuto poco dalla vita e di un bambino a cui è stato tolto tutto. A fare da sfondo, le brutture di una società ostile dove saprà riaccendersi però una luce di speranza.

Per info e per la programmazione nel dettaglio: tel. 351/4607575 o www.ondalarsen.it

Da segnalare in particolare, sabato 2 agosto“Il sogno di Bottom” di “Onda Larsen”, scritto e diretto da Lia Tomatis, con Riccardo De Leo e Gianluca Guastella, piacevolissimo spin-off di uno dei personaggi più divertenti di Shakespeare, attraverso una storia che ci porta nel 1595, nel bosco di “Sogno di una notte di mezza estate”, commedia di argomento decisamente comico, fra le più famose dell’illustre “Bardo” o “Cigno dell’ Avon”.

Commedia leggera, ma non superficiale, anche “Lemon Therapy” (giovedì, 7 agosto), una prosa di “Quinta Parete”, scritta da Chiara Boscaro e Marco Di Stefano, interpretata da Enrico Lombardi e Alice Melloni. Nato da un’indagine con adolescenti, genitori e insegnanti, il testo affronta il tema della “sessualità” in età adolescenziale, dell’educazione all’affettività e dei nodi intergenerazionali. Argomento tosto, trattato con indulgenza per gli spettatori.

Spettacolo di travolgente comicità sui meccanismi della “relazione di coppia” è infine quello programmato per venerdì 8 agosto di e con Giulia Pont (regia di Carla Carucci), “Ti lascio perché ho finito il cortisolo”. Giulia Pont, con le sue teorie sentimentali esilaranti, “conduce in un viaggio ironico nel mondo del ‘dating’ e della ricerca del piacere femminile, lottando contro i pregiudizi e affermando la propria individualità”.

Nel suo complesso, l’agenda di spettacoli ideata da “Onda Larsen” per la stagione estiva di “Sansica” è sicuramente ben studiata e interessante. Da seguire e sostenere in piena adesione. I biglietti (biglietto unico 10 Euro) sono acquistabili sia in cassa il giorno stesso dell’evento sia sul sito www.ticket.it

g.m.

Nelle foto: scene da “Il sogno di Bottom”, “Lemon Therapy” e “Ti lascio perché ho finito il cortisolo”

Apertura straordinaria del Castello di Marchierù

Domenica 27 LUGLIO 2025

Recentemente il castello ha ricevuto la visita di Azaea Beatrice Corvalan-Reyna y de Saboya, figliola di SAR la principessa Maria Beatrice di Savoia, più volte negli anni ospite dei proprietari del castello.

Accogliendo l’invito dell ’ illustre ospite, colpita dall’atmosfera del luogo nonché dalle memorie ivi contenute, legate alla storia stessa del suo Casato reale fin dal 1220

si è determinato di sospendere i lavori che finora hanno comportato la chiusura al pubblico della Dimora per un’apertura straordinaria

CASTELLO DI MARCHIERU‘ ( Villafranca Piemonte * via S.Giovanni 77)

Visite guidate al parco, alla cappella gentilizia, alle scuderie settecentesche ed alle sale ammobiliate del castello

Gli stessi proprietari, discendenti dai primi feudatari del 1220, accompagneranno gli ospiti facendo rivivere con oggetti, reperti e documenti storici originali, la vita, gli usi ed i costumi di una Dimora nobiliare dell’epoca.

( visite ore 10/11,30 *15/16/17 )

adulti € 10 * bimbi gratis fino a 10 anni*

Prenotazione obbligatoria al 3394105153 /3480468636 * segreteria@castellodimarchieru.it

Vito Oliva. Disegni Padani

Il magico surrealismo dell’artista alessandrino in mostra, nel Tortonese, a Sale d’Alessandria

Dal 25 al 29 luglio

Sale (Alessandria)

Una mostra a breve, troppo breve, durata. Cinque giorni, solo, di esposizione. Siamo tuttavia certi che “Disegni Padani”, a firma di Vito Oliva, a cura dell’“Associazione Mina Pintore” e ospitata da venerdì 25 (inaugurazione, ore 17,30) a martedì 29 luglio prossimi presso l’“Atelier” di via Roma a Sale Alessandrino, non mancherà – come si spera e ne siamo  certi – di attrarre un buon numero di visitatori e di destare l’interesse  che assolutamente merita.

Vito Oliva è un “eclettico artista, testimone del territorio”. Alessandrino, laureato in Lettere presso l’Ateneo genovese, ha come primi maestri i più noti pittori alessandrini tra i quali Giovanni Rapetti, dal quale apprende i primi, ma decisivi, rudimenti del “mestiere d’artista”. Si accosta all’arte “fantastica” e “surrealista” nella sua maggior fioritura e fortuna in ambito torinese negli Anni ’70.

