CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 120

Lo Chaberton si presenta a Cesana con la voce dei Cesanesi

Sarà una serata da non perdere quella di sabato 10 febbraio prossimo per tutti coloro che amano e sono affascinati dalle vicende del forte dello Chaberton.

Alle 21, a ingresso libero, presso la sala Formont di via Pinerolo 0 a Cesana Torinese, è in programma la serata denominata semplicemente “Lo Chaberton”

È organizzata dalla Mostra del Monte Chaberton di Claviere, dal Ponte Tibetano Cesana Claviere, dal Parco avventura Chaberton di Cesana Torinese, dall’Ufficio del turismo di Cesana Torinese con il patrocinio del Comune di Cesana Torinese.

Si tratta di una serata che ha lo scopo di raccogliere donazioni volontarie per la costrizione del bivacco ‘Chaberton’.

La storia del Monte Chaberton è lunga 200 milioni di anni le vicende del Forte sono state al centro di svariati momenti informativi e divulgativi e sono custodite nella Mostra del Monte Chaberton, esposta in modo permanente a Claviere.

Questa volta l’attenzione sarà focalizzata sui racconti dei Cesanesi del passato sull’epopea del forte Chaberton.

“Quella di sabato sarà una serata dedicata alla storia del Forte Chaberton – precisa Roberto Guasco, curatore del museo Mostra Monte Chaberton di Claviere – attraverso i racconti dei testimoni dell’epoca di Cesana Torinese. Nel tempo ho avuto la fortuna di incontrare tanti protagonisti delle vicende del forte Chaberton. Ho raccolto testimonianze sul periodo antecedente la guerra, sul periodo bellico e post bellico. I loro preziosi ricordi li ho raccolti in due video interviste che presenterò sabato sera, dando voce ai protagonisti di quella storia.

Storia antica e lontana per noi, ma viva e presente nelle loro parole. Momenti felici e momenti tragici che si alternano negli anni della guerra. L’ epopea del forte più alto d’Europa, simbolo della forza di volontà degli italiani e della loro capacità di lavorare duramente, in qualsiasi luogo e condizione”.

Mara Martellotta

“Impressioni oltre lo sguardo” in mostra a Bardonecchia

 

“Impressioni oltre lo sguardo”. E’ il titolo della mostra fotografica di Maria Laura Verdoia, che sarà inaugurata il prossimo 10 febbraio, alle 16.30, al Palazzo delle Feste di Bardonecchia.

“Una virtuale passeggiata al ritmo lento” nella quale Maria Laura Verdoia, guida naturalistica innamorata della bellezza e della fotografia, accompagnerà i visitatori in un percorso di meraviglia e contemplazione.

“Lo sguardo dei bambini, interrogativo, mai ovvio, uno sguardo che sogna, che ammira, che si stupisce: in questo caso lo sguardo di Zoe, la nipotina tanto amata e fotografata; lo sguardo degli animali, guardingo, attento, diffidente eppure incuriosito, fotografato sempre immerso nella luce, del cielo, dell’acqua, del bosco; lo sguardo sui paesaggi nel quale l’occhio si posa sul colore che sale e scende insieme alla luce sulle montagne; paesaggi che seguendo il ritmo delle stagioni, parlano di bellezza e che esistono perchè li vediamo, li chiamiamo, li fotografiamo”.

Tutto questo è raccontato nelle circa 35 fotografie esposte. Un itinerario tra gli sguardi degli animali, i paesaggi colti nelle quattro stagioni, per arrivare agli scatti più astratti del ghiaccio, della neve,della brina, dell’acqua, delle rocce e del sole. Un percorso che si conclude rasentando ‘il pittorico’, ossia fotografie realizzate con tecniche che richiamano la pittura. A chiusura di tutto due immagini dove l’assenza e’ il soggetto perchè spesso “in fotografia più togli meno è”. Un elogio dell’essenziale. Un modo per imparare a guardare oltre.

