CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 113

Guido Gozzano “genovese”

La Superba davvero fu importante per i suoi forti legami che aveva con Guido Gozzano, ma chi si è occupato di lui come poeta non ricorda che quei genovesi, amici e colleghi suoi, dell’età adulta. Il suo approdo marino quindi, non va considerato allo stesso modo che per quegli altri che, già adulti, dal Piemonte(via Alessandria-Novi Ligure-Ronco Scrivia) in treno raggiunsero  la Riviera e, curiosi, scesero magari a Principe (se proprio vogliamo nominare una stazione ferroviaria genovese), lasciando alle loro spalle il cielo grigio-livido che pesa su Torino per tanti giorni all’anno, ed erano più sensibili al fascino, che ancora oggi suscita in noi la vista del cielo terso che si stacca sul mare azzurro di Liguria, anche nella brutta stagione.

Segnale allora che azzurro è detto da Guido il color di lontananza(così nei versi intitolati «La più bella», che ripropongo nella pagina illustrata più volte pubblicata dall’editore Viglongo), e ricorderò che, per tutto il Rinascimento, anche la linea dell’orizzonte, dipinta sullosfondo di paesaggi e ritratti, era stata azzurra e proseguo senza altre dimore, poiché profondi erano i legami che univano a Genova Guido Gozzano!

A Genova il mazziniano poi deputato e commendatore Massimo Secondo Mautino (1816-1873) aveva sposato Rosina Origone (1829-1860), sua seconda moglie e madre di Diodata (1858-1947), oltre che nonna di Guido(1883-1916).  Fu là che Diodata, orfana di entrambi i genitori, visse con i nonni materni finché,diciannovenne, non fu portata ad Agliè dal padre di Guido, che, proprio a Genova, l’aveva impalmata e fusempre là che ella scelse, a padrino di battesimo per quelsuo figlio, Davide Castelli (1847-1931), un filodrammatico del teatro genovese (il cui profilo biografico incontriamo nel: Teatro popolare e dialettale: indagine enciclopedica sul teatro Piemontese, un fortunato libro di Domenico Seren Gay pubblicato nel 1977). Castelli che, per il teatro, scrisse in genovese alcune opere (destinate al successo perfino nei teatri subalpini), è tuttora ricordato come lo scopritore del talento di Gilberto Govi.

Ma allora, dal momento che aveva certamente a vedere con Castelli, perché non ricordare che a Genova la mamma di Guido aveva calcato per le prime volte la scena! E perché poi non pensare che, sempre su invito diCastelli, anche Guido proprio là avrebbe seguito i suoi passi? Ma c’è dell’altro, che fa credere che Castelli gli abbia reso facili altri incontri favorendolo in altri contatti che poi si rivelarono importanti per Guido. Infatti, a Genova, egli si approfondì nella fotografia, fotografiache certamente – come ho potuto provare – fu oggetto dei suoi primi interessi ad Agliè, grazie al francese Paul-Gaston-James Dosne (1855-1921), amico di famigliache, oltre ad essere ingegnere chimico di fama, era unfotografo, iscritto alla Société française de photographiefin dal 1897. Allora ricordiamo ancora che fu a Genova che Gozzano sentì forte il richiamo per il cinematografo, non tanto, perché ammirato delle foto delle soubrette le cui foto erano di facile accesso a Genova – come ha affermato qualcunoma perché era in contatto con lo studio fotografico Sciutto e Bosella.

Che contatti e incontri fossero stati favoriti dal padrino Castelli, noi non possiamo negarlo… Sappiamo che lavori fotografici di quei fotografi furono esposti a Torino, in una mostra fotografica (tra le prime realizzate nella capitale subalpina), e che, soli, furono oggetto di una segnalazione di Gozzano per la recensione, pubblicata nel 1914, che diventò famosa perché in essa definì la fotografia «L’arte nata da un raggio e dal veleno»! Eallora potrà non essere irrilevante ricordare che il nome di quei fotografi è legato al cinema genovese degli esordi!

Ma non solo questo, infatti a Genova viveva Mario Duboin (1879-1951), il cui nonno paterno era stato quel cav. (Carlo) Felice Amato (Giuseppe) Duboin (1796-1854) che sotto il suo nome tante pagine preziose per la storia del diritto sabaudo aveva raccolto in una ricca collana di volumi (ancora oggi di notevole interesse da parte degli storici). Mario, oltre che nipote di zia Diodata, era un ufficiale del Corpo Reale dei Carabinieri e nel 1908 aveva sposato la genovese Lina Maglio. AGenova nacquero i primi figli della coppia: Olga nel 1910, e Carlo nel 1912, quindi, se Umberto, Carlo e Ada videro la luce in altre città d’Italia (come capitava nelle famiglie dei dipendenti dello Stato costretti a spostarsi da una sede all’altra), gli ultimi due, Piero e Guido, furono, di nuovo, entrambi genovesi di nascita. Così è certo che la cartolina (con il villino Meleto fotografato da Celeste Scavini), che nell’estate del 1915 la zia Diodata glie l’aveva mandata a Cagliari, dove, all’inizio di giugno di quell’anno, era nato Umberto, il padre del mio amico Mario (omonimo nipote del precedente, che qui ringrazio, perché ha messo a mia disposizione quasi tutte le immagini per queste pagine).

E allora vediamoli,quei cugini “genovesi” di Guido (anche se Mario si sentì sempre torinese perché tra noi era nato) nel bel ritrattoda sposi, che qui si affianca a quello di “zietta Diodatacon il figlio Poeta, in una fotografia che, tra le ultime di lui, sempre fu molto cara a tutti, in casa Duboin…

Quindi, in ossequio al loro comune antenato, ricordiamo in ultimo la Genova romantica, che certamente fu cara ai nonni Mautino, e, da una raccolta di vedute della Città,pubblicata negli anni Ottanta dell’Ottocento, rimaniamo fermi sullo scorcio di San Lorenzo, perché quell’angolo di Genova certamente fu caro anche al nostro Gozzano, che lo frequentò fin dai suoi primi anni!

Carlo Alfonso Maria Burdet

(Dedico queste pagine a Giovanni Abrate, mio vicino di banco degli ultimi anni di liceo, che, da sempre appassionato di fotografia e di cinema, dalla sua residenza in Florida, è intervenuto per migliorare l’apparenza del materiale iconografico che ora propongo).

Il Duca d’Aosta: sei ore per trasportarlo

Alla scoperta dei monumenti di Torino / La statua in bronzo fu  trasportata, nel giugno del 1900, dalle fonderie Sperati (corso Regio Parco) al Parco del Valentino e per compiere quel tragitto di circa tre chilometri furono necessarie più di sei ore a causa appunto delle ingenti dimensioni del monumento

Il monumento è situato all’interno del Parco del Valentino, in asse con corso Raffaello e nel centro del piazzale nel quale confluiscono i viali Boiardo, Ceppi e Medaglie D’Oro. La statua che raffigura, sul cavallo ritto sulle zampe posteriori, il poco più che ventenne Amedeo di Savoia Duca d’Aosta durante la battaglia di Custoza, è posta su un dado di granito che poggia a sua volta su un basamento contornato da una fascia di coronamento in bronzo,rappresentante (in altorilievo) 17 figure tra cui numerosi personaggi celebri della dinastia sabauda. Ai gruppi di cavalieri si alternano vedute paesaggistiche come la Sacra di San Michele, il Monviso e Torino con il colle di Superga sullo sfondo.Sul fronte del basamento, poggiata sulla chioma di un albero al quale è appeso lo stemma reale di Spagna, un’aquila ad ali spiegate regge tra gli artigli lo scudo dei Savoia.Nato il 30 maggio 1845 da Vittorio Emanuele (il futuro re Vittorio Emanuele II) e da Maria Adelaide Arciduchessa d’Austria, Amedeo Ferdinando Maria Duca d’Aosta e principe ereditario di Sardegna, crebbe seguendo una rigida educazione militare.Nel 1866 gli venne affidato il comando della brigata Lombardia e partecipò alla battaglia di Custoza nella quale, nonostante fosse stato ferito da un proiettile di carabina, continuò a battersi distinguendosi così per il suo coraggio ed il suo valore.In seguito alla rivoluzione del 1868 e alla cacciata dei Borboni, in Spagna venne proclamata la monarchia costituzionale e nonostante la situazione risultasse molto difficile, Amedeo di Savoia accettò l’incarico così, il 16 novembre 1870, venne eletto Re di Spagna con il nome di Amedeo I di Spagna.Ma la situazione politica risultò ancora più instabile di come lui se la fosse prospettata e davanti a rivolte e congiure (nel 1872 sfuggì miracolosamente ad un attentato), nel 1873 abdicò rinunciando per sempre al trono.Tornato in Italia, venne nominato Tenente Generale e Ispettore Generale della Cavalleria; si spense il 18 gennaio 1890 a causa di una incurabile broncopolmonite.

