CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 119

Natale in Reggia, ultimi due appuntamenti 

Quattro appuntamenti pomeridiani nel magnifico scenario della Sala di Diana e nella Cappella di Sant’Uberto della Reggia di Venaria per vivere la magia delle festività fra brani salottieri romantici, gemme della musica da camera fin de siècle, ritmi spagnoli e rivisitazioni di grandi classici dal temperamento spensierato. Si intitola Natale in Reggia la nuova edizione della rassegna cameristica che Lingotto Musica presenta dal 27 al 30 dicembre in collaborazione con il Consorzio delle Residenze Reali Sabaude entro il palinsesto di mostre e attività culturali della Venaria Reale. Protagonisti giovani formazioni emergenti quali il Trio Sheliak, il duo composto dal violoncellista Fabio Fausone e dal pianista Stefano Musso, la coppia flauto-chitarra con Rebecca Viora e Pietro Locatto, e l’ensemble Running Flutes.

La rassegna si apre, mercoledì 27 dicembre alle 16 in Sala di Diana, con l’omaggio a Schubert del Trio Sheliak, che esegue l’ampio Trio n. 2 in mi bemolle maggiore op. 100 D. 929, il cui secondo movimento è divenuto celebre in tempi moderni come colonna sonora del film Barry Lyndon di Stanley Kubrick. Nato nel 2019 alla Scuola di Musica di Fiesole e ammesso nel 2022 allo Stauffer Center for Strings di Cremona per studiare con il Quartetto di Cremona, il Trio Sheliak è formato da Emanuele Brilli al violino, Matilde Michelozzi al violoncello e Sergio Costa al pianoforte. Vincitore di numerosi concorsi, fra cui il Filippo Nicosia Chamber Music Award 2022, attualmente si sta perfezionando a Lucerna, oltre a frequentare il master di musica da camera tenuto dal violista Patrick Jüdt a Berna. Il concerto è realizzato in collaborazione con Le Dimore del Quartetto, di cui il Trio Sheliak è “Ensemble dell’anno” 2022.

Giovedì 28 dicembre alle 16 in Sala di Diana, spazio alla calda espressività del violoncello di Fabio Fausone che, in duo con Stefano Musso al pianoforte, affianca la breve e enigmatica Sonata n. 4 in do maggiore op. 102 n. 1, che segna l’avvio del terzo stile beethoveniano, alle miniature salottiere dei Phantasiestücke op. 73 di Schumann e a due rarità della musica da camera italiana di fine Ottocento quali la Romanza op. 72 n. 1 di Martucci e i Feuillets d’album op. 111 di Bossi. Entrambi musicisti provenienti dal Conservatorio di Torino, dove hanno iniziato a suonare insieme in giovane età, Fausone e Musso si sono perfezionati rispettivamente al Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano e alla Hochschule für Musik di Basilea, avviando un’attività artistica che li vede regolarmente ospiti di istituzioni e festival italiani e europei. Il concerto è realizzato in collaborazione con De Sono Associazione per la Musica, che ha assegnato loro una borsa di studio.

Segue, venerdì 29 dicembre alle 16 in Sala di Diana, il viaggio nei ritmi e nei colori seducenti dell’esotismo musicale nella Francia dell’Ottocento proposto dal duo nato dalla collaborazione fra il chitarrista Pietro Locatto e la flautista Rebecca Viora, entrambi ex borsisti di De Sono che si esibiscono stabilmente per stagioni concertistiche di rilievo. Per questo organico insolito ma di notevole forza espressiva saranno adattati celebri brani di Ibert (Entr’acte), Fauré (Après un rêve op. 7 n. 1 e En prière), Satie (Gymnopédie n. 1 e Gnossienne n. 1) e Ravel (Pièce en forme de habanera), fino all’outsider argentino Astor Piazzolla (Histoire du tango).

Chiude, sabato 30 dicembre alle 18 nella Cappella di Sant’Uberto, la sorprendente cavalcata nella storia della musica dell’ensemble Running Flutes, originale riunione di famiglia che esplora tutte le possibilità timbriche del flauto con formazioni variabili (dagli 11 ai 18 elementi) composte da allievi ed ex allievi del Conservatorio di Torino. Si parte con Bach (Badinerie dalla Suite n. 2 in si minore BWV 1067), Vivaldi (Concerto in do maggiore RV 533) e Mozart (Divertimento n. 3 in fa maggiore KV 138), si prosegue con la Danza Ungherese n. 6 di Brahms e l’aria pucciniana di Lauretta “O mio babbino caro” da Gianni Schicchi, per concludere con i Favourites di George Gershwin e la Bahn frei Polka op. 45 di Eduard Strauss.

BIGLIETTI

DOVE ACQUISTARE

  • Online su lavenaria.museitorino.it
  • Biglietteria c/o Reggia di Venaria (via Mensa 34, 10078, Venaria Reale) con orari consultabili qui

INFORMAZIONI

Marta Viola, 14 anni, di Chieri, vince “Io canto generation”

Marta Viola, 14 anni, di Chieri, ha vinto ieri sera in tv “Io canto Generation”. Il programma in onda su Canale 5 condotto da Gerry Scotti che ha visto sfidarsi ben 24 giovani interpreti dai 10 ai 14 anni divisi in 6 squadre capitanate da Iva Zanicchi, Fausto Leali, Mietta, Anna Tatangelo, Cristina Scuccia e Benedetta Caretta.

