CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 111

L’omaggio di Torino a Giuseppe Mazzini

Alla scoperta dei monumenti di Torino / Oggi il plumbeo monumento si erge fiero in mezzo a quella che è diventata una delle piazzette pedonali della città più “bazzicate” dai giovani, che hanno fatto della maestosa scultura e dei gradoni perimetrali del suo basamento, uno spontaneo ed appartato punto di ritrovo

Collocato in via Andrea Doria, angolo via Dei Mille, precisamente sullo spiazzo di confluenza tra le due vie, Giuseppe Mazzini viene raffigurato in una scultura bronzea, seduto in atteggiamento pensoso, avente una mano poggiata a sostenere il capo e l’altra su un pastrano adagiato sulle gambe. Il piedistallo lapideo è ornato da simboli della classicità rappresentati superiormente da due tripodi, collocati ai lati della statua e inferiormente, da pannelli bronzei disposti in sequenza. Nel pannello centrale è rappresentata la lupa capitolina nell’atto di allattare i gemelli, in riferimento alla Repubblica Romana, mentre sui restanti prospetti figurano corone di lauro che circondano i nomi dei principali sostenitori di Mazzini. Il sottostante basamento presenta, anteriormente, dei gradini simmetrici in ascesa verso la scultura. Nato a Genova il 22 giugno 1805 (quando Genova era ancora parte della Repubblica Ligure annessa al Primo Impero Francese), Mazzini è stato un patriota, uomo politico, filosofo e giurista italiano. Costituì a Marsiglia nel 1831 la Giovine Italia, fondata sui principi di “Dio e popolo” e “pensieri e azioni” volti a promuovere l’indipendenza della penisola dagli stati stranieri e la costituzione dell’Italia fondata sui principi della repubblica. Anche se osteggiato dal protrarsi dell’esilio forzato e dai contrasti in patria con la ragione di stato (promossa da Camillo Benso Conte di Cavour e da Giuseppe Garibaldi), Mazzini perpetuò il suo impegno politico che contribuì in maniera decisiva alla nascita dello Stato Unitario Italiano.

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Nello stato riunificato risiedette nell’ultimo decennio della sua vita come “esule di patria”, sotto falso nome; morì a Pisa il 10 marzo del 1872. In Torino come in altre numerose città della nazione, quale atto di riconoscimento al suo impegno, fu eseguito postumo il monumento in suo onore. Per quanto riguarda la città di Torino, nell’intenso programma delle manifestazioni svolte nella città per il giubileo dell’Unità d’Italia, nel 1911, venne istituito un apposito Comitato per erigere un monumento in memoria di Giuseppe Mazzini, distintosi come uno dei principali rappresentanti del Risorgimento italiano. L’iniziativa, promossa dalla Sezione Repubblicana Torinese, sorse in concomitanza alla ricorrenza del quarantesimo anniversario dal decesso del patriota genovese, di cui erano in corso i preparativi per le celebrazioni. Il Comitato sottopose all’Amministrazione comunale la domanda di aderire all’iniziativa ma la proposta venne osteggiata in quanto, si affermava, fosse avanzata da un gruppo partitico; per non pregiudicare l’esito della richiesta venne costituito un nuovo Comitato dichiarante l’estraneità ad ogni questione politica. Nel 1913 l’istanza di questo nuovo Comitato venne favorevolmente accolta dal Consiglio Comunale. Assunse l’incarico per l’ideazione del complesso scultoreo, Luigi Belli, docente presso la regia Accademia Albertina di Belle Arti ed esecutore di significative opere nella città. Belli accettò l’incarico senza richiedere alcun compenso per la sua attività (consapevole forse che sarebbe anche stata la sua ultima opera data l’avanzata età) ma domandò unicamente il rimborso per le spese sostenute nella realizzazione della proposta.