La mostra sarà visitabile fino al prossimo 3 marzo.
Orario di apertura: dalle 14.30 alle 17.30

Con cortese richiesta di pubblicazione

Il “Forte di Bard” atterra a Malpensa

Dall’ottocentesco complesso fortificato di Casa Savoia all’Aeroporto di “Milano Malpensa”, va in trasferta la mostra fotografica “Donne di terre estreme” di Caterina Borgato

Fino al 2 aprile

Sicuramente una bella idea (perché non a Caselle?) per allietare la sosta dei viaggiatori in arrivo o in transito all’Aeroporto di “Milano Malpensa”. Per tutti loro, fino al prossimo martedì 2 aprile, sarà possibile allietare l’atterraggio o ingannare l’attesa di un nuovo volo, regalando ai loro occhi e alle loro sfere emozionali la visita di una mostra fotografica di altissima suggestione. Parliamo di “Donne di terre estreme”, personale della fotografa e viaggiatrice veneziana di Mirano, Caterina Borgato, curata dal valdostano “Forte di Bard” in collaborazione con “Montura”  (marchio nato a Rovereto nel 2000 da un’idea di Roberto Giordani e diventato oggi prestigioso riferimento per tutto quanto é prodotto tecnico da montagna), che ben si inserisce – nell’ambito della partnership con “Sea Aeroporti” – nel contesto del “Terminal Arrivi Internazionali” di “Malpensa”.

In mostra leggiamo, cristallizzate in immagini di grande perfezione tecnica, storie di “terre estreme” e, insieme, di “donne estreme”. Altri mondi. Volti scolpiti nella durezza mortificante dei luoghi rappresentati, che pure lasciano spazio a increduli e improbabili sorrisi, accompagnati dalla fierezza di sguardi sospettosi ma carichi di tangibile umanità e disponibilità di accoglienza. Quello tracciato dalla Borgato è un percorso di ricerca, umano e poetico, nella realtà femminile in terre considerate geograficamente “estreme”, ai margini più remoti del nostro mondo.  “Estreme per la lontananza geografica – si legge in nota – ma anche per le condizioni ambientali e climatiche, che condizionano i gesti della vita quotidiana delle persone che le abitano”. Ecco allora, fra le tante, donne che vivono negli altipiani della Mongolia occidentale o sulla remota isola di Socotra nell’Oceano Indiano o nelle terre desertiche della Dancalia, nel Corno d’Africa. In ognuna di loro, nel loro aprirsi agli altri, nelle profondità del loro occhi, possiamo davvero leggere o scoprire o riscoprire una testimonianza dell’unione del mondo femminile che rappresenta le fondamenta e la comune liaison di queste società sconosciute e tanto lontane.

Le fotografie sono tratte dal volume “Donne di terre estreme”, la prima pubblicazione di Caterina Borgato edita da “Montura Editing” nel 2021: un’ampia antologica fotografica, frutto dei suoi numerosi viaggi e soggiorni in Yemen, Mongolia ed in Etiopia, che lei descrive come le “esperienze più intense della sua vita”. Nata da una famiglia di alpinisti e viaggiatori (e laureata in “Scienze Politiche”), la Borgato ha viaggiato anche nell’Africa sub Sahariana ed Equatoriale, in Asia, in Medio Oriente e in Sud America. Il viaggio è da lei vissuto come “scuola di umiltà” e l’incontro con l’umanità “altra” come una “preziosa ricchezza”. Dal 2004 è expert on tour per “Kel12 National Geographic Expedition”. La sua “è una professione di ricerca, studio, approfondimento e soprattutto condivisione”.