A giudicarli, Al Bano, Orietta Berti, Michelle Hunziker e Claudio Amendola. Nella parte finale della serata Marta Viola, appartenente alla squadra di Benedetta Caretta, ha sbaragliato gli altri concorrenti in una sfida a tre contro Daniele Mattia Inzucchi e Sofia Leto. Marta ha fatto il pieno di 10 nelle due sfide conclusive. La scelta è  poi passata al pubblico presente in studio per la classifica finale che l’ha incoronata non di certo a sorpresa vincitrice. Marta Viola ha già rappresentato l’Italia allo Junior European Song Contest nel 2019 con il brano “Il sale della terra”. Un vero talento!

Igino Macagno

Quando, a Torino, Philip Roth intervisto’ Primo Levi

Rileggendo in questi giorni ‘’ Lamento di Portnoy ’’ (traduzione italiana Einaudi, ed. or. 1969 ) di Philip Roth salutato all’epoca come il primo scandaloso romanzo introspettivo della letteratura moderna americana, dove la grammatica del lettino dello psicoanalista, descriveva in prima persona e in forma parzialmente autobiografica, le nevrosi dell’americano medio sradicato, nichilista e oggi si direbbe postideologico e sessualmente frustrato, mi sono ricordato della visita nella nostra città del grande scrittore americano, in occasione di un incontro con Primo Levi nel 1986, per intervistarlo per il ‘’New York Times Book Review ’’. 

Venne a Torino con la moglie Claire Bloom che Levi amava ricordare per essere stata interprete di ‘’Luci della ribalta’’ che fu con la Paulette Godard del ‘’Grande dittatore’’ la musa ispiratrice preferita di Charles Chaplin. Andarono subito a Settimo alla Siva, lo stabilimento chimico industriale nel quale lo scrittore torinese lavorò per molti anni fino alla pensione, che Roth voleva visitare, per conoscere il background di Levi, di cui lesse. La distanza letteraria e culturale tra Philip Roth e Primo Levi non poteva essere più grande. Roth fu eccelso narratore dell’epopea yiddish e suo traghettatore alla fase attuale e postmoderna di Nathan Englander, Levi testimone dell’Olocausto tra i più alti. Uno con Bernard Malamud e Isaac Singer  la migliore espressione del milieu intellettuale ebraico nordamericano, l’altro voce documentaria e realista degli orrori del Novecento e dell’ebraismo piemontese laico e assimilato. Eppure si trovarono e avvenne ‘’miracolosamente’’ l’alchimia tra le due personalità e i due mondi, così tanto distanti. Andarono a pranzare al Cambio, si recarono alla libreria Luxemburg di Angelo Pezzana, dove Philip Roth firmò alcune copie delle sue opere più significative, poi si trasferirono allo studio di Primo Levi in corso Re Umberto 75, dove proseguì la loro conversazione, che fu trascritta curiosamente solo a distanza mesi dopo, al di là dell’Atlantico, in forma di epistolario, quando Philip Roth tornò negli Stati Uniti e rimise piede nella sua abitazione. Primo Levi non parlò a Roth della sua grave depressione e fece amicizia con la Bloom che trovò bella, colta ed empatica, all’epoca ancora legata a Philip. Roth scrisse che in Levi ‘’ la scrittura emanava come da un chimico divenuto narratore suo malgrado, piuttosto che il contrario’’, come l’opera ‘’Il Sistema periodico’’ starebbe a sottolineare e le necessità esistenziali dello scrittore torinese a richiederlo. Tutto in Levi è intuito, folgorazione, analisi caratteriale, fiuto del modo di pensare dell’altro, secondo l’americano. Primo Levi non parlò a Philip Roth della sua letteratura pur avendo letto alcune opere, preferì l’atteggiamento schivo, che da sempre umanamente lo caratterizzò, conoscendo poco la critica letteraria, attività che l’americano per contro esercitò sempre in parallelo, a quella di romanziere. Tra Newark nel New Jersey e Torino avvenne una storica stretta di mano e due ambienti culturali agli antipodi videro per sempre il proprio volto riflesso.

Aldo Colonna

“Il lago dei cigni” al Teatro Concordia

Teatro Concordia, corso Puccini, Venaria Reale (TO)

Martedì 2 gennaio, ore 21

 

Con il Teatro Nazionale dell’Opera Rumena di Iasi

 

 

“Il lago dei cigni” è uno degli immortali capolavori della storia del balletto del XIX secolo firmato Marius Petipa. Rappresentato nel 1877 per la prima volta al Teatro Bol’šoj di Mosca, nonostante le musiche di Caikovskij, nell’immediato non ebbe il successo che fu poi raggiunto nel 1894, anno in cui venne messo in scena al Teatro Marijinskij di San Pietroburgo.

“Il lago dei cigni” racconta l’incantevole storia d’amore fra il giovane principe Siegfried e Odette, una creatura ultraterrena trasformata in cigno dal perfido mago Rothbart per aver rifiutato il suo amore.

A far rivivere l’emozione di questo classico dalle atmosfere ovattate, con disegni di luci e scenografie suggestive, il Balletto dell’Opera di Iasi, una delle più acclamate compagnie di danza classica che da più di 24 anni compie tournée in tutta Europa.

