CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 112

L’ibrida bottega “Dialoghi al Quarto di Luna”

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Conversazioni a ruota libera su passato, presente e futuro di Torino per il ciclo di incontri “Dialoghi al Quarto di Luna” ospitati dalla libreria Librida bottega, che è il rifugio prediletto di ostinati lettori da 12 anni ai piedi della collina e affacciata sul Po.

 

Il programma prevede 9 incontri (ingresso libero, ma su prenotazione) fino al 3 giugno. Tutti altamente conviviali, in piena libertà, a ruota libera e più voci per declinare i mille volti della città.

Così “L’ibrida bottega” si riconferma libreria indipendente capace di fare comunità; e grazie alla collaborazione e all’interazione di un pool di amici ha messo a punto la scaletta degli appuntamenti. Il titolo di ognuno si ispira a un romanzo e prevede una coppia di relatori che si confrontano anche con il pubblico.

Il primo è stato un successo, il tema era “Lettere da Torino: sulle tracce antiche e future della città”. Protagonisti sono stati Walter Barberis, storico e presidente della casa editrice Einaudi e Adrea Malaguti, neo direttore della Stampa, (quotidiano torinese che collabora all’iniziativa).

L’analisi di Malaguti è partita dalla situazione delloscacchiere mondiale: tra guerre in corso e profonda crisi dei valori condivisi dalle collettività occidentali.

Torino è una delle città che (insieme a Roma e Napoli) ha visto il moltiplicarsi delle disuguaglianze e sta pagando maggiormente la crisi economica. Soprattutto deve trovare una sua nuova identità, visto che sono venuti meno i punti di riferimento del passato. Le potenzialità ci sarebbero, però occorre reinventarsi, affinare l’abilità di farsi conoscere, capire e autopromuoversi.

Barberis ha sottolineato lo sbandamento culturale degli ultimi anni e il frantumarsi della solidarietà. I grandi padroni oggi sono le multinazionali con sedi all’estero, e interloquire è complicato; mentre i contratti di lavoro dei giovani sono effimeri e li fanno sentire ininfluenti e facilmente sostituibili.

Le risorse ci sarebbero, Torino ha ingenti patrimoni che però restano immobilizzati. Barberis si augura un nuovo Rinascimento della classe imprenditoriale, un’alleanza tra le persone che hanno le possibilità di dare una svolta.Perché Torino non può vivere solo di turismo; ma deve inventare il suo nuovo futuro in un’Italia e in un Europa che sono sempre più marginali nel mondo. Questi alcuni dei nodi del primo incontro.

 

E last but not least.

“L’ibrida bottega” è sempre più una sorta di Shakespeare and Company subalpina (per energia e lungimiranza intellettuale ricorda quella fondata nel 1919 a Parigi da Sylvia Beach); le cui anime sono quelle di Federico Bena e sua moglie Cristina.

Da luglio si è trasferita nella nuova location in via Casale 10, sempre a Borgo Po (prima era in via Felice Romani). Nuova sede, lo stesso fascino di quella precedente, anzi accresciuto e molto più in grande.

Un’oasi di pace e cultura che ha guadagnato preziosi metri quadrati, sempre pronta ad ospitare novità, iniziative, autori e un pubblico affezionato in costante crescita.

Qui si entra e ci si ritrova accolti dall’abbraccio dei titolari che si alternano nell’orario continuato fino alle 20 di sera. Federico e Cristina di libri vivono: li respirano, li leggono e consigliano, e qualsiasi titolo andiate cercando loro si attivano per trovarvelo.  Scusate se è poco…soprattutto per chi rimpiange un bene oggi raro, ovvero l’antico rapporto con il libraio-amico col quale commentare e scambiare emozioni e pensieri.

 

Il prossimo incontro sarà il 5 Febbraio  “Il mestiere di vivere: la città e la fabbrica, ricordi e speranze”  con Sergio Chiamparino e Giorgio Marsiai, moderati dal giornalista Paolo Griseri.

E a seguire, tra i vari argomenti: la città e lo sport, la storia politica del capoluogo subalpino, la solidarietà, il cinema e passeggiare a Torino.

Per il programma completo scrivere a info@libridabottega.it .

