CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 121

“Premio Gianmaria Testa” a due giovani cantautori

Un romano e un pugliese, sono i vincitori del “Premio” tenuto in memoria del grande cantautore, “poeta in musica”, cuneese

Moncalieri (Torino)

Ventiquattro anni, cantautore romano “che con la sua musica crea un ponte fra passato e presente, un viaggio nostalgico tra sonorità retrò e pensieri contemporanei”: è Alessio Alì il vincitore assoluto della V edizione del “Premio Gianmaria Testa – Parole e Musica” (sezione speciale dello storico “Premio Letterario Internazionale Città di Moncalieri”, organizzato dal Circolo Culturale “Saturnio” in collaborazione con “Produzioni Fuorivia”) tenutosi nei giorni scorsi, con grande successo di pubblico, alle “Fonderie Teatrali Limone” di Moncalieri.

Dopo un lungo e selettivo percorso, la Giuria, presieduta da Eugenio Bennato insieme a Paola Farinetti (moglie e produttrice di Gianmaria Testa) ha scelto, tra i 142 brani originali arrivati da tutta Italia, cinque finalisti under 38 che hanno saputo interpretare con intensità e originalità sia la canzone di Gianmaria Testa sia il proprio brano inedito.

Al vincitore, Alessio Alì, andrà la possibilità di esibirsi all’“Attraverso Festival”, in apertura del concerto di Goran Bregovic in programma il prossimo 25 luglio a Bra (Cuneo) nonché la partecipazione a “Canzoni&Parole” al “Café de la Danse” di Parigi, nell’ambito del Festival dedicato alla “canzone d’autore” italiana.
Accanto ad Alì, è stato premiato, per  “la miglior esibizione”, anche il pugliese di Molfetta (oggi anche lui residente a Roma) Mizio Vilardi, classe ’88, “che ha saputo mescolare il dialetto molfettese alle parole e alla musica di Gianmaria Testa”. Infine, il riconoscimento per la partecipazione alla prossima edizione di “Reset festival” è andato a Fabio Schember.

Tutti i brani dei finalisti faranno parte di un “album” prodotto da “Incipit Records” e “Produzioni Fuorivia”, distribuito da “Egea Music”.

La serata finale, condotta da Chiara Buratti nella Sala Grande delle “Fonderie Teatrali Limone” esaurita in ogni ordine di posti, ha visto anche la partecipazione speciale di Stefano Bollani – storico amico e collaboratore di Gianmaria Testa – che ha arricchito l’evento con uno show ironico, divertente e affettuoso in compagnia della moglie, attrice e poliedrica performer, Valentina Cenni. La chiusura della serata ha visto il presidente della Giuria, Eugenio Bennato, chiamare sul palco alcuni dei giovani musicisti che si erano esibiti durante l’evento, eseguendo due intensi brani che hanno trasmesso un messaggio di continuità e speranza, celebrando il potere unificante della “vera” musica.

“Il Premio Gianmaria Testa – hanno sottolineato in chiusura Wanda Sorbilli del ‘Circolo Culturale Saturnio’ e Paola Farinetti di ‘Produzioni Fuorivia’ – rappresenta non solo una vetrina per i giovani talenti, ma un vero e proprio laboratorio culturale che rinnova il dialogo tra tradizione e innovazione. Siamo orgogliosi di contribuire a questo progetto, che celebra la grande eredità della canzone d’autore italiana e offre opportunità concrete per il futuro della cultura. Insieme, continuiamo a costruire ponti tra passato e presente, valorizzando il talento e la creatività delle nuove generazioni”.

g. m.

Nelle foto di Elisabetta Canavero: Alessio Alì, Mizio Vilardi eStefano Bollani con Valentina Cenni

Animali … Oh, se potessero parlare!

In anteprima nazionale, sul palco dello “Spazio Kairòs”, lo spettacolo teatrale “Animal perfezione”

Domenica 16 marzo, ore 16,30

Il testo é della giovane regista torinese Camilla Bassetti (formatasi come attrice e drammaturga, prima alla Scuola di Teatro “Giuseppe Erba” per poi passare alla “Sergio Tofano” – ora “Accademia Mario Brusa – e, sempre a Torino, alla “Shakespeare School” diretta da Jurij Ferrini), con la regia di Emily Tartamelli, in collaborazione con la Compagnia “Liberipensatori ‘Paul Valery’”, fra i fondatori, nel 2020, del Progetto C.Ar.Pe – Coordinamento Arti Performative” di Torino. E il titolo la dice già tutta: “Animal perfezione”. Nel senso La perfezione sarà pur vero che non è di questo mondo, ma, se lo fosse, gli animali in molti casi potrebbero dare un bel po’ di punti, in tema di rispetto soprattutto, a noi intelligenti (?) esseri umani! Spettacolo curioso, che di certo attrae, non poco, in particolare proprio sotto questo suo aspetto fantasioso e didattico. Didattico, certo. Basti pensare che, insieme alle due attrici protagoniste, Stefania Rosso e la stessa Camilla Bassetti, sul palco s’aggira pur anche, in carne e ossa, una “vera e propria” etologa (!), Cristina Argirò, la cui partecipazione straordinaria allo spettacolo fa da collante – ben  riuscito – fra teatro e scienza, come input prezioso per riconsiderare il nostro ruolo umano nella relazione con il mondo animale. Per chi interessato, e sono certo sarete non pochi, la pièce andrà in scena, in anteprima nazionale, allo “Spazio Kairòs” di via Mottalciata 7, a Torino, domenica prossima 16 marzoalle 16,30.

“Spettacolo per tutta la famiglia”, assicurano i responsabili. Dai bambini di 6 anni ai “bambini” che di anni ne fanno 106! Purché siano sempre “bambini”. Donne e uomini che, dentro, mantengano, a qualunque età, quella “purezza” e quella “libertà” d’intendere infantile, capaci di trasformare, in un soffio, le emozioni in vita reale.

Attraverso storie, dati e performance, lo spettacolo “invita a riflettere, in un dialogo fra animali e uomini, fra attori e pubblico, sul nostro rapporto con gli animali, sulla loro intelligenza, su emozioni e comunicazione, e su come queste nuove conoscenze possano promuovere una società più inclusiva e rispettosa”.