 

Martedì 2 gennaio, ore 21

Il lago dei cigni

Coordinatore coreografico e regia: Cristina Todi

Assistenti coreografi: Cristian Preda

Direzione tecnica: BogdanTuluc

Corpo di ballo del Teatro Nazionale dell’Opera Rumena di Iasi

Biglietti: intero da 38 a 48 euro, ridotto bambini e gruppi da 30 a 42 euro, visibilità ridotta 20 euro

A un’ora da Torino: Savona, dai Papi alle crociere

Città dei crocieristi, delle torri e dei Papi, Savona è una bella città, facile da visitare per chi ha poco tempo. Il piccolo centro storico si gira agevolmente a piedi tra vicoli stretti, palazzi colorati e lunghe vie centrali come via Paleocapa. Per raggiungere tutte le altre località del Ponente è quasi d’obbligo passare da Savona ma spesso la città viene considerata solo un luogo di passaggio, sovente ignorata e trascurata. È uno sbaglio, andrebbe visitata e goduta anche Savona. Viene chiamata la Città dei Papi perché nei dintorni di Savona nacquero ben due Papi, Sisto IV, Francesco della Rovere (1414-1484), il pontefice che commissionò la Cappella Sistina di Roma e Giulio II, Giuliano della Rovere (1443-1513). Una piccola cappella Sistina c’è anche a Savona, accanto alla cattedrale dell’Assunta, fatta edificare proprio da Sisto IV come cappella funeraria per i suoi genitori. Non è certo paragonabile alla cappella omonima romana ma è comunque un’attrazione da non perdere. Si può visitarla sabato 10-12,30 e 16,00-18,00 e domenica 10-12 e 16-18, le visite pomeridiane sono sospese a luglio e agosto. Il Duomo, realizzato nel Seicento accanto alla cappella, si può vedere quando non sono in corso le funzioni religiose per ammirare gli affreschi di scuola genovese e savonese, l’organo voluto da Papa Sisto IV e gli appartamenti papali dove un altro Papa, Pio VII, fu rinchiuso come prigioniero di Napoleone ai primi dell’Ottocento. Ma il simbolo più importante della città è però la Torre del Brandale al porto, a Campanassa per i savonesi, la torre più importante tra le diverse torri della città. Innalzata nel Trecento, la campana suona quando in città succede qualcosa di importante. Ma accanto alla torre si anima un intero centro storico che merita una visita. A pochi metri svettano le torri, più basse, Guarnero e Corsi, e poco più in là, all’ingresso di via Paleocapa, fa bella mostra di sé la Torre Leon Pancaldo che, eretta alla fine del Trecento, faceva parte della cinta muraria. A picco sul mare c’è l’imponente e straordinaria fortezza del Priamàr, eretta dai genovesi nel Cinquecento per proteggere la città dagli attacchi dal mare. Il porto fu interrato e sul colle del Priamàr venne costruita la piazzaforte dopo aver abbattuto l’antica cattedrale, tre ospedali, la chiesa e il convento dei Domenicani e diversi oratori. Scomparve in pratica la parte più importante della città di epoca medioevale. Gli storici fanno notare che nel Duecento a Savona si trovavano almeno 50 torri e una decina si innalzavano sul Priamàr. La fortezza, che conserva i pochi resti dell’antica cattedrale cittadina, fu anche carcere con Giuseppe Mazzini in cella. Oggi è un grande teatro all’aperto con spettacoli e concerti per tutta l’estate e ospita il Museo archeologico e il Museo Sandro Pertini. Infine, da gustare in tutti i sensi, la Vecchia Darsena con il porticciolo turistico a pochi minuti dal Priamàr, luogo di incontro di savonesi e turisti a spasso tra pescherecci, ristoranti e trattorie.                         Filippo Re

nelle foto:

la Fortezza del Priamàr a Savona

La Torre del Brandale con le torri minori

Interno della Cappella Sistina accanto alla Cattedrale

Gustav Klimt, le avventure di un capolavoro

Da Piacenza al valdostano “Forte di Bard”, in bella mostra il celebre “Ritratto di signora” dell’artista viennese

Fino al 10 marzo 2024

Bard (Aosta)

Al “Forte”, lo definiscono un “quadro evento”. Certamente, la sua esposizione al pubblico rappresenta un appuntamento più che speciale nell’ambito della stagione espositiva invernale. Dipinto dal funambolico destino, il quadro di cui si parla, e che sarà in visione negli spazi della “Cappella Militare” al “Forte di Bard”fino a domenica 10 marzo, è il famoso “Ritratto di signora” dipinto fra il 1916 e il 1917 da Gustav Klimt (Vienna 1862 – 1918), fra i più significativi e celebri artisti della cosiddetta “Secessione viennese – Wiener Secession”, da lui fondata (insieme ad altri diciannove artisti, simbolisti, naturalisti e modernisti) nel 1897, come rifiuto totale dell’arte accademica tradizionale.

