CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 14

“In mezzo alle montagne c’e’ il lago d’Orta…”

Tra le più felici invenzioni del grande scrittore per l’infanzia, questa storia è ambientata nei luoghi cari alla memoria della sua infanzia

In mezzo alle montagne c’e’ il lago d’Orta. In mezzo al lago d’Orta, ma non proprio a meta’, c’e’ l’isola di San Giulio”. Così comincia uno dei più bei racconti di Gianni Rodari, “C’era due volte il barone Lamberto”. Tra le più felici invenzioni del grande scrittore per l’infanzia, questa storia è ambientata nei luoghi cari alla memoria della sua infanzia: il lago d’Orta e l’isola di San Giulio.

Infatti, Gianni Rodari, nacque ad Omegna, all’estremità nord del lago, il 23 ottobre del 1920. Lì, suo padre – originario della Val Cuvia, che domina la sponda “magra” del lago Maggiore – aveva un negozio di commestibili e gestiva un forno da pane, svolgendo il mestiere del prestiné, del fornaio. La casa e la bottega erano vicine al lago che, come ricordava Rodari, «giungeva a pochi metri dal cortile in cui crescevo». Leggendone le pagine prende forma l’immagine del più occidentale fra i laghi prealpini, originato dal fronte meridionale del ghiacciaio del Sempione. Che s’accompagna alla sua singolarità. Infatti, contrariamente a quanto accade con molti laghi alpini, che hanno un emissario a sud, le acque del lago d’Orta escono dal lago a nord. Attraversano la città di Omegna, dando vita al torrente Nigoglia che confluisce nello Strona il quale, a sua volta, sfocia nel Toce e quindi nel lago Maggiore.

E al centro del lago dove, dalle opposte sponde si guardano, una in faccia all’altra, Orta e Pella, si trova l’isola di San Giulio. Nel medioevo il lago era noto come “lago di San Giulio” e solo dal XVII secolo in poi cominciò ad essere conosciuto con l’attuale nome di “lago d’Orta”, acquisito dalla località di maggior prestigio e risonanza. La storia, se non vogliamo risalire al neolitico o all’età del ferro, quando il lago era abitato dai celti, ci dice che – alla fine del IV secolo – i due fratelli greci Giulio e Giuliano, originari dell’isola d’Egina fecero la loro comparsa sul lago e si dedicano con un certo accanimento(con il beneplacito dell’imperatore Teodosio)alla distruzione dei luoghi di culto pagani e alla costruzione di chiese. E qui la leggenda vorrebbe che San Giulio, una volta incaricato il fratello di edificare a Gozzano, all’estremità sud del lago, la novantanovesima chiesa, si mise alla ricerca del luogo più adatto per erigere la centesima. La scelta cadde sulla piccola isola ma, non trovando nessuno disposto a traghettarlo, Giulio avrebbe steso il suo mantello sulle acque navigando su di esso. Sull’isola dovette misurarsi con focosi draghi e orribili serpenti. Sconfitte e cacciate per sempre le diaboliche creature (ma erano poi così diaboliche? Mah…) , gettò le fondamenta della chiesa nello stesso punto in cui oggi si trova la Basilica di San Giulio. La storia s’incaricò poi di far passare molta acqua sotto i moli dei porticcioli del lago d’Orta. Dai longobardi fino all’assedio dell’ isola di San Giulio – in cui si era asserragliato Berengario d’Ivrea – furono secoli di guerre. Nel 1219 dopo una contesa ventennale tra il Vescovo e il Comune di Novara, nacque il feudo vescovile della “Riviera di San Giulio”. E ,più di 500 anni dopo, nel 1786, il territorio cusiano passò sotto la casa Savoia ( che videro riconosciuto il loro potere solo 31 anni dopo, nel 1817), trasmigrando così dalla Lombardia al Piemonte. Ma, vicende storiche a parte, il lago d’Orta – “ il più romantico dei laghi italiani” – è davvero un gioiello che ha sempre fatto parlar bene di se. Gli abitati rivieraschi d’Orta, Pettenasco, Omegna, Nonio, Pella, San Maurizio d’Opaglio, Gozzano.

O l’immediato entroterra di Miasino, Ameno, Armeno, Bolzano Novarese, Madonna del Sasso, sono state località meta di viaggi ed oggetto di cronache e racconti. Non è un caso che nell’Ottocento fosse quasi d’obbligo considerarlo come una delle più suggestive tappe del “Grand Tour” di molti aristocratici d’Oltralpe. Honoré de Balzac, che c’era stato, lo descriveva così nella “Comédie humaine”: “Un delizioso piccolo lago ai piedi del Rosa, un’isola ben situata sull’acque calmissime, civettuola e semplice, (…). Il mondo che il viaggiatore ha conosciuto si ritrova in piccolo modesto e puro: il suo animo ristorato l’invita a rimanere là, perché un poetico e melodioso fascino l’attornia, con tutte le sue armonie e risveglia inconsuete idee….è quello, il lago, ad un tempo un chiostro e la vita….”. E’ il lago che, soprattutto in autunno, riflette i colori della stagione e diventa un po’ malinconico, suggerendo a poeti come Eugenio Montale di dedicargli delle composizioni o ad Ernesto Ragazzoni di scrivere questi versi: «Ad Orta, in una camera quieta / che s’apre sopra un verde pergolato, / e dove, a tratti, il vento come un fiato / porta un fruscio sottil, come di seta, / c’e’ un pianoforte, cara, che ti aspetta, / un pianoforte dove mi suonerai / la musica che ami, e che vorrai: / qualche pagina nostra benedetta». Territorio ricco di fascino e di riferimenti letterari, meta ideale di artisti e scrittori, le località attorno al lago appaiono sovente nelle opere di altri importanti autori. Per Mario Soldati, grande regista e scrittore, Orta è uno dei luoghi di riferimento, visto che sul lago – nella frazione di Corconio –  iniziò a scrivere i suoi primi libri importanti come “America primo amore” e “L’amico gesuita”, oltre ad ambientarvi alcune pagine de “I racconti del maresciallo”.

Per non parlare poi d’Achille Giovanni Cagna ( con il romanzo “scapigliato” dedicato agli “Alpinisti Ciabattoni”), Mario Bonfantini( La tentazione ), Carlo Emilio Gadda (Viaggi di Gulliver), Laura Mancinelli con il suo dolcissimo “La musica dell’isola”, Carlo Porta, Friederich Nietzsche. Un altro “scrittore di lago”, ma di un lago “diverso” come il Maggiore – il luinese Piero Chiara – scrisse: “Orta, acquarello di Dio, sembra dipinta sopra un fondale di seta, col suo Sacro Monte alle spalle, la sua nobile rambla fiancheggiata da chiusi palazzi, la piazza silenziosa con le facciate compunte dietro le chiome degli ippocastani, e davanti l’isola di San Giulio, simile all’aero purgatorio dantesco, esitante fra acqua e cielo“.  Il lago d’Orta è un piccolo gioiello azzurro in mezzo ai monti, chiuso ad est dal Mottarone e riparato ad ovest dalle cime che dividono il Cusio dalla Valsesia. Certe mattine, appena s’accenna l’alba, la nebbiolina sospesa sull’acqua lo rende misterioso, affascinante. Tanto quanto se non addirittura più di quelle giornate d’autunno, nitide e terse, quando riflette i mille colori dei boschi nello specchio delle sue acque tranquille.

Marco Travaglini

BallaTorino – Social Dance presenta Balli dal mondo

Domenica 20 ottobre, ore 15:30
PIAZZA MADAMA CRISTINA – Tettoia del mercato, Torino 

 

20 compagnie di danza tra comunità regionali italiane e straniere di Torino si incontrano in una festa di culture e di pace.

 

Ass. Piemonte Grecia “Santorre di Santarosa” danze popolari greche

ACFIL – Associazione Culturale Filippina del Piemonte

Amece (Marocco)

Artemide Danza Egiziana

Ass. Culturale Baldanza danze popolari

Ass. Maria Tanase (Romania)

BeppeTango

Centro Aziza orientale

Comunità anglofona (Nigeria)

Comunità cattolica srilankese

El purgarsito (Salvador)

Gens d’Ys – Accademia (Danze Irlandesi)

Gruppo sudamericano

Ass. Primo Passo danze popolari internazionali Gruppo Vatra e Gruppo L

Rivoli Ballet Tango Argentino

Samar Academy FCBD

Compagnia Artistica La Paranza del Geco Danze del Sud Italia

 

In collaborazione la Circoscrizione 8, L’Agenzia per lo sviluppo locale di San Salvario e ASAI.