Scriveva il grande francese Daniel Pennac, papà del celebre Benjamin Malaussène e grande amico e cantore di bimbi e cani Uno crede di portare fuori il cane a fare pipì, mezzogiorno e sera. Grave errore: sono i cani che ci invitano due volte al giorno alla meditazione. Il mondo capovolto. E quant’è vero! Quanto, in fatto di amore gratuito rispetto fedeltà generosità amicizia, e quant’altro ancora, avremmo noi da imparare dai nostri amici pelosi a quattro zampe! Lasciatemi sognare! Lasciateci sognare! E’ quanto ci permette di fare, alla fin fine, il racconto teatral-didattico “Animal perfezione”. Che racconta di un sogno “quasi post apocalittico”. Di un mondo in cui  gli animali decidono di andarsene dalla terra perché non riescono più a comunicare con gli esseri umani. Questo sogno però “non è frutto – sottolineano ancora i responsabili – della creazione di un mondo fantascientifico, ma attinge alle scoperte e allo studio dell’etologia”. Che ci avvertono di quanti gravi danni nel corso dei tempi l’uomo abbia provocato al mondo animale, andando a minacciare la sopravvivenza di moltissime specie e la tutela della biodiversità. E allora, perché non avvalersi di questo per portare in scena le testimonianze concrete dell’impatto di ciò che noi, donne e uomini, costruiamo?

“Animal perfezione” propone dunque “un gioco, in cui, si cerca – questa la conclusione – di cambiare le logiche di pensiero sugli animali, lasciando da parte il pensiero antropocentrico e cercando, invece, di dare spazio a loro, cercando di immaginarci e di giocare su cosa farebbero loro, oggi, se fossero legittimati a essere i protagonisti. La speranza è quella di cercare uno spazio per scoperte, ipotesi e domande su queste creature, che conosciamo meno di quel che pensiamo, con lo scopo di aumentare la consapevolezza di ciò che spesso non ci è visibile, che sembra lontano, ma che accade”. Basta usare un po’ di fantasia. E pensarci su, senza troppi preconcetti. Del resto, dice ancora Pennac E’ proprio quando si crede che sia tutto finito, che tutto comincia! Parole sante!

Per info: “Spazio Kairòs/Onda Larsen Teatro”, via Mottalciata 7, Torino; tel. 351/4607575 o www.ondalarsen.org

Gianni Milani

Nelle foto: “Animal perfezione”, immagini di scena

La Grande arte italiana, ultimi giorni

Musei Reali di Torino

 

prorogata fino a domenica 16 marzo 2025

 

1950-1970. LA GRANDE ARTE ITALIANA. Capolavori dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea

 

 

A seguito del grande successo di pubblico, è stata prorogata fino a domenica 16 marzo 2025, nelle Sale Chiablese dei Musei Reali a Torino, la grande e inedita mostra dedicata ai capolavori dei più importanti artisti italiani del secondo dopoguerra.

L’ingente numero di opere, per un totale di 79, proveniente dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, è stato riunito insieme per la prima volta fuori dal museo di appartenenza. Un’occasione straordinaria per dare vita a un progetto critico ed espositivo dal forte rigore scientifico e presentare a un ampio pubblico le testimonianze artistiche di una stagione irripetibile.

 

Prodotta da Musei Reali Arthemisia con la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, la rassegna curata dalla Direttrice della GNAM Renata Cristina Mazzantini e dallo studioso Luca Massimo Barbero, è stata fortemente voluta e resa possibile da Mario Turetta, Capo Dipartimento per le Attività Culturali del Ministero della Cultura e direttore delegato dei Musei Reali di Torino.

 

La mostra, oltre a sottolineare il trentennale rapporto che la soprintendente Palma Bucarelli ebbe con un gruppo eccezionale di artisti, mette in risalto la ricchezza delle collezioni del museo romano ed esalta i 21 artisti più rappresentativi che hanno animato una stagione senza precedenti nel panorama dell’arte moderna italiana.

 

La mostra vede come special partner Ricolamobility partner Frecciarossa Treno Ufficiale media partner La Stampa.

 

 

 

Informazioni e prenotazioni

+ 39 011 1848711

www.arthemisia.it

“Slavika”, tre giorni di incontri e presentazioni

Il ritorno del “Festival delle Culture Slave”

Da venerdì 14 a domenica 16 marzo

E’ il primo “Festival” italiano dedicato alle “Culture Slave” e, quest’anno, il suo nuovo arrivo sotto la Mole servirà, con un programma particolarmente ricco ed interessante, a celebrare la sua ottava edizione. Nato nel 2015 da un’iniziativa di Alessandro Ajres, presidente del “Circolo Polacco Torinese” fino al 2021, dal 2023 “Slavika” è tornato con un nuovo simbolo, quello della Rusałka, una figura mitologica rappresentane divinità, spiriti e demoni femminili associati ai fiumi e ai laghi, propria della mitologia slava e tesa ad incarnare l’essenza spirituale stessa del Festival. A questa si affianca, per l’ edizione 2025, il simbolo di un fiore, scelto non solo per rappresentare la vitalità della natura incontaminata, ma anche per simboleggiare la ricerca di un equilibrio nel rapporto tra l’umanità e il mondo naturale. Il fiore – sottolineano gli organizzatori – non è solo un elemento decorativo, che richiama alle mattonelle dipinte tipiche di alcune aree nel sud della Polonia, ma è soprattutto un’espressione dell’attenzione che il Festival dedica quest’anno a temi legati all’ecologia e all’attivismo ambientale nei Paesi slavi, argomenti più che mai attuali”.

Organizzato dall’Associazione Culturale “Polski Kot” (con il sostegno del “Consolato della Repubblica di Polonia” in Milano, dell’“Istituto Polacco” di Roma, e con il contributo del “Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere e Culture Moderne” dell’Università subalpina e di “Arci Torino”) “Slavika” prevede, quest’anno, l’arrivo in città di importanti “ospiti internazionali” attesi soprattutto dall’area balcanica, dalla Russia e dalla Polonia.