L’opera arriva a Bard dalla “Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi” di Piacenza cui appartiene ed è una delle tre opere realizzate dal grande maestro viennese presente sul suolo italiano, nonché l’unica ad essere stata acquistata da un collezionista privato, a differenza della “Giuditta” (1901) della veneziana “Ca’ Pesaro” e de “Le tre età della donna” (1905) – entrambe appartenenti al “periodo aureo” di Klimt – della “Galleria Nazionale d’Arte Moderna” di Roma. Il quadro venne acquistato nel 1925 dal nobile industriale piacentino Giuseppe Ricci Oddi, per 30mila lire, dal gallerista milanese Luigi Scopinich che, a sua volta, lo aveva acquistato a Vienna dal gallerista austriaco Gustav Nebehay. Il dipinto fu inizialmente appeso in parte nella sala da biliardo di casa Ricci Oddi, per poi approdare alla “Galleria” aperta dal collezionista stesso nel 1931. La storia del dipinto, segnata da avventurose vicende, viene svelata al “Forte” valdostano attraverso un allestimento di grande impatto scenico grazie ad un progetto curato da “Forte di Bard”, “Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi” e “Skira”, il più antico e glorioso marchio nella storia dell’editoria d’arte internazionale. La tela appartiene al “periodo maturo” (o “fiorito”), all’ultima fase dell’attività di Klimt che, l’anno successivo, di ritorno da un viaggio in Romania, morirà colpito dall’epidemia di influenza spagnola. E’ un periodo per l’artista di forte “messa in discussione” del proprio linguaggio artistico, entrato in contatto e criticamente scontratosi con la produzione di artisti come Van Gogh, Matisse, Toulouse-Lautrec e, soprattutto, con la pittura espressionista di Egon Schiele ed Oskar Kokoschka (già suoi allievi) che lo portano completamente fuori dal precedente “fulgore dell’oro” e dalle decorative linee dell’“Art Nouveau”. La sua pittura si fa allora meno sofisticata e più spontanea, pronta ad abbracciare gli inviti spontanei di una tavolozza più accesa, con pennellate quasi “sbrigative”, rapide e marcate e meno attente ai rigori del segno per un approccio ai soggetti (ritratti femminili, in particolare, dai rossi accesi di labbra e gote e dai blu intensi degli occhi fino al nero corvino dei capelli) più emozionale e poeticamente più istintivo. Nel dipinto “Ritratto di signora” non  è nota l’identità della donna raffigurata, che con ogni probabilità è una delle tante modelle che posarono per l’artista. L’opera deve la propria fama alle incredibili vicende che l’hanno vista protagonista.

Spetta a una studentessa di un liceo piacentino – Claudia Maga – avere intuito nel 1996 la particolarissima genesi dell’opera poi confermata dalle analisi, cui la tela è stata sottoposta: Klimt la dipinge, infatti, sopra un precedente ritratto già ritenuto perduto raffigurante una giovane donna identica nel volto e nella posa all’attuale effigiata, ma diversamente abbigliata e acconciata.

Ma i colpi di scena non finiscono qui: il 22 febbraio 1997, la tela di Klimt viene rubata dalla “Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi” con modalità che le indagini non riusciranno mai a chiarire. Per la ricomparsa del dipinto occorrerà aspettare quasi ventitré anni e il suo ritrovamento sarà ancora più enigmatico del furto. Esso avviene il 10 dicembre 2019durante alcuni lavori di giardinaggio lungo il muro esterno del Museo piacentino. Qui, in un piccolo vano chiuso da uno sportello privo di serratura, viene rinvenuto un sacchetto di plastica, dentro al quale vi è una tela: è il “Ritratto di signora” di Klimt. Quando il caso s’allea con la fortuna!

Gianni Milani

“Gustav Klimt, le avventure di un capolavoro”

Forte di Bard, via Vittorio Emanuele II, Bard (Aosta); tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it

Fino al 10 marzo

Orari: feriali 10/18; sab. dom. e festivi 10/19. Lunedì chiuso

Nelle foto: Gustav Klimt “Ritratto di Signora” (dettaglio) e ambientazione, olio su tela, 1916 – ’17; Credits “Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi”  di Piacenza

“La materia parla”. A Chieri, un ricco panorama di “sculture d’autore”

In dialogo con i più importanti siti storici della Città

 

Fino al 7 gennaio 2024

Chieri (Torino)