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Nonostante la rinuncia dell’artista, il bozzetto dell’opera venne approvato stimando un importo considerevolmente superiore a quello stabilito per l’esecuzione del monumento, quindi per arginare i limiti economici incorsi, l’Amministrazione concesse una agevolazione per il pagamento del dazio sui materiali, contrattò con il Ministro della Guerra in Roma per l’acquisizione del bronzo necessario ad un prezzo agevolato, mentre il Comitato promosse una pubblica sottoscrizione presso municipi, istituti civili e militari nazionali. Successivamente i modelli in creta a scala reale della statua e di un altorilievo, furono inviati alla fonderia scelta dal Belli, con sede presso Milano, per eseguirne la fusione in bronzo; la statua bronzea ed il relativo modello in gesso, vennero recapitati a Torino, su un carro ferroviario atto al trasporto speciale, l’11 maggio 1917. Il complesso scultoreo fu posto in opera, nonostante fosse privo dell’altorilievo rappresentante la “Libertà” (non consegnata forse a causa di un compenso non corrisposto dal Comitato), figurando ugualmente come un altare alla repubblicana libertà. L’inaugurazione della scultura commemorativa dedicata a Mazzini si svolse il 22 luglio 1917. La cerimonia del monumento si celebrò in presenza di autorità nazionali e cittadine, in una città dall’atmosfera poco festosa a causa della popolazione mobilitata sui fronti della Prima Guerra Mondiale. Oggi il plumbeo monumento si erge fiero in mezzo a quella che è diventata una delle piazzette pedonali della città più “bazzicate” dai giovani, che hanno fatto della maestosa scultura e dei gradoni perimetrali del suo basamento, uno spontaneo ed appartato punto di ritrovo.

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(Foto: www.museo.torino.it)

Simona Pili Stella

Il minitrampoliere sui 45 giri

CALEIDOSCOPIO ROCK USA ANNI 60

Nonostante la nostra rubrica sia strettamente musicale, non ci si stanca mai qui di richiamare suggestioni extramusicali che frequentemente si manifestavano sulle etichette dei 45 giri del rock (garage e non solo) americano degli anni tra 1963/64 e i primi anni Settanta. Ed è da sempre indiscutibile l’abitudine tutta “a stelle e strisce” di valorizzare e rendere quasi iconico qualsiasi aspetto della vita umana e (“latu sensu”) naturale della società nordamericana. Gli esempi potrebbero essere innumerevoli, ma qui ne riportiamo uno legato ad una realtà intensa e significativa per “birdwatchers” e appassionati nello stato dell’Oklahoma. Nel periodo tra fine marzo e prima metà di aprile migliaia e migliaia di esemplari di uccelli migratori, dopo l’inverno trascorso in climi miti (Centro e Sud America), si spostano verso le vastissime aree canadesi transitando e sostando momentaneamente nelle terre dell’Oklahoma; le aree predilette di questa zona sono tradizionalmente Beavers Bend State Park (McCurtain County) e J.T. Nickel Preserve (Cherokee County). Poteva una realtà del genere passare inosservata per un brand musicale commerciale? Certo che no! E infatti registriamo nella zona di Norman (Oklahoma) l’esistenza di un’etichetta discografica, attiva tra 1964 e anni Settanta, il cui logo presenta un allegro pennuto canterino e ballerino su fondi con colorazioni parecchio variabili (dal giallo, al blu, all’arancio, al rosa, al bianco); il nome è inequivocabile: “Shore Bird Records”, dove “shorebird” è per l’appunto la denominazione generica di tutta una famiglia di trampolieri migratori (di taglia variabile) attivi lungo specchi d’acqua di vario tipo.

Etichetta eterogenea di medio-piccolo cabotaggio, spaziava tra rock ‘n roll, folk, country e garage rock; nonostante il suo carattere misto, è tuttavia ancora oggi nota agli appassionati di garage rock per la presenza di almeno tre incisioni del biennio 1966-1967, che evidenziamo in carattere maiuscolo nella lista riportata qui di seguito:

–  Freddy McDuff  “Jack Daddy / Streets Of Baltimore”  (SBR-7002)  [1964];

–  Melvin Nash  “In Front Of Your House / True Lovin’ Woman”  (SB-1001)  [1966];

–  THE ORFUNS  “Gettin’ it On / Put You Down”  (SB-1004)  [1966];

–  THE OUTCASTS  “I Wanted You / Little Bitty Man”  (SB-1005)  [1966];

–  Tom Rivers  “I Won’t Cry / Right Where You Want Me”  (SB-1007)  [1967];

–  Melvin Nash  “When The World Was Young / Sad Little Man”  (SB-1010)  [1967];

–  Russ Clements  “Lonesome Old World / I Love You Still”  (SB-1011)  [1967];

–  THE GROUP  “Yesterday Is Today / Tell Me Why”  (SB-1013)  [1967];

–  Blue Grass Country Boys  “What Will I Do Without You / I’m Hanging On”  (SB-1015) [1968];

–  Bobby Lee Warren and Cross Country  “I’ll Never Let You Go / Big Mable Rucker The Semi-Trucker”  (SB. 781)  [1978];

–  Wayne McDaniel  “Count The Tears / Pain Is Part Of Everyday”  (SB-7202);

–  Harold Campbell and The Country Rhythm Boys  “Rainbow On The Ocean / Red Bird”  (SBR-7001);

–  Leo Stephens  “Mister Be My Daddy / Don’t Throw Our Love To The Wind”  (SBS-402).