Al fine di rendere maggiormente attiva la partecipazione da parte del pubblico, quest’ottava edizione prevede, inoltre, coinvolgenti “workshop di traduzione letteraria”, accanto a presentazioni editoriali, proiezioni, talk, concerti ed iniziative off.

Tre i “siti” coinvolti: sede principale del Festival sarà, come sempre, l’“Unione Culturale Franco Antonicelli”, in via Cesare Battisti 4, accanto alle aule dell’“Università” di Torino (“Palazzo Nuovo” e “Complesso Aldo Moro”, in via Sant’Ottavio, 20) e il “Circolo dei Lettori” di via Bogino 9.

 

Il programma completo è disponibile su: www.linktr.ee./polskikot

 

Ricordiamo solo, per rendere l’idea della ricchezza degli eventi in agenda, quanto il Festival propone nelle prime due giornate

Il via venerdì 14 marzo, alle 18, nel “Complesso Aldo Moro” dell’Ateneo torinese con una lezione aperta sul “colonialismo” nella letteratura russofona condotta da Egana Džabbarova, scrittrice russofona ed esperta di “teoria decoloniale”.

La serata continuerà all “Unione Culturale Franco Antonicelli”, dalle 20,30, con il dj set del trio “Balkan Express”, collettivo di Bologna che fonde le tonalità della new wave jugoslava a ritmi folkloristici che attraversano i Balcani e arrivano fino al Caucaso.

Sabato 15 marzo la giornata inizierà con due workshop: alle 9, a “Palazzo Nuovo” si terrà il “laboratorio di traduzione dal russo all’italiano” condotto da Massimo Maurizio, traduttore e docente di “Lingua e Letteratura russa” all’“Università di Torino”, e Sara Gargano, slavista e traduttrice. Invece alle 10, all’“Unione Culturale Franco Antonicelli”, si terrà il “laboratorio di traduzione dal polacco all’italiano” con Barbara Delfino, traduttrice e scout di prosa polacca contemporanea, nonché traduttrice delle opere della vincitrice del “Premio Nobel” per la Letteratura Olga Tokarczuk.

Nel pomeriggio il Festival si sposta al “Circolo dei Lettori” dove, alle 17,30, lo scrittore e reporter di fama internazionale Wojciech Górecki racconterà il Caucaso in tutte le sue sfaccettature multietniche, presentando due reportage recentemente pubblicati in italiano: “Pianeta Caucaso” e “Abcasia” (2024, 2025, entrambi editi da  “Keller”). A dialogare con l’autore ci sarà Cesare Figari Barberis, ricercatore alla “Leiden University” e collaboratore dell’“Istituto per gli Studi di Politica Internazionale”.

La sera, alle 21, all’“Unione Culturale Franco Antonicelli”, Egana Džabbarova condurrà un reading poetico, accompagnato dalla musica di Andrea Cavallo, pianista, compositore ed improvvisatore.

 

Dopo gli appuntamenti domenicali (www.linktr.ee.polskikot ), “Slavika Festival”proseguirà con “Slavika OFF”. Lunedì 17 marzo e sabato 10 maggio, alle 18, al “Circolo dei Lettori” si terranno due appuntamenti commemorativi dedicati alla figura della scrittrice croata Dubravka Ugrešić, scomparsa nel 2023.

Per ulteriori info: www.polskikot.it o slavika.fest@gmail.com

 

g.m.

 

Nelle foto: EganaDžabbarova; Trio Balkan Express”; Cover “Pianeta Caucaso” e “Abcasia” di Wojciech Górecki

“Discreto, riservato, gentile”, questo era Silvano Gherlone, punto di riferimento alla Davico

Negli spazi della Galleria Fogliato, fino al 29 marzo

 

“Quel passage fra piazza Castello e piazza Carlo Alberto, così parigino, così infallibilmente borghese, un mondo da sempre, dalle origini, di ieri, una flânerie che ha il respiro di un’educazione antica, canforata, sobria, eppure non avara di leggerezza di ‘médisances sublimes’, di passi non irregimentati…”.

Così quelli che sono quasi i “versi” di Bruno Quaranta, con Sabatino Cersosimo e Gianfranco Schialvino a rendere omaggio a un luogo concepito nelle architetture di Pietro Carrera e nelle decorazioni di Casanova e Rubino, nell’apertura di un cielo – lassù, il rifugio torinese di Nietzsche -, la galleria dovuta alla Banca dell’Industria Subalpina ma per tutti i torinesi “del Romano”, un tempo cafè chantant dove anche il filosofo scendeva a distrarsi il pomeriggio, dove Gozzano e le “signore e signorine” sceglievano le paste da Baratti, dove trovi oggi il ristorante e la scelta perfetta dei vini o les affiches d’antan, dove da poche settimane la Luxemburg s’è spostata a offrire libri e colazioni impiegate a sfogliare pagine, dove fino a ieri in piena fortuna entravi alla Davico, divenuta adesso unico occhio spento di rinnovate vetrine, pronta a cogliere anch’essa, dal buio, il dibattito tra verzure sì e verzure no; e a un uomo, Silvano Gherlone, che la Davico la aprì nel 1971 e avrebbe deposto le armi nel 2004, “una bomboniera gioiello foderata di velluto color tortora”, annota la memoria di Schialvino critico e amico, “l’ambiente ideale, il paradigma del successo e dell’affermazione”, delineando “la filosofia della galleria”, fatta di “qualità, perfezione ed eleganza” che s’allargano in prestigio e signorilità e stile, una filosofia che accoglieva i grandi maestri contemporanei come le leve più recenti, con un gusto che oltrepassava i compiti primi di un gallerista e sconfinava nel “supporto” e nell’”amicizia”. Così Cersosimo, che di quell’amicizia godette per lunghi cinque anni, e certo ancora oltre, dal 1999 al 2004, in qualità di assistente, scolaro riflessivo e onnivoro, prima che prendesse la via della capitale tedesca “per rinnovare la mia ricerca artistica”. Ancora Schialvino: “Una luce per ogni quadro, fu opera dell’architetto Danilo Nubioli e, assolutamente innovativo per l’epoca, ancora oggi resterebbe attualissimo (il progetto dell’ambiente, ndr) per quella che è stata per anni una delle più belle gallerie d’arte della città”.