 

Nota critica:

“Pittore della natura e della memoria, il tratto intenso e ricco di dettagli che si riscontra nei quadri di Vito Oliva è un viaggio che rivela paesaggi e momenti di vita passata di questa terra padana. Atmosfere suggestive nelle quali compaiono elementi tipici quali alberi secolari, campi sterminati e antiche testimonianze architettoniche immerse in un’aura di mistero e nostalgia. E ancora: elementi che rappresentano una forte simbologia legata alla natura e alla memoria storica dei luoghi. E’ questo il carattere distintivo, la vera unicità delle sue opere … Artista dal tratto preciso e inequivocabile, dai contrasti netti e dalle linee marcate che esaltano in modo nitido e preciso forme e immagini dall’aspetto tridimensionale, quasi vivo, che cattura l’osservatore”.

Mostra che sicuramente merita attenzione. E un’attenta visita.

Un consiglio ai “forestieri” che arriveranno a Sale per questa o altra occasione: non mancate di “omaggiare” (in tempi, soprattutto, come quelli che stiamo vivendo di criminale follia bellica) la “grande” (in tutti i sensi) classicheggiante scultura dedicata in Parco della Rimembranza “Ai Caduti di Sale” delle prime due guerre mondiali, opera di Giovanni Taverna (1911 – 2008), allievo di Borelli e soprattutto di Bistolfi, e nativo della vicina Alluvioni Cambiò, dal 2018 Alluvioni Piovera. Uno dei vari “monumenti pubblici” realizzati dal Taverna, fra i quali il “Monumento all’Alpino” di Leynì e il “Monumento al Migrante” a Pittsbourgh.

Terra di grandi artisti, il “Monferrato Alessandrino”. Sale vi aspetta oggi con le opere di Vito Oliva.

Per info: “Atelier”, via Roma 31, Sale (Alessandria); tel. 335/6547770

Orari: dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 19

Nelle foto: locandina mostra e una recente opera di Vito Oliva

Assegnato al prof. Pier Franco Quaglieni il “Premio Cavour Risorgimento”

 

Il volume “Il liberale Pannunzio. Tutto l’oro del Mondo?” pubblicato dalla Edizioni Pedrini

È stato assegnato il prestigioso Premio “Cavour Risorgimento” 2025, al volume: “Il Liberale Pannunzio. Tuttol’oro del Mondo ?”, curato dallo storico prof. Pier Franco Quaglieni, pubblicato dalle Edizioni Pedrini.

La Giuria ha premiato il volume con la seguente motivazione: 

“L’opera documenta con acume storico l’iter culturale e politico di Mario Pannunzio, evidenziandone e documentandone la matrice liberale. 

Le oltre sessanta importanti testimonianze inedite raccolte da Pier Franco Quaglieni, consentono una lettura di Pannunzio nuova, perchè lo colloca nel suo rapporto con il liberalismo di Tocqueville e di Croce, che lo storico torinese, ha documentato in modo davvero magistrale.

Nel libro è molto viva anche la lezione pannunziana del Risorgimento e dello stesso Cavour, a cui il prof. Pier Franco Quaglieni aveva dedicato nel 2010, un importante libro.

Pannunzio passa dalla agiografia ad una lettura critica e storica che lo colloca nel ‘900 italiano, tra fascismo e storia repubblicana, come uno degli interlocutori più significativi e controcorrente”.

Il Premio Alassio allo scrittore veneto Paolo Malaguti

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
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Il Premio Alassio Cento libri – un autore per l’Europa, ideato 31 anni fa dal bibliotecario Roberto Baldassarre e dal giornalista Romano Strizioli, è stato vinto da  Paolo Malaguti per il suo romanzo ”Fumana“. Una scelta avveduta della giuria presieduta da Gian Luigi Beccaria e composta da italianisti stranieri che spesso dimostrano una capacità di andare oltre le logiche di molti premi letterari italiani. L’idea dei giurati esteri ha consentito al premio alassino di avere un respiro più ampio, evitando i legami con la politica che emergono in modo vistoso, ad esempio, con lo “Strega”. La figura di Malaguti va ben oltre un eventuale  impegno politico che non traspare , perché la sua opera non rivela quei cedimenti a cui tanti scrittori si sono dovuti adattare o che hanno scelto di loro iniziativa. I Premi letterari, al di là della lotta inevitabile tra editori, sono spesso spartiti in base a criteri non soltanto politici, ma addirittura ideologici. Chi non fa parte di certi certi cerchi magici ,è tagliato fuori in maniera aprioristica. Anche il Premio Alassio ha avuto le sue colpe sotto la presidenza di Ernesto  Ferrero  che pure fu un critico raffinato e colto, ma non immune dalla compromissione con la politica politicante . Basterebbe citare il conferimento a Michela Murgia,  in verità non ancora così schierata come negli ultimi anni della sua vita, per rendersi conto di un abbaglio che mi portò a disertare negli anni successivi il Premio alassino. La scelta di quest’anno mi pare molto giusta e condivisibile. Uno scrittore che riconosce un debito nei confronti di Giovannino Guareschi, merita attenzione. Forse pochi lo ricordano che ad Alassio andava al mare con la famiglia anche Giovanni o che è ricordato all’ ingresso della biblioteca civica  sul mare da una sua  fotografia sulla spiaggia. Malaguti rappresenta una narrativa che sa fare i conti con la storia senza le solite  faziosità. In quella stessa piazza in cui è stato premiato Malaguti, due giorni prima ha presentato un suo libro un personaggio televisivo tra i più faziosi che utilizzano le trasmissioni per montare scandali. Non avrei mosso un passo per andarlo a sentire , ma la pluralità delle voci è il bello della democrazia liberale che ad Alassio è sempre esistita per merito di amministrazioni che non si sono mai accodate alla cultura – propaganda di tante città e cittadine che usano l’estate per fare  dell’amichettismo politico la loro prevalente ragion d’essere.