Iniziativa all’interno del Festival dell’Accoglienza e promossa dalla Pastorale Migranti in collaborazione con il Centro Interculturale della Città di Torino.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: I problemi dell’Università – La pensione di Barbero – Lettere

I problemi dell’Università
Il numero chiuso  all’Universita’ è sempre stato un elemento  oggetto di vivace e costante discussione. Ricordo che il mio Maestro Alessandro Passerin d’Entreves sostenne in linea di principio il “numero chiuso”  in una “società  aperta”, usando volutamente l’espressione di Popper. Una società  aperta in cui la scuola diventasse ascensore sociale e consentisse potenzialmente a tutti di ascendere ai  gradi più alti degli studi, tenendo conto delle capacità’ e del merito, come prescrive la Costituzione. Adesso per la Facoltà di medicina,  l’unica a numero chiuso, è stato abolito il tanto contestato quiz con le crocette, lasciando una verifica dopo il primo semestre di frequenza . Mi sembra che la ministra Bernini  abbia operato una scelta equilibrata di compromesso. La Bernini e’ la prima ministra dell’Università dotata di cultura, coraggio ed equilibrio che si stenta invece a vedere  in altre politiche del centro -destra, piuttosto incapaci e ondivaghe come l’ex ministra Gelmini. Alla Facoltà di Medicina i problemi relativi ai dottorandi non si risolvono con facilità perché oggi c’è una carenza di medici ed, aggiungerei io, una carenza di bravi  medici. Avremmo bisogno di un numero programmato, anche se è difficile prevedere in un quinquennio e oltre le necessità di medici ,specie se la politica della lesina colpisce la sanità pubblica.
La Facoltà di Medicina è di per sé selettiva per gli alti costi che comporta la frequenza, ma  occorre comunque una selezione rigorosa che forse oggi non c’è.  Il solo fatto delle lauree brevi e magistrali nel settore medico e paramedico (già la parola appare un abuso) genera confusioni anche affaristiche perché a tutti viene conferito il il titolo di dottore che genera equivoci. Un fisioterapista che ottenne la laurea raddoppiò  il suo onorario e dopo poco lo triplicò Abbiamo  perfino gli infermieri laureati, i massaggiatori e le massaggiatrici dottori e esse, gli igienisti dentali laureati .Questa situazione è un elemento di confusione ed e’ un potenziale  danno per i pazienti.   Inoltre purtroppo oggi ci sono medici privi di etica professionale che scelgono la professione quasi esclusivamente per ragioni economiche . Non dico che la medicina debba essere una missione, ma certo non può essere  solo un mestiere  molto redditizio. Occorre che la   Ministra Bernini lavori ulteriormente ad altri ritocchi  sostanziali alla Facoltà di Medicina.  Per altri versi, che le altre Facoltà siano troppo “facili” e aperte a chiunque dovrebbe far riflettere. I perdigiorno pro Palestina invece che vezzeggiati o protetti andrebbero costretti a studiare  e a non creare danni: la parola studenti deriva dal verbo studiare. Una banalità che ad alcuni sembra  essere sfuggita.
A questo riguardo non è possibile non aderire alla  limpida petizione  del prof.  Ermanno Malaspina (nella foto di copertina)  dell’Università di Torino  al rettore Geuna che  ha tollerato l’occupazione devastante del Palazzo delle Facoltà umanistiche da parte di studenti (?) filo palestinesi che sono stati paragonati da una nota e vecchia sociologa  ex sessantottina ai giovani che manifestarono contro la guerra in Viet – Nam. Il livello sessantottino non è stato ancora raggiunto, ma ci stiamo avviando su quella strada in cui la politica devasta e desertifica gli studi. Ascoltare l’accusa che chi condivide la petizione di Malaspina “non ha dialogo con i giovani e sostiene la repressione” intristisce, perché ci porta a ricordare  le accuse  simili rivolte ad eroi della Resistenza e grandi professori come Venturi e Garosci solo perché non volevano cedere alla contestazione che stava bloccando l’Università senza rinnovarla.
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La pensione di Barbero
In una bella  e lunga intervista il prof. Alessandro Barbero alla fine  si confessa e riconosce i suoi limiti di storico. A 65 anni va in pensione  forse anche perché il viaggio a Vercelli diventa un po’  faticoso. Appare sempre giovane, per sua fortuna, ma ha preferito pensionarsi in anticipo. Barbero ha insegnato Storia Medievale all’Ateneo del  Piemonte orientale forse ha anche  scritto libri  di storia medievale degni di attenzione.
Le sue scorribande su tutti i temi storici possibili di ogni epoca rivelano invece un enciclopedismo divulgativo che piace al pubblico televisivo di bocca buona che  non gli da’ invece credito scientifico. Non si può  infatti approfondire un discorso storico su età diverse. Il Medio Evo è cosa lontana dalla contemporaneità. Barbero inoltre è troppo militante politicamente. Io contribuii a farlo conoscere a Torino agli inizi, ma poi mi accorsi dei suoi limiti. Oggi va in pensione e gli auguro anni di riposo magari ancora operoso, come si diceva di Croce, perché ci sono tanti che pendono dalle sue labbra, anche se la storia è cosa diversa. La semplificazione rende facile apprendere. Tutto il contrario di Giovanni Tabacco che praticò studi severi e fu quasi un monaco del sapere. Accostare Barbero a Tabacco sarebbe  blasfemo.
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LETTERE   scrivere a quaglieni@gmail.com

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Matteotti
Sono stato alla Manta di Saluzzo a sentire la sua conferenza su Matteotti che ha avuto un grande successo di pubblico il quale ha apprezzato il suo equilibrio storico sempre più raro. Io La leggo a volte come polemista, ma quando parla o scrive di storia lei assume una alterità molto diversa che la trasforma. Poco tempo fa ho appreso dell’uscita di un astioso e corposo libro contro Matteotti scritto da un professore italiano che ha insegnato in Svezia, fatto pubblicare dal centro “Giolitti” di Dronero, Cavour, Saluzzo nel 2015 e oggi introvabile: un libro scritto da un autore di estrema destra che non meritava attenzione come è accaduto, perché anche nel centenario  matteottiano quel libro è stato ignorato. Lei cosa ne pensa?     Giulio Bocca
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Io sapevo dell’esistenza di questo libro pubblicato da un editore minore  che , malgrado lo scandalismo oggi di moda, non è riuscito a suscitare interesse. Va bene togliere l’aureola anche ai santi laici come Matteotti, ma cercare di distruggerlo appare  ingiusto. I signori del centro “Giolitti” non devono stupire: il loro senso storico si rivela inesistente. L’atteggiamento contro Matteotti anche umanamente  appare penoso; sine ira et studio è cosa opposta al libro velenoso voluto dal centro “Giolitti”.
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Ztl a Moncalieri
Il sindaco di di Moncalieri  Montegna ha trasformato piazza Vittorio Emanuele in ztl. Non mi ero mai fermata con attenzione a girare a piedi  per quella piazza. A me è sembrata quanto meno poco bella. Con edifici uno diverso dall’altro. Una piazza senza uno stile omogeneo. Cosa ne pensa?   Elvira Rusca
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Io sono affezionato a Moncalieri e quindi non mi sono mai soffermato. A sottilizzare. Certo non c’è mai stato un restauro.  Credo  anch’io che la piazza manchi di una coerenza.  La parte migliore della Moncalieri storica non è la piazza  che il sindaco vorrebbe rivalutare senza avere le idee chiare. Chiederò un giudizio alla storica dell’arte prof. Maria Grazia Imarisio.

Paula Hawkins, autrice del successo planetario La ragazza del treno, alle Gallerie d’Italia

Per presentare il suo ultimo romanzo L’ora blu e raccontare come nascono i suoi romanzi

 

Ieri pomeriggio nella Sala Immersiva delle Gallerie d’Italia si è tenuto l’evento di chiusura di Portici di carta con la scrittrice Paula Hawkins, autrice de La ragazza del treno, bestseller mondiale da 25 milioni di copie vendute in tutto il mondo. In dialogo con la giornalista Alessandra Tedesco, la Hawkins ha presentato il suo ultimo romanzo uscito il 15 ottobre edito da Piemme L’ora blu. Un altro thriller che questa volta ruota intorno all’enigma di un’opera d’arte e all’artista di fama mondiale che l’ha creata, Vanessa Chapman. La storia prende il via da una terribile scoperta alla Tate Modern di Londra: un antropologo sostiene che una delle sculture della Chapman esposta in questa galleria d’arte è stata realizzata usando un osso umano anziché animale, così come dichiarato dall’artista.