LAURA GORIA

Saranno famosi: al Teatro Alfieri fino al 28 gennaio

“Fame”, chi non ha seguito le avventure della scuola americana che negli anni 80 ci incollava alla TV: gli studenti della prestigiosa High School for the Performing Arts di New York sognano in grande. Tra loro figurano Danny, un aspirante comico, Coco, un cantante e ballerino ambizioso, e Leroy, che spera di riscattarsi attraverso la danza. Un telefilm leggendario e intramontabile della cultura pop.
Sicuramente è stato influenzato Luciano Cannito che ha realizzato le coreografie, trasformandolo in un  musical, curando il coordinamento artistico e, mettendo in scena uno spettacolo al top in ogni sua combinazione, a partire dalla scelta degli artisti, ballerini, cantanti, musicisti bravi, ma anche scene, costumi e luci.

Nel rinnovato Teatro Alfieri a Torino si replica fino al 28 gennaio prossimo: uno spettacolo divertente,  due ore imperdibili per gli appassionati di danza e non solo. Tra gli interpreti Barbara Cola, Harrison Rochelle.

GABRIELLA DAGHERO

…E basta con ‘sti insulsi stereotipi!

A “OFF TOPIC”, la presentazione del libro “Che palle sti stereotipi”, scritto a quattro mani da Laura Nacci e Marta Pettolino Valfré

Giovedì 18 gennaio, ore 18,30

“Quella sì che ha proprio le palle!”: bruttissima, infelice, stupida (e sessista?) espressione. Eppure, chissà quante volte ci sarà capitato, accolta anche da un coro di ammiccanti sorrisetti, di sentirla e magari (non nascondiamoci dietro un dito) di buttarla lì a caso, fra goliardici “compagnucci di merenda”, anche noi. Scagli la prima pietra … E ci siamo capiti! Rivolta, soprattutto, senza nessun preciso e scontato riferimento (per carità!), alle donne che “osano” far carriera politica o incamminarsi per sentieri ancor oggi riservati in gran parte ai “maschietti”, trattasi proprio di un’infelice, da bieca figuraccia, espressione. Una delle tante. Uno dei tanti cosiddetti “stereotipi” (non solo “di genere”) che lasciano il tempo che trovano e di cui si potrebbe e si dovrebbe far volentieri a meno. Già “stereotipi”, “cliché” per fare i fini, ovvero “qualsiasi opinione – dalla ‘Treccani’ – rigidamente precostituita, generalizzata e semplicistica, che non si fonda cioè sulla valutazione personale dei singoli casi ma si ripete meccanicamente su persone o avvenimenti e situazioni”.

 

Ad essersi decisamente rotto le “scatole” (ahi, “stereotipo”?) dell’enorme quantità di queste, a volte imprevedibili e insensate cascate di pregiudizievoli “scorciatoie mentali”, sono Laura Nacci e Marta Pettolino Valfré (la prima linguista e docente di temi legati alla “gender equality”, la seconda giornalista esperta di comunicazione e linguistica cognitiva nonché docente all’“Università di Torino”) che, insieme, hanno prodotto “Che palle sti stereotipi: 25 modi di dire che ci hanno incasinato la vita”, libro che verrà presentato giovedì 18 gennaio, alle 18,30, all’Hub culturale “OFF TOPIC” di via Pallavicino a Torino, a cura di “The Goodness Factory”. L’evento vuole essere un “viaggio ironico, ma serissimo”, attraverso i modi di dire “stereotipati” e “stereotipanti” di uso quotidiano che nasce nell’ambito di “MIND THE GAP OFF”, il ciclo di eventi in avvicinamento al Festival transfemminista “MIND THE GAP. Moderatrice: la copywriter e digital strategist, Ella Marciello.

Dicono le autrici: “Occuparsi delle parole vuol dire soprattutto prendersi cura di sé e della propria mente e non esistono cose più urgenti di dedicarci a noi e al rapporto con le altre persone. Questo viaggio, ironico e al contempo serio, ci porta, attraverso i modi di dire che spesso usiamo inconsapevolmente, all’interno di una società ancora troppo maschilista, nella quale le donne troppo spesso mettono in atto comportamenti auto-sabotanti. Sono parole ‘di seconda mano’, che utilizziamo senza compiere una vera e consapevole scelta, sono parole non nostre ma che, nel momento in cui le pronunciamo, dicono tanto anche di noi, di chi siamo, di cosa (senza rifletterci) pensiamo e di come ci comportiamo”.