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Signorilmente affabile con tutti, sempre pronto a prodigarsi per il bene della sua amata città, fu (anche durante il periodo della sua sovranità in Spagna) un personaggio molto popolare e ben voluto tanto che, neanche una settimana dopo la sua morte, la città di Torino costituì un comitato promotore per l’erezione di un monumento a lui dedicato, sotto la presidenza del conte Ernesto di Sambuy. Venne aperta una sottoscrizione internazionale alla quale, la stessa città di Torino, partecipò con la somma di L. 25.000 e in seguito, il 6 marzo 1891, venne bandito un concorso tra gliartisti italiani per stabilire chi sarebbe stato l’autore dell’imponente opera. Tra i ventinove bozzetti presentati ne furono scelti sei che vennero esposti nei locali della Società Promotrice di Belle Arti, in via della Zecca 25 ed in seguito, tra i sei artisti vincitori, venne bandito un nuovo e definitivo concorso che vide come vincitore (nel dicembre del 1892) Davide Calandra. La decisione, secondo le parole della Giuria, fu motivata “dal poetico fervore immaginoso della concezione, dall’eleganza decorativa dell’insieme, dalla plastica efficacia del gruppo equestre e dalla vivace risoluzione del difficile motivo della base“. Inizialmente l’ubicazione del monumento avrebbe dovuto essere, secondo la proposta del Comitato Esecutivo approvata dalla Città di Torino nella seduta del Consiglio Comunale dell’11 giugno 1894, il centro dell’incrocio dei corsi Duca di Genova e Vinzaglio, ma a causa delle dimensioni maestose del basamento si decise che fosse necessario uno spazio più ampio per ospitare l’opera. Dopo avere effettuato delle prove con un simulacro di grandezza naturale in tela e legname (costato alla Città la somma di L. 2480), si decise di collocarla nel Parco del Valentino sul prolungamento dell’asse di Corso Raffaello, presso l’ingresso principale dell’Esposizione Generale Italiana tenutasi del 1898: il 9 novembre 1899 il ConsiglioComunale approvò la scelta della Giunta di tale ubicazione.

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La statua in bronzo fu dunque trasportata, nel giugno del 1900, dalle fonderie Sperati (corso Regio Parco) al Parco del Valentino e per compiere quel tragitto di circa tre chilometri furono necessarie più di sei ore a causa appunto delle ingenti dimensioni del monumento. Il monumento venne inaugurato il 7 maggio 1902, in occasione della Prima Esposizione Internazionale di Arte Decorativa e Moderna di Torino, durante la quale lo scultore fu anche premiato per aver inserito nell’opera elementi di “Art Noveau”. Nel corso dell’inaugurazione il conte Ernesto di Sambuy, a nome del Comitato, consegnò l’opera al Sindaco di Torino. Originariamente il monumento venne circondato da una cancellata in ferro dell’altezza di circa 130 centimetri, disegnata dallo stesso Calandra, che venne rimossa probabilmente a causa delle requisizioni belliche durante la Prima Guerra Mondiale. Nel 2004 il monumento è stato restaurato dalla Città di Torino. Per fare un piccolo accenno al Parco del Valentino, di cui certamente parleremo in modo più approfondito prossimamente, bisogna ricordare che ilmonumento ad Amedeo di Savoia è situato nell’area nella quale, fra Ottocento e Novecento, si tennero a Torino alcune tra le più importanti rassegne espositive internazionali. Nel 1949, proprio a fianco del monumento, sorse il complesso di Torino Esposizioni, un complesso fieristico progettato da Pier Luigi Nervi che, durante le Olimpiadi Invernali di Torino 2006, ha ospitato un impianto per l’hockey su ghiaccio dove sono state giocate circa la metà delle partite dei tornei maschili e femminili. Al termine delle Olimpiadi, la struttura è tornata all’originario uso abituale ripredisponendo un padiglione come palaghiaccio per i mesi invernali. Cari lettori anche questa ennesima passeggiata tra le “bellezze torinesi” termina qui. Mi auguro che il monumento equestre ad Amedeo di Savoia vi abbia incantato ed incuriosito proprio come ha fatto con me; nel frattempo io vi do appuntamento alla prossima settimana alla scoperta o meglio “riscoperta” della nostra città.

(Foto: www.museo.torino.it)

Simona Pili Stella

“La guerra dei mondi”, il programma di Collisioni

Torino, 18 giugno 2024 – Un festival capace di sintonizzarsi con il pubblico dei giovani e dei giovanissimi, per abbattere le barriere e mettersi in ascolto dei nuovi linguaggi come è sempre stato nello spirito di Collisioni. È questo il senso della 16ª edizione che, da venerdì 5 a sabato 13 luglio, si prepara ad accogliere ad Alba, in piazza Medford, decine di migliaia di spettatori in arrivo da tutta Italia per prendere parte a un grande happening generazionale.


L’edizione 2024 conclude un triennio che il festival ha voluto dedicare al sostegno della socialità e dell’aggregazione giovanile, per capire come il mondo e la musica siano cambiati dopo la pandemia: cosa abbiamo perduto e cosa di nuovo sia arrivato. 

 

Non solo una rassegna di concerti, quindi, ma un vero e proprio laboratorio permanente che a partire dal mese di novembre – grazie al nuovo spazio del Circo di Collisioni nell’area riqualificata del Parco Tanaro di Alba – ha visto protagonisti nell’ambito di riunioni e laboratori a cadenza settimanale, centinaia di ragazzi delle scuole superiori del territorio. Un momento formativo e creativo a cui ‘la vecchia guardia’ di Collisioni si è limitata a fornire supporto, nelle community social e nelle chat di WhatsApp, come nelle riunioni in presenza al Circo, per permettere ai giovani di costruire in piena libertà una line-up di artisti per la maggior parte sconosciuti a chi ha più di 25 anni.

 

Il percorso triennale del festival è stato prima di tutto un’esperienza umana di grande ricchezza, che invita a rifl ettere sul profondo scollamento generazionale a cui si assiste oggi in Italia. Due mondi in collisione, incapaci di dialogare: quello di chi vive di TV, politica e giornali, e l’altro, che comunica con mezzi spesso sconosciuti e sceglie l’invisibilità silenziosa del mondo digitale per sfuggire ai pregiudizi e agli stereotipi che spesso vengono incollati addosso dal mondo degli adulti. Quando i giovani vengono dipinti come esseri fragili, alienati dall’eccesso di tecnologia, e alieni che ascoltano una musica incomprensibile. Eppure l’avversione per la loro musica rivela forse un’incapacità di ascolto e una riluttanza ad andare oltre la superfi cie di rabbia contenuta nel rap e nella trap, per coglierne i messaggi più avanzati, capaci di mettere in crisi gli stereotipi sul colore della pelle, l’orientamento sessuale e il modo di stare insieme. Contenuti che si possono trovare nelle canzoni e che si potranno ascoltare live a Collisioni, cantate da artisti che arrivano dalle periferie o che sono nati in Italia da genitori stranieri, o ancora che interpretano una femminilità lontana dagli stereotipi televisivi. E forse per chi è disposto ad ascoltare, questa musica ha qualcosa da dire, al di là di una sterile guerra tra mondi ancora lontani.