Per info: “Associazione Forte di Bard”, tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it

Gianni Milani

Nelle foto: parte dell’allestimento a “Malpensa” e foto di “Donne di terre estreme” di Caterina Borgato

Mahler “orientale” al “MAO”

 

Si intitola “Frammenti” il singolare evento musicale dedicato a Gustav Mahler dal “Museo d’Arte Orientale” di Torino

Domenica 11 febbraio, ore 12/13 e 17/18

Abbracciare e divulgare l’idea di un “orientalismo consapevole”, sottolineando il carattere di parzialità e soggettività implicito nel concetto di Oriente. Parte di qui la volontà del “MAO-Museo d’Arte Orientale” di Torino, di “dare spazio a voci dissonanti e punti di vista alternativi, per suggerire nuove possibili letture dei fenomeni culturali che, dall’Asia, si diffondono in Europa e in tutto il mondo”. E di qui prende avvio l’iniziativa, sicuramente singolare, messa in campo per domenica 11 febbraio (ore 12/13 e 17/18) dell’evento musicale dal titolo “Frammenti”(da un’idea di Erik Battaglia, con coreografie di Vincenzo Di Federico e di Lanxin Zheng), attraverso il quale, negli spazi del “Museo” di via San Domenico, risuoneranno dal vivo le note di alcuni brani di “Das Lied von der Erde”( “Il canto della terra” ) di Gustav Mahler, composizione per contralto, tenore e orchestra in sei movimenti che mette in musica altrettanti “Lieder” della raccolta “Die chinesische Flöte” del poeta tedesco Hans Bethge, un’antologia di testi di autori cinesi di “epoca Tang” (fra cui Li Bai e Wang Wei) riscritti dall’autore a partire da versioni tedesche e francesi. Con “Il canto della terra”, e soprattutto con il conclusivo “Abschied”, il grande compositore austriaco prende congedo dalla vita ma “l’addio, pur nella sua drammaticità, suggerisce il ricordo di una vita felice e piena e porta con sé una promessa di rinascita e di eternità”.

 

Inserito nell’ambito dei festeggiamenti per il “Capodanno cinese” (dal 10 al 24 febbraio), l’evento é il secondo atto di una collaborazione avviata lo scorso anno fra il “MAO” e il “Conservatorio Statale di Musica Giuseppe Verdi” di Torino in occasione di “Sonic Blossom”, la “performance partecipativa trasformativa” dell’artista taiwanese-americano Lee Mingwei che ha animato il “Museo” a maggio 2023. Nell’ambito di questa collaborazione e del progetto#MAOTempoPresente, che aspira a trasformare le sale e le gallerie del “Museo” in luogo vivo, spazio di sperimentazione e conoscenza delle culture dei Paesi dell’Asia attraverso esperienze multisensoriali, al “MAO” saranno installati due pianofortigenerosamente messi a disposizione dell’azienda “Piatino” di Torino: fino al 2 giugno gli strumenti, collocati nelle gallerie“Giappone 1” e “Paesi islamici dell’Asia”, saranno a disposizione di un gruppo di studenti del Conservatorio, che potranno esercitarsi durante l’orario di apertura del Museo.

Sottolineano dal “MAO”: “Da Schubert a Ravel passando per Schumann, Puccini, Mahler, Debussy e molti altri, il repertorio sarà quello della tradizione musicale classica occidentale legato al fenomeno dell’orientalismo e rappresenta una nuova occasione di riflessione sull’ ‘eurocentrismo’, sulla percezione dell’altro, sull’insieme di stereotipi in cui l’Occidente ha rinchiuso e imprigionato l’Oriente, dipingendone un’immagine esotica, selvaggia e favolosa”. Ben lontana dal vero.

Artisti partecipanti: Laura Capretti(mezzosoprano), Emma Bruno (contralto), Pamela Pelaez (flauto), Pier Nicolò La Rotonda (oboe), Viola Pregno (violoncello), Diletta Capua (arpa), Lorenzo Abbona (tam tam).

Per info: “MAO-Museo d’ARTE Orientale”, via San Domenico 11, Torino; tel. 011/4436932o www.maotorino.it

g.m.