Sculture d’autore. Sculture d’arte contemporanea di peso internazionale, proposta in una molteplicità di caratteri e sfumature su cui riflessione e dialogo sono chiamati, giocoforza, al confronto e alla più libera interpretazione. Sono 18 gli artisti rappresentati nella rassegna “La materia parla. Sculture in dialogo con la Città”, curata da Monica Trigona, e allocata in cinque punti strategici, fra i siti storicamente più rilevanti della Città di Chieri. Inaugurata il 31 ottobre scorso, in occasione della riapertura al pubblico (dopo un importante intervento di restauro conservativo) della seicentesca “Cappella dell’Oratorio di San Filippo Neri”, la rassegna si svilupperà, fino al 7 gennaio del prossimo anno, in altre quattro importanti location chieresi: la “Cappella dell’Ospizio di Carità (Giovanni XXIII)”, i sagrati della “Chiesa di San Filippo” e della “Chiesa di San Bernardino”, per finire con l’“Imbiancheria del Vajro”. Mix perfetto, che di più non si può, fra architetture di imponente classicità e declinazioni artistiche assolutamente contemporanee, la mostra non è evento isolato nel territorio, connettendosi idealmente ad altre esperienze espositive ricorrenti, volte a valorizzare quella “Fiber Art” che è consolidata espressione artistica del “Tessile” chierese, lecitamente raccontato “attraverso l’utilizzo di qualsiasi ‘medium’, a fronte di una forte e sincera verve creativa”. L’iter espositivo mette insieme un nutrito gruppo di opere “che dagli anni Ottanta del secolo scorso – spiega Monica Trigona – fino ai giorni nostri hanno concorso allo sviluppo della multiforme espressione contemporanea, attribuendo grande importanza all’elemento profondo e primario che è sostanza del proprio linguaggio”: la “Materia”, asservita ai voleri, al pensiero, ai “capricci” dell’artista per trasformarsi appunto in “materia parlante”. Quali opere troviamo, dunque, sul cammino ideato fra i cinque siti coinvolti nell’iniziativa? In primis vanno ricordate l’informale scultura bronzea (anni ’60) del grande “caposcuola della rivoluzione novecentesca”, Umberto Mastroianni, posizionata nel Giardino dell’“Imbiancheria del Vajro” (via Imbiancheria), mentre nella “Cappella dell’Ospizio di Carità (Giovanni XXIII)”, in via Cottolengo, troviamo la suggestiva riproduzione bronzea (seconda metà anni ’50) di Maria Lai, rappresentante un “Presepio” con due semplificate (“quasi geometrizzate”) figure umane, in cui si legge chiara la lezione di Arturo Martini, di cui l’artista sarda fu allieva. Nella stessa suggestiva cappella barocca svetta la “scultura tessile” di juta riciclata della giovane svedese Diana Orving e, ancora, negli spazi esterni dell’“Imbiancheria del Vajro”, ecco le due sculture in bronzo (fine anni ’80), che già dai titoli (“Lobby Star” e “Faccia di bronzo”) strappano un sorriso, dell’ironico orientaleggiante Aldo Mondino, mentre all’interno dell’edificio ci si imbatte nei lavori (“Latomia”, fine anni ’80) di Piero Fogliati, impegnato nel “trasmutare in pratica artistica la percezione di fenomeni fisici”. Il “palleggiare” continuo sui sentieri del “contemporaneo” ci porta a un lungo peregrinare fra la “Sottiletta” in lamiera, marmo e ferro del milanese Umberto Cavenago, posta nella “Cappella di San Filippo” dove troviamo anche il “carretto-giocattolo” del vicentino Silvano Tessarollo e il modellino di “sommergibile” inglobato in una bottiglia di vetro del visionario Antonio Riello da Marostica. Per continuare con i “gessi” di Giacinto Cerone e con le opere “patinate” di Carlo Pasini, fino agli “Incidenti planetari” di Marco Mazzucconi e alla “scultura esile” di Stefano Bonzano. Più vicine ai nostri giorni, spiccano le “plastiche in resina” di Domenico Borrelli, le quattro inquietanti “teste in cemento” con penzolanti stoffe colorate di Paolo Grassino, da cui staccarsi  per ritrovare un briciolo di sereno nell’“installazione ambientale” di Theo Gallino, così come nell’esibizione del prezioso tecnicismo di Gabriele Garbolino Rù nella “Cappella di San Filippo”, in cui trova spazio anche il “maestoso portale” in acciaio inox di Salvatore Astore, mentre sul sagrato della “Chiesa di San Filippo” termina il percorso con il gruppo scultoreo (figure stilizzate e dinamiche) più recente, opera del torinese Carlo D’Oria.

Da segnalare: a corollario dell’iniziativa, venerdì 24 novembre, alle 18, all’“Imbiancheria del Vajro” la “tavola rotonda” su “L’evoluzione della materia” alla quale parteciperanno la curatrice della mostra Monica Trigona, Roberto Mastroianni, docente all’“Accademia Albertina di Belle Arti”, e alcuni artisti partecipanti al percorso espositivo.

Tutte le informazioni sul sito: www.comune.chieri.to.it

Gianni Milani

Nelle foto: Salvatore Astore “Sconfinamenti”, acciaio inox, 2022 (Ph. Renato Ghiezza); Domenico Borrelli “Memorie – per abitarsi”, resina, 2016-2020; Paolo Grassino “Senza nome”, cemento e stoffe, 2021; Theo Gallino La valle dei pollini”, terracotta, acciaio corten, 2021

Luca Bono. L’Illusionista: one man show al Teatro Superga

TSN – Teatro Superga Nichelino (TO)

Mercoledì 27 dicembre, ore 21

Il primo one man show del giovane talento italiano della magia internazionale, diretto da Arturo Brachetti

“L’Illusionista” Luca Bono porta in scena mercoledì 27 dicembre al Teatro Superga il primo one man show, diretto da Arturo Brachetti, in cui ripercorre con sincerità e passione il proprio percorso umano e professionale, tra grandi illusioni, close up, manipolazione e coinvolgimento del pubblico in una formula originale e inedita per i palcoscenici teatrali che stupisce, emoziona, diverte e cattura gli spettatori di tutte le età.

In scena, un percorso spettacolare e tecnologico tra illusioni di grande effetto scenico ed emotivo, manipolazione di oggetti e close up. Ma non si tratta di uno show di sole illusioni, bensì di un lavoro teatrale autobiografico fresco e sorprendente che attraverso la magia veicola un messaggio forte: mai smettere di inseguire i propri sogni; allenamento, determinazione, motivazione possono far superare gli ostacoli che la vita riserva.

Al fianco di Luca Bono, Sabrina Iannece, artista ed assistente che da anni lavora al suo fianco e che in questo spettacolo è co-protagonista.