Il libro della coppia Nacci –Pettolino Valfré dovrebbe in qualche modo aiutarci a riflettere, a trovare la chiave atta a disinnescare i nostri “automatismi”, in modo che “quando – ancora le autrici – staremo per esclamare a una donna:Hai proprio le palle!’, ci verrà da ridere ripensando a cosa vuol dire, a quanto sia assurdo, e ci porterà a domandarci: ‘Sono veramente io che sto scegliendo questi termini?, ‘Chi è la padrona o il padrone della mia mente?’. E ancora: ‘Posso amare le parole che ho detto?’”.

Per info: “OFF TOPIC”, via Giorgio Pallavicino 35, Torino; tel. 011/0601768 o www.offtopictorino.it

g. m.

Nelle foto:

–       Cover libro

–       Laura Nacci

–       Marta Pettolino Valfré

Harmonie in San Francesco con l’orchestra Polledro

Il maestro Federico Bisio sul podio per il concerto nella chiesa di San Francesco a Moncalieri giovedì 25 gennaio

 

L’Orchestra Polledro presenta , con il patrocinio della città di Moncalieri, il concerto Harmonie in San Francesco”, con il maestro Federico Bisio sul podio, direttore stabile dell’Orchestra e quale primo oboe il maestro Carlo Romano, già primo oboe dell’orchestra RAI e oboe solista scelto dal maestro Morricone.

Il titolo del concerto è mutuato dal fatto che si terrà giovedì 25 gennaio prossimo, nella chiesa di San Francesco, in piazza Vittorio Emanuele II.

Il concerto, a ingresso libero, prevede un ricco programma musicale con la Serenata n. 10 in si bemolle maggiore K 361 detta “Gran partita” di Wolfgang Amadeus Mozart.

Un unicum per la sua ricchezza armonica e la densità della tessitura musicale, la cosiddetta Gran partita di Mozart (attributo apocrifo che non si deve tuttavia al compositore) KV 361 si colloca ai vertici del repertorio per fiati del XVIII secolo.

L’Harmoniemusik, ensemble di strumenti a fiato, ha iniziato a svilupparsi all’inizio del Settecento, quando sono nati gli oboi, i clarinetti e i fagotti moderni. L’ensemble era generalmente composto da una coppia di oboe o clarinetti, uno o due fagotti e una coppia di corni. Il genere più amato era la cosiddetta partita o parthia, una suite composta da tre a otto brevi movimenti. Questo genere musicale ebbe il suo primo sviluppo come accompagnamento alle battute di caccia e alle occasioni militari.

La situazione cambiò drasticamente nella primavera del 1782, quando l’imperatore austriaco Giuseppe II ordinò che la sua musica da tavola fosse curata da ensemble di otto strumenti (due oboi, due clarinetti, due fagotti e due corni) composto da membri della sua orchestra del teatro di corte ( i predecessori dell’Orchestra Filarmonica di Vienna). In questo modo la musica per banda di fiati doveva essere eseguita da musicisti professionisti e il virtuosismo della Harmonie Viennese, la banda di fiati imperiale, con i fratelli Stadler come clarinettisti, divenne il modello imperante. Il modello fu presto imitato e molte corti dell’Europa centrale ebbero a disposizione un ottetto di fiati simile.

Non si riconosce esattamente l’anno di composizione di questa serenata per 13 strumenti K 361, ma si ha ragione di ritenere che essa sia stata scritta a Vienna intorno al 1783-84, contemporaneamente al concerto per pianoforte in mi bemolle maggiore K 449. L’annotazione apocrifa di “Gran partita” riportata sulla prima pagina della partitura, non è attribuibile a Mozart. Secondo la notizia poco attendibile del primo biografo di Mozart, Georg Nikolaus von Nissen, questa serenata fu il dono di nozze di Mozart alla moglie. Notizie certe di un’esecuzione della Gran partita ci riportano a Vienna nel 1784, quando quattro movimenti della serenata furono eseguiti dalla Harmonie, il gruppo dei fiati dell’orchestra della corte imperiale su iniziativa del clarinettista Anton Stadler, per il quale Mozart compose il suo Concerto per clarinetto k 622.