LA LINE-UP DI COLLISIONI 2024 

 

Il primo head-liner estivo dell’edizione 2024, a cui sarà affidata l’apertura venerdì 5 luglio in Piazza Medford ad Alba, sarà il re dell’indie italiana Calcutta per la sua unica data estiva in Piemonte e Liguria. Il cantautore originario di Latina, noto per la sua voce unica e le sue canzoni cariche di emozioni, tornerà a Collisioni per farci ascoltare i brani del suo nuovo disco, “Relax”, uscito il 20 ottobre 2023, oltre ai successi che hanno segnato la sua carriera, per rendere come sempre la nuova edizione del festival memorabile.

 

Sabato 6 luglio a scaldare piazza Medford sarà la musica dei Club Dogo. Dopo i 10 sold-out consecutivi al Forum di Milano e la pubblicazione del nuovo album di inediti “Club Dogo” – in poche settimane doppio disco di platino in vetta alle classifi che Fimi – i Dogo faranno tappa ad Alba per la loro unica data in Piemonte portando sul palco di Collisioni vecchi e nuovi successi.

 

A completare la line-up del primo weekend di Collisioni tornerà domenica 7 luglio la prima Giornata Giovani, un progetto di Collisioni e Banca d’Alba inaugurato nel 2021 che torna per la sua quarta edizione a celebrare la musica e la voglia di stare insieme delle migliaia di ragazzi e ragazze che ogni anno accorrono ad Alba da ogni angolo d’Italia. Il cast sarà come sempre ricchissimo, con un calendario di ospiti che vanno da Nayt, il raffi nato rapper molisano cresciuto a Roma e apprezzato grazie al suo ultimo album anche dal pubblico americano, Silent Bob, il rapper di Pavia, autore di album come Piove Ancora e Habitat Cielo, Mida, l’artista emerso nella nuova edizione di Amici. Per arrivare all’attesissimo head-liner della giornata, Tedua, senza ombra di dubbio l’artista rivelazione di quest’anno.

 

Il festival si concluderà sabato 13 luglio con una seconda Giornata Giovani, dedicata ai giovanissimi: una maratona di oltre 5 ore di concerti non stop, con alcuni degli artisti di riferimento della fascia 15-23 anni. A salire sul palco di Collisioni, il rapper campione di ascolti Capo Plaza per presentare in anteprima al pubblico del festival il suo nuovo attesissimo quarto album, Ferite. Ma anche Anna, regina della Trap italiana. E con lei Artie 5ive, rapper milanese classe 2000 di origini sierraleonesi, con il suo inconfondibile stile infl uenzato dalla scuola Drill di Detroit. Tony Boy, il rapper di Padova classe 1999 segnalato da Rockit come uno dei giovani artisti più interessanti d’Italia, fresco del suo 4° album in studio “Nostalgia” (Export). E Paky, rapper di Secondigliano trasferitosi a Rozzano all’età di dieci anni, arrivato al primo disco di platino con il singolo “Rozzi”.

 

«Si conclude con questa edizione – racconta Filippo Taricco, Direttore artistico di Collisioniun intenso ed emozionante triennio di Collisioni interamente dedicato alla cultura giovanile, nato allo scopo di aprire un dialogo con coloro che fruiranno il festival nei prossimi dieci anni. Un percorso servito in primo luogo a sfatare il mito che dopo la pandemia e la morte del rock, i giovani siano semplici consumatori di spazzatura senza cultura musicale. Ma anche una strada che ci è servita a comprendere meglio la silenziosa guerra dei mondi che si sta consumando tra fi gli e genitori, in un contesto in cui il confl itto generazionale sembra sopito e i genitori appaiono come migliori amici dei fi gli, ma dove in realtà la cultura e la musica dei ragazzi ci terrorizzano e ci destabilizzano nei nostri pregiudizi più profondi, ricordandoci l’importanza di mantenere vivo un dialogo e di non chiuderci nel fortino delle nostre certezze per evitare il confronto. È per questo che oggi in conferenza abbiamo deciso di dare la parola ai ragazzi del Progetto Giovani».

 

«Anche quest’anno Collisioni si conferma un evento di grande livello – sottolinea Alberto Cirio, Presidente della Regione Piemontecapace di parlare ai giovani, di coinvolgerli e di essere attrattivo per il grande pubblico, senza rinunciare alla sua forte connotazione territoriale di un festival nato per promuovere la musica, ma anche le eccellenze del nostro territorio e della sua unicità. Un evento diventato irrinunciabile nel calendario dell’estate di cui il Piemonte è molto orgoglioso».

 

«Collisioni in questi anni è diventato un punto di riferimento per la programmazione degli eventi albesi e non solo, il Festival AgriRock è da molti anni un’istituzione della musica, della cultura e dell’intrattenimento nelle Langhe. Il parterre di ospiti testimonia il prestigio di Alba e di Collisioni; in qualità di Sindaco neo eletto desidero ringraziare la direzione artistica e la passata amministrazione per il lavoro di programmazione messo in campo. Un grande evento per gli albesi, capace di attrarre persone da tutta Italia. Non vediamo l’ora di goderci i concerti di quest’anno e siamo sicuri che saranno un successo», afferma Alberto Gatto, Sindaco di Alba. 

 

 

I biglietti di Collisioni sono disponibili online su Ticketone e sugli altri circuiti o presso i punti vendita autorizzati.

Foto Giuliana Prestipino

Torino al tempo del Risorgimento

Breve storia di Torino

1 Le origini di Torino: prima e dopo Augusta Taurinorum
2 Torino tra i barbari
3 Verso nuovi orizzonti: Torino postcarolingia
4 Verso nuovi orizzonti: Torino e l’élite urbana del Duecento
5 Breve storia dei Savoia, signori torinesi
6 Torino Capitale
7 La Torino di Napoleone
8 Torino al tempo del Risorgimento
9 Le guerre, il Fascismo, la crisi di una ex capitale
10 Torino oggi? Riflessioni su una capitale industriale tra successo e crisi

 

8 Torino al tempo del Risorgimento

Se parliamo di Risorgimento, parliamo anche di Torino.
Le stesse vie ora intrise di negozi e passanti, brulicanti di turisti e concittadini, odorose di caramelle e caldarroste, un tempo erano percorse da quegli stessi illustri uomini che fanno capolino sui libri di storia: Cavour, Mazzini, dAzeglio, Garibaldi, chi hafatto lItalialha quantomeno pensata proprio seduto tra i caffè torinesi, magari sorseggiando bicerin” o assaporando un bunet”.
Camillo Benso pranzava abitualmente al ristornante del Cambio, che si affaccia su Piazza Carignano ed era assiduo frequentatore dellormai storico Caffè Fiorio, situato sotto i portici di via Po, mentre la Contessa di Castiglione,  nota comela più bella donna mai vista alle corti dellepoca abitava niente meno che in via Lagrange 29, noblesse oblige come si suol dire.

Diversi luoghi cittadini sono intitolati a personaggi famosi di tale periodo, come ad esempio il Borgo Nuovo, dove si trova laiuola Balbo, dedicata a sei differenti figure, in primis al Primo Ministro del Parlamento Subalpino del 1848, oppure, per riportare un esempio meno conosciuto, in Piazzetta Maria Teresa ci si può imbattere nel monumento rivolto al patriota Guglielmo Pepe, il quale, disobbedendo al re Borbone Ferdinando II, ordinò alle sue truppe di attraversare il Po e raggiungere Venezia per sostenere la Repubblica veneziana nel 1848.
Lelenco è decisamente lungo, Torino pullula di nomi e luoghi che andrebbero citati a gran voce, ma temo che, se proseguissi in tal senso, perderei la primaria motivazione di questa serie di articoli riguardanti appunto- le vicende dellantica Augusta Taurinorum.
Mi trovo allora costretta a cambiare argomento, portando il discorso sui fatti e sugli avvenimenti che interessano le vicissitudini dellurbe pedemontana dal 1831 al 1861, senzaltro gli anni più importanti per quel che riguarda la storia della nostra città, che passa dallessere una piccola capitale sabauda alla periferia della Penisola, al divenire lindiscusso centro di comando per lunificazione nazionale.
Come sempre, andiamo per ordine e affrontiamo una tematica alla volta.