Da qui James Becker, curatore della fondazione artistica a cui Vanessa Chapman ha lasciato le sue opere d’arte, decide di incontrare Grace, migliore amica ed esecutrice testamentaria dell’artista. Grace vive nella dimora appartenuta a Vanessa a Eris, un isolotto sperduto tagliato fuori dalla terraferma scozzese per dodici ore al giorno per via delle maree. Becker vuole indagare sulla vita artistica e non solo di Vanessa ed è convinto che entrando in possesso dei suoi diari possa ricostruire la genesi dell’opera d’arte che ha suscitato scalpore e risolvere alcuni misteri che si è portata via con sé, alla sua morte cinque anni prima, come la scomparsa dell’ex marito in circostanze mai chiarite. Vanessa, attraverso le sue pagine di diario e la ricostruzione del rapporto che aveva con ognuno dei personaggi, sembra essere un fantasma che aleggia su quest’isola-non isola.

E l’ambientazione scelta dalla Hawkins è cruciale in questa storia e l’autrice riferisce che “è da lì che sono partita, mi è venuta l’idea di ambientare la storia in un’isola che è soggetta alle maree e quindi se c’è bassa marea puoi tranquillamente raggiungerla, se la marea invece è alta resti imprigionato o sull’isola non ci puoi arrivare e questo, capite bene, è uno spunto interessante per uno scrittore di crime perché apre tutta una serie di possibilità. E poi mi sono chiesta un’altra cosa: chi potesse voler vivere su un’isoletta che due volte al giorno è isolata completamente dal resto del mondo. È importante non solo per la storia, in termini di quello che accade, ma anche come va a influenzare gli esseri umani che ci vivono, in primis Grace, che vive qui da vent’anni e che riesce a dormire solo quando la marea è alta e lei sa che nessuno potrà sbarcare sull’isola e sorprenderla nel mezzo della notte.” La solitudine è un tema importante che emerge in questo romanzo, la solitudine cercata ma anche quella subita, non a caso il sottotitolo del romanzo è “Non è il momento di stare da soli”.

Nella seconda parte dell’intervista si entra nella vena creativa della scrittrice.

Alessandra Tedesco: “Qual è la tua scintilla creativa, da dove parti per raccontare un storia?”

Paula Hawkins: “Ci sono diversi spunti che possono alimentare la mia vena artistica. Ad esempio vi posso dire che un bel giorno mi trovavo in vacanza in Francia e, guarda un po’, mi sono ritrovata vicino ad un isolotto soggetto alle maree. E poi ci sono personaggi che all’improvviso mi arrivano in testa e me li porto in giro, avevo questa artista, Vanessa, che mi ronzava nella testa, ma ci ho messo un po’ prima di scrivere di lei. Incontro, parlo con qualcuno e salta fuori qualcosa che mi annoto qualcosa mentalmente e so che la utilizerò per creare i miei personaggi. In sostanza cosa faccio? Tutto parte dal personaggio e quando l’ho trovato gli costruisco intorno un ambiente particolare, lo metto in un isolotto sperduto o su un treno e poi aspetto di vedere dove mi porta.”

  1. Tedesco: “La cronaca nera ti ha mai ispirato qualcosa o preferisci agire totalmente di fantasia?”

P. Hawkins: “Ci sono degli eventi di cronaca nera da cui posso trarre ispirazione, ma in un modo molto specifico, nel senso che non ho mai utilizzato un delitto in quanto tale per poi farlo mio e presentarlo in uno dei miei romanzi. La cosa che mi affascina però è considerare i vari aspetti che riguardano quello che è accaduto, cioè comincio a farmi delle domande: ma come si è arrivati a questo? Cosa è successo prima, che ha portato a questo delitto? E poi mi chiedo: e dopo? Quindi, molto spesso quello che accade è che rifletto su quello che è uno spunto per me, comincio a sviscerare diversi aspetti legati a quell’atto di violenza che poi inserisco in uno dei miei romanzi.”

A. Tedesco: “Ovviamente non esiste la ricetta del giallo perfetto, ma ci sono degli errori che non vanno commessi. Quando leggi i libri degli altri, cosa ti fa veramente arrabbiare in un giallo o in un thriller mal riuscito, qual è insomma l’errore da evitare?”

P. Hawkins: “Innanzitutto comincio con il dire che se chi scrive di crime scrivesse quello che fa veramente la polizia sarebbe una noia mortale, perché i poliziotti passano buona parte del loro tempo seduti al computer, capite bene che non sarebbe un libro appassionante. Se devo dire quello che proprio non mi piace è quando ti rendi conto che stai leggendo e ogni cosa che accade, ogni svolta dell’indagine, ogni momento topico della storia è forzato, ti rendi conto che non è credibile, te lo stanno facendo andare giù per traverso e l’autore non è proprio ispirato. La bellezza di una storia sta quando si crea la suspense che prepara il terreno, disseminando indizi qua e là, ma tu non ti puoi aspettare che succeda questo o quell’altro, anche se arriva ad un certo punto la sorpresa e il colpo di scena e a quel punto, se il libro è scritto bene, torni indietro e dici: ah però effettivamente era così! Perché sono stati disseminati buoni indizi che hanno preparato il terreno.”

A. Tedesco: “Un’ultima domanda. Abbiamo fatto cenno all’inizio a La ragazza del treno: 25.000 milioni di copie nel mondo, un successo internazionale incredibile. Sono passati quasi dieci anni dalla pubblicazione di quel romanzo, che rapporto hai con quel romanzo. Perché venire da un successo del genere non deve essere stato facilissimo scrivere gli altri romanzi. Quel romanzo ti è servito o ti è stato anche un po’ di peso?”

P. Hawkins: “Se devo essere sincera un po’ entrambe le cose, nel senso che un successo del genere naturalmente ti cambia la vita, la rende più facile i un certo senso, quindi non posso che essere felice del modo in cui è stato accolto, però va anche detto che poi è stato molto difficile scrivere il secondo. Questa ansia da prestazione l’ho avvertita perché ci sono molte aspettative da parte degli altri nei tuoi confronti, quindi dopo dieci anni ho un rapporto migliore con quel libro, ho cominciato a sentirmi più a mio agio rispetto a quel libro. Lo so che vi potrà sembrare ridicolo, ma all’inizio il rapporto con quel libro non è stato così semplice, adesso ho fatto la pace con quel libro, gli voglio bene e che oggi il mio rapporto con Rachel (la protagonista de La ragazza del treno) è molto migliorato rispetto ai tempi.”

L’autrice al termine dell’incontro si è fermata per incontrare il pubblico intervenuto per il firmacopie.

GIULIANA PRESTIPINO

Il mondo musicale e spirituale dell’artista coreano Nam June Paik

Al Mao, sino al 23 marzo, “Rabbit Inhabits in the Moon”

Dopo che il mendicante costruì il fuoco, Usagi vi saltò dentro e si offrì come pasto. Improvvisamente, il mendicante si trasformò di nuovo nel Vecchio della Luna e salvò Usagi dalle fiamme. E gli disse: “Usagi-san, non farti del male per causa mia. Dal momento che sei stato il più gentile di tutti, io ti porterò indietro sulla luna a vivere con me.” Una leggenda gentile che ricopre vasti territori dell’Asia Centrale e dell’Estremo Oriente, sino all’Iran e alla Turchia, l’effetto è magico se in alcune notti certe macchie della luna posata sul Giappone e sulla Corea e su quei mari ricordano le forme di un coniglio: che gli abitanti di quei paesi immaginano lavorare instancabilmente, intento com’è a preparare dentro un mortaio torte di riso con cui allietare gli esseri lunari. “Rabbit Inhabits in the Moon” è il titolo dell’installazione del 1996 dovuta all’arte di Nam June Paik e medesimo è il titolo, ampliato nell’”Arte di Nam June Paik allo specchio del tempo”, della mostra che s’inaugura oggi al Mao Museo d’Arte Orientale in via San Domenico 11 (visitabile sino al 23 marzo 2025): un piccolo coniglio in legno ad osservare, attraverso lo spazio e il tempo, uno scuro schermo televisivo dentro cui si staglia una luna rotondissima e azzurra, uno sguardo altresì in doppia direzione, dal momento che la luna rimanda e ricambia quello sguardo. Si osserva la realtà e si vive di immaginazione, la tradizione scambia tangibili segnali con il futuro, in un continuo gioco di sguardi e di suggestioni.