Nel catalogo mozartiano la Gran partita occupa una posizione di grande rilievo per la grandiosità della sua struttura formale che conta ben sette movimenti, per la felicità dell’invenzione melodica e armonica e per l’originalità dell’organico strumentale. Al convenzionale complesso di due oboi, due clarinetti, due fagotti e due corni, Mozart aggiunse una seconda coppia di corni, il contrabbasso e due corni di bassetto, che fanno qui la prima comparsa nell’opus mozartiano, per riapparire poco dopo nel Ratto del serraglio.

Mara Martellotta

La serenata, cosiccome i divertimenti e le cassazioni, era destinata all’intrattenimento e spesso eseguita la sera all’aperto. La più celebre serenata mozartiana è, senza dubbio, Eine Kleine Nachtmusik, la piccola serenata notturna in sol maggiore KV 525 per archi.

Nella seconda metà dell’Settecento la serenata prende la forma di una successione di danze, spesso introdotte da una marcia. Di norma era intonata da un ottetto di fiati formato da due oboi, due clarinetti, due corni e due fagotti. Mozart dilata l’organico nella serenata in si bemolle maggiore KV 449 e aggiunge all’ottetto una seconda coppia di corni, il contrabbasso e due corni di bassetto, strumenti appartenenti alla famiglia del clarinetto, ma dal suono più grave di questo, che per la prima volta compare nella produzione musicale dell’autore.

“Camera” propone Robert Capa e Gerda Taro 

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Mentre sono gli ultimi giorni per visitare la mostra dedicata a Andrea Kertèsz, Camera si prepara alle nuove esposizioni dedicate ai grandi protagonisti della storia della fotografia Robert Capa e Gerda Taro, con i graffiti di Saul Steinberg fotografati da Ugo Mulas, promossi a Milano, e la mostra che racconta l’opera di Michele Pellegrino, a partire dal 14 febbraio fino al 2 giugno.

Dopo le esposizioni dedicate all’opera di Dorothea Lange e di André Kertèsz approda a Camera un’altra grande mostra che racconta in 120 fotografie il rapporto professionale e affettivo tra Robert Capa e Gerda Taro, tragicamente interrottosi con la morte della fotografa in Spagna nel 1937. L’intensa stagione di guerra, amore e fotografia è narrata attraverso le fotografie dei due artisti e dalla riproduzione di alcuni provini della celebre valigia messicana, contenente 4500 negativi scattati in Spagna dai due protagonisti e dal loro amico e sodale David Seymour, detto “Chim”.

La mostra è curata da Walter Guadagnini e Monica Poggi, attraverso le fotografie e la celebre valigia messicana, di cui si persero le tracce nel 1939, quando Capa la affidò a un amico per evitare che i materiali venissero requisiti e distrutti dalle truppe tedesche, ed è stata ritrovata soltanto nel 2007 a Mexico City, permettendo di attribuire correttamente una serie di immagini di cui fino ad allora non era chiaro chi fosse l’autore o l’autrice. Fuggita dalla Germania nazista lei, emigrato dall’Ungheria lui, Gerta Pohorylle e Endre , poi francesizzato André Friedmann si incontrano a Parigi nel 1934 e l’anno successivo si innamorano, stringendo un sodalizio artistico e sentimentale che li avrebbe portati a frequentare i café del QuartoereQuartiere latino ma anche a impegnarsi nella fotografia e nella lotta politica.

Per cercare di allettare gli editori Gerda si inventa il nome di Robert Capa, ricco e famoso fotografo americano arrivato da poco nel continente, alter ego con il quale si identificherà per il resto della sua vita. Anche lei cambia nome e assume quello di Gerda Taro. L’anno decisivo per entrambi è il 1936, quando in agosto si muovono verso la Spagna per documentare la guerra civile tra repubblicani e fascisti. Il mese dopo Robert Capa realizzerà il leggendario scatto del miliziano colpito a morte, mentre Gerda Taro scatterà la sua immagine più iconica, una miliziana in addestramento , pistola puntata e scarpe con i tacchi, da un punto di vista inedito di una guerra fatta e rappresentata da donne.