Tra le figure essenziali di tale periodo vi è sicuramente Carlo Alberto, il quale da subito garantisce un preciso programma di riforme burocratiche legali ed economiche con lo scopo di traghettare la capitale verso una modernizzazione non solo necessaria ma soprattutto auspicata.
Il re inoltre nomina un Consiglio di Stato, per rendere più funzionale e centralizzato il regno, riforma il sistema legale sabaudo e trova mezzi avanguardistici per contrastare le epidemie di colera. A partire da tali riforme, negli anni 30 viene promulgato un corpus di nuovi codici civili, penali e commerciali, si tratta del celebre Statuto Albertino, che si dimostra ben presto il più avanzato sistema legale dEuropa.
Dal punto di vista culturale Carlo Alberto si impegna in numerose iniziative decisamente ambiziose, tramite le quali desidera esaltare le vittorie e la gloria della casata sabauda, sia per stimolare lorgoglio popolare, sia per ingraziarsi la fedeltà alla monarchia. Vengono cosìrealizzati monumenti, palazzi e dipinti, ed in aggiunta si portano avanti campagne di commissioni architettoniche e artistiche per abbellire le residenze reali di Torino, come Racconigi e Pollenzo. Sicostruiscono poi monumenti pubblici nelle piazze della capitale, ognuno dedicato alla commemorazione di un preciso momento storico ovviamente legato o alla  dinastia sabauda o alla storia della città. Alla conclusione del regno di Carlo Alberto, Torino rivendica un patrimonio artistico nettamente superiore rispetto a quello di qualsiasi altra città italiana.
Di pari modo, per dare alla capitale lo status di centro artistico, il re fonda la Galleria Reale, luogo in cui è conservata la collezione di opere darte della famiglia Savoia: aperta al pubblico,  in alcuni giorni della settimana era possibile visitarla gratuitamente. Nascono in conseguenza a tali iniziative diverse istituzioni culturali, quali la Deputazione Subalpina di Storia Patria, il Consiglio per la tutela delle Antichità e delle Belle Arti e la Società Promotrice di Belle Arti; viene inoltre ampliata la biblioteca  di Palazzo Reale e si edifica la nuova sede per lAccademia di Belle Arti, in ultimo sono finanziate le opere di diversi scienziati tra cui quelle di Giovanni Plana, Amedeo Peyron e Amedeo Avogadro. Per  favorire il consenso popolare, il re stabilisce lintroduzione di nuove feste pubbliche e la reintegrazione di altre, in ogni caso si tratta di parate, giochi pirotecnici, competizioni sportive e balli in maschera.
Alla fine degli anni 40 tuttavia la situazione è tuttaltro che idilliaca, Torino si trova ad affrontare una grave crisi economica, fatto che contribuisce a creare una netta suddivisione della società: da una parte la classe istruita, chiusa nel proprio mondo di vibranti iniziative culturali, dallaltra il popolino, segregato in zone infime della città e destinato al proprio misero destino, – si pensi che un individuo appartenente a tale classe sociale aveva unaspettativa di vita che non superava i trentanni-.
Le tensioni sociali finiscono per indebolire lordine costituito, finché, nel 1847, si definisce una tacita alleanza tra il ceto medio e quello popolare: il 1 ottobre dello stesso anno si accendono effettivamente le prime vere proteste, mentre sui muri si leggono frasi come la guerra di classe non è lontana oppure morte ai nobili.
Le sempre più numerose insurrezioni portano Carlo Alberto ad approvare diverse riforme politiche. I poteri della polizia e dei censori vengono limitati e dallaltra crescono quelli del Consiglio di Stato. In questo clima di subbuglio spiccano importanti figure, dalla parte dei conservatori ricordiamo Vittorio Amedeo Sallier de La Tour e il Conte Carlo Beraudo di Pralormo, dalla parte dei moderati invece troviamo Camillo Benso di Cavour, Cesare Alfieri e Roberto dAzeglio, i quali proponevano una costituzione ultrademocratica e un rinnovamento pacifico della classe dirigente statale.
Mentre nella capitale prevale la posizione dei moderati, il 1848 èsegnato da sommosse e rivolte, la prima in Sicilia, seguita dalla Rivoluzione di febbraio in Francia, che rovescia la monarchia dOrleans.

 