Nelle foto: “Abschied”, versione cinese e Arpa

 

Alessandro Baricco: “Abel”, come un western metafisico

Ti prende dall’incipit e ti porta rapidamente al fuoco della narrazione. L’ ultimo romanzo di Alessandro Baricco è in qualche modo una novella zen, in salsa western ( Abel, Feltrinelli, i narratori 2023 €.17, pagg. 146). L’ “autobiografia morale” dello scrittore torinese. Un ‘western metafisico’ si dichiara nel sottotitolo. La ricerca del significato dell’ esperienza del dolore e, leggi malattia, è palese nel testo. Delle molte facce che può assumere ai nostri occhi, solitudine, catarsi addirittura epica e intreccio avventuroso. Ma sempre alla ricerca del senso, di un senso che fa appello al lettore come in Calvino. Senso  attribuito, interpretazione. Baricco ci insegna che il romanzo può dire tantissimo, in poche pagine, se vuole ottenere la profondità. Nel tempo filmico il re è Woody Allen, che manda mai oltre i 90′ le sue pellicole. Già il genere western fu rivisitato da Baricco, con il magnifico “Smith & Wesson” un testo prevalentemente dialogico. Quest’ultimo chiaramente intimista, freudiano, a suo modo buddista. Il romanzo descrive un West crepuscolare e post moderno. Perché il western è il più moderno dei generi. Classico perché ci parla di un passato lontano e in qualche modo epico, moderno perché raccontato in un presente assoluto. Tanto da essere stato esautorato, dal cinema americano stesso. Scomparso. Troppo storico, troppo ‘lo ieri americano’. E’riemerso in Tarantino, fuori dai suoi stilemi.

“Prendete un fatto “isolatelo” tutto ciò che rimane della realtà è narrazione”, ha detto recentemente lo scrittore torinese intervistato da Fabio Fazio a “Che tempo che fa”. Così è Abel. Un testo che ha preso all’autore anni, nella stesura. Ricca la ricerca bibliografica, cui ha attinto. Testimoniata dalle note in calce. Scrivere il western basato in prevalenza sull’immaginario visivo, è un pó “narrare un quadro” come l’autore ha anche fatto alcuni fa in un suo saggio-racconto ( Mr. Gwin, Feltrinelli,  2011). Ma è anche sempre il West del bonelliano Tex e dei suoi pards, di Lilith.

Il West di Wim Wenders in “Paris Texas” dei grandi spazi, delle cavalcate, dei silenzi, dei canyons, dei saloon, del fango, del sudore, del destino, delle chitarre di Ry Cooder, della sensualità di Nastassja Kinsky. Allora il West commuove. Ci vedi dentro Torino e i ricordi di quando eri bambino e poi giovane adulto, che aspettavi all’edicola l’uscita dell’ultimo albo di Tex, allora disegnato da Aurelio Galeppini (Galep). Che concludeva la storia, iniziata nel numero precedente, come in un fuilleton. Lo si aspettava come la partita del Toro la domenica, perché il Western è granata, è sempre “tutto una storia in salita”. Sanguigno, popolare, passionale. Marlon Brando riaprì il genere ‘scomparso’ dalle sale nei settanta con “Missouri”, poi il West sociale del “Piccolo grande uomo”. Oggi Alessandro Baricco, dal calamo. Formidabile.

Aldo Colonna

1944, deportazione politica e Resistenza in Piemonte

La Sezione ANPI “Eusebio Giambone” di Torino organizza Venerdì 16 febbraio 2024 alle ore 17,30 presso l’Unione Culturale Franco Antonicelli in via Cesare Battisti 4 a Torino l’incontro pubblico sul tema “1944. Deportazione politica e Resistenza in Piemonte”. Interverranno gli storici Barbara Berruti, direttrice dell’Istoreto “Giorgio Agosti” e Bruno Maida, professore di Storia contemporanea presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Torino. I lavori saranno introdotti da un saluto di Daniele Valle, vicepresidente del Consiglio regionale e presidente del Comitato Resistenza e Costituzione. La vicenda dei deportati politici italiani, condotti dall’Italia nei campi di concentramento del Terzo Reich per la loro opposizione al regime nazifascista tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945, rappresenta una delle pagine più dolorose e drammatiche di quell’epoca, accanto al dramma della popolazione ebraica e dei militari che vennero deportati dopo il rifiuto di aderire alla repubblica fascista di Salò. Nei vari campi in cui gli antifascisti e i partigiani furono detenuti erano contrassegnati da un triangolo rosso e sottoposti a un durissimo regime carcerario e di lavoro coatto che causò per molti la morte. Le preziose testimonianze, orali e scritte, di Lidia Rolfi sulla deportazione femminile e l’immane lavoro di ricostruzione del fenomeno da parte di Italo Tibaldi sono alla base delle successive ricerche storiche. L’evento è patrocinato dal Consiglio regionale del Piemonte e dal Comitato Resistenza e Costituzione.