Concepita ad inaugurare la stagione espositiva 2024/25 e a festeggiare il 140° anniversario delle relazioni diplomatiche tra Corea e Italia, è immediatamente confessabile quanto si proceda in una sorta di magia attraverso le varie stanze protettive e inaspettate di questa mostra – curata da Davide Quadrio, direttore del museo, e Joanne Kim, critica e curatrice coreana, con Anna Musini e Francesca Filisetti e con gli apporti di Manuela Moscatiello della Maison de Victor Hugo di Parigi, di Kyoo Lee, curatore della sala dello sciamanesimo, Professore di Filosofia alla City University di New York e di Patrizio Peterlini, direttore della Fondazione Bonotto -, i vari ingressi alleggeriti da candidi veli bianchi, la tradizione e la contemporaneità strette in forti legami di cui il Mao si è fatto e si fa portavoce, simboli e simbologie, la percezione del rito e la performance artistica, “oggetti rituali, opere e installazioni che accostati tra loro suggeriscono nuove narrazioni, letture e significati”, la bellezza di una cultura pressoché sconosciuta ai molti, le sensazioni avveniristiche che si trovano affiancate a raffinati manufatti coreani provenienti da prestigiose collezioni pubbliche e private, nazionali e internazionali, il parigino Musée Guimet, il Museo d’Arte Orientale “Edoardo Chiossone” di Genova, il Museo delle Civiltà di Roma. Ogni elemento risulta leggero, fluido e aereo, quasi danzante, “tra l’umano e il divino” si spinge ad affermare Quadrio, avvolto nelle musiche di un pianoforte che rivisita Chopin o specchiantesi nella superficie del pavimento che rimanda in un gioco di specchi ogni immagine, ferma o in movimento. Un movimento, l’avanzare di ognuno di noi dettato dalla necessità e dal piacere di “prendersi il tempo giusto per vedere le cose”, per sentire, per cercare emozioni.

Al centro del progetto la figura di Nam June Paik (Seul, 1932 – Miami, 2006), artista centrale nel panorama culturale del XX secolo e considerato uno dei pionieri della video arte. Figlio di un fabbricante tessile, fu allevato nello studio del pianoforte e della composizione, nel ’56 si spostò in Germania dove incontrò e si legò in amicizia con Stockhausen e soprattutto con John Cage, aderì al movimento Fluxus, uno dei primi movimenti d’avanguardia a essere coinvolto nella musica e sviluppatosi negli Stati Uniti e in Germania all’inizio degli anni Sessanta, lavorò su vari progetti con la violoncellista Charlotte Moorman. Nel 1968, allorché la Sony mette sul mercato “Porta Pack”, la prima telecamera portatile, l’artista l’acquista immediatamente e realizza un video sul traffico caotico nel giorno della visita di Paolo VI a New York; nello stesso giorno presenta questo suo primo video e una installazione video: è nato il primo video d’arte della storia. E ancora il premio nel ’93 per il miglior padiglione alla Biennale veneziana, del 2005 “Chinese Memory”, una delle sue ultime opere, ovvero un’installazione contenente un apparecchio televisivo dove pittura libri antenna e una pergamena cinese felicemente coabitano. Un maestro quindi, portatore di un’eredità e di un’importante influenza su chi è venuto dopo di lui, Jesse Chun, Chan-Ho Park e Shiu Jin tra gli altri, debitori di uno sguardo nuovo, di una filosofia che guarda alla spiritualità e al progresso della tecnologia, all’assogettamento al capitalismo contrapposto ad una poetica insita in ciascuno di noi.

Non dovrà – hanno pensato con intelligenza i curatori – il visitatore affidarsi a un percorso “obbligatoriamente” cronologico, ma affidarsi diremmo quasi ai sentimenti, ai pensieri, al gioco di rimandi e riletture, alle metafore che le tappe del percorso suggeriscono. In primo luogo a quell’involucro di elementi sonori, musicali e performativi, che ci lasciano tornare con la memoria all’interesse primo dell’artista. Di sicuro interesse saranno “Sounds Heard from the Moon. Part 2” (2024) che il Mao ha per l’occasione specificatamente commissionato a Jiha Park che “nella sua ricerca utilizza strumenti tradizionali coreani, come il piri, il Saenghwang e il Yanggeum”; e “Nocturne No. 20 dove Kyuchul Ahn propone una rivisitazione della musica di Chopin, completata da una performance (“una scomposizione”, indicano le curatrici) in cui gli 89 martelletti del pianoforte saranno gradualmente rimossi a ogni esecuzione del pianista, portando alla graduale scomparsa del suono.

Con assai più prezioso interesse saltano all’occhio di chi guarda le fotografie a colori chiamate a testimoniare performance, un antico dipinto coreano del XII secolo, una giacca sovrakimono maschile, di fattura giapponese, degli anni Trenta del XX secolo che mostra al suo interno una coppia di conigli intenti a macinare il riso per la preparazione di un dolce tradizionale, come su una parete s’allineano, firmate dall’artista, un’immagine (“Human Cello”, 1984) che rimanda con un’altra lingua alle tematiche di Man Ray o anche a una più o meno scollacciata cinematografia italiana (ma qui non d’obbligo!) degli anni Settanta, e uno strumento (“Plexiglas Cello Tv”, 1989), dove trovano posto corde e altri elementi lignei di violoncello.

Un fitto public program si articolerà nei mesi d’apertura della mostra, dai video di approfondimento alle tante pubblicazioni, da un programma musicale a cura di Chiara Lee e Freddie Murphy alla perdurante collaborazione con il Mercato Centrale, che ha già visto la performance del gruppo coreano GOOSEUNG, per la prima volta in Italia e che proseguirà con una serie di eventi a tema che coinvolgeranno cibo, ritualità e design, “combinando con spirito contemporaneo l’Asia e le sue realtà più sperimentali di arte, cultura e cucina”, sottolineano ancora gli organizzatori.

Elio Rabbione

L’etichetta degli innominati

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CALEIDOSCOPIO ROCK USA ANNI 60

Ritornando sulla questione delle difficoltà di datazione, definizione cronologica e sequenzialità delle incisioni di determinate case discografiche, non si può che ribadire l’osticità di svariate etichette che a mo’ di “tabula rasa” presentavano a malapena il nome della band, il titolo della canzone e gli autori dei brani ed il numero di catalogo. Un esempio lampante di questo tipo di etichette fu la “Studio City Records” di Minneapolis (Minnesota), che recava grafiche spartane (in nero-arancio o in rosso-giallo), stili lineari, scarse indicazioni generali e la pressoché totale assenza di nomi di produttori, studi di registrazione e indirizzi. Eppure a livello storico la “Studio City Records” contribuì con svariate incisioni al catalogo del garage rock a stelle e strisce degli anni ‘60, coprendo l’area ovest del Midwest e inglobando occasionalmente bands canadesi di oltre confine.

Qui di seguito, il catalogo finora definito dei soli 45 giri di “Studio City Records”:

–  Deviny James  “That’s Allright Mama / Baby Child”  (1002)  [1961];

–  Cager Rose  “Please Come Back / Let Her Go”  (1001)  [1963];

–  Len Gale  “Foolish Pride / Sentimental Me”  (1006)  [1963];

–  Johnny Lidell  “Immune To Love / Bimbo”  (1007)  [1963];

–  The Titans  “The NoPlace Special / Reveille Rock”  (1008)  [1963];

–  The Charms  “Pattin’ Leather / Night Train To Memphis”  (1009)  [1963];

–  The Shattoes  “Do You Love Me / Surf Fever”  (1010)  [1964];

–  Chet Orr and The Rumbles  “Please Free Me / Be Satisfied”  (1012)  [1964];

–  Maurice Turner  “On The Street Where You Live / The Bass That Walked To Town”  (1013) [1964];

–  Little Joe and The Ramrods  “Somebody Touched Me / Hurtin’ Inside”  (1014)  [1964];

–  The Country Kids  “I’ll Cry Tomorrow / You’re Still In My Heart”  (1015)  [1964];

–  Johnny McKane and The Inspirations  “Inspiration / I’ve Been Here Before”  (1016)  [1964];

–  Rose Mae LaPointe  “Phantom Buffalo / Maybe Now”  (1017)  [1964];

–  Harvey Urness  “Never Been Blue / Send Me A Rose Of Red”  (1018)  [1964];

–  LITTLE JOE AND THE RAMRODS  “We Belong Together / Ooh Poo Pah Doo”  (1019) [1964];

–  Roy Rowan  “I Never Thought You’d Turn Me Down / Our Love”  (1020)  [1964];

–  Lloyd Hansen and The Country Drifters  “Redwing / When It’s Springtime In The Rockies” (1022)  [1965];

–  LITTLE CAESAR AND THE CONSPIRATORS  “It Must Be Love / New Orleans” (1023)  [1965];

–  Roger Rainy  “Haunted House / Cold And Lonely Winter”  (1024)  [1965];

–  THE SANDMEN  “I Can Tell / You Can’t Judge A Book By Looking At The Cover”  (1025) [1964];

–  THE FURYS  “Baby What’s Wrong / Little Queenie”  (1026)  [1965];

–  The Carlson Sisters with The Centurys  “Falling / Tell Me”  (1027)  [1965];

–  THE STOMPERS  “I Know / Hey Baby”  (1028)  [1965];

–  The Blue Diamonds  “Jailhouse Song / Big Blue Diamonds”  (1029)  [1965];

–  THE BLEACH BOYS  “Must Be Love / Wine, Wine, Wine”  (1030)  [1965];

–  THE BANDITS  “All I Want To Do / Buzzy”  (1031)  [1965];