È in questo generale contesto di fermento nazionalista che l8 febbraio 1848 Carlo Alberto emana lo Statuto: una nuova costituzione che prevede un innovativo governo monarchico e rappresentativo in cui il potere legislativo è ripartito fra il re e due camere: una Camera dei deputati costituita su base elettiva e un Senato formato da membri nominati a vita dallo stesso monarca. Lo Statuto viene promulgato nella sua interezza nel marzo dello stesso anno, la sua importanza  varca i confini del Piemonte e diventa modello per la monarchia costituzionale adottata dal nuovo Regno dItalia unitario dopo il 1861. Lo Statuto  testimonia il grande successo dell’élite moderata formata da personaggi di spicco della borghesia torinese, tra i quali emerge il carismatico Roberto dAzeglio.
Sempre nel 1848 Torino affronta una guerra di liberazione nazionale e di espansione contro limpero austriaco. La vicenda tuttavia non trova lieta conclusione, infatti nel marzo 1849 lesercito piemontese viene sconfitto nella battaglia di Novara, Carlo Alberto abdica a favore del figlio Vittorio Emanuele II, il quale negozia gli accordi di pace con gli Austriaci.
I moti rivoluzionari del 48, che avevano sobillato le folle torinesi con speranze patriottiche, si risolvono in unamara delusione e in una seconda restaurazione attuata dagli Austriaci con il sostegno di Pio IX e dello zar Nicola I.
Lunica eccezione al trionfo austriaco è proprio Torino. Il casato dei Savoia è lunica dinastia in Italia che non dipende dallinfluenza austriaca, inoltre la città si presenta come capitale dellunico stato  che mantiene una costituzione in cui c’è un parlamento che gestisce insieme con la monarchia la responsabilità del governo. Vittorio Emanuele accetta le procedure costituzionali per arginare i democratici e per guadagnarsi il supporto dei liberali moderati nelle politiche antiaustriache. La sopravvivenza dello Statuto fa si che Torino si differenzi  dalle altre città. Infine, con lingresso sulla scena politica di Camillo Benso, abilissimo leader, riformatore dinamico, statista di altissimo livello, si inizia a delineare una nuova tipologia di governo che assicura la partecipazione politica di ampie fasce del ceto medio urbano.
Dopo il 48, Torino è nuovamente scenario di iniziative riformiste che tra laltro influenzeranno grandemente il futuro dello Stato italiano dopo il 1861.
Fin dalla sua emanazione lo Statuto ha introdotto un forte cambiamento nella classe politica piemontese, allinterno della quale laristocrazia assume via via un ruolo sempre più modesto, pur continuando a gestire la vita politica della città. La maggioranza dei nobili si identifica nella coalizione di monarchici conservatori guidati dal conte Ottavio Thaon de Revel, il quale beneficia di potenti legami sia con la Chiesa cattolica che con la corte sabauda, inoltre trova sostegno nel corpo diplomatico, nella gerarchia militare e nelle campagne. A questa fazione si contrappone lo schieramento dei riformatori moderati, tra i quali troviamo Camillo Benso di Cavour e Massimo dAzeglio (fratello di Roberto).
Ben presto è proprio  Camillo Benso a emergere come figura politica dominante, prima, sotto il governo di dAzeglio, come ministro dellAgricoltura, del Commercio e della Marina, in seguito, dopo il 52, come primo ministro. Egli è certo un intraprendente imprenditore agricolo, ma soprattutto è un rispettato esperto di politica economica nonché fautore delle ferrovie. Camillo viene descritto dal cugino come un aristocratico per nascita, gusti e natura, lui stesso considerava la nobiltà superiore per natura alla classe borghese. Già dagli anni 30 Cavour porta avanti la sua celebre convinzione del juste milieu, secondo cui un governo deve evitare gli estremi dellassolutismo e dellanarchia e seguire un programma che porti ad un progresso graduale e ordinato. Egli è nemico giurato dei movimenti repubblicani e democratici, ma si trova ad essere fortemente contrastato dalla Chiesa, specie dal monsignor Luigi Franzoni, arcivescovo di Torino tra il 1831 e il 1862.
Camillo Benso, negli anni 50, si pone al centro della lotta per secolarizzare lo Stato piemontese, attraverso la divisione istituzionale dei poteri tra Monarchia e Parlamento; egli risulta altresì figura fondamentale in ambito economico, poiché introduce una politica di libero commercio volta a favorire lingresso del Piemonte sui mercati europei, e a stimolare le esportazioni dei prodotti grezzi piemontesi e a determinare un abbassamento del costo delle importazioni di macchinari e prodotti finiti. Cavour si dedica anche alla problematica del deficit del bilancio statale, che nel 1850 era risultato negativo a causa delle spese di guerra e delle riparazioni allAustria. Altre iniziative importanti riguardano il coinvolgimento del governo per una serie di miglioramenti infrastrutturali  volti alla riorganizzazione del sistema di credito, alla creazione di nuovi istituti finanziari, allampliamento delle casse di risparmio,  e alla fondazione della Borsa di Genova e di quella di Torino.
Nonostante i miglioramenti economici degli anni 50, lintegrazione del Piemonte in un più ampio quadro nazionale si gioca su di un piano tutto politico-culturale; Torino è un laboratorio di idee, nonché meta per moltissimi rifugiati politici in fuga dalle forze reazionarie presenti nella Penisola, tra questi vi sono scrittori, accademici, personaggi politici, che non solo trovano riparo ma riescono ad integrarsi nella società, ricoprendo  impieghi redditizi, attraverso collaborazioni con i giornali, insegnando alluniversità o trovando occupazioni nel settore delleditoria. Se da una parte questi esuli contribuiscono a realizzare unatmosfera cosmopolita, dallaltra non tutti apprezzano tale situazione, come i membri più tradizionalisti dellaristocrazia, che si sentono minacciati nelle loro posizioni.
Torino è ora mossa da una nuova vitalità culturale, che si realizza nella diffusione di unincredibile varietà di spettacoli teatrali e musicali, rivolti ad un pubblico sempre più ampio e variegato, costituito da militari, studenti e membri del ceto medio. Inoltre la cittàè anche centro di informazione, come dimostrano i ben tredici quotidiani che pubblicano sia editoriali che notizie di cronaca, oltre alle cinquanta riviste dedicate alla politica, alle scienze, alla letteratura o alle belle arti.  In quegli anni il giornale più letto è La Gazzetta del Popolo, grazie al prezzo contenuto e al linguaggio semplice, che si rivolge prima di tutto alla fascia popolare della cittadinanza, ossia piccoli negozianti, artigiani ed operai.
In questi anni Cavour ha nuovamente la possibilità di dimostrare il suo genio, che primeggia nellabilità di sfruttare le occasioni e nel talento per limprovvisazione di fronte a eventi inaspettati.
Momento essenziale è poi la guerra di Crimea (1855), alla quale Cavour aderisce tardi e con riluttanza, senza nemmeno convertirsi del tutto allideale nazionalista, ma mosso principalmente dal timore di unalleanza franco-autriaca. Tuttavia tale scontro porta a Torino un discreto prestigio e nel contempo scombussola il vecchio assetto politico: la situazione è prontamente sfruttata da Camillo Benso, che approfitta della divisione tra i Grandi Stati per espandere i propri interessi nella Penisola. Il Primo Ministro decide dunque di adottare una politica estera programmata per lallargamento dei confini del regno verso nord  e per lampliamento del suo controllo sul resto della Penisola. Questa decisione segna in realtà una tappa fondamentale per lunificazione: è la prima volta che uno stato potente acconsente ad abbracciare la causa del nazionalismo italiano.
Tra il 56 e il 59 Cavour porta avanti una coraggiosa, seppur ambigua, politica estera, alla base della quale vi è lobiettivo primario di cacciare gli Austriaci dal territorio. Nel 1858 si presenta lopportunità attesa: Napoleone III stringe un accordo con Cavour in cui è garantito lappoggio militare francese al Piemonte se questo avesse trovato un pretesto diplomatico per provocare una guerra contro lAustria. Le ostilità si aprono nel 1859, con le battaglie di Magenta e Solferino. Nello stesso anno tuttavia Napoleone III firma degli accordi di pace con lAustria e Cavour subisce una forte battuta darresto. Lanno successivo, riconfermato Primo Ministro, Camillo Benso torna allattacco e organizza plebisciti in Toscana e in Emilia per legittimare lannessione di gran parte dellItalia centrale al casato dei Savoia. Vengono ceduti alla Francia i territori della Savoia e di Nizza, tuttavia la cittadinanza torinese può essere più che orgogliosa dei successi conseguiti dal loro concittadino. Cavour non può godere dei propri successi, poiché nello stesso anno, in seguito alle rivolte scoppiate in Sicilia, Giuseppe Garibaldi si mette alla guida della celeberrima Spedizione dei Mille. Camillo allora invade gli Stati Pontifici, giustificando tale azione come unico modo per evitare la rivoluzione, viene infine chiamato il re Vittorio Emanuele II a guidare le truppe piemontesi, escamotage pensato dallastuto Primo Ministro, consapevole del rispetto di Garibaldi per  Vittorio Emanuele.  Garibaldi cede al re i territori appena conquistati, mentre Cavour consolida le nuove acquisizioni e blocca ogni iniziativa per instaurare assemblee costituenti, e indice plebisciti per far approvare lannessione dei nuovi territori al Piemonte.
Il processo di unificazione politica  culmina nei primi mesi del 1861 con lelezione del primo Parlamento Nazionale, il riconoscimento di Vittorio Emanuele II come primo re dItalia e la nomina di Torino a capitale del Regno.  


ALESSIA CAGNOTTO 

Abbiamo intervistato Friedrich Nietzsche

Friedrich Wilhelm Nietzsche passava le sue giornate a Torino dividendosi tra la sua abitazione di via Carlo Alberto e il Caffè Fiorio poco distante scrivendo le bozze di ”Ecce Homo”, la sua autobiografia ‘visionaria e febbricitante’.
Così ho immaginato una ”intervista impossibile” al philosoph di Röcken che fece di Torino la sua piccola patria prima di ”perdere la ragione” e ritornare migrante d’Europa dopo aver scritto queste parole al suo collega filologo Jacob Burckhardt che lo invitava a un convegno elvetico :  …« avrei voluto  essere a Basilea anch’io piuttosto che Dio ma non ho potuto omettere per il mio privato egoismo la creazione del mondo»:
 
Lei che amava la musica di Richard Wagner e teorizzò il superuomo è stato anche considerato un critico della  funzione debole della storiografia e dell’ altruismo come fonte di rigenerazione collettiva, cosa ne pensa di quelle considerazioni  ‘sull’inattuale’ alla luce della crisi contemporanea?
 
Le rispondo in parola. In ”Sull’ utilità e il danno della storia per la vita” definii lo storicismo una «febbre divorante» e una una «virtù ipertrofica» che può essere rovinosa per l’analisi dei tempi. Dei miei, si figuri di quelli odierni. Semplificando al massimo: dare dei fascisti al leghismo local-sovranista o degli stalinisti al popolo delle sardine, ci porta a parlar del nulla, il mio ”nihil” in pratica.  Vede se non interpretiamo l’oggi senza l’aiuto di una lente di ingrandimento, lo descriviamo come uno specchio deformante. Come il Wilde di Dorian Gray e il rischio è enorme, lei può capire.
 
In che senso si spieghi meglio…
 
Nel senso che si fa facilmente della tragedia una farsa, della critica sociopolitica un teatrino delle ombre e alle nuove generazioni si toglie il pane dal futuro. E ‘ giusto ricordare l’orrore del passato per fare in modo di non ripeterlo. E bisogna fermarsi lì. Lo voglio sottolineare con forza. Senza azzardati parallelismi in sociologia politica contemporanea, a destra come a sinistra. Danno e utilità. Demagogia e buona pedagogia, vanno bene utilizzati, separando il grano dal loglio. 
 
Cosa mi consiglia per comprendere lucidamente il ventunesimo secolo alla luce del secolo breve che lo ha preceduto?
 