Palcoscenico Danza 2024, l’altra metà del mondo

Sono otto gli appuntamenti della rassegna diretta da Paolo Mohovic per il teatro Astra

 

Sono otto gli appuntamenti di Palcoscenico Danza 2024, l’altra metà del mondo, la rassegna diretta da Paolo Mohovic, progetto del TPE Teatro Astra. Coreografi di rilievo nazionale e internazionale metteranno in scena le loro creazioni, due prime assolute, una produzione TPE, due coreografie firmate da Mohovich.

Il 10 febbraio prossimo andrà in scena al teatro Astra Cultus della compagnia Zappalà Danza.

Il 13 febbraio prossimo al Teatro Astra andrà in scena ‘Svelarsi’ di Silvia Gallerano, uno spettacolo rivolto alle donne o a chi si sente tale per riappropriarsi dello spazio negato dal patriarcato. E per farlo non si può che parlare di corpo, il corpo femminile. Invasione, mancanza di spazio, compressione da una parte. La potenza, lo strabordare, la risata travolgente dall’altra. La cultura patriarcale che ancora ci circonda insegna alle donne sin da piccole a limitare i propri desideri di potenza e ad accettare invasioni di campo da parte dell’altro sesso, dove il campo è il corpo, a mettersi in disparte e per senso di costrizione spesso a esplodere. Si parte da vissuti diversi che hanno una nota comune, l’umiliazione, la mutilazione, l’invisibilità.

Dal 15 febbraio al 17 marzo sarà di scena la pièce “Le mie parole vedranno per me” di Marco Cosucci e Andrea Dante Benazzo.

L’indagine sullo sguardo e il non vedere di Marco Cosucci si traduce in uno spettacolo immersivo e site specific realizzato in Area X, nell’ambito della stagione sostenuta da Intesa Sanpaolo.

Settanta registrazioni, diari sonori e tecnica binaurale, quando la tecnologia si pone al servizio della creazione artistica. In questo spettacolo sonoro immersivo due giovani promesse del teatro contemporaneo indagano il rapporto tra vedere e non vedere, portando in scena le testimonianze di persone cieche o ipovedenti. Lo spettatore, affiancato da un performer, viene messo al centro di un universo percettivo che contempla una pluralità di spazi, voci e suoni, ascoltando in cuffia ricordi e riflessioni di persone con cecità totale e parziale. In questo modo viene portato a interrogarsi sulla percezione della realtà e sul rapporto tra cecità e sguardo nel processo di formazioni di immagini. Marco Corsucci realizza così uno spettacolo che inverte le logiche dell’accessibilità: “Le mie parole vedranno per me” fa dell’accessibilità l’elemento portante del suo linguaggio.

Dal 16 al 18 febbraio prossimo al Teatro Astra andrà un scena il ‘Capitale’ di Enrico Baraldi e Nicola Borghesi, che narra la storia dell’incontro tra una compagnia di teatro e un gruppo di operai metalmeccanici in una fabbrica occupata, insieme sulla scena. La compagnia Kepler-452, per affrontare il Capitale di Karl Marx, ha vissuto per due mesi all’interno della fabbrica GKN di Campi Bisenzio, occupata dal 9 luglio 2021. Una compagnia di teatro sceglie di mettere in scena il Capitale di Karl Marx, perché, dopo la fine del primo lockdown, avverte la necessità di mettersi in ascolto di chi, nella fase immediatamente successiva, avrebbe perso il posto di lavoro. Nicola ed Enrico decidono di girare l’Italia alla ricerca di quei luoghi in cui le pagine di Marx diventano persone, spazi, avvenimenti. Parlano con braccianti agricoli, sikh, lavoratori della logistica, sindacalisti di base. Un giorno finiscono in una fabbrica, la GKN di Campi Bisenzio, che ha appena chiuso. La mattina del 9 luglio 2021 i 422 operai della GKN ricevono una mail. Non devono tornare al lavoro il giorno dopo. Sono licenziati. Da quel giorno occupano la fabbrica, organizzano una mensa, un ufficio propaganda, dei turni di guardia. All’inizio dell’autunno la compagnia entra per la prima volta alla GKN. Gli operai li invitano a mangiare con loro.