La regia è di Arturo Brachetti, il maestro internazionale del quickchange, che di Luca è direttore artistico. In alcuni momenti lo spettacolo si avvale di filmati e proiezioni su grandi schermi attraverso i quali il pubblico, anche più lontano, potrà rendersi conto che davvero “non c’è trucco e non c’è inganno” e che il close up e la prestidigitazione sono tecniche di pura maestria e non consentono di celare trucchi.

La produzione è curata da Muvix Europa, realtà di produzione artistica capace di coniugare l’illusionismo con le più diverse discipline dello spettacolo, per realizzare soluzioni su misura.

“L’Illusionista” è uno spettacolo unico che emoziona gli adulti e allo stesso tempo coinvolge e diverte i più giovani che vengono trasportati in un mondo di pura illusione, in cui sarà difficile distinguere i confini tra realtà ed apparenza.

LUCA BONO, BIO

Luca Bono (Pino Torinese, 1992) è considerato dai media tra i talenti magici più interessanti della sua generazione. Il suo primo importante riconoscimento lo conquista infatti a soli 17 anni con la vittoria al Campionato Italiano di Magia, e due anni dopo si aggiudica il Mandrake d’Or, riconosciuto come l’Oscar dell’illusionismo assegnato ogni anno ai più promettenti talenti internazionali.
Da allora i successi si susseguono: fa televisione e gira il mondo con Arturo Brachetti, anche suo direttore artistico e regista nello spettacolo “L’illusionista”, prendendo parte al tour di Brachetti and Friends e agli spettacoli “Comedy Majik Cho” e “Brachetti che sorpresa!” portati in scena in Canada e in Europa.
Luca è stato protagonista di “The illusionist – La grande magia” (Canale 5), primo talent dedicato all’illusione in cui Bono è stato l’unico italiano ad arrivare in finale. È stato insegnante di Marco Columbro e Catherine Spaak nella prima edizione di “Si può fare” (Rai Uno). Dal 1° dicembre 2017 al 2 marzo 2018 è stato protagonista in prima serata su BOING di “Vuuaalà! Che Magia!”, un programma dedicato a candid camera magiche e alle risate. In questi anni Luca ha sovente commentato l’attualità sul web creando video magici che sono diventati virali venendo ripresi sovente dalle testate giornalistiche nazionali, un modo sicuramente diverso e originale di fare magia.

Mercoledì 27 dicembre, ore 21

Luca Bono, L’illusionista

Scritto da Luca Bono

Con Sabrina Iannece

Regia di Arturo Brachetti

Produzione Muvix Europa

Biglietti: 17 euro galleria, 23 euro platea

La stagione 2023-2024 del Teatro Superga è promossa dalla Città di Nichelino e Sistema Cultura, con il sostegno di Fondazione CRT e Regione Piemonte, firmata dalla direzione artistica di Alessio Boasi, Fabio Boasi e Claudia Spoto, in collaborazione con Piemonte dal Vivo. Produzione esecutiva Fondazione Reverse. Creative mind: Noir Studio.

Info

Teatro Superga, via Superga 44, Nichelino (TO)

011 6279789

www.teatrosuperga.itbiglietteria@teatrosuperga.it

IG + FB: teatrosuperga

Orari biglietteria: mar, gio, ven e sab 16-19; mer 10-13 e 14-19

I biglietti si possono acquistare presso la biglietteria del Teatro Superga, sul luogo dell’evento nei giorni di spettacolo dalle ore 18

Natale: festa, arte e desideri

Prima di tutto si sceglie lalbero, ogni famiglia ha il proprio sempreverde che la rappresenta, chi acquista larbusto verde classico, chi invece lo preferisce colorato o con effetto neve, c’è poi chi preferisce una decorazione tradizionale e chi invece desidera personalizzarlo con addobbi simpaticied inaspettati, in ogni caso questo è il gesto che segna linizio dei festeggiamenti, come testimoniano anche diverse manifestazioni artistiche. 

Nellopera di David Jacob Jacobsen, Vendendo alberi di Natale, (1853), è evidente che questo primo passo è essenziale: ad ognuno il proprio albero. Su uno stuolo di neve solcata da segni di carrozze e impronte di scarpe di varia numerazione, mentre un sole fioco illumina pallidamente gli edifici sullo sfondo e sfiora i volti delle persone, in primo piano due ragazzini si tengono per mano e si allontanano delusi, senza aver portato a casa lalberello desiderato. Sullo sfondo e ai lati della composizione altre figure, raccolti in piccoli gruppi inscuriti dalla colorazione cupa degli abiti semplici e dallombra proiettata dai palazzi, simpongono sullo sfondo chiaro: un gruppo di donne vende cibaglie, altre invece mostrano dei possibili addobbi natalizi, eppure lattenzione di tutti cade sulle cime dei pini raffigurati al centro del quadro, desiderio dei personaggi dipinti e degli osservatori.
Anche Franz Krüger, immortala limportanza del momento nel suo Padre e figlio in cerca di un albero di Natale, risalente al XIX sec. La scena mostra unaustera figura barbuta armata di accetta, in netto contrasto con la dolcezza di un ragazzino ancorato alla sua slitta e lespressione felice di un cagnolino scodinzolante e curioso, luomo dal volto irto e serioso impugna un alberello sempreverde di medie dimensioni, ognuno degli astanti osserva larbusto già inghirlandato e impreziosito dalle decorazioni minute.