“A Silvano. 35 anni alla Galleria Davico” s’intitola la mostra – negli spazi della Galleria Fogliato di via Mazzini sino al 29 marzo, fatta di una lunga gestazione, “un’idea condivisa con gli amici Anna Lequio e Fiorenzo Sarzano” – che i tanti artisti e collezionisti e critici contaminati dalla sua signorile amicizia gli hanno voluto dedicare a circa quattro anni dalla scomparsa. Palpabile, quella amicizia, ancora durante l’inaugurazione che s’è svolta nei giorni scorsi, aneddoti e pensieri e suggestioni, i “mi ricordo quando” che fioccavano, l’importanza dell’”io ci sono stato”, di un tempo che ancora nell’occasione hanno ritrovato la propria ragion d’essere. Una ‘recherche’ nella vita di ognuno. Una lunga sequenza, un interminabile nastro artistico, settanta nomi a testimoniare un’epoca, la convinzione che da quelle stanze “ovattate” sia passato un buon tratto della cultura torinese.

Difficile, impossibile citare tutti. Non soltanto per l’abbondanza dei numeri, ma perché – io credo veramente – sarebbe necessario, ad ogni opera, ricercare il motivo di una scelta, il tassello di un percorso ben delineato, l’innamoramento e la scoperta, sarebbe necessario chiarire a chi ha incontrato Gherlone soltanto negli ultimi istanti della sua attività che cosa lo portasse a individuare questo piuttosto che quell’artista, giovane e meno giovane, quattro passi dalla vicinissima Accademia, quanto coincidessero o si distanziassero la predilezione e l’intimo studio, il più approfondito giudizio. C’è l’antica corrente dei Surfanta, c’è il mostro verde e spiaggiato di Alessandri e “Il rinoceronte assunto”, imponente animalone sulla nuvola soffice di Abacuc (Silvano Gilardi), il nodoso e antico ulivo pugliese di Renato Balsamo, il bambino sperduto al di sopra di  quella macchia nera che lo allontana dal gioco collocato nell’autobiografia di Guido Bertello (1983), ci sono “Le due sorelle” di Carlo Cattaneo (del 1983) ed “Esperimento per uomo sdraiato e natura astratta” di Cersosimo, Mauro Chessa ed Enrico Colombotto Rosso, una “Meteora” di Riccardo Cordero e il nudo femminile nell’”Interno” di Italo Cremona, c’è l’India dai grandi corsi d’acqua e dagli alberi altissimi dovuti a Stefano Faravelli, c’è la bella scoperta di Philippe Garel con una “Nature morte au citron”, ci sono i tratti raffinati e altresì inquietanti delle “Oche principesse” e di una delle tante bambine di Titti Garelli e i pastelli di Vincenzo Gatti, il mondo egizio di Ezio Gribaudo a ricordo della mostra del 1973, il felicissimo Riccardo Tommasi Ferroni con “Natura morta con testina d’abbacchio” della collezione Sarzano-Rizzollo.

C’è il carboncino entusiasmante di John Keating, il corpo nascosto tra le pieghe del lenzuolo, e il teatrino di Luzzati, i “Piantatori” di Giovanni Macciotta (1960) e lo “Studio” di Anna Lequio (2023), acquerello dedicato all’amico Silvano, il viso di ragazzo di Pino Mantovani e la “Silvia” classicheggiante di Ottavio Mazzonis e il nervoso e impennato cavallo ad accompagnare il “Bellerofonte” di Raffaele Mondazzi, i tetti invernali e imbiancati di Aime e il mare di Vinicio Perugia, il “Raccolto” poetico – l’antica assoluta poesia di sempre – di Sergio Saccomandi e il ragazzo di Lorenzo Tornabuoni, la “Ginnasta con la palla” che testimonia ancora una volta l’arte di Sergio Unia. Nomi, un nastro di nomi, un punto di riferimento prezioso e oggi non dimenticato, un punto di confronto per quanti con lui hanno amato l’arte, Silvano Gherlone è stato il gallerista prezioso e attento, giudicante e accogliente, l’uomo che consolidava un percorso già avviato o poteva dare inizio a una carriera, con intelligenza e con simpatia, poteva affermare un futuro valore, correggeva e indirizzava. Silvano Gherlone era “discreto, riservato, gentile”, scriveva ne La Stampa Bruno Gambarotta all’indomani della sua scomparsa: e l’affetto che ancora circola, oggi, tra le pareti della Fogliato ne è l’esatta testimonianza.

Elio Rabbione

Nelle immagini: Silvano Gherlone e Sabatino Cersosimo nel 2018 davanti ad alcune opere dell’artista; Guido Bertello, “L’uccellino di latta”, 1983, acrilico su tela (coll. Bertello); Giovanni Maciotta, “Piantatori”, 1960, olio su tavola (coll. privata); Lorenzo Alessandri, “Ma perché mi odiate tanto”, 1976, olio su masonite (coll. privata)

Giuseppe Luigi Lagrange, nato Lagrangia a Torino

«Chi ha ottenuto notorietà all’estero, dovrebbe averla anche in patria» giusta affermazione, ma, e gli insuccessi? «in tal caso non tutto va detto» intervento pronto di qualcuno ….


Noi però crediamo che la verità storica non debba mai essere sottaciuta (e neppure addomesticata per soddisfare agli interessi di qualcuno). Cercherò allora di dirvi perché intendo parlare di Lagrangia (nome con il quale, nel 1736, il nostro personaggio venne registrato nell’atto che, primo, testimoniala sua venuta alla luce proprio a Torino).

Negli anni scorsi, Torino ha dedicato meritate attenzioni al matematico Giuseppe Luigi Lagrange (Torino, 1736 –Parigi, 1813), che, con il medico Cigna e il conte Saluzzo, fu fondatore della Società Privata che originò poi la nostra Reale Accademia delle Scienze. Così, nell’autunno del 2013, furono allestite una mostra e una pubblicazione di 128 pagine illustrate, sotto il titolo: «Lagrange. Un europeo a Torino». La scelta di quelle parole, però, non fu moltofelice perché, enfatizzando il cognome francese, sembravavoler dar lucro alla Città recuperando alla causa un transalpino! Operazione questa del tutto inutile e almeno non necessaria, perché si sa che, proprio da Torino,partirono personaggi e iniziative che ebbero successo in tutto il mondo.