Il 17 febbraio alle 21 si terrà il dialogo con Francesca Coin e Laura Bevione dal titolo “Perdere o lasciare. Il lavoro oggi” cui interverranno anche Enrico Baraldi e Nicola Borghesi, in collaborazione con la Fondazione Circolo dei Lettori. Ci si interrogarsi sul motivo per il quale sempre più persone lasciano il proprio lavoro. Francesca Coin, sociologa, è autrice del volume “Le grandi dimissioni”( Einaudi)

Ingresso libero fino a esaurimento posti disponibili.

Prenotazione consigliata a dialoghi@fondazionetpe.it

Biglietti abbonamenti e informazioni su fondazionetpe.it e in biglietteria al teatro Astra ( martedì-sabato 16/19)

MARA MARTELLOTTA

Cechov… per sempre Alla “Soms” di Racconigi

La compagnia teatrale “Muta Imago” si confronta con le “Tre sorelle” del grande drammaturgo russo

Sabato 10 febbraio, ore 21

Racconigi (Cuneo)

Opera iconica, fra le più rappresentate, nel tempo e alle più varie latitudini (del 2000 una versione giapponese della scrittrice Ai Nagai), le “Tre sorelle” – composta da Anton Cechov nel 1900, cui seguirà nel 1903 “Il giardino dei ciliegi” – sarà presentata, quale quinto appuntamento della rassegna teatrale “Raccordi”, nata nel 2022 dalla collaborazione dell’Associazione “Progetto Cantoregi” con la Fondazione “Piemonte dal Vivo”sabato 10 febbraioore 21, alla “Soms – ex Società Operaia di Mutuo Soccorso” a Racconigi (via Carlo Costa, 23), messa in scena  dalla Compagnia Teatrale romana “Muta Imago”, guidata da Claudia Sorace, regista, e Riccardo Fazi, drammaturgo e “sound artist”.

Il dramma cechoviano, ispirato, oltre un secolo fa, alle tre sorelle Zimmermann di Perm’ (figlie di un generale morto l’anno appena trascorso rispetto alla storia narrata: Maša sposata giovanissima a Kulygin, un professore di ginnasio che non ama; Ol’ga, la maggiore, insegnante liceale, e Irina, la più giovane) si apre e si dipana intorno ad una domanda che percorre insistente corpi e anime: “Perché ricordare?”.

In questa riscrittura, la Compagnia (abilmente diretta da Claudia Sorace) mette in scena la vita delle tre protagoniste e la loro volontà di “rendere la propria casa un luogo inviolabile contro lo scorrere degli eventi”. In una sorta di “buco nero”, sospeso tra passato e futuro, che non lascia spazio a vie d’uscita, le tre donne rivivono momenti, luoghi e situazioni che hanno segnato le loro vite, dalla morte del padre alla guerra, dagli amori ai fantasmi del passato. La loro é una sorta di “performance esoterica”, dolorosamente tesa a capire come liberarsi da ciò che è stato per aprirsi definitivamente verso il futuro. 