 
Per conoscere il novecento totalitario e guerrafondaio è meglio leggere ”Buio a mezzo giorno” di Arthur Koestler e ”Viaggio al temine della notte” di Louis Ferdinand Celine.  Li consideri da me vagliati. Poi spegnerei la televisione e leggerei un buon libro, come consigliava Karl Popper.  Io avrei detestato i social, i cinguettiii vari e i ban di moderazione, come i talk show posologia una volta al giorno, dove ”ha ragione” chi urla più forte. Più pensiero e meno immediatezza mi dia retta, più linearità e meno segmentazione semantica. E’ un beneficio della mente per tutti.
 
Come sta?
 
Vede mi danno del pazzo, mi riempiono di litio ma sono  lucidissimo e lo sono stato fino alla fine da Basilea fin dopo la mia temporenea permanenza a Torino fino a Weimar e alla mia morte, nonostante le dicerie di psicosi, il mio ‘animalismo da strada’ e i bisogni di megalomania. D’altra parte: ”Umano-Troppo Umano-Non umano” valeva e vale anche per me.
 
Quel motto come lo legge alla luce del nuovo millenio, ai problemi dell’ immigrazione crescente e alla nostra ”incapacità d’accoglienza” di un Europa ricca ed egoista e di un turbo capitalismo globalizzato miope e utilitarista che si fa scempio degli accordi di Dublino? 
 
L’Italia ha un cuore immenso e gli italiani sono brava gente, vi conosco dai tempi tardo ottocenteschi, viaggiavo anche dalle vostre parti. E ‘ questo è Umano, in se. Quello ”slogan” non richiede soluzioni semplificanti, sarà un problema di tutto il nuovo secolo e forse oltre. Dovrete governarlo, non confliggerlo troppo. Integrazione economica e culturale,  rispetto delle regole da parte di tutti. Multilateralismo.Troppo-umano è il buonismo massmediatico acchiappa voti. Non-Umano ‘il lembo del mantello del Dio Unico’. Tirato su a colpi di rosari in Piazza e facili respingimenti, che vi si torceranno contro sul lungo periodo. Se lei pensa che io venni considerato prodromico al nazismo, trentotto anni prima del suo avvento, ha già una domanda in più, che una facile risposta. Nella vostra epoca ”non esistono fatti ma solo le loro interpretazioni ”. Meglio la koinè ermeneutica, che la ”facile” epistemologia. L’esercizio del dubbio che le liofilizzate certezze. ”La verità è dei folli e dei bambini” sosteneva Erasmo da Rotterdam. In fondo è di tutti, il dono di un pizzico di infantilismo illuminista, che permetta di individuarla per gradi questa tanto agognata ”verità”.  
 
Cambiamo argomento doktor Nietzsche. Ha sentito parlare di Greta Thunberg la piccola bambina svedese e la sua ‘ecologia pilotata’?
 
Si, mi è giunta l’eco.
 
Con il suo riflesso sui paesi del Terzo Mondo che ci chiedono il conto. Cosa ne pensa?
 
Se si sostituisce acqua e fango, si legga CO2 al posto dell’ossigeno, tre volte tanto che a inizio novecento, tenetevi l’ozonica fine dei ghiacci perenni, le mallatie incurabili che mietono e mieteranno milioni di morti l’anno come intere guerre mondiali. 
 
Possiamo smettere se si potesse? 
 
Si. Quindi non lamentatevi troppo. Non importa o importa, ma capita.
 
 
”Soluzioni”?
 
Un ‘economia industriale di sostituzione’ in forma pianificata e razionale che porti a incentivare le energie rinnovabili, senza andare agli Utopici tagli lineari per quelle fossili, è da persone sensate direi. Poi fate vobis. La desertificazione è effetto del riscaldamento globale, come il nichilismo dei miei tempi della siccità morale. 
Sul medio periodo sono nuovi posti di lavoro per voi tutti.  Il ‘super uomo di massa’ va toccato nel portafoglio. Mi permetta un pò di ironia.
 
Molto lucido come sempre…
 
Se invece mi può pensare come ‘oracolo del presente’ vi lascio le mie opere. Per tutti da leggere ‘cum grano salis’. Lontani dalle sempre perniciose sovrainterpretazioni.
 
La saluto e danke schoen mio ”contemporaneo”. 
 
A Lei Meister di Storia
Aldo Colonna

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Suzie Miller “Prima Facie” -Neri Pozza- euro 20,00

L’argomento è di scottante attualità dato che le statistiche evidenziano che una donna su tre subisce molestie sessuali, e solo una su 10 si decide a ricorrere alla legge. Suzie Miller, drammaturga, sceneggiatrice, avvocato australiano-britannica, racconta una storia che è anche una potente denuncia.

Protagonista è Tessa, avvocata 30enne di successo a Londra, dove svolge il suo lavoro correndo da un aula di tribunale all’altra, inanellando successi; d’altronde è una in gamba che morde e si è sempre distinta nel lavoro e all’università.

La sua vita viene stravolta quando un collega, con cui c’è feeling, dopo un primo rapporto consensuale la stupra senza pietà.

Prima Facie” è il termine legale che in latino significa “a prima vista” e indica le cause che apparentemente possiedono elementi di prova sufficienti per richiedere un rinvio a giudizio; ma quelle per violenza sessuale hanno scarsa possibilità di vittoria.

Il romanzo è il racconto di come l’indomabile Tessa si decide a denunciare il collega di studio-stupratore, barcamenandosi tra mille pregiudizi e difficoltà. Emerge come nelle violenze sessuali il corpo della donna diventi la scena del crimine, e Tessa, purtroppo, facendosi una doccia ha lavato via indizi importanti.

Lei che in passato ha dovuto difendere degli stupratori ora, per la prima volta, si trova dall’altra parte della barricata, e si rende conto che il sistema giudiziario non sempre protegge le vittime di abusi.

 

 

Marguerite Duras “Gli impudenti” -Feltrinelli- euro 22,00

Ora viene tradotto per la prima volta in Italia il libro di esordio di Marguerite Duras “Gli impudenti” del 1943. La scrittrice francese, nata in Indocina nel 1914 da modesti coloni, a 18 anni andò a Parigi per studiare.

Divenne una scrittrice poliedrica capace di alternare narrativa, memoir, saggistica, teatro e cinematografia; prima di spegnersi il 3 marzo 1996, la sua fu una vita piena di eccessi, mai in pace col mondo e tantomeno con se stessa.

Al centro di questa sua opera prima c’è un’atmosfera buia, quella dell’Occupazione tedesca in cui aleggiava un pesantissimo clima di sospetti, delazione, egoismi e meschinità.

Maud, la giovanissima protagonista segue la sua famiglia nel Sud- ovest-francese, dipartimento di Lot-et-Garonne. E’ al seguito della madre, del patrigno e di due fratellastri, alla volta di un’antica proprietà che sta per essere venduta. O per meglio dire, svenduta.

 

Causa del dissesto economico è la pessima gestione del fratello maggiore Jacques, uomo violento e indecifrabile che ha completamente sottomesso la madre ai suoi voleri e capricci. E’ lui a fare il bello e brutto tempo, dominando tutta la famiglia con la sua tirannica distruttività fatta di debiti, prodigalità dissennata e continue insolvenze.

 

 

Thomas Schlesser “Gli occhi di Monna Lisa” -Longanesi- euro 22,00

Questo splendido e geniale romanzo dello storico dell’arte e docente francese Thomas Schlesser -subito diventato fenomeno letterario e campione di incassi- è soprattutto un meraviglioso viaggio tra i capolavori dell’arte, in cui ogni quadro diventa spunto per lezioni filosofiche.

Tutto inizia quando Lisa a 10 anni perde improvvisamente, e solo per un’ora, la vista. In quel lasso di tempo i suoi occhi si spalancano sul buio e smettono di vedere; nessuno sa risalire alla causa precisa e l’oculista consiglia il consulto di uno psicologo.

A prendere in mano la situazione è il nonno Henry, convinto che se davvero la piccola è destinata alla cecità la cosa giusta da fare è mostrarle subito quello che di bello l’umanità è riuscita a creare.