Gian Marchisio

Intervista esclusiva ad Andrea Villa, l’artista dietro il manifesto 1984 su Chiara Ferragni

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Se avete passeggiato, pochissimi giorni fa, per le strade diTorino, esattamente in Via Reggio e in Corso Regio Parco, o avete seguito le ultime notizie sul Web e Social Network riguardanti la città di Torino e la Street Art, sicuramente avrete notato un manifesto d’arte che ha attirato l’attenzione di molti: si tratta di un’opera che raffigura la sagoma e il logo di Chiara Ferragni , la famosa influencer e imprenditrice, con la scritta “Big Sister is watching you” su uno sfondo a tema 1984 di George Orwell.

Quest’ultima impresa artistica, è una conseguenza agli ultimi e attuali fatti che coinvolgono l’imprenditrice digitale e lo scandalo del Pandoro Balocco, venduto nel periodo natalizio2022.

L’opera è un invito alla riflessione che riguarda non soltanto il caso citato.

Il manifesto è firmato da Andrea Villa, artista torinese che si occupa di arte digitale e street art, che ha lasciato un messaggio alla società contemporanea, influenzata dai mass media e dal web, e sul ruolo degli influencer nella formazione dell’opinione pubblica.

 

Abbiamo avuto l’occasione di intervistare in esclusiva Andrea Villa, che ci ha raccontato la genesi e il significato del suo manifesto, il suo stile artistico e i suoi riferimenti culturali, e la sua visione dell’arte di strada a Torino.

1 . Come abbiamo inteso, il tuo manifesto si focalizza sull’opera 1984 di George Orwell, il cui
libro potrebbe essere definito “una denuncia” contro le forze che tendono ad annullare la
libertà e la dignità individuale.In questo caso si parla del mondo dei mass media e del web,
una realtà che potremmo definire un’arma a doppio taglio. Com’è successo a ChiaraFerragni.
Qual è il tuo pensiero in proposito? Cosa ti ha spinto a creare questa tua nuova opera?
Quale messaggio l’artista Andrea Villa vuole lanciare?
 
–Ho deciso ultimamente di concentrare il mio lavoro sui concept culturali, visto che sembra che la scena di street art mainstream sia concentrata perlopiù solamente a seguire i trend del momento. Volevo si parlare di temi attuali, ma con un punto di vista distaccato e analitico. L’ arte deve sempre essere analitica, e mai farsi trascinare dai sentimenti e dalle opinioni di attualità o modaiole. Far ragionare su come funzionano i meccanismi della società moderna è il fulcro del mio lavoro, e non voglio essere politicizzato o riferito ad una determinata parte politica e di pensiero: preferisco lavorare con libertà intellettuale solo su temi che ritengo importanti, senza prese di posizione.
 
2.Come hai scelto il luogo e il momento per esporre il tuo manifesto su Chiara Ferragni? C’è un
significato simbolico o una strategia di comunicazione dietro la tua scelta?
 
–Il luogo l’ ho scelto perchè era in una zona molto frequentata da giovani, ovvero adiacente l’ Università, che è il target di persone che potrebbe capire questo tipo di lavori.
E’ inoltre una zona molto frequentata da pedoni, che così possono vedere bene il mio lavoro, mentre spesso chi usa le automobili non ha tempo di fotografare.

3. Credi che il tuo manifesto possa avere un effetto educativo o critico sulle persone che lo
vedono?
 
–Io cerco solo di dare degli spunti di riflessione, non voglio educare nessuno. Sta allo spettatore analizzare e decidere il suo punto di vista.

· 4. Cosa pensi del ruolo degli influencer nella società contemporanea e del loro impatto sulle
scelte delle persone?
 
–Penso che se decidi di parlare di qualcosa, o lo fai con spirito di amatorialità oppure se sei serio rischi di creare dei danni, poichè ci sono persone che studiano apposta determinati argomenti e non puoi improvvisarti storico, matematico o medico. A meno che tu non sia un divulgatore, ma il confine è labile
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· 5. Come valuti la reazione del pubblico e dei media alla tua opera? Hai ricevuto critiche o
apprezzamenti?
 
— Soprattutto apprezzamenti, molti mi hanno fatto i complimenti per il testo critico che ho scritto sul mio lavoro. Non credo perchè fosse particolarmente bello, piuttosto perchè penso che nei lavori di street art di alcuni miei colleghi manchi una ricerca concettuale, e basta fare un lavoro analitico minimo per poter “emergere” dai concorrenti.