Spiega la regista, Claudia Sorace“Le parole pronunciate in scena saranno solo quelle di Cechov. Si è trattato piuttosto di togliere, di sottoporre il materiale a un lento procedimento alchemico di condensazione e colatura, che alla fine ha fatto restare l’essenziale. Abbiamo cercato ogni parola dove risuonasse la lotta, lo sforzo continuo di costruire un luogo inviolabile contro l’inevitabile scorrere degli eventi. Quel che rimane, e che continuerà a riecheggiare nel tempo, è la voce di tre donne, viste come le future fondatrici di mondi futuri”.

“Maghe” o “medium”, le sorelle “vengono attraversate dalle voci e dai corpi dei protagonisti maschili”. La morte del padre, l’arrivo dei soldati, gli innamoramenti, le violenze, i discorsi sul tempo e sul futuro, il carnevale notturno, l’incendio: tutto riaffiora, “torna e ritorna all’interno del meccanismo drammaturgico che rappresenta l’ultimo esito della riflessione sul rapporto tra ‘Tempo’ e ‘Identità’ che da anni è l’oggetto della ricerca di ‘Muta Imago’”.

Per info: tel. 349/2459042 o www.progettocantoregi.itg.

g.m.

Nelle foto: immagini dallo spettacolo

“Te l’avevo detto”, Ginevra Elkann alla sua seconda prova

 PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

Una tragedia climatica che sconvolge corpi e menti Siamo colpiti da tragedie climatiche, siamo colpiti nei corpi e nelle menti, un paio di anni fa ce le raccontava Virzì con quella siccità che prosciugava il grande fiume della capitale, poi gli incendi e le ceneri palpabili di Sollima, dovremo aspettarci di qui a non molto la pioggia di rane di Anderson a schiacciarsi sulle strade e sui parabrezza delle auto. Torniamo ai terrori dell’antichità, il futuro ci spaventa. E non poco. Dopo “Magari”, Ginevra Elkann arriva alla sua opera seconda con “Te l’avevo detto” e annega Roma in una insopportabile calura che inaspettata la ricopre durante i mesi invernali, un imperituro disco solare fisso nel cielo, una luce rarefatta, un impasto di giallo e arancio che la fotografia di Vladan Radovic coglie con esemplare quanto più che insistita esattezza. Un deserto africano, calore, corpi sudaticci e affaticati, tutti quanti persi in un girone dantesco di smarrimento, di insicurezza, di ricerca di una strada che li riporti a ritrovare un’aria più fresca e pulita.

Una via d’uscita cercasi. Simbologie volenterose ma quantomai facili. Nella scrittura concepita con Chiara Barzini e Ilaria Bernardini, di qualche pregio e di notevoli difetti, Elkann accompagna le vicende di una mezza dozzina di strampalati esseri umani (quanta voglia abbiamo di gente normale!), ad iniziare dalla Gianna di una sempre convincente – nel suo logorroico isterismo – Valeria Bruni Tedeschi, ossessionata da un versante religioso (madonnine e sacricuoredigesù abbondano) come dal suo e dal passato di Pupa (Valeria Golino, godetevela tutta, lei sì), pornostar con ritocchini e parrucca bionda, calata ormai sul viale del tramonto e che certo non dice di no ai selfie degli ultimi fan, colpevole di averle rovinato la vita sul versante coniugale e non soltanto: per tacere della di lei figlia, Mila, un brutto rapporto con il frigorifero e uno po’ di quattrini da definirsi stipendio facendo da badante alla vecchia signora Maria Antonietta, una immobile Marisa Borini. Alba Rohrwacher, madre che combatte contro l’alcolismo anche il giorno in cui il suo piccolo vorrebbe festeggiare con lei il proprio compleanno e che invece s’ingolla i fondi dei bicchieri che ritrova sui tavoli della festa: Rohrwacher continua a essere la (insopportabile) Rohrwacher e Scamarcio, che ormai sappiamo da sempre sui binari di un’unica espressione, trovandosi di passaggio sul set ha dato una mano all’amica regista nel ruolo di padre. Quello di Caterina e Riccardo è il raccontino peggio raccontato, insulso, prevedibile, vuoto, senza un’ombra di sviluppo, con due attori disadatti a gettare loro addosso uno straccio di emozione e di sentimento. Forse qualcosa di buono, più che un barlume di autenticità, ci viene dal prete Bill di Danny Houston, eroinomane a scacciare le tentazioni, poca voglia di fedeli e di confessioni, che vede non proprio di buon occhio l’arrivo della sorella Fran (Greta Scacchi: una bella coppia d’attori) che dagli States porta le ceneri della madre, per seppellirle al cimitero acattolico, accanto alla tomba di Keats, secondo i voleri. Ma riaffiorano ricordi e infanzie non troppo felici (è il film della tensione di rapporti tra generazioni, le madri messe all’angolo, forse in una scrittura che inevitabilmente porta con sé un tratto anche fievole di autobiografia? i padri sono una fotografia incorniciata, un’assenza, una presenza senza capo né coda), egoismi e soprusi, un affetto schiacciato da anni e una mal sopportazione, un equilibrio ritrovato: le ceneri della defunta non vedranno esaudite le proprie volontà e finiranno davvero irrispettosamente male. Ambizioso e zoppicante, fragile e inconcludente, prevedibile e soltanto ben intenzionato a tratteggiare storie con una qualche robustezza, “Te l’avevo detto” non mi pare sia la somma di qualche passo avanti fatto dall’autrice di “Magari”. Al centesimo minuto di proiezione ti rimane davvero poco da portarti a casa e rimpiangi quei film corali, intelligentemente intrecciati e profondi, che portavano le firme di Altman e di Kasdan, di Anderson e di Haggis. Certamente, Elkann non ha ancora i mezzi adatti.