–  THE KINETICS  “I’m Blue / Feeling From My Heart”  (1033)  [1965];

–  THE PAGANS  “Baba Yaga / Stop Shakin’ Your Head”  (1034)  [1965];

–  THE MARAUDERS  “She Threw My Love Away / Caliente”  (1035)  [1965];

–  Texas Bill Strength  “Million Memories / Cattle Call”  (1036)  [1965];

–  THE SHANDELLS  “Here Comes The Pain / Summertime Blues”  (1037)  [1965];

–  Kathi Norris  “My Jim / Wise Men Say”  (1038)  [1965];

–  Sebastian  “We Who Stay At Home / I’m The Boy”  (1039)  [1965];

–  THE OUTCASTS  “You Do Me Wrong / Love Eternal”  (1040)  [1965];

–  Jimmy Cea and The Country Tigers “King Of The Swamp / Funeral For My Heart” (1041) [1965];

–  The Defiants  “Bye Bye Johnny / Maggie’s Farm”  (1042)  [1965];

–  Jolly Bohemians  “Helena Polka / Lakeside Waltz”  (1043)  [1965];

–  Tom Magera and The Versatones  “The Happy Harry Polka / The Hopeful Polka”  (1044)  [1965];

–  THE DEVILLES  “High Blood Pressure / Cry Baby”  (1045)  [1965];

–  “YES IT IS”  “Little Boy / Walkin’ The Dog”  (1046)  [1966];

–  THE ACTION  “You’re Gone / Odin”  (1048)  [1966];

–  THE VAQUEROS  “Growing Pains / 69”  (1049)  [1966];

–  CANADIAN BEL-TONES  “Hey Doll! / The Funny Little Girl On the Corner”  (1050)  [1966];

–  Les Royal And His Sounds “Summer Rain / They Remind Me Too Much Of You” (1051) [1966];

–  “YES IT IS”  “Lovely Love / That Summer”  (1052)  [1966];

–  THE EMBERMEN FIVE  “Fire In My Heart / Without Your Love”  (1053)  [1966];

–  Bob Bird  “Oh How It Hurts / I’d Still Want You”  (1054)  [1966];

–  The Four Winds  “Born To Lose / In The Mood”  (1055)  [1966];

–  THE BOSS TWEADS  “Goin’ Away / It’s Best You Go”  (1056)  [1966];

–  THE ACTION  “It’s Not The Way (That Love Should Be) / Time Flies”  (1058)  [1966];

–  THE VAQUEROS  “Don’t You Dare / Mustang Sally”  (1059)  [1966];

–  THE COBBLERS  “Smokin’ At The Half Note / Maybe I Love You”  (1060)  [1966];

–  THE EMBERMEN FIVE  “My Love For You Won’t Die / Baby I’m Forgettin’ You”  (7-8088) [1967];

–  Ben Pena  “Away, Far Away / Make Way For me”  (1061)  [1967];

–  Country Briars “Christmas Time’s A-Coming / No Snow On The Branches” (UA 10-38167) [1967].

Gian Marchisio

Oggi al cinema. Le trame dei film nelle sale di Torino

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A cura di Elio Rabbione

Beetlejuice Beetlejuice – Commedia. Regia di Tim Burton, con Michael Keaton, Winona Ryder, Willem Defoe, Jenna Ortega Catherine O’Hara e Monica Bellucci. Alla morte improvvisa del padre, Lydia Deetz torna a Winter River per un ultimo saluto in compagnia della figlia Astrid., giovane e ribelle, e della matrigna Delia, proprio quando a distanza di ben trentacinque anni hanno nuovamente luogo le apparizioni di Beetlejuice, presenza di cui in verità sperava di essersi liberata per sempre. Ma i guai non colpiscono soltanto Lydia, anche lo “spiritello porcello” dovrà fare i conti con la sua ex consorte, ben felice di essere riuscita a rimettere in sesto il proprio cadavere, ricomponendolo grazie a una sparapunti, e aspirando a una vendetta che possa far sbalordire il mondo intero. Astrid nel frattempo incontra un ragazzo del luogo: e forse quell’incontro può essere l’inizio di altri guai. Film d’apertura – e di grande successo – alla 81a mostra di Venezia. Durata 104 minuti. (The Space Torino, Uci Moncalieri)

Finalement – Commedia. Regia di Claude Lelouch, con Kad Merad, Sandrine Bonnaire e Françoise Fabian. Ancora un film sui sentimenti da parte del regista di “Un uomo una donna”, classe. La storia di Lino, che ha preso a girare per tutta la Francia, da Nord a Sud, raccontando a chi lo accoglie in auto un po’ di sé. Avvocato di successo, una lunga carriera alle spalle, una bella famiglia che ama e da cui è amato, un uomo che una malattia improvvisa spinge ad un comportamento che lo mette di fronte alle proprie responsabilità. Non riesce più a mentire agli altri come a se stesso. Incontrerà nuove persone tra cui una donna di cui si innamorerà e una nuova passione: suonare la tromba. Il sottotitolo originale suona “La folie des sentiments”, quello italiano “Storia di una tromba che si innamora di un pianoforte”. Durata127 minuti. (Eliseo, Romano sala 1)

Iddu – Commedia drammatica. Regia di Antonio Piazza e Fabio Grassadonia, con Toni Servillo e Elio Germano. Durata 122 minuti. Liberamente ispirato al periodo della latitanza di Matteo Messina Denaro, in particolar modo ai suoi scambi epistolari con l’ex sindaco di Castelvetrano, Antonino Vaccarino. La Sicilia dei primi anni del nuovo secolo, quando Catello, detto “il preside”, esce dal carcere, condannato per concorso esterno in associazione di tipo mafioso, è contattato dai servizi segreti che gli propongono di prendere contatto con il vecchio boss, suo figlioccio. Ha inizio di qui una fitta corrispondenza epistolare, con la speranza che in uno dei tanti pizzini Messina si spinga a rivelare per errore il proprio nascondiglio. Presentato in concorso a Venezia. (Massaua, Ideal, Reposi sala 4, Romano sala 2, The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Joker: Folie à deux – Drammatico. Regia di Todd Phillips, con Joaquin Phoenix, Lady Gaga e Brendan Gleeson. Ancora sulle orme di Arthur Fleck, noto come Jocker, il serial killer che ha terrorizzato Gotham City, recluso nell’ospedale psichiatrico di Arkham in seguito al suo arresto. Lì conosce Harley Quinn, un incontro che cambia la sua vita. I due si riconoscono e si comprendono perfettamente, Arthur trova in Harley la sperato che ha sempre sperato di incontrare. Tra i due nasce una sintonia straordinaria e quando vengono rilasciata al termine della detenzione, ormai inseparabili, sono pronti a intraprendere una nuova tragica e folle avventure. Durata 138 minuti. (Centrale V.O., Massaua, Due Giardini sala Ombrerosse, Eliseo, Fratelli Marx sala Chico V.O., Greenwich Village sala 1 V.O., Ideal V.O., Lux sala 2, Reposi sala 1, The Space Torino, Uci Lingotto anche V.O., The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Juniper – Un bicchiere di gin – Regia di Matthew Saville, con Charlotte Rampling, Marton Csokas e George Ferrier. Nella Nuova Zelanda degli anni Novanta, il diciassettenne Sam torna a casa dal collegio per fare la conoscenza della nonna Ruth, ammalata e con una gamba rotta, in passato reporter di guerra, estremamente arrogante e dedita ora all’alcool. Quando il padre sarà costretto a partire per l’Europa per seguire i suoi affari, toccherà al ragazzo occuparsi di Ruth, in un rapporto decisamente non sempre facile: ma forse ci sarà tempo per trovare qualche punto di contatto tra la rabbia giovanile e la scontrosità che accompagna agli ultimi giorni di una vita. Opera prima, il film è del 2021. Durata 95 minuti. (Fratelli Marx sala Harpo)

Madame Clicquot – Drammatico. Regia di Thomas Napper, con Haley Bennet e Sam Riley. Dopo la prematura morte del marito, Barbe-Nicole Ponsardin Clicquot sfida le convenzioni assumendo le redini dell’azienda vinicola che i due coniugi avevano da poco avviato insieme. Guidando l’azienda attraverso vertiginosi rovesci politici e finanziari, la protagonista resiste alle critiche, rivoluziona l’industria dello champagne e diventa una delle prime grandi donne d’affari nel mondo. Durata 89 minuti. (Greenwich Village sala 1)