L’isola del libro

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RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

Jane Smiley “L’età del disincanto” -La Nuova Frontiera- euro 16,90

Jane Smiley (nata a Los Angeles nel 1949) è un gigante della letteratura americana contemporanea. Premio Pulitzer, autrice di oltre una ventina di opere di narrativa e saggistica, tutte di altissimo livello.

Questo romanzo, tradotto solo ora in italiano, in realtà è del 1987 e narra la crisi coniugale di una coppia di dentisti. Jane Smiley lo fa con estrema grazia e passo lieve, eppure riesce a scandagliare magistralmente due vite intere e due sensibilità caratterizzate da infinite sfaccettature.

Lei oggi -40 anni dopo e 4 matrimoni alle spalle- la ricetta giusta per far funzionare una coppia deve averla trovata; dato che con l’ultimo marito è felicemente sposata da 25 anni. Non litigano mai, si sono divisi chiaramente i compiti e trascorrono parte del tempo insieme scherzando.

Tornando al romanzo; Dana e Dave, apparentemente, sembrano aver formato una coppia consolidata e serena. Le loro carriere sono armoniosamente condivise e di successo, ed hanno tre figlie impegnative che richiedono attenzione.

Si sono conosciuti all’Università dove hanno studiato odontoiatria; una volta laureati, hanno aperto insieme uno studio dentistico all’avanguardia.

Ora, oltre alle bambine hanno anche due case; la seconda in campagna, dove, appena possono, si rifugiano per trascorrere ore di riposo vacanziero.

Tutto sembrerebbe quasi da “Mulino Bianco”; ma il condizionale è d’obbligo, perché in realtà qualche ombra c’è. A svelarle è la voce narrante di Dave.

Attraverso i suoi flash back scorrono i nodi fondamentali che legano la sua famiglia. Emerge che Dave ha imparato molto dalla moglie, con la quale, dopo aver studiato fianco a fianco, ora lavora applicando la stessa formula collaborativa.

Marito e moglie fanno tutto insieme: vanno e tornano dal lavoro, si occupano delle figlie e cercano di gestire con equilibrio anche i loro puntigli. Come quello della piccola Leah che improvvisamente vira dall’assoluta predilezione per Dana a quella esclusiva e totalizzante per Dave.

Lui rileva continui piccoli indizi e si allarma quando Dana gli confessa di essere spesso infelice; ma svicola, mentre il tempo del dubbio continua a dilatarsi.

Quando poi in studio arriva un nuovo paziente….ecco che il disincanto arriva. E vi appassionerete sempre di più, grazie alla maestria della scrittrice che sa condurvi nelle nicchie più segrete di questo matrimonio, pagina dopo pagina…

 

 

Joyce Carol Oates “Macellaio” -La nave di Teseo- euro 24,00

Joyce Carol Oates è una fuori classe della letteratura mondiale: 87 anni, fisico minuto ed esile, carattere immenso ed energia incontenibile.

Scrittrice tra le più prolifiche della storia, capace di spaziare -senza mai sbagliare un colpo- tra svariati generi letterari, con circa 100 libri pubblicati tra: romanzi, racconti, novelle, poesie, testi teatrali, saggi e libri scritti sotto pseudonimi. Tutt’oggi è docente universitaria ed un torrente in piena di creatività.

Il macellaio” è l’ennesima prova della sua bravura. Un potente e crudo romanzo gotico di oltre 500 pagine, che in molte pagine fa quasi male per l’orrore che racconta.

Nasce dall’accurato lavoro di ricerca condotto dalla Oates sulle esperienze di tre medici vissuti tra 1800 e 1900 in un contesto realmente esistito e dove le donne erano considerate esseri inferiori, sia in termini biologici che sociali.