 

Marcel Rieder, in Decorando lalbero di Natale, (1898), mostra invece latto magico decisivo, tramite il quale una semplice pianta finta ovviamente, cari ambientalisti-  si tramuta nel cuore pulsante della casa, il finto pino diviene lorgano vivo dellabitazione, ogni battito riflette landamento delle lucine che lo attorcigliano, al piano delle radici artificiali spuntano man mano pacchetti e regalini, e più il numero dei doni misteriosi aumenta, più è evidente lavvicinarsi del grande giorno.
Rieder dipinge un ambiente intimo e accogliente, nella penombra una giovane donna appoggia con delicatezza le decorazioni sullarbusto, sotto di lei sintravvede qualche balocco, mentre in primo piano, sul tavolino giacciono piccoli giocattoli usati, forse i desideri dellanno precedente. Ad illuminare il momento labat-jour dal paralume in stoffa, che attutisce il diffondersi del chiarore e trasporta lo spettatore nellatmosfera che precede larrivo convulso dei familiari, la notte della vigilia, quando le coppie possono ancora approfittare dellintimità della solitudine e scambiarsi un affetto più raccolto e delicato.
È il momento che preferisco personalmente, la calma prima del festaiolo trambusto, lo scambio dei doni con la propria dolce metà, quel regalo veramente sentito barattato con i sorrisi sinceri e carezze sfiorate; è il momento che amo di più perché, mentre Babbo Natale sorvola i tetti del mondo, ognuno di noi ha lopportunità di  trascorrere del tempo con chi desidera sul serio, senza i convenevoli che ogni tradizione  trascina dietro di sé.
La notte finisce, il buon Santa Claus ha compiuto nuovamente la sua magia, ognuno ha la propria aspettativa sotto lalbero.
William Holbrook Beard, nel suo Babbo Natale, (1862), dipinge una scena tratta dallimmaginario classico condiviso a livello mondiale: una slitta trainata da renne si confonde tra le nuvole notturne, i comignoli sbuffano il fumo delle stufe e un signore paffuto fa lievemente cadere dolciumi e prelibatezze dai cocuzzoli dei tetti.
Vi sono alcune cose sacreed intoccabili a questo mondo, una di queste credo- sia proprio la figura di Sinterklaas, a cui si attribuiscono nomi differenti e che appunto per noi è “Babbo Natale, persino Picasso ed Andy Warhol si sdebitano con lui, regalandogli a loro volta un ritratto speciale, il primo eseguito con linee essenziali e precise, il secondo tutto incentrato sul volume della barba lanosa e sul brillore dei piccoli occhiali rotondi.
Ma è ormai il didi festa. Ce lo mostra Viggo Johansen,  in Felice Natale, del 1891, su uno sfondo scuro emergono caldamente illuminate le figure danzanti di una famiglia numerosa che esegue un girotondo intorno allalbero addobbato. I bambini ridono e osservano il luccichio delle candele incastonate sui rami, la madre, di spalle, partecipa alla felicità familiare con il contegno che saddice a chi è sempre vigile e pronta a sedare eventuali capricci infantili. Oppure Albert Chevallier Tayler, che, con il suo Lalbero di Natale, (1911), dipinge il vociare allegro della famiglia tutta disposta lungo la tavolata imbandita di prelibatezze, mentre sullo sfondo luccica lalbero di natale, i volti rubicondi degli astanti presentano gote arrossate e bocche piene, persino il nonno sulla sedia a dondolo, seduto vicino al camino e meno volenteroso dallegria, è costretto dal nipotino intrepido e rinunciare a quel momento di raccoglimento per partecipare alla grande gioia.

 

Symons, Mark Lancelot; The Day after Christmas; Bury Art Museum


Natale è festa per tutti, dai soldati di Wojciech Kossak, fino ai bordelli di Munch, nessuno può esimersi da questo giorno di pasti, risate e abbracci.
Quello che viene dopo lo sappiamo tutti, eppure ben lo rappresenta Mark Lancelot Symons, nellopera titolata Il giorno dopo Natale, (1931). Nella raffigurazione si nota unabitazione scompigliata, i festoni si appoggiano stanchi alla libreria in secondo piano, a terra le carte spacchettate dei balocchi nascondono il pavimento e su tutto vincono i volti esausti ma felici dei bambini, intenti e concentrati a giocare con le novità appena ricevute.
Lo aspettiamo tutto lanno questo momento di pausa, forse ogni anno che passa con maggiore necessità di fermarsi dalla frenesia della vita moderna. E come sempre il tempo ci vola via senza che possiamo fare niente per fermarlo o perlomeno rallentarlo un po.
Quello che credo è che, mentre corriamo irrequieti da un negozio allaltro, dovremmo forse trovare qualche istante per formulare dei desideri seri, come ritrovare un podi assennatezza e di senso del limite.
Questo Natale, cari lettori, regaliamoci un podi coraggio per affrontare le sfide delle responsabilità che ci richiede la vita e un podi umiltà per apprezzare che ogni frutto ha la sua stagione.
Questo Natale, proviamo a fare gli adulti, magari in tal modoregaleremo ai bambini la possibilità di vivere la propria infanzia gioiosamente e non attaccati al monitor di uno smartphone, così come potremmo donare agli adolescenti che tutti additiamo lopportunità di imparare qualcosa sul serio.
Un felice Natale a tutti, cari lettori, vi auguro di trovare sotto lalbero sincerità e affetto, ma soprattutto spero che voi troviate il tempo, che è il regalo più bello di cui disponiamo, ma che alla fine non scartiamo mai.