La mostra di Michele Pellegrino (1967-2023) promossa da Camera e Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, con la curatela di Barbara Bergaglio e un testo di Mario Calabresi, si compone di oltre 50 immagini del fotografo Michele Pellegrino, nato a Chiusa Pesio nel 1924.

Si tratta di una sintetica antologica dell’intero suo percorso creativo, tra montagne, ritualità, volti e momenti del mondo contadino, che narrano la passione dell’artista per la fotografia e la sua terra. Insieme a queste è stato condotto uno studio del paesaggio botanico e una selezione digitale dell’archivio.

La mostra si basa, infatti, sulla catalogazione e digitalizzazione effettuate da Camera sull’archivio del fotografo, acquisito dalla fondazione CRC nell’ambito del progetto Donare.

Mara Martellotta

“Fissavo una foglia d’acero che pendeva dall’albero madre”

MUSIC  TALES LA RUBRICA MUSICALE

“Fissavo una foglia d’acero

che pendeva dall’albero madre

mi sono detto che noi tutti abbiamo perso il contatto

il vostro frutto preferito ora sono la ciliegia ricoperta di cioccolato

e l’anguria senza semi

niente di quel che proviene dalla terra è buono abbastanza”

 

Gli artisti “famosi” svaniti. Ossia: le meteore della prima decade del secolo che ci hanno fatto sognare per una notte e hanno poi abbandonato il palcoscenico nel silenzio più totale.

Li avete ascoltati chissà quante volte. Nomi famosi e celebri della musica della decade 2000-2009. Poi, per qualche ragione, sono scomparsi nel nulla. Si fa per dire: non si sono certo disintegrati. Eppure tutti questi artisti, chiacchieratissimi fino al giorno prima, sono spariti dalle scene (e dalle classifiche) il giorno dopo. O quasi.

Perchè? I motivi sono tanti. Il primo sta naturalmente nel funzionamento dell’industria discografica, che nei 2000 ormai tende sempre più a fabbricare fenomeni grossi ma temporanei, piuttosto che affidarsi ai risultati di un artista o di una band dalle intenzioni “serie”, ambiziose e proiettate su un lungo termine.

Un altro motivo: la fortuna. Molti degli artisti che vedete qui sono giunti al successo magari non necessariamente in virtù della loro bravura, ma più perché presentatisi con le loro hit nel posto giusto al momento giusto. E terzo: la natura da “tormentoni” delle suddette hit. Se una canzone conquista il pubblico a livello maniacale, poi ce ne si dimenticherà più facilmente.

Uno di loro è Gavin DeGraw…si, quello di “Chariot”. Sì, è quella. Oh Chariot. Quante volte l’avrete riascoltata? Cento? Duecento? Duemila.

Nel 2005 Gavin DeGraw pareva essere la nuova promessa del pop/rock americano. Poi, come sappiamo, non è andata così. Anche se è vero che il cantante ha sempre saputo mantenere un mediocre successo, un po’ in vari paesi, nel corso degli anni.

Ha pubblicato sei abum, l’ultimo dei quali è uscito nel 2016. Il primo, appunto Chariot, era uscito in realtà nel 2003 e aveva avuto un grande successo all’estero più con il singolo I Don’t Want to Be, arrivando addirittura al numero uno nella classifica degli Stati Uniti. Per noi, invece, è arrivato solo due anni dopo e appunto con Chariot.

 

Da allora il cantante ha vissuto di alterni successi, senza però mai figurare come nome importante nel mainstream. Molto è stato apprezzato, per esempio, il suo singolo Not Over You del 2011. Da almeno tre anni, tuttavia, è inattivo anche dal vivo. Quasi vent’anni di discografia, insomma; e qui in Italia ci ricordiamo solo di una sua canzone.

Ci spiace per lui, e non solo per lui, e ci auguriamo di poterlo risentire, a me non dispiaceva e, con questo brano, presagiva già questo nostro distaccamento dalla natura che incvece andrebbe ritrovato, risposato.

 

 

“Ogni cosa che puoi immaginare, la natura l’ha già creata.”

(Albert Einstein)

 

Vi invito all’ascolto ed attendo le vostre impressioni sul brano:

 

 

Buon ascolto

Gavin DeGraw- Chariot (lyrics)


CHIARA DE CARLO

scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!

 

 

Ecco a voi gli eventi da non perdere!