· 6. Come definiresti il tuo stile artistico e quali sono i tuoi riferimenti culturali e artistici?
 
–Mi riferisco sopratutto alla street art e all’ arte digitale, mi ispiro molto al cyberpunk e al movimento Dada. Rielaborare le immagini che esistono già è il fulcro del mio lavoro.

7. Ultima domanda. La città di Torino, da Artista Street Art, pensi sia “un terreno fertile” per
questa forma d’arte?
 
— Si assolutamente, è una città che mi ha aiutato molto e mi segue molto a livello creativo

 

Ringraziamo Andrea Villa per il suo tempo e per aver realizzato con noi questa intervista.

Cristina Taverniti

Le Venezie di Marco Polo 700 anni dopo

Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia”. Perché le Venezie di Marco Polo sono tante e si possono visitare e scoprire nel libro di Ermanno Orlando “Le Venezie di Marco Polo, storia di un mercante e delle sue città”, il Mulino. Lo storico medievista di Ca’ Foscari ci porta in viaggio nelle città che Marco ha conosciuto e attraversato. Con una particolarità: il grande viaggiatore resta sullo sfondo mentre i luoghi visitati si prendono per intero la scena. E così vediamo Venezia, vissuta, lasciata e ritrovata, e poi salperemo per San Giovanni d’Acri, Trebisonda, Costantinopoli, Tabriz… e infine torneremo a Venezia, “la città continuamente cercata nelle altre e cambiata nello spazio di un viaggio che pareva infinito”. Sono trascorsi 700 anni dalla morte di Marco Polo, il 9 gennaio 1324, e su di lui esiste una montagna di libri tradotti in numerose lingue che narrano le sue straordinarie vicende di viaggio che aprirono agli europei il lontano e leggendario Oriente, raccontate da numerosi autori. Pochi anni fa un’esposizione eccezionale al Mao di Torino ci fece conoscere anche l’anima dell’esploratore e i suoi segreti. Per alcuni mesi nelle sale del Museo d’arte orientale fu esposto il testamento di Marco Polo, una riproduzione perfetta della pergamena originale di pecora su cui il viaggiatore e scrittore veneziano dettò le sue ultime volontà poche ore prima di morire.
È il 1271 quando il giovane Marco insieme al padre Niccolò e allo zio Matteo partono da Venezia che a quell’epoca era una metropoli multietnica con 100.000 abitanti. Prima tappa San Giovanni d’Acri in Terra Santa, poi un lungo itinerario attraverso Turchia, Persia, Afghanistan, il deserto del Gobi e nel Catai, la Cina del nord, alla corte di Qubilay, il Gran Khan dei Mongoli, nipote di Gengis Khan. In Cina i Polo resteranno quasi vent’anni prima di ripartire per Venezia che rivedranno nel 1295 dopo un altro viaggio avventuroso. Viaggiatore, scrittore, ambasciatore e mercante, Marco Polo ha raccontato i suoi viaggi in Asia e in Estremo Oriente nell’opera letteraria “Il Milione”, un’enciclopedia geografica conosciuta in tutto il mondo. A San Giovanni d’Acri, nelle terre crociate, scopriamo scorci di Venezia tra la fortezza dei cavalieri templari, il palazzo del bailo, il bazar, i bagni e le taverne per i mercanti che affollavano la città che a fine Duecento contava 40.000 abitanti. “Chiunque giungeva ad Acri vi respirava Venezia nella foggia degli edifici, nel vociare dei commercianti, negli odori dei cibi, negli stili di vita…E poi Costantinopoli, “la più nobile tra le capitali del mondo, per tre ottavi veneziana, così bella da togliere il fiato, con le sue possenti mura, le smisurate cupole, le sue colonne svettanti”. I veneziani erano di casa a Bisanzio che, al passaggio dei fratelli Polo, contava ben 400.000 abitanti. Il loro quartiere era immenso, ben più ampio di quello delle altre colonie straniere presenti in città. Erano ricchi, potenti e anche prepotenti, “spadroneggiavano come se tutto fosse loro concesso, senza leggi e senza scrupoli, lasciando agli altri solo le briciole”.
A quasi 70 anni Marco Polo si ammalò gravemente. Il viaggiatore-mercante stupisce il mondo con il suo favoloso viaggio e sorprende anche per il suo testamento. In punto di morte chiama un notaio e nella sua camera da letto, pur molto provato nel fisico ma ancora estremamente lucido, decide di donare parte delle sue ricchezze alla chiesa per salvarsi l’anima, denaro e beni alla moglie e alle figlie in un momento storico nel quale si lasciava tutto ai maschi. E tra i beni lasciati ai parenti ci sono anche oggetti favolosi come stoffe in oro, drappi di seta, il pelo di yak, pietre e perle di gran valore. La pergamena-testamento è stata ritrovata all’interno di un manoscritto veneziano. Molti studiosi avrebbero voluto esaminarla da vicino ma i rischi di danni per l’usura erano gravi. Così nel 2016 il ministero dei Beni Culturali e la Biblioteca Marciana decisero di realizzare una copia perfettamente corrispondente al testamento originale. Venezia celebrerà i sette secoli dalla morte di Marco Polo con una grande mostra a Palazzo Ducale dal 6 aprile al 29 settembre.
Filippo Re
nelle foto:
Libro “Le Venezie di Marco Polo”, il Mulino
San Giovanni d’Acri (oggi Akko in Israele), ricostruzione delle fortezza Templare
Marco Polo lascia Venezia, miniatura del XV secolo