Ora però andiamo alle pagine di quel volumetto, frutto dellacollaborazione di alcuni specialisti.

Nulla da eccepire sulle disamine attente degli storici della scienza, e meno male che si è anche ricorsi a studiosi come Maria Teresa Borgato e Luigi Pepe che al matematico«Lagrange» avevano già dedicato un elegante volumetto (illustrato di 206 pagine, edito a Torino nel 1990), nel quale, senza segnalarlo, si fece emenda della genealogia famigliare di Antonio Manno, sostituendo addirittura anchei nomi di alcuni personaggi riferiti da lui. – Disdicevole comunque era la divulgazione di questi nuovi elementi di storia famigliare, senza tener conto di quanto altri, più vicini a noi nel tempo, avevano scritto sull’argomento. Ricorderò allora che i nobili Lagrange sono stati argomentodel prezioso saggio, intitolato «Familles de La Grange La Grange –d’Arquien & La Grange – Trianon», facilmente accessibile in rete, dove fu pubblicato da Etienne Pattou nel 2006, con “dernière mise à jour: 21/02/2022 sur http://racineshistoire.free.fr//LGN, che nulla dice del nostro scienziato, delle sue origini e della sua famiglia. Per le commemorazioni torinesi del 2013, quindi, sarebbe stato auspicabile che si rendesse noto il luogo in cui, in Francia, nacque l’antenato suo che per primo si trasferì in Piemonte(evidentemente, i polverosi documenti dell’Archivio di Stato scoraggiarono le ricerche e si decise di lasciare le carte tranquille, tutelate dal loro silenzio centenario)!

Però, siccome quel nome di famiglia è presente negli Stati Sabaudi al di là dei monti, viene da segnalare che, su quelle zone, pubblicò Hippolyte Tavernier (Taninge et ses environs. Mémoire descriptif et historique, 1888,) rilevandola presenza dei Lagrange in Faucigny (la terra, fin dal XIV Secolo, frequentata dai nostri antenati). La circostanza ètaciuta non solo dal Manno, ma anche dal Pattou, che neppure nomina, in Savoia, l’esistenza storica di un marchese Lagrange, Jacques Abraham Raimond, morto nel 1854, e di un suo nipote, Marie Frédéric conte de Lagrange,sposo di Marie Antoinette Burdet (1828-1899), la figlia di quell’Aimé (1790-1862), libraio e tipografo della famosa stamperia di Annecy (il cui titolare, fregiato del titolo di «Imprimeur de l’Evêché et du Clergé», iniziò a operare nel 1732, con Jean-Baptiste da Seyssel, avolo di Aimé. mentresuo figlio Charles, che pure si era impratichito nella professione a Parigi, avrebbe ceduto la proprietà della libreria ad Abry nel 1872, e quella della tipografia a Niératnel 1876).

Ciò detto mi scuserò per questa digressione(genealogicamente basata su Geneanet-Albero genealogico Pierre Blanc, e storicamente su studi di S. Coutin, nostri e di altri), ho fatto cenno di un ramo collaterale del casato del quale porto il nome, quindi, forte dei miei studi ultraventennali sul XVIII Secolo, già opportunamente pubblicati (con contributo della Regione Piemonte e titolo:Carlo Antonio Napione (1756 – 1814), Artigliere e scienziato in Europa e in Brasile, un ritratto, Torino, Celid, 2005, 2 tomi illustrati di pp. XVI+940], farò una doverosaemenda puntualizzando quanto fu scritto, undici anni or sono, su Lagrange in merito al suo rapporto con le Scuole di Artiglieria torinesi.

Studiando le origini dell’Artiglieria Piemontese infatti, ho ritrovato, letto, trascritto e pubblicato (nel tomo 1° di quella mia opera) diversi documenti conservati tra le Carte Antiche d’Artiglieria alle Sezioni Riunite dell’Archivio di Stato di Torino. In particolare l’«Informazione rassegnata a S.M. dal Direttore Generale delle Scuole d’Artiglieria D’Antonj, nella quale si descrivono i motivi dello stabilimento di dette Scuole, le addizioni fatte in seguito al primiero Regolamento, i mezzi, ed i modi adoperati dal medesimo Direttore per conseguire il fine, cui mira tale Stabilimento, ed i progressi, che ne sono derivati da tutte le disposizioni prese a tale riguardo» datata 17 ottobre 1776. Poiché in quelle pagine è chiaro che «si è dato principio li 2. del 1770 a un quarto Corso di studj teorici colla scelta di nuovi Cadetti ... Questo corso, è stato terminato in fine d’Agosto 1776 coll’esito descritto nella memoria de’ 6. Luglio del Direttore generale, e nella relazione del primo Settembre dello stesso anno per le scuole teoriche. Le materie insegnate in questo Corso sono le medesime già spiegate nel Corso precedente a norma delle addizioni del 1755, con questo divario però che siccome i trattati matematici formati da’ due diversi soggetti (§10H) quantunque esimj in se medesimi, erano fra essi slegati a segno, che hanno non pocco imbarazzato gli studenti, così il Direttore generale ha per questo corso rifatti essi trattati, di modo che nell’escludere ogni diramazione non necessaria alla professione d’Artigliere, e d’Ingegnere, ha procurato di condurre gli Allievi per la strada più breve, e facile all’acquisto di quelle notizie, che per essi sono indispensabili» e, in nota, il generale  Papacino andava chiarendo: «Il talento sublime del sostituito La Grangia, che con tutta ragione lo ha collocato fra i primi Accademici d’Europa, non le ha permesso di sminuzzare i rudimenti a noi necessarj, onde hanno giudicato rettamente coloro, che nell’altro corso ne hanno censurato i trattati per essere troppo elevati, metafisici, difusi in materie estranee, e mancanti d’applicazione alle professioni d’Artigliere, e d’Ingegnere. Ma se taluno pronunciasse lo stesso giudizio sulli insegnamenti fatti in quest’ultimo corso, si dimostrerebbe digiuno in queste materie».