Paesaggi, natura e città nuova mostra alla galleria d’arte Pirra

Dal  9 febbraio al 2 aprile 2024

 

“Paesaggi, natura e città” è il titolo della nuova mostra ospitata alla galleria d’arte Pirra da venerdì 9 febbraio 2024.

Il paesaggio costituisce un percorso tematico che permette di essere declinato in molti modi, a volte anche antitetici, valorizzando la natura incontaminata o il contesto urbano ed è stato scelto per questa mostra in virtù della sua vaghezza, per consentire, come presso amiamo fare, di spaziare liberamente tra i tanti nostri artisti, spesso distanti per epoca o formazione.

Tra le opere italiane spiccano una bellissima veduta dalle alture di Torino di Enrico Reycend (1855-1928), sorella di una tela di proprietà della Gam e un paesaggio futurista di Taro (1896-1974).

Saranno esposti altri dintorni torinesi e una veduta di Salerno di Edgardo Corbelli (1918-1989), oltre a una veduta di Venezia e a un lungofiume a Parigi rispettivamente di Angelo del Bon (1898-1952) e Cesare Breveglieri (1902-1948). Saranno presenti anche i non luoghi di Fernando Farulli, pittore fiorentino che partecipò alla Biennale di Venezia nel 1952 dalle violente dissonanze cromatiche.

Gli autori francesi sono rappresentati da Henry Biva (1848-1928) con l’opera “Paysage”, esposta in diverse mostre istituzionali tra cui la recente esposizione “Impressionisti. Tra sogno e colore” al Mastio della Cittadella nel 2023, Henry Maurice Cahours (1889-1974), con le incantevoli marine tra Bretagna e Normandia, e l’ormai iconica Dora Maar (1907-1997), con i suoi paesaggi astratti. In mostra anche l’opera del tedesco Ernst Liebermann (1869-1960), con un suggestivo quasi fiabesco paesaggio notturno, essendo stato egli stesso illustratore di fiabe, tra le quali quelle dei fratelli Grimm. Altre opere in mostra sono quelle degli artisti russi delle Scuole di Mosca e San Pietroburgo che, refrattari alle tematiche del regime, nel paesaggio esprimono al meglio il profondo legame con la terra madre e i grandi spazi aperti, come il loro vissuto quotidiano fatto di scorci urbani.

 

La mostra rimarrà aperta fino al 2 aprile 2024

Corso Vittorio Emanuele 82

Tel 011543393

info@galleriapirra.it

 

Mara Martellotta