Tra l’altro, l’autrice vive a pochi chilometri di distanza dal manicomio di Trenton descritto nel “Macellaio”; teatro delle atrocità compiute dalla figura fittizia di Silas Aloysius Weir.

Ispirato al Dottor J. Marion Sims (1813-1883), fondatore della moderna ginecologia che, tra 1845 e 1849, in un ospedale improvvisato in Alabama, fece esperimenti chirurgici -senza anestesia- su schiave afroamericane.

La prima scena –agghiacciante- arriva in fretta. Il dottor Silas è alle prese con uno dei suoi raffazzonati e truculenti tentativi pseudo-scientifici su una neonata “difettosa” che ha comprato dalla madre indigente.

La bimba ha il cranio malforme, simile a un melone asimmetrico, e il medico cerca di aggiustarla asportandone alcune parti… inutile dire come andrà a finire.

La Oates usa l’espediente di una biografia polifonica, curata da Jonathan Franklin Weir, figlio del defunto Silas Weir; che per 35 anni è stato il direttore dell’Istituto del New Jersey per donne malate di mente, a Trenton.

Il romanzo è ambientato nell’America nel 1836, quando gli anestetici non erano in uso e Silas Weir si dilettava a devastare le parti intime delle sue pazienti; tutte di classi inferiori, ricoverate per comportamenti ritenuti non conformi alle norme.

Su di loro usava un armamentario di punteruoli, forcipi e pinze arroventate ed altri strumenti mostruosi che straziavano le loro carni.

Pratiche di pura macelleria sadica spacciate per sperimentazione medica, in nome di una Gino-Psichiatria basata sulla convinzione che le femmine fossero più inclini degli uomini all’isteria. La sede sarebbe stata l’utero, organo ripugnante, così come pure i genitali e l’intero corpo femminile.

Isteria deriva infatti dal latino “Histerëcus”, che significa utero. Inoltre, bastava ribellarsi ad una famiglia opprimente per essere ritenute pazze e venire rinchiuse.

Nell’ultima parte, invece, la voce cambia ed è quella dell’orfana Brigit Kinealy, che fu la prima paziente di Silas: una serva irlandese, albina, sordomuta per la quale il medico sviluppò un’ossessione.

Nel suo diario, pubblicato nel 1868, Brigit ci porta dritti nella stanza degli orrori, dove Silas sperimenta per la prima volta, senza anestesia, dopo ripetuti tentativi, la tecnica di riparazione di una fistola della vescica. Pratica per cui diventerà famoso.

Poi la promuoverà sua assistente, obbligandola a diventare sua complice nell’infliggere supplizi indicibili ad altre disgraziate… fino all’epilogo …

 

 

Cristiana Ferrini “ Mio padre, il capitano dei capitani” -Cairo- euro 16,50

E’ la splendida dichiarazione d’amore scritta da una figlia al padre, immenso e famoso, che la morte le ha portato via quando lei aveva appena 12 anni…e ancora bisogno del suo sguardo azzurro che -con la forza e la tenerezza di un abbraccio pieno di amore- sapeva guidarla ed avvolgerla.

Lei è Cristiana Ferrini, stessi occhi, colori, tenacia e forza di carattere -da mula triestina- di suo padre, Giorgio Ferrini. Il capitano più longevo e carismatico della storia granata. Morto a soli 37 anni, con un palma res di primati impareggiabile che lo ha catapultato dritto in rete al mito, e travalicato il silenzio dell’eternità.

Cristiana ha scritto queste pagine con il cuore che ancora rincorre ricordi, emozioni, echi e rimpianti, per quel bagliore fulmineo, troppo breve, concesso dal destino. Questa intensità si sente ed arriva dritta al nucleo più sensibile di chi legge.

Non è un libro solo per tifosi di inscalfibile fede granata; ma una storia che suggerisco a tutti di leggere.

Perché è il commovente ritratto, disegnato a mano libera da chi ha il privilegio di indossare -come una seconda pelle- lo stesso cognome dell’uomo che è stato: un figlio di cui andare orgogliosi, un marito esemplare, un padre dolcissimo, un capitano unico, un amico fidato e molto altro…

Il suo fugace passaggio sulla terra è stata una luminosissima

cometa per chi ha avuto la fortuna di incrociarne la traiettoria. Portatore di valori profondi: poche parole, ma fatti e concretezza; Dna da leader, senza neanche accorgersene; grande cuore granata buono e generoso, però mai sbandierato; strenuo lavoratore con senso del sacrificio già dall’infanzia. Agli inizi si stupì persino che lo pagassero per fare quello che più gli piaceva, tirare calci al pallone!

Era la sua passione fin da piccolo; ma giocava scalzo perché aveva un solo paio di scarpe, e quelle servivano per andare a scuola.