Così ogni settimana, con la scusa di accompagnare la nipote dallo psicologo, invece la porta al Louvre, poi al Museo d’Orsay e infine al Centre Pompidou per farle scoprire oltre 50 opere di grandi artisti.

Capolavoro dopo capolavoro Lisa viene guidata dal nonno ad apprezzare i capolavori dell’arte, e ognuno diventa una preziosa lezione di vita. Per la piccola che è solo all’ultimo anno delle elementari, ogni tela di fronte alla quale si incanta, grazie alla mediazione del nonno, diventa occasione per misurarsi con temi difficili per la sua età.

Tra questi: la disabilità, la malinconia, il desiderio, e tutte le riflessioni che possono scaturire da opere immortali come quelle di Botticelli, Leonardo, Michelangelo, Turner, Goya, Degas , Monet….per arrivare a Kandinsky, Pollock e altri grandissimi artisti. Per il lettore un piacevolissimo excursus attraverso 52 capolavori.

 

Rachel Cusk “Coventry” -Einaudi- euro 18,50

Rachel Cusk, nata in Canada a Saskatoon, nel 1967, poi trasferitasi a Parigi dopo la Brexit, è considerata una delle scrittrici contemporanee più innovative. “Coventry” rimanda a una curiosa espressione usata in Inghilterra che indica quando qualcuno smette deliberatamente di parlarci; allora si dice “essere mandati a Coventry”.

In realtà Coventry è una cittadina delle Midlands che aveva una magnifica cattedrale, poi ridotta in macerie durante la guerra. Un luogo simbolico per la scrittrice.

Il libro è una raccolta di scritti sulla vita, la letteratura e l’arte, ma si parla anche di divorzi, traslochi, fratture tra genitori e figli; pagine anche spietate che mettono a fuoco, in modo implacabile, il complicato intrico dei sentimenti.

Il volume include alcuni saggi a carattere letterario e recensioni che ha pubblicato negli ultimi 15 anni. Denominatore comune tanta passione e lucidità di pensiero.

Particolarmente intrigante la prima sezione che dà il titolo al volume: comprende 6 scritti, racconti in presa diretta che sviluppano alcune tematiche particolarmente care alla scrittrice.

La guida come metafora, la rottura dei rapporti con i genitori, la maleducazione, la ristrutturazione di una casa, e ancora la complicata fase adolescenziale delle figlie e la triste fine di un matrimonio.

Pagine ricche di meditazioni spontanee e concatenate una all’altra che esprimono un nuovo modo di raccontare storie. Avvenimenti della sua vita in cui possiamo ritrovarci e farci guidare nell’analisi dalla profondità del suo pensiero che non fa mai sconti.

Le altre parti del libro invece sono excursus colti sulle opere e le vite di grandi autori; da David Herbert Lawrence a Kazuo Ishiguro, da Edith Wharton a Natalia Ginburg , passando per altre firme letterarie tra le quali Françoise Sagan e Olivia Manning.

 

La storia di Marcel Bich, l’uomo che semplificò la scrittura

Un giorno d’autunno mi decisi senza dare nulla per scontato a riempire la ‘lacuna del Carneade’ :

« che origine ha questa penna di plastica traslucida che tengo tra le mani, dotata di una piccola sferetta sulla punta, che mi permette di scrivere comodamente sul bancone di un ufficio postale, come sulla scrivania della mia abitazione, senza spargere macchie di inchiostro, che nella mia memoria individuale mi permette di risalire ai tempi delle scuole medie? » Googolare e vecchi annuari di storia. Venni a sapere che la penna a sfera fu realizzata grazie all’iniziativa di tale Marcel Bich, barone valdostano che vide la luce a Torino nel 1914 ai primi fuochi della Grande Guerra, i cui antenati nativi di Châtillon, ebbero il cognome originario di Valtournenche. Inizió a lavorare giovanissimo a Parigi dove la sua famiglia tra alterne vicende si trasferì, lì finì gli studi universitari, facendo tra molti mestieri anche il fattorino e il rappresentate di lampadine. Diede nome Bic a questo prodotto rivoluzionario,  omett endo la “h” finale del cognome, per motivi di semantica di marketing, commercializzandolo con successo in tutto il mondo e facendolo divenire comune come il tostapane e globale ante litteram. Caparbio e intraprendente, appassionato di vela ( partecipó a una Coppa America con l’armo France e lui skipper nonostante fu consigliato a far condurre la barca da velisti più esperti ) nel 1953 compró il brevetto dall’inventore ingegnere ebreo ungherese László József Bíró, tanto che anche da questo cognome nacque l’espressione gergale ‘penna biro’ e ancora oggi ci si esprime indifferentemente negli uffici e nei luoghi di lavoro con le locuzioni «passami la biro o passami la bic» per indicare quel tipo specifico di oggetto d’uso, reperibile ovunque, di pratico e pronto utilizzo. Nomen omen.  Il record di fatturato di 1750 miliardi di lire lo fece nel 1993. Attualmente Bic è un colosso mondiale con vendite in 160 paesi per 25 milioni di penne al giorno in tutti i continenti, in mercati sia sviluppati che emergenti. Ha 3,2 milioni di punti vendita e 9.700 dipendenti in giro per il mondo.  Produce anche anche il rasoio mono uso e l’accendino senza ricarica. Marcel Bich fu decisamente prolifico avendo ben undici figli. Diffidava dell’alta finanza, dei giornalisti e curiosamente dell’imprenditoria cui apparteneva. Prese la volta del cielo a Parigi nel 1994. Nel 2004, a dieci anni dalla sua morte, il Comune di Torino ha collocato una targa sul muro della casa di corso Re Umberto 60 in cui Marcel Bich nacque con la scritta ” semplificó la quotidianità della scrittura”.  Quando qualcuno voleva intervistarlo la sua fedele segretaria giapponese rispondeva « il barone lavora non ha tempo da perdere ». Una bella storia per Torino, per i torinesi e per l’umanità.

Aldo Colonna

Rock Jazz e dintorni a Torino: Max Pezzali e Antonella Ruggero

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Gli appuntamenti musicali della settimana 

Mercoledì. Allo Stadio Olimpico si esibisce Max Pezzali. Al Blah Blah è di scena Bob Log III.

Giovedì. Al Circolo della Musica di Rivoli il duo Ma.Ca.Bro, elabora musiche dalle improvvisazioni coreografiche del Balletto Teatro Torino. Al Blah Blah suona il chitarrista Luca Borgia. Al Magazzino sul Po si esibiscono i Death Before Dishonor.

Venerdì. A Bruino suona il quintetto del bluesman Mark Dufresne. Ad Ivrea parte “Apolide” con l’esibizione fra gli altri di Motta, i Santi Francesi e Laila Al Habash.

Sabato. All’”Evergreen Fest” alla Tesoriera è di scena Antonella Ruggero. Per “Apolide” si esibisce Cosmo. Al Palaexpo di Moncalieri per il “Rock Burger Fest” suonano i Folkstone, Punkreas e Ufomammut. A Ferrere canta in piazza Alex Britti. Al Blah Blah si esibiscono i Latte+. A El Paso suonano :Lyon Estates, Insulsi e Sacro Cuore.

Domenica. Alla Tesoriera  per “Evergreen Fest” si esibiscono gli Statuto. Chiude “Apolide” con i Tre Allegri Ragazzi Morti, Ex -Otago ed Elasi. Al El Paso suonano i Whoresbation e gli Endorphines Lost. Al Phenomenon di Fontaneto d’Agogna metal con Fear Factory e Biohazard.

Pier Luigi Fuggetta

Tabusso inedito raccontato da chi lo ha conosciuto

Il ricordo dell’artista attraverso le parole di Emanuele Farina Sansone

 

Il ricordo che vorrei trasmettervi non è tanto quello del Tabusso accademico o quello del Tabusso ritratto attraverso le numerose tappe della sua carriera di Maestro, che vanno dalla partecipazione alla Biennale Internazionale di Venezia o ai suoi sodalizi con le più prestigiose Gallerie del Nord Italia, prima tra tutte la Gianferrari di Milano o le torinesi Carlina, la Bussola, Biasutti e Davico; ma è la testimonianza in parte diretta ed in parte tramandatami dai miei genitori: Francesco era di casa e quando non lo era lui fisicamente, lo erano le sue opere ben rappresentate: la ragazza di Camparnaldo, il merlo, Sant’antonio abate, un dipinto dedicato a Georges Latour ed uno a Caravaggio con tutti gli aneddoti a questi dipinti legati.