Grazie a quanto scrissi sul nostro Napione, queste notizie avrebbero potuto essere prese in considerazione, perLagrange, infatti i miei due tomi, già pubblicati da otto anni, erano presenti, non solo in Italia, ma nelle principali biblioteche del mondo però, su quell’opera, ritornerò ancora , in questa sede.

Carlo Alfonso Maria Burdet

Luigi Costa, re delle vetrate artistiche

Luigi Costa nacque a Mantova nel 1887 Fu allievo della fiorente scuola di arte mantovana, rivelando fin da allora particolare predilezione per la vetraria artistica, fu compagno del noto pittore e scultore Alfonso Monfardini e del pittore Giovanni Minuti.

Terminati gli studi di disegno ottenuti con un diploma di primo grado, decise di partecipare all’ Esposizione Internazionale di Milano per trasferirsi nella capitale lombarda e studiare presso l’Accademia delle Belle Arti di Brera (Milano).
Nel 1910 Luigi Costa fondò  ad Alessandria l’apprezzatissimo laboratorio di vetrate artistiche, aprì nel 1913 un negozio d’arte che ebbe subito meritata fortuna.
Fu l’affermazione definitiva di un uomo di gusto e talento, partecipa alle maggiori esposizioni nazionali ed estere vincendo le medaglie d’oro.
Le vetrate artistiche di Luigi Costa figurarono con grande successo, ottenendo ovunque plausi di critica e di pubblico e procurando al loro autore premi tra i più significativi e ambitissime onorificenze.
Il medagliere dei Costa è indubbiamente uno dei più cospicui ed eloquenti che artista possa desiderare. Innumerevoli chiese parrocchiali del Piemonte, della Liguria, della Lombardia sono abbellite dalle importanti vetrate artistiche.Una di esse è anche in Vaticano nel 1927, accolta a suo tempo dal compiacimento del Pontefice Pio XI che lo stesso Segretario di Stato Card. Gasparri si premurò di comunicare all’artista.
Tra le molteplici amicizie di spicco quella con l’industriale Teresio Borsalino il quale gli ha commissionato parecchi lavori.
Le vetrate artistiche del Maestro Costa si distinguono in due categorie:
Sacre e civili, restano tutt’oggi e sono visibili in Piemonte, Liguria e Lombardia, ad Alessandria nelle Chiese di Santa Maria di Castello, Chiesa di S. Alessandro, Convento dei Frati Cappuccini ecc..
Si specifica che per quanto riguarda la  carriera dell’arte vetraria le opere civili (case, ville, hotels, negozi, edicole, uffici ecc..) sono molte di più delle opere sacre e difficili da documentare.

Un polo turistico – culturale alla Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso

Cinque milioni di euro per il restauro dell’Ospedaletto e di Cascina Bassa per la realizzazione di un ristorante/caffetteria, una foresteria e un parcheggio

Al via i lavori nel complesso monumentale di Sant’Antonio di Ranverso. Gli interventi riguardano il restauro e la riqualificazione funzionale degli edifici dell’Ospedaletto e di Cascina Bassa e sono finalizzati all’ampliamento dell’offerta turistica del sito con la realizzazione di un punto di ristoro (caffetteria/ristorante), di un ampio parcheggio per i visitatori e di una foresteria a servizio di chi percorre gli itinerari dell’antica via Francigena. L’operazione è finanziata grazie all’accordo attuativo che perfeziona l’assegnazione di 5 milioni di euro a FOM – Fondazione Ordine Mauriziano da parte della Regione Piemonte per l’attuazione dei FSC 2021-2027.

«L’importante impegno ed investimento che la Regione ha siglato oggi con la Fondazione è il segno tangibile di quanto crediamo e puntiamo per il rilancio e la valorizzazione di un bene di grandissimo pregio culturale, storico e religioso rappresentato dalla Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso – dichiarano il presidente della Regione Alberto Cirio e l’assessore regionale al Patrimonio Gian Luca Vignale – siamo consapevoli che questo progetto avrà ricadute economiche e turistiche di fondamentale valore non solo per il complesso, ma anche per tutto il territorio circostante».

«La firma dell’accordo attuativo – spiega la presidente della Fondazione Ordine Mauriziano Licia Mattioli – non rappresenta solo l’avvio dei lavori di restauro e riqualificazione degli edifici dell’Ospedaletto e di Cascina Bassa, ma è finalizzata al rilancio di un polo turistico, culturale e sociale a Ranverso. Con l’obiettivo di rendere nuovamente fruibile tutto il complesso della Precettoria, abbiamo infatti già avviato un ampio progetto di riqualificazione finalizzato all’ampliamento del percorso di visita e servizi al pubblico con il recupero dell’area aulica conventuale».

Il complesso di Sant’Antonio di Ranverso è una Precettoria che comprendeva la chiesa con il campanile, un monastero con il chiostro interno, di cui rimane oggi solo un lato, le cascine del borgo e l’ospedale per i pellegrini fondato nel 1188 dai monaci dell’ordine degli Antoniani che avevano il compito di accogliere e dare ristoro ai pellegrini che percorrevano la via Francigena e curavano, con il grasso dei maiali lì da loro allevati, il “Fuoco di Sant’Antonio”. La facciata è tutto quello che oggi rimane dell’antico ospedale che fu costruito in mattoni alla fine del 1400 per volere del frate Giovanni di Montchenu.

Mantenere l’identità storica e architettonica del contesto è l’obiettivo dei lavori di restauro e riqualificazione. La “Cascina dell’Ospedale” è un complesso di edifici di epoche diverse, costruito sul sito dell’antico ospedale e comprendente alcune delle sue strutture murarie originali. Gli edifici includono stalle, rimesse, fienili, tettoie a uso rurale, un’abitazione e diversi elementi monumentali, come l’ingresso medievale all’antico ospedale Antoniano con la pesa pubblica, di alto valore storico e artistico. Di fronte all’ingresso dell’Ospedaletto, lungo la via Francigena, si trova la “Cascina Bassa”, un edificio con corte interna dalle caratteristiche formali e costruttive tipiche delle cascine settecentesche locali.