Sognava un pallone vero, ma non si poteva. Sua madre fece scendere in campo il suo ingegno e gliene confezionò uno artigianale; di gommapiuma rivestita con scampoli di stoffe robuste, cucite con infinito amore a guidare ago e filo.

Ecco come si è forgiato l’uomo dei primati: schiena dritta, sacrifici, sudore, impegno, tutto d’un pezzo.

Ha giocato sempre e solo con la maglia del Toro e collezionato 566 presenze, di cui 404 in Serie A, nell’arco di 16 stagioni.

Il Torino è stato fondato nel 1906 e nel corso della sua storia lunga quasi 120 anni, nessuno ha mai disputato così tante partite con la sua maglia, né è rimasto in squadra per 16 stagioni da giocatore.

Ad oggi Ferrini è l’unico del Toro che può vantare i numeri più alti: 442 presenze in campionato; 80 in Coppa Italia; 45 nelle coppe europee; 30 derby giocati.

Infinito il n. 8 al quale è legata l’intera vita di Ferrini, a partire da quello cucito sulla sua maglia di capitano, l’unico nella storia granata ad aver portato la fascia per 12 stagioni consecutive.

La sua dedizione alla squadra era l’aria che respirava e nessuno è mai stato capitano più di lui e come lui.

Sua figlia Cristiana è un vulcano di simpatia, idee, spigliata, creativa, straordinaria creatrice di eventi, una ne fa e cento ne pensa. Da sempre il Toro le scorre impetuoso nelle vene ed è una fans sfegatata che porta alto il ricordo del suo mitico papà.

Lo fa anche con immagini e ricordi vari della carriera del capitano, conservati in un baule, e che ora mette a disposizione di tutti voi.

Basta che clicchiate con il vostro cellulare sul QR code sul risvolto di copertina. Vi collega alla pagina Instagram Giorgio Ferrini 8, dove Cristiana carica costantemente materiale inedito e prezioso.

Perché lei sa benissimo che, il capitano dei capitani, non è solo il suo mitico “Papitano”, ma anche nei cuori di tutti i tifosi che ancora lo rimpiangono.

 

 

Simonetta Agnello Hornby “Con la giustizia in testa” -Mondadori- euro 19,00

Questo libro è diverso dagli altri della scrittrice, nata a Palermo nel 1945, e con cittadinanza britannica, dato che dal 1972 vive a Londra dove è stata giudice e avvocato dei minori.

Un testo più privato, nato da un’ossessione; quella di pretendere prima di tutto da se stessa, poi dagli altri, comportamenti giusti. Non è un saggio, e nemmeno una lezione giuridica.

Piuttosto è partita dal personale, da come lei ha vissuto la giustizia, in modo attivo e passivo, iniziando dalla famiglia. E qui il discorso conduce a cavallo delle due isole che sono le sponde tra le quali divide la sua vita; due terre diverse quanto a storia, identità e civiltà.

Una è la Sicilia in cui è nata, dal barone Francesco Agnello Cangitano di Signefari ed Elena Giudice Caramazza. Famiglia di stampo patriarcale e tradizionale, in cui

l’educazione era rigorosa. Come tutti i focolari domestici del mondo, il nucleo in cui si si impara ad essere giusti, ma anche a subire i primi torti.

Poi, la Gran Bretagna, terra di adozione dove incontra l’amore, lo sposa e lo segue in giro per il mondo. Salvo ritornare a Londra ed impostare un direzione precisa alla sua vita, il cui perno è proprio la giustizia.

Oltre alla laurea in Giurisprudenza conseguita a Palermo nel 1967, durante le due gravidanze studia per diventare avvocato solicitor. E subito dopo inizia a lavorare nel campo del diritto di famiglia.

Poi il discorso diventa più ampio ed abbraccia l’ingiustizia sociale, l’amministrazione della giustizia, l’educazione di figli e nipoti ai quali inculca il senso di giustizia. Analizza anche come viene raccontata e interpretata nell’arte, in letteratura, nella cultura popolare e nella sensibilità civile.

E tra i molteplici aspetti della giustizia, analizzati dalla Hornby, un posto d’onore è assegnato all’ambito familiare; lì poi scende in campo tutta la sua vasta esperienza in materia. Si sofferma, per esempio, su una delle scelte più problematiche che spettano ad un giudice minorile: decidere se togliere oppure lasciare un piccolo ai genitori oppure no.

 

 

Il re “galantuomo” guarda Torino dall’alto

Alla scoperta dei monumenti di Torino / Vittorio Emanuele II, nel corso del tempo, coadiuvato dal primo ministro Camillo Benso Conte di Cavour, portò a compimento il Risorgimento nazionale e il processo di unificazione italiana. Per questi avvenimenti viene indicato come “Il Padre della Patria”

Situato proprio nell’intersezione tra corso Vittorio Emanuele II e corso Galileo Ferraris, la statua che vede come protagonista re Vittorio Emanuele II, si eleva sopra un’area quadrata ad angoli smussati su cui poggia il basamento rivestito da blocchi e lastroni di granito della Balma. Tale basamento si compone di due serie di gradini la cui seconda è interrotta, in corrispondenza degli angoli, da quattro blocchi prismatici su cui sono scolpite le date a ricordo delle guerre per l’Unità d’ Italia: 1848-1859-1866-1870. Questi blocchi fungono a loro volta da sostegno alle quattro aquile in bronzo sostenenti gli stemmi sabaudi.