Il Festival di Sanremo in bianco e nero

“Non ha l’età”, il Festival di Sanremo in bianco e nero, a cura del giornalista e critico televisivo Aldo Grasso, dal primo febbraio al 12 maggio alle Gallerie d’Italia a Torino. Ben 85 fotografie provenienti dall’Archivio Publifoto Intesa San Paolo sul Festival che ritraggono i “fuoriscena”: cantanti durante le prove, le passerelle degli artisti in giro per Sanremo, gli autografi, il pubblico e situazioni curiose nell’ambito della manifestazione.

Sanremo ha visto passare generazioni di cantanti, italiani, stranieri, diventati famosi, altri ritornati nell’anonimato. Il microfono del Festival ha di fatto ogni anno dato l’annuncio, sin dagli inizi nel 1951, delle nuove mode, delle tendenze, e poi del nuovo modo di intendere lo spettacolo. La mostra si inserisce nell’ambito delle iniziative di valorizzazione dell’Archivio Publifoto, costituito da oltre sette milioni di fotografie dell’Agenzia Fondata nel 1937 da Vincenzo Carrese.

L’Archivio è stato acquistato da Intesa San Paolo nel 2015 con una operazione che ne ha evitato la dispersione ed ora è  curata e gestito dall’Archivio Storico presso le Gallerie d’Italia di Torino in piazza San Carlo. Grazie alla media partnership con la Rai l’esposizione sarà inoltre arricchita da contributi video – sonori in collaborazione con RaiTeche.

Tuffarsi negli anni del Festival passati è  un tuffo nella nostalgia di come eravamo e come pensavamo la vita di tutti i giorni. C’è stato anche un momento in cui il mito del Festival di Sanremo sembrava definitivamente tramontato. È stato alla metà degli anni ’70, quando nemmeno più le telecamere della Rai, che lo avevano praticamente tenuto a battesimo, ritennero quasi necessario fare il loro ingresso nel Salone delle feste del Casinò.

 

Ma gli italiani, che pure a ogni edizione ne dicono puntualmente peste e vituperio, guai a toccarglielo il buon vecchio Festival della Canzone italiana, nato in una gelida sera di gennaio di settanta e passa anni fa.

Igino Macagno

“Crea Incipit” a Nichelino: gara di scrittura per aspiranti scrittori

“Cime tempestose” al centro di “Un libro tante scuole”

Il celebre romanzo di Emily Brontë all’evento promosso dal “Salone Internazionale del Libro di Torino”

La distruttiva (per gelosia e vendetta) passione d’amore di Heathliff per Catherine, protagonisti del celebre ed unico romanzo “Cime tempestose” di Emily Brontë, scrittrice britannica d’epoca vittoriana (Thornton, 1818 – Haworth, 1848), capolavoro della letteratura gotica e romantica con innumerevoli, nel tempo, adattamenti cinematografici, teatrali e musicali, sarà gratuitamente sui banchi di oltre 6mila studentesse e studenti di tutta Italia, consegnato, nell’ambito del Progetto Nazionale di Lettura Condivisa “Un libro tante scuole”, promosso dal “Salone Internazionale del Libro di Torino” e dal main partner “Intesa San Paolo”, con il sostegno della “Consulta delle Fondazioni di origine bancaria” del Piemonte e della Liguria, la partecipazione di “Chora Media” e, quest’anno, la collaborazione con “Mondadori”. Obiettivo del Progetto, “favorire attraverso la lettura, nella comunità scolastica, il confronto sulla comprensione di sé, del mondo e del nostro tempo”. Dopo il successo delle edizioni precedenti – la prima nel 2021 dedicata a “La Peste” di Albert Camus, la seconda nel 2022 su “L’isola di Arturo” di Elsa Morante, la terza nel 2023 con “Sostiene Pereira” di Antonio Tabucchi – la quarta edizione di “Un libro tante scuole” vedrà dunque pubblicare un altro grande classico della narrativa internazionale, capace di “scendere fino al fondo della conoscenza del Male”, come ebbe a dire Georges Bataille, e di “fare parlare il vento e ruggire il tuono”, come scrisse Virginia Woolf. Il romanzo di Emily Brontë (edizione “Mondadori”, tradotta da Margherita Giacobino) approderà sui banchi di scuola (triennio delle scuole secondarie di II grado, delle scuole di formazione professionale e dei corsi serali) da fine gennaio, in una pubblicazione speciale del “Salone del Libro” corredata da un testo introduttivo di Liliana Rampello, critica letteraria, e da una nota critica di Annalena Benini, nuova direttrice del “Salone Internazionale del Libro” di Torino.