ALESSI CAGNOTTO

Donata al Castello di Rivoli l’opera NFT di Agnieszka Kurant

Sentimentite #57 (COVID-19 vaccines announced), 2022

Il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea è lieto di annunciare l’ingresso nella propria Collezione permanente dell’opera NFT di Agnieszka Kurant Sentimentite #57 (COVID-19 vaccines announced), 2022, generosamente donata al Museo da Pablo Rodriguez-Fraile, mecenate americano e grande collezionista di arte digitale.
L’opera di Kurant, che si compone di un NFT (non-fungible token), ovvero un’immagine digitale registrata con una tecnologia blockchain tramite uno smart contract, indaga il rapporto tra capitalismo digitale e geologia. Ispirandosi al modo in cui le forze naturali nel tempo modellano rocce e meteoriti, le forme in evoluzione della Sentimentite
la moneta minerale speculativa del futuro ideata da Kurant sono plasmate dai cambiamenti della società del XXI secolo: 100 eventi storici di grande portata, milioni di post raccolti su Twitter e Reddit e miliardi di emozioni umane aggregate. I tweet, le azioni e i like sono il nuovo petrolio e il nuovo gas.

Per Agnieszka Kurant “l’attuale abbandono delle energie dei combustibili fossili e la loro graduale sostituzione con le energie rinnovabili sembra coincidere con la smaterializzazione del denaro e la sua parziale sostituzione con le valute digitali, la cui produzione dipende principalmente dall’energia. L’estrazione tradizionale di combustibili fossili e minerali è oggi accompagnata dall’estrazione di criptovalute, non a caso definite nuove forme di gas”.

Quando vengono riscattati, questi NFT espansi si trasformano in sculture fisiche realizzate con il materiale fittizio di Agnieszka Kurant, la Sentimentite. Per realizzare l’opera, l’artista ha polverizzato 60 oggetti usati come valute nel corso della storia in questo nuovo minerale-moneta.

Carolyn Christov-Bakargiev, Direttore del Castello di Rivoli, afferma “L’opera si compone di un breve video che aggrega i sentimenti in rete in costante mutamento, e di una possibile parte fisica nel futuro. La parte digitale, questo NFT #57 di Sentimentite, si aggiunge alla donazione di Beeple avvenuta nel 2022, costituendo la Collezione di prime opere digitali del Museo. Ringrazio Pablo Rodriguez-Fraile e Desiree Casoni per questo importante dono”.

Biografia

Agnieszka Kurant (Łódź, Polonia, 1978) è un’artista concettuale il cui lavoro indaga l’intelligenza collettiva, le intelligenze non umane e lo sfruttamento del capitale sociale all’interno del capitalismo di sorveglianza. Collabora spesso con scienziati e studiosi di diversi campi disciplinari. La sua ricerca dialoga con più autori tra cui gli scritti sulla plasticità e gli automatismi di Catherine Malabou e Franco Bifo Berardi, il lavoro di David Graeber, Manuel DeLanda e gli scritti del neuroscienziato Antonio Damasio.
Kurant ha ricevuto il LACMA A+T Award 2020, il Frontier Art Prize 2019, il Pollock-Krasner Award 2018 e il Google Artists + Machine Intelligence Grant 2021. Attualmente è Artist Fellow presso il programma Transformations of the Human del Berggruen Institute ed è stata artista in residenza al MIT CAST nel 2017 – 2019. Suoi lavori sono stati esposti al Museum of Modern Art di New York, alla Biennale di Istanbul, alla Kunsthalle Wien, al Kunstverein di Salisburgo, all’Hamburger Kunstverein, al De Young Museum di San Francisco, al MOCA di Toronto, al Jameel Arts Centre di Dubai e alla Triennale di Milano. Le sue mostre personali includono Agnieszka Kurant. Crowd Crystal, Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino (2021); Error-ism, Museum Sztuki, Lódz (2021); The End of Signature, commissionato dal MIT List Visual Arts Center a Kendall Square, Cambridge, MA (2021); The End of Signature, Guggenheim Museum, New York (2015); Exformation, Sculpture Center, New York (2013) e Stroom den Haag (2014). Nel 2010 Kurant ha co-rappresentato la Polonia alla 12. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia (in collaborazione con l’architetto Aleksandra Wasilkowska) presentando il progetto Emergency Exit al Padiglione Polacco. Il suo lavoro è stato esposto anche al Palais de Tokyo, Parigi; Guggenheim Bilbao; Witte de With, Rotterdam; Moderna Museet, Stoccolma; Whitechapel Art Gallery, Londra; Biennale di Cleveland; The Kitchen, New York; Bonner Kunstverein; Grazer Kunstverein; Kunsthalle Meinz; Museum of Modern Art, Varsavia; MOCA, Detroit; CAC, Cincinnati; Mamco, Ginevra; Frieze Projects, Londra; MUMOK, Vienna; Performa Biennial and Momentum Biennial. La monografia di Kurant Collective Intelligence è stata pubblicata da Sternberg Press / MIT Press nell’autunno del 2021.