Il maestro che promise il mare – Drammatico. regia di Patricia Font, con Enric Auquer. Nel 1935, il maestro Antoni Benaiges accetta l’incarico come insegnante in un piccolo villaggio nella provincia di Burgos, in Spagna. Qui il giovane maestro instaura un intenso legame con i suoi studenti, bambini tra i sei e i dodici anni, ai quali fa una promessa: portarli a vedere il mare per la prima volta nella loro vita. Ma i metodi di insegnamento innovativi del maestro non incontrano il consenso del governo dell’epoca, che inizia una dura opposizione nei confronti dell’insegnante e dei suoi ideali. Settantacinque anni dopo, la nipote di uno di quegli alunni ricostruisce la meravigliosa storia vera nascosta dietro la promessa del maestro. Una storia di coraggio, dedizione e resistenza che rischiava di rimanere sepolta dalle ombre del regime franchista. Durata 105 minuti. (Greenwich Village sala 2)

Maria Montessori – La nouvelle femme – Regia di Léa Todorov, con Jasmine Trinca. Lily d’Alengy, una cortigiana di successo nella Parigi dei primi anni del Novecento, reincontra una figlia inaccettabile per la società del suo tempo. La donna fugge a Roma, dove ha sentito ci sia un valido istituto capace di prendersi cura di bambine come la sua: qui incontra Maria Montessori, educatrice e madre di un ragazzino nato fuori del matrimonio. Sarà compito di Maria (unita agli sforzi del padre del ragazzo, un suo collega) spingere le autorità ad accettare la bontà e la validità di quel suo metodo educativo sinora rifiutato nei confronti di quell’infanzia sinora rifiutata. Durata 100 minuti. (Centrale anche V.O., Fratelli Marx sala Groucho, Due Giardini sala Ombrerosse, Fratelli Marx sala Chico)

Megalopolis – Drammatico. Regia di Francis Ford Coppola, con Adam Driver, Jon Voigt, Talia Shire e Dustin Hoffman. Il geniale architetto Cesar Catilina cerca di far balzare la città di New Rome in un futuro utopico e realistico, mentre il suo oppositore, il sindaco Franklyn Cicero, rimane impegnato in uno status quo regressivo, perpetuando l’avidità, gli interessi particolari e la guerra di parte. Tra i due c’è Julia Cicero, la figlia del sindaco, il cui amore per Cesar ha diviso la sua lealtà, costringendola a scoprire cosa crede che l’umanità meriti veramente. Durata 138 minuti. (Massaua, Due Giardini sala Nirvana, Fratelli Marx sala Groucho, Ideal, Lux sala 1, Reposi sala 3, Romano sala 3, The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

La misura del dubbio – Drammatico. Regia di e con Daniel Auteuil. Da quando ha fatto assolvere un assassino recidivo, l’avvocato Jean Monier non accetta più casi di giustizia penale. L’incontro con Nicolas Milik, padre di famiglia accusato dell’omicidio della moglie, lo tocca profondamente e fa vacillare le sue certezze. Convinto dell’innocenza del suo cliente, è disposto a tutto pur di fargli vincere il processo in corte d’assise, ritrovando in questo modo il senso della sua vocazione. Durata 115 minuti. (Eliseo)

La storia di Souleymane – Drammatico. Regia di Boris Lojkine, con Abou Sangare. Souleymane proviene dalla Guinea e abita a Parigi, dove si guadagna da vivere consegnando cibo in bicicletta. Ora ha solo due giorni di tempo per prepararsi alla perfezione e superare il colloquio di richiesta asilo: il problema è che ha deciso di raccontare una storia che non è la sua. Durata 93 minuti. (Nazionale sala 3)

Il tempo che ci vuole – Drammatico. Regia di Francesca Comencini, con Fabrizio Gifuni e Romana Maggiora Vergano. Luigi e Francesca condividono la passione per il cinema, nonostante le diverse scelte di vita e i modi di stare al mondo. La storia è ambientata durante gli anni di piombo, sul set di “Pinocchio”, il film a cui Luigi Comencini sta lavorando in quei giorni. Lei è una bambina ma lui le parla con serietà, compostezza e rispetto come si fa con un’adulta. Francesca cresce e diventa ragazza in un periodo storico di cambiamento, ricco di lotte politiche e di rivoluzioni sociali, ma purtroppo anche di stragi. La passione di Francesca per il cinema l’accompagna sempre ma la magia fa spazio all’insicurezza. È proprio in questo frammento della storia italiana che compare e si diffonde nel Paese l’eroina, che segnò e stravolse la vita di Francesca e della sua generazione. Luigi è disarmato, non sa come reagire, ma decide di starle accanto portandola con sé a Parigi. Durata 110 minuti. (Nazionale sala 4)

The Apprentice – Alle origini di Trump – Drammatico. Regia di Ali Abbasi, con Sebastian Stan, Jeremy Strong e Maria Bakalova. New York, anni Settanta. Determinato a uscire dall’ombra del potente padre e a farsi un nome nel settore immobiliare di Manhattan, l’aspirante magnate Donald J. Trump agli inizi della sua carriera incontra l’uomo che diventerà una delle figure più importanti della sua vita: il faccendiere Roy Cohn. Vedendo del potenziale in Trump, il controverso avvocato – che aveva ottenuto le condanne per spionaggio contro i Rosenberg e aveva investigato sui sospetti comunisti insieme al senatore McCarthy – insegna al suo nuovo allievo come accumulare ricchezza e potere con l’inganno, l’intimidazione e la manipolazione mediatica. Il resto è storia. Durata 120 minuti. (Classico, Ideal, Nazionale sala 1 anche V.O., The Space Torino, Uci Lingotto, The Space Beinasco, Uci Moncalieri)

Trifole – Drammatico. Regia di Gabriele Fabbro, con Umberto Orsini, Margherita Buy, Enzo Iacchetti e Ydalie Turk. Dalia, una giovane donna cresciuta a Londra, non ha alcuna aspettativa per il futuro e non è per nulla motivata. Sua madre le chiede di prendersi cura di suo nono Igor, affetto da demenza senile, che vive in un piccolo paesino delle Langhe, nella speranza che stare in mezzo alla natura possa aiutarla a fare chiarezza e trovare la sua strada. Arrivata in casa del nonno, Dalia scopre che l’uomo, che peggiora di giorno in giorno, ha ricevuto una notifica di sfratto a causa delle aziende vinicole locali, che stanno espandendo i loro territori e sono interessate a impossessarsi anche dei terreni destinati un tempo ai vecchi trifulau. La giovane deve trovare in breve tempo la somma di denaro che copra il pagamento dell’abitazione mentre Igor condivide con lei i segreti dei trifulau e la manda per i boschi con la cagnolina Birba, alla ricerca di qualcosa di inestimabile valore: il grande tartufo bianco, che potrebbe salvare la loro casa. Durata 100 minuti. Greenwich Village sala 3, Uci Lingotto, Uci Moncalieri)

Vermiglio – Drammatico. Regia di Maura Delpero, con Tommaso Ragno, Sara Serraiocco, Roberta Rovelli, Martina Scrinzi e Orietta Notari. In quattro stagioni la natura compie il suo giro. Una ragazza può farsi donna. Un ventre gonfiarsi e divenire creatura. Si può smarrire il cammino che portava sicuri a casa, si possono solcare mari verso terre sconosciute. In quattro stagioni si può morire e rinascere. “Vermiglio”, ambientato tra le montagne della Val di Sole, in Trentino, racconta dell’ultimo anno della Seconda Guerra Mondiale in una grande famiglia e di come, con l’arrivo di un soldato rifugiato, per un paradosso del destino, essa perde la pace, nel momento stesso in cui il mondo ritrova la propria. Leone d’Argento alla Mostra di Venezia, scelto a rappresentare l’Italia ai prossimi Oscar quale migliore film straniero. Durata 119 minuti. (Eliseo Grande, Massimo sala Cabiria, Nazionale sala 2)

Con Andrea Ferraris e Andrea Serio, discettando di immaginario resistenziale

«E lei, che è antifascista si può dire dalla nascita, ha mai giocato con suo figlio ai partigiani? Si è mai acquattato dietro il letto fingendo di essere nelle Langhe e gridando attenzione, da destra arriva la Brigata Nera, rastrellamento, rastrellamento si spara, fuoco sui nazi?!