Il romanzo, pubblicato dalla Brontë per la prima volta nel 1847 con lo pseudonimo di Ellis Bell, e poi postumo nel 1850 a cura della sorella Charlotte, è stato scelto per il fascino che tutt’ora esercita sulle lettrici e sui lettori di ogni età. Si tratta di “un incomparabile romanzo – come ricorda Liliana Rampello nella sua introduzione – che ha trasportato la tragedia antica dell’eroe e del suo destino fatale fin dentro la modernità, in una lingua in grado di esplorare i lati più oscuri dell’animo umano illuminandolo come mai prima della comparsa di Emily Brontë nella letteratura inglese”. Il volume, come i precedenti, entrerà a fare parte della “Biblioteca del Salone” che, nel corso degli anni, “si arricchirà di voci che hanno saputo diventare universali e parlare alle lettrici e ai lettori di ogni tempo”. Per favorire, inoltre, un’approfondita riflessione sui temi del romanzo, autrici e autori d’eccezione accompagneranno studentesse e studenti, ma anche il pubblico tutto, alla sua lettura, grazie a incontri in presenza e interventi audio e video.

Il “podcast” in cinque puntate “Voci tempestose”, in arrivo a partire da marzo sulle principali piattaforme audio gratuite (tra cui Spotify, Apple Podcast, Spreaker e Google Podcasts), vedrà diverse voci della narrativa contemporanea alternarsi per raccontare i temi e le tante sfumature della poetica di Emily Brontë, fornendo una propria chiave di approccio specifico all’opera. Non solo. Per la seconda volta, ragazze e ragazzi delle scuole secondarie di secondo grado di Torino, selezionai dal Salone, parteciperanno alla realizzazione delle puntate del “podcast”. In team con la scrittrice e giornalista Valentina Farinaccio, definiranno le domande da proporre agli ospiti sui temi scelti per ciascuna puntata. Tra febbraio e aprile 2024, inoltre alcuni autrici e autori che intervengono nel progetto, incontreranno dal vivo studentesse e studenti delle scuole nelle diverse sedi delle “Gallerie d’Italia”, i musei di “Intesa Sanpaolo” a Milano, Napoli, Torino e Vicenza. L’appuntamento di Torino è per il prossimo 8 febbraio con Annalena Benini, in piazza San Carlo 156, a Palazzo Turinetti di Pertengo.

Il momento conclusivo del grande percorso di lettura di “Cime tempestose” sarà sabato 11 maggio 2024 alla “XXXVI Edizione del Salone del Libro”, con un appuntamento corale aperto a tutte le ragazze e i ragazzi coinvolti nel progetto. Per rendere visibile il lavoro delle classi sul romanzo e permettere lo scambio e la condivisione, studenti e docenti pubblicheranno scritti e recensioni sul “Bookblog” del “Salone”, lo spazio di racconto condiviso messo a disposizione dei ragazzi e delle scuole, nell’apposita area dedicata al progetto. I migliori commenti saranno oggetto dell’incontro finale al “Salone”. Per aderire a “Un libro tante scuole”, le scuole devono candidarsi sulla piattaforma SalTo+ (https://saltopiu.salonelibro.it/) entro il 26 gennaio 2024. Info: www.salonelibro.it.

g.m.

Nelle foto:

–       Cover “Cime tempestose”, ed. speciale per il “Salone del Libro”

–       Annalena Benini, nuova direttrice “Salone del Libro” di Torino

Lunedì la cerimonia del Premio Soldati

Lunedì 12 febbraio ore 17 nella storica Aula del Consiglio Provinciale verrà conferito il Premio Mario Soldati 2024 a: prof. avv. Vittorio Barosio , prof . Elda Casetta ,Dott . Laura de Fonseca ,conte prof. Ruggero Grio, Dott. Roberto Pirino, Dott . Bianca Vetrino. A cura del Centro Pannunzio.