La reception dell’Hôtellerie troverà posto nella porzione di fabbricato a due piani, vicino all’accesso principale alla Cascina Bassa. In un futuro prossimo, si prevede di poter allestire in una delle antiche stalle, pavimentata in mattoni e provvista di mangiatoie di tipologia molto antica, un museo delle tradizioni agricole nel quale potranno essere esposti oggetti e utensili della tradizione contadina. Il restauro della tettoia a doppia altezza, che verrà pavimentata con lastricato in pietra di Luserna, potrà ospitare un mercato coperto dei prodotti tipici locali ed altri eventi pubblici, in collaborazione con enti e associazioni locali. L’ampio locale della stalla storica settecentesca con volte a vela in mattoni diventerà una foresteria. Al piano inferiore, l’accoglienza dell’Hotellerie con salottino per gli ospiti e sala per le colazioni; al primo piano 9 camere doppie dotate di bagno privato: 3 nella parte originariamente abitata e 6 sopra la stalla settecentesca. Le camere saranno gli unici ambienti della Cascina Bassa climatizzati con impianti a ventilconvettori, mentre tutti gli altri ambienti saranno riscaldati tramite impianti a pavimento radiante. Nel basso fabbricato di fronte alla Cascina Bassa sarà allestito un laboratorio-deposito per il cicloturismo, dove potranno essere riparate e noleggiate le biciclette.

L’Ospedaletto diventerà un punto di ristoro con cantina dei vini nell’interrato e sala ristorante da circa 60 coperti nell’ex fienile. Saranno conservati e restaurati il soffitto a cassettoni in legno, la pavimentazione in formelle di cotto, il camino e la scala che manterrà intatto il disegno originario. Verrà anche recuperata la corte interna, un “hortus conclusus” in ciottoli di pietra ornato con il tau, il simbolo dell’Ordine dei frati ospitalieri che per secoli hanno fornito ausilio ai pellegrini della via Francigena, e tre alberi di melograno, a simboleggiare la continuità con la tradizione medievale che vedeva in questa pianta il simbolo dell’albero della vita. Lo spazio della pesa pubblica verrà mantenuto inalterato con la sola opera di consolidamento e manutenzione sia degli elementi meccanici sia degli elementi costituenti le murature. Nuova invece la fontana che sarà collocata nell’area antistante l’Ospedaletto a ricordare la tradizione locale della Moriana, dell’alta e bassa Valle di Susa, da Briançon a Sant’Ambrogio ed Avigliana, ricca dell’elemento acqua. Sarà allestita anche un’area dedicata alla coltivazione di piccoli ortaggi ed erbe officinali: una citazione delle aree agricole presenti nei cortili interni dei monasteri, nei quali le erbe officinali rappresentavano un ambito importante delle selezioni vegetali per la produzione di medicinali e rimedi salutistici suggeriti dalla pluriennale esperienza dei monaci farmacisti.

Con la risistemazione e parziale deviazione del corso della bealera che attraversa l’area dell’Ospedaletto mediante un sistema di chiuse a ghigliottina, si ricaverà un’ampia area parcheggio la cui pavimentazione sarà realizzata con supporti in materiale ecologico riciclato, inerbito e totalmente permeabile all’acqua. La superficie percorribile da auto e bus turistici sarà realizzata in materiale drenante, del tipo già adottato per la pista ciclopedonale che collega Avigliana a Sant’Ambrogio. Completano l’area accoglienza un frutteto con meli da fiore e la zona pic-nic separati visivamente dal parcheggio da una barriera vegetale.

 

I lavori termineranno entro il 31 dicembre 2026 e sono stati affidati, in forma di appalto integrato, che comprende la redazione della progettazione esecutiva, all’ATI costituita dall’Impresa Fantino S.p.A. di Cuneo e M.I.T s.r.l. di Nichelino sulla base del Progetto di Fattibilità Tecnica ed Economica redatto dal gruppo di professionisti facenti capo all’arch. Roberto Fraternali. Il gruppo di professionisti che, per conto dell’ATI, sta redigendo la progettazione esecutiva, è invece coordinato dal prof. arch. Giovanni Durbiano. 

 

INFO

Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso

Località Sant’Antonio di Ranverso, Buttigliera Alta (TO)

Giorni e orari di apertura: dal mercoledì alla domenica

Ore 9.30-13 (ultimo ingresso ore 12.30), 14-17.30 (ultimo ingresso ore 17)

Biglietti: intero 5 euro, ridotto 4 euro

Hanno diritto alla riduzione: minori di 18 anni, over 65, gruppi min. 15 persone

Fino a 6 anni e possessori di Abbonamento Musei: biglietto ingresso gratuito

Info e prenotazioni (dal mercoledì alla domenica):

011 6200603 ranverso@biglietteria.ordinemauriziano.it

www.ordinemauriziano.it

Chieri illumina i mosaici di Monreale

E’ difficile andare via dopo averli visti, a Ravenna, a San Marco a Venezia o a Santa Sofia a Istanbul. Sarà capitato a tutti coloro che li hanno ammirati. Ma i mosaici bizantini dorati di Monreale sono ancora più stupefacenti. Siamo di fronte alla più grande decorazione di questo tipo in Italia, superiore, secondo gli esperti, anche a quella di San Marco a Venezia, e seconda al mondo, per estensione, soltanto alla basilica di Santa Sofia a Istanbul. Ora la nuova illuminazione del Duomo siciliano di Monreale, uno dei massimi capolavori dell’arte normanna e patrimonio dell’Unesco, esalta la straordinaria bellezza dei mosaici che rivestono le pareti dell’edificio religioso offrendo ai visitatori un impatto visivo del tutto eccezionale. Oggi il loro splendore colpisce ancora di più grazie a un ultramoderno sistema di illuminazione messo a punto dai tecnici del gruppo austriaco Zumtobel.
Tra le ditte coinvolte nei lavori di restauro anche la Fedelenergy di Chieri, azienda di manutenzione industriale elettrica ed elettronica dei fratelli Fedele, siciliani di origine. Grazie a loro, i ricchi mosaici bizantini della cattedrale di Santa Maria Nuova di Monreale sono tornati a brillare. I restauri hanno restituito splendore a una parte dei mosaici del Duomo voluto nel 1172 dal re normanno di Sicilia, Guglielmo II d’Altavilla detto il Buono, sepolto in cattedrale. Il nuovo impianto di illuminazione esalta i particolari dei mosaici creati da mosaicisti siciliani insieme ad artisti provenienti da Costantinopoli, esperti nell’arte del mosaico, alla fine del XII secolo. Su una superficie di oltre 6000 metri quadrati i mosaici dorati raccontano l’opera di Cristo, dalla Creazione all’Apocalisse, illustrano scene della Bibbia, dell’Antico Testamento ed episodi del Nuovo Testamento. Ma, come detto, l’emozione è oggi potenziata dalla nuova illuminazione a Led di una ditta chierese che sostituisce il vecchio impianto. Un trionfo di luci in una cattedrale ricca di storia e di bellezze artistiche che tutto il mondo ci invidia.      Filippo Re