Riapre il Cinecircolo il Pungolo con molte novità

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Dopo quattro anni di pausa riprenderà la sua programmazione il 23 gennaio prossimo lo storico cineforum il Pungolo. Nel solco della tradizione ritornano le amate rassegne del cineclub torinese che è organizzato dall’associazione Cinecircolo il Pungolo, in collaborazione questa volta con l’associazione Arturo Ambrogio.

Sede della rassegna il recentemente riaperto cinema Esedra in via Bagetti 30, accanto alla parrocchia Gesù Nazareno, sala cinematografica che è stata la casa del Pungolo sin dalla sua nascita, nel lontano 1967.

Le proiezioni avverranno tutti i martedì alle 21.15 e i mercoledì alle 17.15 e 21.15. In sala si accede con la tessera che costa 50 euro per i soci, 40 per gli under 30 e 70 euro per i soci sostenitori.

La prima proiezione sarà quella del film “Mixed by Erry” di Sidney Sibilia, seguita martedì 30 e mercoledì 31 gennaio da “Everything Everywhere all at once” di Daniel Schinert e Daniel Kwan.

Il 6 e 7 febbraio prossimi verrà proiettato il film ‘Grazie ragazzi’ di Riccardo Milani, martedì 13 e mercoledì 14 gennaio sarà la volta di “Ritorno a Seoul” di Davy Chou.

Martedì 20 e mercoledì 21 febbraio vi sarà la proiezione di “Mon crime” di Francois Ozon.

Sei film del programma verranno presentati in collaborazione con “Cinegustolgia” di Marco Lombardi che, da anni, propone, con un originale formato, delle insolite e intriganti letture di film e suggerimenti di prelibatezze enogastronomiche. Alcuni film del ciclo verranno abbinati dal Pungolo a degustazioni di finger food creati, per l’occasione, da ”Il forno dell’angolo” di Luca Scarcella.

I titoli scelti saranno “Everything Everywhere all at once” del 30 gennaio alle ore 21.15, “Grazie ragazzi” del 7 febbraio alle ore 17.15, “Mon Crime” del 21 febbraio alle ore 21.15, “ll più bel secolo della mia vita” il 21 marzo alle 21.15, “Holy spider” il 17 aprile alle 21.15, “Stranizza d’amuri” l’8 maggio alle 17.15 e il 27 maggio un film a sorpresa alle 21.15.

 

Mara Martellotta

I bambini salgono sul palco dello Spazio Kairos

Per avvicinare anche i bambini al teatro, Onda Larsen organizza domenica 21 gennaio alle 16 la merenda (che viene offerta), seguita alle 16,30 dallo spettacolo teatrale “Verso un’isola piena di bimbi e pirati” diretto e interpretato da Tita Giunta. Ad ospitare il pomeriggio è lo Spazio Kairos, ex fabbrica di colla di via Mottalciata 7, al confine tra Barriera di Milano, Aurora e Regio Parco.

 

La scelta non è caduta a caso su questo spettacolo. E’ una storia, infatti, per grandi e piccini, un gioco teatrale e musicale: i bambini vengono truccati e diventano protagonisti. Guidati da due buffi personaggi voleranno verso un’isola misteriosa, dove conosceranno pirati, indiani e fate, canteranno e giocheranno nel duello finale: insomma, diventeranno loro i veri protagonisti della storia e del pomeriggio.

L’idea alla base è commistione tra il teatro di narrazione e quello interattivo per permettere alle famiglie di avvicinarsi in modo giocoso al palcoscenico.