Di li a sei mesi sarebbe stato il compleanno di mio padre e mia madre pensò di chiedere a Francesco, tramite il gallerista Silvano Gherlone,  un dipinto che rappresentasse Sant’Antonio abate il protettore degli animali. Tabusso esaudì il desiderio ed in un fitto bosco di betulle rappresentò Sant’Antonio con a fianco un grosso grasso maiale, ma, come la storia ci insegna, i committenti sono molto capricciosi ed a opera terminata gli venne richiesto, come fece Piero Soderini con Michelangelo per il naso del David, di rimuovere il maiale che a mia madre sembrava irriverentemente allusivo nei confronti di mio padre. Con un po’ di pennellate, quasi per incanto, il maiale si trasformò in un tronco di castagno segato alla base.
Come di consueto grandezza ed umiltà vanno di pari passo.


Per il dipinto rappresentante la ragazza di Camparnando, fu lo stesso Tabusso ad insistere con mio padre perché lo scegliesse per inserirlo nella sua collezione, quando lo dipinse si sentiva molto ispirato e lo stesso dipinto fu selezionato per rappresentare Tabusso nell’enciclopedia dell’arte. Tabusso dedicò la tela al sottoscritto con alcune parole di affetto sul retro.

Tra le opere pubbliche più prestigiose Tabusso realizzò a Milano una pala di 12 mt. X 8 mt. rappresentante San Francesco al Fopponino (Chiesa realizzata da Giò Ponti).
Quello che tutti sanno è che la pala è divisa in due parti e rappresenta San Francesco e Santa Chiara immersi in una natura che solo il Creatore può aver concepito. Otto trittici completano il percorso di San Francesco in preghiera, ma quello che non tutti sanno è quello che Francesco raccontò a mio padre andando a Milano per mostrargli la sua opera che, per dipingere una pala così alta, creò una imbragatura che gli consentisse di essere sospeso sopra la tela appoggiata al pavimento e che la macchinosità della vestizione lo obbligava a dipingere per diverse ore consecutive.

Mio padre spesso mi accompagnava nello studio di Tabusso in Corso Galileo Ferraris. L’odore dei colori era intensissimo e molto piacevole, ovunque c’erano tele appena iniziate e che mai avrebbe terminato, lavori terminati sui quali aveva iniziato a dipingere soggetti totalmente diversi, bozzetti, disegni, una modella si aggirava per lo studio ed era facile riconoscere gli occhi di molti dipinti di Tabusso negli occhi della modella stessa: occhi grandi ben delineati da una matita e riempiti con l’ombretto tanto da farli sembrare sgranati, quasi stupiti nell’osservare il mondo.

Allievo di Casorati, rappresentava un cesto di funghi in modo così evocativo da consentire alle papille olfattive dell’osservatore di restare coinvolte, dalle foglie, dal terreno umido e dai muschi sulla corteccia degli alberi. Ugualmente evocativi era il suo tomino di Rubiana, i salumi a pasta mista bovina e suina, la toma di lanzo, le mocette, le paste di meliga, il salame della rosa…..
La misticità dei suoi santi riportava ai loro sai intessuti a grossa grana che nulla concedevano di più che alla funzione di proteggerli dal freddo.
Le sue ragazze contadine lasciavano intendere che la loro bellezza o freschezza sarebbe appassita di lì a poco dal duro lavoro dei campi
Questo è un francobollo della grandezza di Francesco Tabusso che ha l’unico scopo di consegnarvi un’immagine assolutamente inedita.

 

Emanuele Farina Sansone

Foto Saroldi

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: Marrone assessore alla Cultura – Sia reso merito a Giachino – Grazie Bepi

Marrone assessore alla cultura

Chi scrive ha conosciuto tutti gli assessori alla cultura della Regione Piemonte dal 1970 in poi ed ha quindi avuto l’opportunità di aver cumulato una bella esperienza. In molti casi ha collaborato, in altri ha polemizzato con loro. Potrei anche fare citazioni da cui mi astengo. L’unica assessora che non ho mai incontrato è l’ultima che non mi ha mai convocato o ritenuto di almeno conoscermi forse come decano del caravanserraglio dell’associazionismo torinese. Venne ad ascoltarmi ad Alessandria e forse la delusi. Non così è accaduto con Maurizio Marrone che venne almeno due volte a parlare e ad ascoltare al Centro “Pannunzio”. Ed anche di recente sono stato invitato al grattacielo di via Nizza per un utile scambio di opinioni. Fu il primo ad interessarsi fattivamente al ripristino della lapide di Mario Soldati ai Murazzi,  sempre oggetto di sfregi e scritte. Leggo le scemenze che vogliono insinuare su di lui per la difesa solidale della famiglia e della vita, anche se nessuno ha osato dire qualcosa di negativo come in passato. Tra l’altro è riuscito a far aprire al pluralismo il Circolo dei lettori, un sancta sanctorum della sinistra radical-chic. Il vasto consenso raccolto dimostra il suo radicamento e il duro lavoro realizzato. Non è stato un assessore ambiguo o inattivo e riuscì a suo tempo a risorgere ad un agguato burocratico che gli impose l’annullamento dell’elezione in Regione. Come Luca Beatrice, lo apprezzo da anni per la sua coerenza e la sua capacità di battersi per le cause in cui crede. Sarà un ottimo assessore alla cultura,  un incarico che i politici non amano perché avaro di voti. Che di aria nuova ci fosse bisogno in quell’assessorato è fuor di dubbio. Almeno dai tempi di Parigi che ha servito il suo partito in una candidatura di testimonianza non priva di dignità.
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Sia reso merito a Giachino

Non so se Mino Giachino di origini democristiane alla scuola di Donat Cattin sia stato un buon sottosegretario ai trasporti, ma certo fu e rimane un politico molto attivo e disinteressato alle clientele. Giachino molto più delle evanescenti madamine è stato il protagonista coraggioso della battaglia per l’Alta Velocità, tanto importante quanto trascurata per non sollevare il dissenso dei No Tav. Giachino ha esordito in una piazza Castello esorbitante di gente ricordando il Frejus e il Conte di Cavour, risvegliando il torpore di Chiamparino e del compianto Virano. La sua battaglia solitaria ha dato frutti. La sua non elezione in Regione rivela una certa ristrettezza dei vertici politici che non sanno riconoscere i meriti civici acquisiti sul campo.

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Grazie Bepi

Vedendo questa splendida fotografia di piazza Vittorio Veneto, è impossibile non ricordare che l’avv. Giuseppe Dondona liberò la piazza dal Carnevale e dalle fiere, restituendola alla storia e all’arte di Torino. Una scelta coraggiosa che riqualificò la città come il parcheggio sotterraneo costruito malgrado i nitriti di Vattimo e altri “intellettuali”.

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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com

Via Roma pedonalizzata
E allora vogliono pedonalizzare l’intera via Roma al costo stratosferico di 12 milioni, un costo quasi mussoliniano: ma il Duce costruì rapidamente l’intera nuova via Roma, dando una via degna alla città (che fu capitale) e che ancora oggi rappresenta  la sua arteria migliore, sia pure nel degrado in cui vive e nella penuria dei grandi negozi di un tempo. Lei cosa ne pensa? Antonio Visconti

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Condivido tutto quanto ha scritto ed aggiungo di essere contrario allo spreco di denaro pubblico in un’opera inutile e anche dannosa. Inutile perché i portici ampi di via Roma rendono inutile pedonalizzare la via, a meno che non si voglia dare a qualche sfaccendato artista l’occasione di esibirsi nella via. Dannosa perché sconvolgerà il  traffico del centro. Questa somma va destinata ad altri scopi, in primis a colmare le buche che rendono impraticabili vie e marciapiedi. Io penso che un ingegnere concreto come il Sindaco abbia qualche perplessità verso un progetto che da’ lustro alla parte meno utile della sua maggioranza, quella che ragiona attraverso gli slogan.