Sopra le due serie suddette di gradini si eleva il piedistallo sul cui attico stanno,in posizione seduta, quattro grandi statue in bronzo di figure allegoriche tra cui la Pace, la Libertà, l’Indipendenza e l’ Unità (molto dubbia la quarta figura allegorica). Le quattro statue trovano a loro volta appoggio fra i vani delle quattro colonne in stile dorico di granito rosso che sostengono, superiormente, una trabeazione completa con architrave, fregio, triglifi e cornice; sopra questa trabeazione è disteso il grande tappeto in bronzo sul quale si eleva la grande statua del Re.Vittorio Emanuele II è raffigurato in piedi e a testa scoperta: lo sguardo fiero, solenne, rivolto lontano con nella mano sinistra una spada in atto di vigorosa fermezza.

 

Primogenito di Carlo Alberto di Savoia, re di Sardegna, e di Maria Teresa d’Asburgo-Toscana, Vittorio Emanuele II di Savoia nacque a Torino (precisamente a Palazzo Carignano) il 14 marzo 1820. Va curiosamente fatto presente che alcuni storici moderni hanno dato credito all’ipotesi, data la scarsa somiglianza con i genitori e in base ad altre vicende, che Vittorio Emanuele non fosse il vero figlio della coppia reale, bensì un bimbo d’origine popolana sostituito al vero primogenito di Carlo Alberto morto, ancora in fasce, in un incendio nella residenza del nonno a Firenze. La maggior parte degli storici invece esprime dubbi sull’autenticità della vicenda e la confina nell’ambito del pettegolezzo facendo perdere qualsiasi credibilità all’ipotesi dello scambio.

Ultimo re di Sardegna (dal 1849 al 1861) e primo re d’Italia (dal 1861 al 1878), fu anche Principe di Piemonte, Duca di Savoia e Duca di Genova.Dopo la sconfitta di Novara e l’abdicazione di Carlo Alberto, si iniziò a definire Vittorio Emanuele II il re galantuomo o re gentiluomo (appellativo con cui è ricordato ancora oggi), che animato da sentimenti patriottici e per la difesa delle libertà costituzionali si oppose fieramente alle richieste di abolire lo Statuto albertino. Nel corso del tempo, coadiuvato dal primo ministro Camillo Benso Conte di Cavour, portò a compimento il Risorgimento nazionale e il processo di unificazione italiana. Per questi avvenimenti viene indicato come “Il Padre della Patria”.

Vittorio Emanuele II morì improvvisamente, a causa di una polmonite, il 9 gennaio del 1878 all’età di cinquantasette anni. La sua morte suscitò il profondo cordoglio sia della borghesia colta e politicizzata (che aveva partecipato all’avventura risorgimentale), sia dell’esercito di cui il “Re Galantuomo” era stato il capo pragmatico e largamente amato. Con cinque guerre combattute, ventinove anni di regno e uno stato unificato alle spalle, Vittorio Emanuele II fu il simbolo aggregante del Risorgimento italiano, in un paese ancora troppo fragile per sopportare il vuoto istituzionale venutosi a creare con la sua scomparsa.

Il monumento in suo onore fu voluto direttamente da Umberto I che, per riparare alla mancata sepoltura della salma del padre nella basilica di Superga a favore del Pantheon di Roma, comunicò, in una lettera indirizzata alla cittadinanza, l’intenzione di affidare “alla religiosa devozione” dei torinesi “i segni del valore” che il Re aveva conquistato “combattendo per l’unità e l’indipendenza della patria”. Nella stessa lettera Umberto I espresse il desiderio di erigere un monumento che eternasse la memoria del Primo Re d’Italia stanziando, per tale iniziativa, la cospicua somma di un milione di lire.

Venne subito istituita una Commissione tecnica incaricata di promuovere varie iniziative tra cui stilare il Programma di Concorso per il Monumento al “primo re”; il 28 marzo del 1879 la Commissione tecnica, incaricata di esaminare i progetti presentati al concorso, decreta vincitore lo scultore Pietro Costa. Tale decisione suscitò tuttavia, numerose polemiche che si conclusero con una petizione sottoscritta da cinquantadue firme dei maggiori rappresentanti delle Accademie di Belle Arti d’Italia che appoggiarono completamente la scelta della Commissione.