Così caro Stefano, ti regalerò dei fucili. E ti insegnerò a giocare guerre molto complesse, in cui la verità non sta mai da una parte sola, in cui all’occorrenza si debbano organizzare degli otto settembre. Ti sfogherai, nei tuoi anni giovani, ti confonderai un poco le idee, ma ti nasceranno lentamente delle persuasioni. Poi adulto, crederai che sia stata tutta una favola, Cappuccetto Rosso, Cenerentola, i fucili, i cannoni, l’uomo contro l’uomo,la strega contro i sette nani,gli eserciti contro gli eserciti.
Ma se per avventura, quando sarai grande vi saranno ancora le mostruose figure dei tuoi sogni infantili, le streghe, i coboldi, le armate, le bombe, le leve obbligatorie chissà che tu non abbia assunto una coscienza critica verso le fiabe e che non impari a muoverti criticamente nella realtà». Umberto Eco, Lettera a mio figlio,1964.
Così con l’intento di Eco ad Alba, su questa falsa riga, si è svolto il talk tra Andrea Ferraris e Andrea Serio, discettando di immaginario resistenziale nella letteratura di Beppe Fenoglio (Johnny siamo noi…padri e figli, Bella Ciao che partiamo) di trasmigrazione visiva dalla illustrazione al testo scritto e viceversa. Di come la fascinazione del lettore, porti più a conoscere il fatto letterario, che il fatto storico , in senso stretto. O come invece dico qui io ,Fenoglio confluì nelle Penne Nere alpine di Martini Mauri , lui più di sinistra gappista ,  aggregandosi, ai centristi bianchi del Partito d’Azione e di Giustizia e Libertà. Oggi diciamo storytelling, o la narrazione dominante. Ogni tempo ha la sua linguistica, il suo idioletto e le graphic novel, devono oggi ,essere modello di memoria da rinfrescare per gli adulti e modello di sviluppo e formazione per le nuove generazioni.Così domenica 22 settembre 2024 si è svolto il talk tra i due al Palazzo della Banca d’Alba, organizzato dal Centro Studi Beppe Fenoglio dal nome “Le strade del fumetto dalle Alpi al Mar Ligure” con moderazione di Chiara Stival.

Andrea Ferraris è una vecchia conoscenza del torinese.it, Andrea Serio è illustratore e fumettista, direttore della scuola internazionale di comics di Torino ,classe1973 carrarese.Per ricordare i 23 giorni della città di Alba ( 10 ottobre -20 novembre 1944) i suoi disegni esposti fino al 20 ottobre 2024. Duri giorni dall’ esito incerto e ricordando il mio caro nonno paterno Aldo come me, comandante partigiano nella Brigata Matteotti in val Germanasca, in val Chisone e colle del Lys. Riporto dal trattato dei Pikvei Avot (Talmud , ”le massime dei padri”):« Se io non sono per me, chi è per me? E se io sono solo per me stesso,cosa sono? E se non ora , quando?».

Aldo Colonna

Nella foto di copertina:

Autunno 1944, Borgata Fontane (val Germanasca). Il partigiano a destra è Eugenio Juvenal [Archivio famiglia Serafino]

Gli appuntamenti della Fondazione Torino Musei

SABATO 19 OTTOBRE

 

Sabato 19 ottobre
RABBIT INHABITS THE MOON
MAO – apre la mostra

In occasione del 140° anniversario dell’Accordo diplomatico tra Corea e Italia, il MAO Museo d’Arte Orientale di Torino, in partnership con il Nam June Paik Art Center (Corea), con la Fondazione Bonotto (Colceresa, VI) e con il supporto della Korea Foundation, presenta il progetto espositivo Rabbit Inhabits the Moon, a cura di Davide Quadrio, direttore del Museo, e Joanne Kim, critica e curatrice coreana, con Anna Musini e Francesca Filisetti. L’esposizione si avvale anche della consulenza curatoriale e scientifica di Manuela Moscatiello, Kyoo Lee e Patrizio Peterlini.

Rabbit Inhabits the Moon intende attivare un dialogo dinamico che riflette l’evoluzione del paesaggio culturale e artistico dei due Paesi, in particolare rileggendo l’eredità di Nam June Paik e la sua influenza sulle generazioni contemporanee.

Opere video, installazioni e nuove produzioni di artisti coreani, provenienti dalla collezione del Nam June Paik Art Center saranno accostate ad alcune tra le principali opere di Paik, molte delle quali in prestito dalla Fondazione Bonotto (Colceresa, VI), e a preziosi manufatti tradizionali provenienti da importanti musei nazionali e internazionali.

La mostra

Il progetto espositivo presenta 17 opere di Nam June Paik, fra cui l’installazione Rabbit Inhabits the Moon, che dà il titolo alla mostra, Plexiglass Cello TVFluxus Island in Décollage Ocean HumanEcce Homo e Zen for Head, oltre a 5 installazioni di sei artisti coreani contemporanei – Sunmin Park, Ahn Kyuchul, Unmake Lab, eobchae × Ryu Sungsil, Shiu Jin e Jesse Chun, e una nuova produzione di Park Jiha.

Il percorso è poi punteggiato da preziosi manufatti legati agli aspetti filosofici e rituali della tradizione culturale e artistica coreana, fra cui uno specchio in bronzo a otto lobi di epoca Goryeo, una bottiglia piriforme in gres del XV secolo e la Moon-jar di Kwon Dae-sup del 1952, giunti in prestito da prestigiosi musei d’arte asiatica in Italia e in Europa, tra cui il Museée national des Arts asiatiques Guimet di Parigi, il Museo E. Chiossone di Genova e il Museo delle Civiltà di Roma.

Proprio dal Museo E. Chiossone proviene anche l’Avalokitesvara Watermoon (XIV secolo), un raffinato dipinto su seta che potrà essere eccezionalmente esposto grazie al delicato restauro promosso in occasione della mostra.

Una sezione particolare del percorso a cura di Kyoo Lee sarà poi dedicata all’esplorazione della cultura sciamanica coreana in relazione alla figura di Nam June Paik, mentre una sala di consultazione sarà dedicata all’approfondimento degli artisti contemporanei su progetto dell’architetta coreana Kun-Min Kim.

Sabato 19 ottobre ore 9:45
LUNGO LE RIVE DEL PO
Palazzo Madama – attività per famiglie con bambini 5-13 anni

Oltre alla visita della mostra, le famiglie con bambini possono usufruire di una passeggiata lungo le sponde del Po in compagnia della guida naturalistica Alice Cimenti che li accompagnerà nella scoperta dell’habitat fluviale e della città osservata da una inedita prospettiva. Si osserveranno gli abitanti del fiume (piante e animali) per capire insieme come riconoscerli facendo attenzione agli elementi del loro habitat.

Il percorso ad anello ha una lunghezza di circa 4 km e permette di esplorare il lungo fiume e di osservare il Po dalla passarella

È necessaria la presenza di adulti accompagnatori.

Ritrovo nello spiazzo pedonale al fondo di Corso San Maurizio / angolo via Napione. Partenza alle ore 9.45.

Conclusione alle ore 13.00 al punto di ritrovo iniziale.

In caso di maltempo l’escursione sarà annullata attraverso una mail di comunicazione.

Prenotazione obbligatoria: t. 011.4429629 (lun.-ven. 09.30 – 13; 14 – 16);

madamadidattica@fondazionetorinomusei.it

Sabato 19 ottobre ore 11
TALK CON ANNA ONESTI
MAO – Attività in occasione della mostra “La carta Hanji e gli aquiloni, opere dell’artista Anna Onesti” in corso dal 18 ottobre al 1 dicembre presso il Castello di Moncalieri, organizzata per festeggiare i 140 anni delle relazioni diplomatiche Italia/Corea.

La carta coreana nota con il nome di Hanji (한지) (da Han “Corea” e ji “carta”) ha un’origine così antica e un procedimento di produzione così particolare da connotare, con la sua presenza, la cultura e la vita coreana.

Questa carta detta anche “carta dei mille anni” è stata utilizzata da Anna Onesti per creare degli aquiloni, creazioni di forme contemporanee ma ispirate ad antiche tipologie legate alla tradizione coreana, come gli aquiloni scudo e gli aquiloni con il foro centrale. Il talk tratterà delle principali tappe della diffusione della carta Hanji in Italia e del suo utilizzo da parte degli artisti e dei restauratori.

Ingresso libero fino a esaurimento posti disponibili. Tagliandi per accedere in distribuzione dalle 10.30.

Sabato 19 ottobre ore 16

WORKSHOP DI PRODUZIONE DELLE LANTERNE DI LOTO

MAO – laboratorio per ragazzi e adulti

L’Istituto Culturale Coreano in Italia e il Museo Arte Orientale di Torino (MAO) regalano al pubblico un’occasione per poter produrre con le proprie mani le tradizionali Lanterne di Loto Coreane!
Nelle giornate del 19 e 20 ottobre si terranno due workshop organizzati dall’Istituto Culturale Coreano e dal Yeondeunghoe (Festival delle lanterne) dell’Ordine Buddista Coreano Jogye, in cui i partecipanti potranno creare delle lanterne di loto. La luce delle lanterne simboleggia, infatti, l’amore e la saggezza che illuminano l’oscurità causata dall’avidità e dalla caparbietà dell’uomo.