 

LO SPETTACOLO IN BREVE

Teatro interattivo e di narrazione
Dai 3 anni in su
Durata: 50’

 

 Biglietto unico (con merenda omaggio alle 16): 8 euro.  Info: biglietteria@ondalarsen.org

Le “lezioni di vita” del prof scorbutico e solitario

Sugli schermi “The Holdovers” di Alexander Payne

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

Scattano le vacanze dell’ormai lontano 1970 nel college privato Barton nel New England e la maggior parte degli studenti prepara le valigie per tornarsene a casa. L’albero di Natale, gli abbracci con genitori e parenti, i regali, il pranzo, si comincia a respirare appieno quel clima di festa. Qualcuno, un gruppuscolo di malcapitati, ha uno e cento motivi per rimanere nella scuola sotto lo sguardo (troppo) vigile dello scorbutico professor Paul Hunham, e trovarsi ancora alle prese con le sempiterne guerre del Peloponneso, lui, pipa e farfallinod’obbligo, chiuso e arrogante e perennemente arguto di citazioni dalla sua materia che è la storia antica, in piena quanto incancrenita misantropia, un esempio di antipaticismo allo stato puro, inviso al direttore e ai colleghi, inviso agli studenti per i quali lui è e sempre rimarrà Occhio Sbilenco, visto il difetto che lo identifica immediatamente.


Se qualcuno nei giorni successivi riesce ancora a spiccare il volo
verso la libertà, nulla da fare per il quindicenne Angus Tully, problemi di socializzazione, incarognito, per niente desideroso d’agganciare con i compagni, anche lui le valigie piene di speranze che stazionano in camera, ma che una telefonata della madre, che non ha ancora avuto il tempo di assaporare la luna di miele con il nuovo compagno e quindi in partenza, lo obbliga al soggiorno forzato. Compagnia ridotta quindi, a cui s’aggiunge la capocuoca Mary, che da non molto ha perso il figlio in Vietnam. Man mano che un sempre grande Alexander Payne, sincero e sottile e umanissimo narratore, racconta e delinea nelle giornate piene di neve i suoi personaggi, ci rendiamo conto che quello non sia altro che l’incontro di tre solitudini, che ognuno ha la propria pena nel cuore, che qualcuno sa nascondere meglio e altri con le lacrime che riempiono gli occhi, che il sorriso momentaneo o la fuga o la ribellione non sono altro che la ricerca di una scappatoia dalla propria immalinconita esistenza.

Alexander Payne arriva con “The Holdovers – Lezioni di vita” (applaudito al recente TFF) alla sua nona prova, ha già regalato “A proposito di Schmidt” con Nicholson e “Paradiso amaro” con Clooney, “Sideways” e “Nebraska”, ha già portato a casa due Oscar per la migliore sceneggiatura non originale, continua qui a giocare magistralmente con il materiale umano, con estrema raffinatezza, con intelligenza e con cuore, mescolando sempre, al momento giusto, il dramma e la comicità, il sorriso insperato, il lato disperato della vita e quei piccoli momenti che la rendono gradevole e tutta da vivere. Qui ricostruisce un mondo, con il crescere di un rapportoti fa respirare la vecchia aria dell’”Attimo fuggente”, ci mette la sensibilità e l’avventura del racconto che ancora a Hollywood non gli rendono piena giustizia. Noi attraversiamo i sopralluoghi dell’insegnante con la pila in mano, la mancanza di riscaldamento nella maggior parte degli ambienti, le provviste che non sono poi eccezionali, i programmi in tivù da far pena. All’interno, covano incomprensioni, tristezze e dolori, ferite non facilmente rimarginabili, abbandoni, frecciate al limite della rissa: ma ci sono anche tratti in comune che vanno scoperti poco a poco, vivendo giorno dopo giorno. Realtà e poesia malinconica, la rabbia per un attimo sopita, la fuga può avere la scusa e le false sembianze di una gita scolastica, una breve felicità che Mary assapora con una visita alla sorella a Boston, Angus può svelare l’ombra del suo dolore che è un padre che lui ha raccontato a tutti come morto ma che è malato di mente e ricoverato, Hunham può svelare l’ombra della sua vita, un corso di studi non proprio immacolato. Non sveliamo le scene finali, il fantasma del vecchio professor Keating è sempre presente (ricordate? era il 1989 e i versi di “O Capitano! Mio capitano!” ci risuonavano in testa): qui ha i tratti alla fine rassicuranti di Paul Giamatti (Payne lo ritrova felicemente a vent’anni da “Sideways” e lo ha portato all’affermazione ai recenti Goldel Globe quale migliore attore per la categoria film commedia, la grande interpretazione di un grande attore che costruisce scena dopo scena un impareggiabile rapporto padre/figlio.