Ma se in meno di diciotto mesi si chiuse l’itinerario che aveva portato alla scelta del progetto, la fase successiva, quella della costruzione, durò circa vent’anni tra disguidi, ripicche e liti che finirono in tribunale. Il 23 novembre del 1896, a quattordici anni di distanza dalla stipula del contratto, Costa scrisse al Sindaco di Torino per giustificarsi dall’accusa “d’essere pigro e negligente” oltreché fortemente in ritardo nella consegna del monumento;nonostante ciò l’artista venne condannato al risarcimento dei danni per inadempienza contrattuale.

Il 15 gennaio del 1898, finalmente la città di Torino entrò in possesso del monumento. Ultimato per le parti bronzee dall’ Officine Costruzione d’Artiglieria di Torino e dall’ ingegnere Prinetti, il monumento venne inaugurato il 9 settembre del 1899 alla presenza dei sovrani, delle autorità cittadine dei principali comuni italiani, nonché degli esponenti della politica nazionale, dell’esercito e dei veterani del 1848. Ci furono tre giorni di festeggiamenti durante i quali Torino ritornò ad essere patriottica e risorgimentale, quasi nostalgica di essere stata (un tempo) capitale d’Italia.

Per quanto riguarda il luogo di collocazione del monumento, va fatto presente che la scelta di posizionarlo nel centro del piazzale, sull’incontro del corso consacrato a Vittorio Emanuele II e corso Siccardi (oggi corso Galileo Ferraris), è stato frutto della Commissione per un ricordo storico nazionale al re “gentiluomo”. L’area circostante il monumento era, nella seconda metà dell’ottocento, una zona in espansione a tipologia residenziale, pronta a recepire gli spunti di una volontà politica che mirava ad attirare a sé il ceto dei notabili e la piccola borghesia emergente. L’operato della Commissione rientrava nell’ambito di quella politica nazionale di costruzione del mito di Vittorio Emanuele II che, facendo ricorso ad attività di propaganda e di educazione “per fare gli italiani” (come disse D’Azeglio), intervenne anche in opere di rimaneggiamento degli spazi urbani e cambiamenti della toponomastica.

Oggi, la statua del Re, sovrasta ancora i tetti delle case dei torinesi dominando con lo sguardo tutto l’arco alpino fino alla magnifica Superga. 

(Foto: il Torinese)

Simona Pili stella

Sant’Agostino, un africano patrono culturale d’Europa

Viviamo tempi confusi, con disagi economici, guerre in atto, problemi per il futuro … ansie per il presente e un’inedita multiculturalità alle porte.

La sempre meno accettata immigrazione dalla sponda sud del mediterraneo (soprattutto perché mal gestita) è fonte di allarme sociale sempre più evidente (sembra accertato che la cosiddetta Brexit, proprio per questo movimento di popoli abbia avuto successo). L’Europa è quindi di fronte a cambiamenti estremi, mai visti prima …

.. oppure non è così vero?

Duemila anni fa il continente era un autentico colabrodo di genti che da dove ogni dove arrivavano, rimanevano o ripartivano. Gli individui senza nome (ai quali praticamente tutti noi apparteniamo), che dall’alba della storia calpestano il pianeta, sono innumerevoli.

Per inquadrare il tempo del reale, sarà quindi utile appoggiarci ad alcune figure già note secoli/millenni fa, dei quali un paio di nomi sono sulla punta delle dita di tutti.

I primi due – originari da luoghi lontani e storicamente ben individuati – potrebbero essere San Paolo di Tarso (oggi in Turchia) e San Pietro, originalmente pescatore giudeo, detto Simone.

Il primo, più che immigrato nella Roma dei Cesari, ci arrivò come prigioniero: un ebreo denunciato dai soliti ebrei di Palestina che non ammettevano alcuna novità nella loro esegesi religiosa.

Il secondo arrivò invece nell’Urbe quasi “di passaggio” e in tarda età, non per fame o sete ma più che tutto per diventare il primo Papa della storia. Come noto ai più, la città Eterna non si dimostrò molto socievole nei loro confronti. Dopo aver fatto la loro conoscenza, ancora meno socievolmente li giustiziò, pur se separatamente, nel 64 d.C.

Troppo tempo, decisamente troppo tempo è passato da allora e forse un altro continente può venirci in aiuto.

Passiamo perciò dall’Asia all’Africa, la nazione ora Algeria, ma al tempo chiamata Numidia.

Il teologo Agostino, meglio conosciuto come Sant’Agostino potrebbe essere il primo immigrato di rilievo nel nostro continente, quindi un protagonista da accogliere al centro di questa nostra riflessione. La sua figura rappresenta una delle più alte – se non la più nobile – della patristica occidentale (II/VIII secolo). La Patristica è la corrente di pensiero che ‘sistematizza’ le conoscenze dei primi studiosi (sia ad oriente che ad occidente), grazie a un’osmosi fra la tradizione ebraica, la filosofia greca e naturalmente l’ormai trionfante esperienza cristiana. In quei lontani secoli si forma perciò il corpus religioso, morale e anche legislativo, di cosa diventerà la prima Chiesa cattolica.