Il fantasma di Tom Joad si aggira ancora per l’America

Tom Joad è il protagonista del romanzo più famoso di John Steinbeck, The Grapes of Wrath ( i grappoli d’ira) uscito negli Stati Uniti nel 1939 e conosciuto in Italia con il titolo Furore. Un capolavoro senza età dal quale John Ford trasse uno storico film (con Henry Fonda nel ruolo di Tom Joad). Il libro racconta un’epopea ambientata negli anni Trenta  del Novecento, durante la Grande Depressione negli Stati Uniti, narrando la storia di una famiglia costretta a lasciare la propria casa e la propria terra a causa della crisi economica, per trovare un nuovo futuro in un altro stato della grande nazione a stelle e strisce. Il capolavoro di Steinbeck giunse in Italia in epoca fascista e il regime immaginò di utilizzarne la storia in versione antiamericana, allo scopo di diffondere una immagine violenta e piuttosto primitiva dell’America di quegli anni.

Pubblicato da Bompiani venne comunque censurato perché, in fondo, quella ricerca ostinata di una speranza assumeva quei caratteri universali che al Duce e al suo entourage non piacevano per niente. Pagina dopo pagina John Steinbeck ci accompagna nella biblica trasmigrazione della famiglia Joad, assieme ad altre centinaia di poveri, dall´Oklahoma attraverso il Texas, il New Mexico e l´Arizona, lungo le famosa Route 66 ( che conoscerà altre storie letterarie, da Kerouac a tanti altri), fino alla California, “il paese del latte e del miele”, in cerca di una vita nuova e un poco di fortuna. Una speranza che viene ben presto delusa perché vi troveranno amarezze e stenti, al limite della sopravvivenza: paghe da fame, padroni duri e cinici, lavori da schiavi. Erano gli anni della grande crisi dopo il crollo di Wall Street nel 1929, dell’America dura e disperata, della lotta di classe più aspra, dei sogni che s’infrangevano a contatto con la  realtà. Woody Guthrie, il “menestrello della Grande Depressione”, padre putativo del folk revival degli anni ’60, scrisse una grande ballata su Tom Joad nel 1940, quasi dieci anni prima che Bruce Springsteen, il “boss” del rock, venisse al mondo. Influenzato da Guthrie e dalla storia, molti decenni dopo Springsteen trasformò Tom Joad in uno spirito, capace aggirarsi ovunque come un fantasma alla ricerca di una giustizia e una rivalsa in un mondo nel quale il destino degli emarginati è inevitabilmente un destino segnato da una cruda realtà che non smette di riproporre la propria attualità. The Ghost of Tom Joad è una canzone che parla di diseredati, di povertà e di un sistema economico spietato e ingiusto.

Un testo che non lascia spazio ai dubbi: “L’autostrada è viva questa notte e dove va a finire tutti lo sanno, io sono seduto qui accanto alla luce del fuoco ad aspettare il fantasma di Tom Joad. Ora, Tom diceva: – Mamma, ovunque ci sia un poliziotto che picchia un ragazzo, ovunque un neonato pianga per la fame, ovunque ci sia una battaglia contro il sangue e l’odio nell’aria, cercami mamma, io sarò là. Ovunque ci siano uomini che lottano per un posto dove stare o per un lavoro decente, o per una mano che li aiuti, ovunque ci sia gente che sta lottando per essere libera, guarda nei loro occhi, Mamma, e tu vedrai me –“. Il fantasma di Tom Joad è ancora ben presente nell’America di oggi, e anche se sono passati quasi ottant’anni l’impressione è che per gli ultimi ben poco sia cambiato. The Ghost of Tom Joad  è stato l’undicesimo album in studio di Springsteen, pubblicato nel 1995 dalla CBS Records. Presidente degli “states” era il democratico Bill Clinton che, di lì a poco, sarebbe stato rieletto alla guida della nazione. Un anno dopo, nel 1996, Springsteen, ne parlava così: “La maggior parte delle cose che ho scritto riguardano l’America di oggi, anche se trovano le loro origini nel passato. Anche la canzone di Tom Joad non è storica, ma è sull’America degli anni ’90“.

E, possiamo aggiungere, anche su quella odierna al tempo del secondo mandato di Donald Trump. Nella canzone si parla dell’autostrada, luogo simbolo del sogno americano, esaltato dalla generazione beat. Un immaginario ancora ben vivo ma popolato da gente senza speranza, il cui destino è un fuoco acceso sotto un ponte per scaldarsi. I Tom Joad di oggi sono i nuovi poveri, le vittime della grande recessione e della crisi economica che prese avvio negli Stati Uniti d’America nel 2007 in seguito allo scoppio della bolla immobiliare dei subprime, i disgraziati messi in ginocchio dalla pandemia del Covid, gli afroamericani e i latinos, gli homeless e in migranti, le principali vittime del nuovo ordine mondiale che piace al 47° Presidente degli Stati Uniti e al suo amico Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo, sempre più affollato di gente senza lavoro e disperata, con poche libertà e scarso futuro.

Marco Travaglini