Cinema “antico”, può pure essere, con i suoi movimenti di macchina e gli zoom improvvisi, la fotografia di Eigil Bryld che abbraccia spazi e suggestivi particolari, visi che ti restano nella memoria. Una rivelazione il giovane Dominic Sessa che è alla sua prima prova e che al contrario pare avere anni e anni di obiettivi su di sé, Da’Vine Joy Randolph (s’è guadagnata il Golden Globe quale miglior attrice non protagonista in un film commedia) che allinea dolori e bevute e lacrime con una sincerità come raramente è dato vedere. Non perdete “Lezioni di vita”: e godetevelo in tutta la sua rabbia, in tutta la sua dolcezza.

Sold out per il Maestro Riccardo Muti e la Chicago Symphony Orchestra il 26 gennaio

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Nasce da un’iniziativa della Città di Torino e dell’Assessorato alla Cultura il concerto, già sold out, che venerdì 26 gennaio vedrà protagonisti all’Auditorium Giovanni Agnelli il Maestro Riccardo Muti e la Chicago Symphony Orchestra. Si tratta di un evento eccezionale di grande prestigio che unisce, per la prima volta, la Fondazione per la Cultura di Torino, Lingotto Musica e la Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro. Promuove due tra le maggiori manifestazioni musicali torinesi, il festival MITO Settembre Musica e la rassegna dei concerti del Lingotto. L’evento, coprodotto dalla Fondazione per la Cultura di Torino e Lingotto Musica, contribuirà a sostenere le attività dell’istituto di Candiolo, una delle eccellenze italiane e punto di riferimento internazionale nel campo della ricerca e della cura oncologica.

Quella di Torino è la prima data del tour italiano, che il 27 gennaio toccherà anche la Scala di Milano e il 28 gennaio il teatro dell’Opera di Roma. La serata segna il ritorno, dopo molti anni a Torino, della Chicago Symphony Orchestra, sotto la guida di uno dei direttori più amati e celebrati del nostro tempo.

“Nell’anno in cui dirigerò a Torino un ballo in maschera di Giuseppe Verdi – afferma il Maestro Riccardo Muti – sono felice di riportare la grande Orchestra di Chicago in questa città, che ho imparato ad amare e ammirare”.

Il Maestro Muti ha concluso il suo mandato lo scorso giugno da decimo direttore musicale della blasonata compagine americana dopo tredici anni, ed è stato nominato direttore musicale emerito a vita nel settembre 2023, titolo mai assegnato prima nella storia della Chicago Symphony Orchestra.

Legata al filo doppio, alla cultura della musica mitteleuropea, tedesco di nascita era il suo fondatore Theodore Thomas, che creò l’Orchestra nel 1891, la Chicago Symphony Orchestra è stata guidata da direttori come Daniel Baremboim, Pierre Boulez, Carlo Maria Giulini e Claudio Abbado, che ne hanno ricoperta la carica di direttori ospiti principali.

“È un vero piacere accogliere di nuovo a Torino il Maestro Muti – afferma il Sindaco Stefano Lo Russo – dopo il grande successo del Don Giovanni del 2022 al teatro Regio, dove tornerà in primavera. Questo appuntamento, reso possibile dalla Fondazione per la Cultura Torino e da Lingotto Musica, sarà ancora più prestigioso grazie alla presenza di una delle orchestre più blasonate al mondo, la Chicago Symphony Orchestra. Un concerto di livello internazionale che avrà la finalità, altrettanto importante, di favorire le attività di fundraising di un’altra eccellenza che ha sede sul nostro territorio, la Fondazione Piemontese per la Ricerca sul cancro.”

“Ringraziamo la città e la Fondazione per la Cultura Torino per aver proposto a Lingotto Musica – afferma il Presidente Giuseppe Proto – di essere partner musicale di questo progetto, che testimonia una volta di più come la musica sia non solo nutrimento dell’anima ma anche uno strumento efficace per finalità filantropiche”.

Il programma impaginato dal Maestro Muti per la tappa torinese della Chicago Symphony Orchestra è un florilegio tutto mediterraneo. È affidato alla Sinfonia n. 4 in La maggiore op. 90 di Felix Mendelssohn, detta “Italiana” perché ispirata all’esuberanza di colori e di vita che l’animo dell’artista riportò dal soggiorno in Italia durato dal 1830 al 1832, e alla fantasia sinfonica “Aus Italien” op. 16, che il ventiduenne Richard Strauss compose nel 1886 per rievocare le impressioni riportate dal suo primo viaggio nel Bel Paese. Ad aprire la serata la prima esecuzione italiana di “The triumph of the Octagon”, di Philip Glass, commissionato nel 2023 dalla Chicago Symphony Orchestra. Dedicato alla pianta ottagonale della famosa fortezza federiciana di Castel del Monte, in Puglia, il nuovo lavoro del grande compositore minimalista è un omaggio al Maestro Muti e alla sua terra d’origine.