Agostino nasce a Tagaste nel 354 d.C. da una famiglia agiata, conduce una gioventù spensierata (se non scapestrata) fino attorno ai 30 anni.

Il ragazzo, nonostante le contraddizioni di anni passati nello studio come retore in una grande capitale come Cartagine – metropoli per molti versi ancora pagana, liberale e libertina – presto dimostra un’attitudine verso le filosofia e la riflessione religiosa, approfondite per una prepotente ricerca dell’Assoluto, pur se passando fasi di contraddittorie esperienze, come il periodo del Manicheismo, dottrina zoroastriana che identificava solamente due principi spirituali assoluti, il Bene e il Male (paritetici e in eterno contrasto fra loro). Anche oggi, dare del Manicheo a qualcuno significa evidenziarne la mancanza di mezze tinte nella vita, come vedere/comprendere solo il bianco e il nero della realtà.

Ma andiamo avanti…

Teologia a parte, il ragazzo di Agaste (ora Souk Ahras, 440 chilometri da Algeri) è accreditabile fra i primi africani arrivati nel nostro Paese dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente. Giunto a Roma con l’amatissima madre Monica (nata cristiana), conduce ulteriori studi che gli danno una certa visibilità culturale e religiosa.

Ancora avvolto dalla filosofia manichea, continua a frequentarla nella Città Eterna. Pur se brevemente apre e conduce una sua scuola di retorica, per poi arrivare a Milano come docente di Retorica presso le scuole Palatine, noto cenacolo e alta scuola per intellettuali.

Lì entra in contatto con il vescovo Ambrogio, ascolta i suoi sermoni, è affascinato dalle sue capacità dialettiche. Lentamente ma inesorabilmente l’alto prelato lo traghetta verso il cristianesimo e infine lo battezzerà nel 387.

Profondo studioso dei testi sacri e legato ad una fascinazione per il neo-platonismo la sua vita lombarda sarà illuminata da testi illuminati, profondi studi, conferenze, contatti con i Grandi dell’epoca (tra l’altro, il giovane africano è tormentato dal problema del male: se Dio esiste ed è onnipotente, perché non riesce ad annientarlo? Problema che ha sempre scollo i polsi ai più grandi pensatori ma che lui affronterà con tesi di altissimo acume che rimarranno imperituri nella storia della Chiesa e dello stesso Occidente).

Dopo alcuni anni in Lombardia, Agostino è rimandato in Numidia, lì nominato sacerdote, diventando poi Vescovo a Ippona

Il Nostro fu autore molto prolifico, notevole per la varietà dei soggetti, come scritti autobiografici, filosofici, apologetici, dogmatici, polemici, morali, esegetici, raccolte di lettere, sermoni e opere in poesia.

Per permetterci di valutare l’opera di ‘Agostino l’africano’ possiamo citare le sue Confessioni (Confessiones) e La città di Dio (De civitate Dei).

Le prime rappresentano in 13 libri la storia della sua maturazione religiosa. Il nocciolo nelle Confessioni è nel concetto che l’uomo, senza l’illuminazione di Dio, è incapace di orientarsi da solo. Grazie ad una dovuta obbedienza, questo riuscirà a trovare l’orientamento nella sua vita.

La città di Dio – in appena 22 libri (!!!) – è la difesa dalle accuse dei pagani verso un Cristianesimo, secondo loro unico responsabile per la caduta di Roma. Nel suo lavoro viene analizzata la storia dividendola in DUE CITTA’: la città terrena, guidata dall’amore per noi stessi e quella spirituale, guidata dall’amore per Dio.

Questa colossale opera, probabilmente distribuita nei monasteri di tutta Europa, non difende solo il Cristianesimo ma porge una dotta riflessione sulla storia, la natura umana e il destino dell’umanità.

Quindi … chi siamo noi e da dove veniamo?

Certamente siamo un coacervo di geni e cellule che si trasmettono di generazione in generazione. Questa cascata neuronale fa sì che ci si possa approssimativamente inquadrare come figli di una continente o di un altro, ma le culture si sottraggono a questa trappola biologica. Il libero pensiero spazia senza limiti, la lucida intelligenza è in grado di inquadrare problemi, risolverli, trovare altre vie.

Non stupiamoci perciò che una delle menti più limpide del cristianesimo medievale EUROPEO sia stato originario della terra dalla quale ora arrivano i ben noti barconi carichi di disgrazie, sofferenze e sogni.

Magari i genitori di un nuovo Einstein sono approdati in Europa solo pochi mesi fa….

Ferruccio Capra Quarelli