Partecipazione gratuita, prenotazione obbligatoria a maodidattica@fondazionetorinomusei.it 

specificando nell’oggetto ‘Laboratorio Lanterne’

DOMENICA 20 OTTOBRE

Domenica 20 ottobre ore 11

WORKSHOP DI PRODUZIONE DELLE LANTERNE DI LOTO

MAO – laboratorio per ragazzi e adulti

L’Istituto Culturale Coreano in Italia e il Museo Arte Orientale di Torino (MAO) regalano al pubblico un’occasione per poter produrre con le proprie mani le tradizionali Lanterne di Loto Coreane!
Nelle giornate del 19 e 20 ottobre si terranno due workshop organizzati dall’Istituto Culturale Coreano e dal Yeondeunghoe (Festival delle lanterne) dell’Ordine Buddista Coreano Jogye, in cui i partecipanti potranno creare delle lanterne di loto. La luce delle lanterne simboleggia, infatti, l’amore e la saggezza che illuminano l’oscurità causata dall’avidità e dalla caparbietà dell’uomo.

Partecipazione gratuita, prenotazione obbligatoria a maodidattica@fondazionetorinomusei.it 

specificando nell’oggetto ‘Laboratorio Lanterne’

 

Domenica 20 ottobre ore 16

PRESENTAZIONE DI YEONDEUNGHOE (FESTIVAL DELLE LANTERNE)

MAO – talk

La talk approfondisce i significati e la spiritualità del Festival delle Lanterne di Loto, parte integrante della cultura coreana da più di mille anni e riconosciuto come Patrimonio Culturale Immateriale Nazionale nel 2012 e Patrimonio Culturale Immateriale dell’UNESCO nel 2020.

Questo affascinante Festival, noto in coreano come 𝙔𝙚𝙤𝙣𝙙𝙚𝙪𝙣𝙜𝙝𝙤𝙚, si ispira all’importante celebrazione coreana in onore del giorno della nascita di Buddha. Le lanterne di loto portano con sé un significato spirituale profondo, rappresentando la luce che illumina le anime oscurate dall’avidità e dalla caparbietà.

Ingresso libero fino a esaurimento posti disponibili.

MARTEDI 22 OTTOBRE

 

Martedì 22 ottobre ore 17.30
IL GIOCO DI RUOLO E LE SUE POTENZIALITÀ: DISCIPLINE A CONFRONTO
MAO – talk in collaborazione con Departments & Dragons – UniTO

Il gioco di ruolo è un gioco di narrazione condivisa in cui alcuni giocatori rappresentano il loro alter ego in un mondo immaginario le cui vicende sono orchestrate da un master o narratore, ed è un fenomeno culturale che va oltre l’intrattenimento, offrendo un potente strumento di creatività e riflessione. Grazie alla co-creazione collettiva, i partecipanti influenzano direttamente la narrazione, sviluppando competenze sociali, empatiche e strategiche. Una conferenza interdisciplinare vedrà esperti di neuroscienze, legge, filosofia e medicina confrontarsi sulle potenzialità del GdR nei rispettivi campi. Nelle neuroscienze, il GdR viene utilizzato per studiare il comportamento umano e migliorare soft skills; in ambito legale, consente simulazioni di casi complessi; in filosofia, aiuta ad esplorare dilemmi etici, mentre in medicina supporta la formazione su comunicazione e gestione dello stress.

Partecipazione gratuita fino a esaurimento posti disponibili.

 

 

MERCOLEDI 23 OTTOBRE

Mercoledì 23 ottobre

SERGIO UNIA. IN ASCOLTO

Palazzo Madama – apre la mostra

L’esposizione presenta il lavoro artistico dello scultore monregalese Sergio Unia (Roccaforte Mondovì, 10 marzo 1943) grazie a una selezione di opere che trovano nel giardino del Castello degli Acaja una specifica risonanza, legata ai resti antichi, alla natura, al mutare del tempo e al paesaggio.

Il progetto nasce su iniziativa della Fondazione CRC, nell’ambito del progetto Donare.

Le tredici sculture in bronzo di Unia toccano alcuni dei temi universali sviluppati dall’artista – quali il rapporto con la natura, l’antico, l’infanzia e i giochi dell’adolescenza – facendo emergere la sua poetica figurativa, nutrita di classicità eppure fortemente contemporanea.

Ingresso incluso nei biglietti delle collezioni.

 

 

 

GIOVEDI 24 OTTOBRE

 

Giovedì 24 ottobre ore 16.30
DIVINITÀ E MITI, L’HINDUISMO NELLE COLLEZIONI DEL MAO
MAO – visita guidata speciale condotta dal prof. Alberto Pelissero in occasione di Divali

ATTIVITA’ FUORI SEDE a cura dei Servizi Educativi del MAO Museo d’Arte Orientale

In collaborazione con Unione Induista Italiana, UIT-Sanjivani, Coordinamento Spontaneo Divali

In occasione del Divali, la festa indiana delle luci, il Professor Alberto Pelissero – docente di Filosofie, religioni e storia dell’India e dell’Asia Centrale e di Lingua e letteratura sanscrita presso l’Università di Torino – accompagna il pubblico alla scoperta della statuaria dall’India e dal Sud Est asiatico nelle collezioni del MAO, tra rappresentazioni di divinità e di miti, che trascendono il tempo e permettono di affacciarsi sull’immensa ricchezza di una cultura millenaria e viva.

Visita guidata gratuita, ingresso secondo normali tariffe.

Prenotazione obbligatoria t. 011.4436928 oppure maodidattica@fondazionetorinomusei.it

La Famija piemonteisa di Roma compie 80 anni

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Il prof. Quaglieni

La Famija piemonteisa di Roma compie 80 anni perché essa nacque pochi mesi dopo la liberazione di Roma del 4 Giugno 1944, quando il nuovo ministro del Tesoro Marcello Soleri – antifascista liberale fedelissimo di Giolitti – diede vita al sodalizio che avrebbe raccolto il fior fiore dei piemontesi che si erano trasferiti nella capitale per viverci o per esercitare funzioni pubbliche o private di rango. Era un’idea che si sarebbe potuta realizzare dopo il trasferimento della capitale a Roma nel 1870 con la nascita di nuovi quartieri romani, come il Prati, abitato prevalentemente da piemontesi.

La morte nel 1945 di Soleri non fu di ostacolo alla rapida crescita dell’associazione che fu presieduta dall’ing.   Mario Fano a cui succedette Luigi Einaudi governatore della Banca d’Italia e poi ministro e infine presidente della Repubblica.  Un altro presidente importante fu Giuseppe Pella economista biellese e presidente del Consiglio nel 1954. Presidente di spicco anche fu Adolfo Sarti, ministro di origini cuneesi anche lui democristiano come Pella. Furono presidenti anche i ministri liberali Renato Altissimo e Valerio Zanone. Eminenza grigia che volle essere soltanto vicepresidente, fu Renzo Gandolfo, un manager con forti interessi per la cultura piemontese il quale realizzò a Torino il Centro di studi piemontesi. Non vanno tuttavia dimenticati i nomi di Manlio Brosio, di Vittorio Badini Confalonieri e di Federico Chabod che incaricò lo storico siciliano Rosario Romeo di scrivere nel 1961 sul Conte di Cavour nel centenario dell’Unità d’Italia. Romeo trasse da quell’invito l’idea di scrivere l’immensa biografia in tre volumi del gran conte.

Alla Famija Piemonteisa si respira aria di Piemonte, ma non si è mai caduti nel piemontesismo.

L’attuale presidente, il giornalista radiofonico Enrico Morbelli, ne è la dimostrazione: un piemontese quasi sempre vissuto a Roma che ha mantenuto la casa di campagna in Piemonte dove torna ogni anno. Il Segretario generale Francesco Ugolini è l’anima organizzativa del sodalizio.

La Famija ebbe una sede sontuosa in cui si tennero memorabili convegni e sfarzose feste. Poi i costi si rivelarono impossibili da sostenere. Fu Valerio Zanone a chiudere la sede e a trovare un accordo con le diverse associazioni regionali esistenti a Roma che decisero di chiedere al sindaco Veltroni una sede da condividere. Per un certo periodo la Famija divenne l’associazione Piemontesi a Roma, perdendo un po’ del suo smalto storico. Il recupero dell’ antica denominazione piemontese è merito del presidente Morbelli.  Un numero alto e qualificato di piemontesi, orgogliosi delle proprie radici, che vivono a Roma, sentono la Famija come una sorta di “altera domus” subalpina nella capitale. Essa realizza ogni anno un’intensa attività culturale, dedicandosi al ricordo storico dei piemontesi illustri del passato e alla presentazione di libri di autori piemontesi, pur senza chiusure aprioristiche. Mario Soldati negli anni in cui si dedicò al cinema e visse a Roma, era solito dire che respirare un po’ di aria piemontese alla Famija e recarsi alla stazione Termini per tornare a Torino erano le sue massime aspirazioni di torinese costretto a vivere in una città che non amava, perché troppo identificata col fascismo vecchio e nuovo.