“Il mistero che avvolge questo antico maniero e l’unicità delle sue forme geometriche sono stati dei catalizzatori formidabili -afferma il compositore Philip Glass – anche se ho scritto musica su persone, luoghi e culture non ricordo mai di avere composto un pezzo su un edificio storico. Era chiaro che non stavo scrivendo un brano su Castel del Monte, ma sulle suggestioni simboliche che offre un luogo così enigmatico”.

 

Mara Martellotta

“Rose candite e tramezzini volanti”, l’omaggio di Claudia Converso a Bruno Zanichelli

 

 

La mostra intitolata “Rose candite e tramezzini volanti”, a cura di Edoardo di Mauro, sarà ospitata allo Spazio44 da sabato 20 gennaio con finissage il 2 febbraio e vede le opere d’arte di Bruno Zanichelli e Claudia Converso in un perfetto dialogo.

Questa mostra nasce da un libro scritto a quattro mani tra il mese di maggio e i primi di settembre del 1989. “Avevo 23 anni – spiega Claudia Converso – e il sogno di scrivere fiabe da sempre. Bruno compiva 26 anni quando decisi di regalargli un albero di rose e una favola metaforica e autobiografica di noi due, nella speranza che potesse comprendere le cose che a voce non potevo e non riuscivo a dirgli.

Lui fece molto di più. Tornato dalle ferie mi rispose con un romanzo che era la storia della nostra storia e mi rese felice.

Forse ci sono circostanze che, in questo nostro mondo, hanno un destino di morte che contemporaneamente vivono un destino di vita, contro qualsiasi volontà, nostra o di altri. Tutto lascia un segno, dentro e fuori di noi, il testimone c’è sempre, come questo libro, che ne è prova eloquente”.

“Credo che tutto concorra a salvare di noi quello che non deve sparire – aggiunge l’artista Claudia Converso- essere dimenticato.  Ecco perché  il nostro libro oggi è qui, testimone con me, con le sue parole, le sue immagini e la sua musica di quella che ormai per me è una missione, continuare a far sentire la voce di  Bruno e a diffondere la sua arte unica, umilmente, come posso, con confusione, con amore e con passione. Me lo chiese lui poco prima di morire 34 anni fa. Mi lasciò molto del suo materiale scritto, dipinto e pensato. ‘Lo lascio a te – affermò Bruno Zanichelli – perché non finisca in qualche cantina buia, perché continui a girare sempre’ “.

“Questo è quello che faccio ancora oggi con dedizione, lo faccio ancora parlare – precisa Claudia Converso – e dal 20 gennaio lo faccio con questa mostra speciale dedicata a lui, a me, a noi due e a tutti coloro che ci hanno conosciuto in quegli anni”.

Il vernissage e il finissage presenteranno un aperitivo a tema e le suggestioni musicali dei dj del Tuxedo.

 

Mara Martellotta

MONCALIERI: 4 autori per la nostra città

Venerdì 19 gennaio 2024

 

PATHOS EDIZIONI PRESENTA

Angelo Arlunno

Quanto è vicina la felicità?

Celeste Di Gregorio

Non fasciarti la testa. Non posso cambiare le cose. Solo decidere come viverle.

Anna Rita Sena

Donne. Vita, amori e speranze

Mario Barale

Il raspio della Strega

Moncalieri, ore 17

Biblioteca civica Arduino, via Cavour 31

Pagina facebook della Biblioteca @bibliomonc

Venerdì pomeriggio, 19 gennaio, la casa editrice torinese Pathos riunisce alla biblioteca civica Arduino di Moncalieri 4 suoi autori. L’appuntamento è alle 17 in via Cavour 31. Il pubblico della biblioteca farà così la conoscenza di Angelo Arlunno e del suo Quanto è vicina la felicità?Al tavolo dell’incontro ci sarà anche Celeste Di Gregorio con Non fasciarti la testa. Non posso cambiare le cose. Solo decidere come viverle. Inoltre: Anna Rita Sena con Donne. Vita, amori e speranze e Mario Barale con Il raspio della Strega. Introduce l’incontro l’assessore alla Cultura Laura Pompeo, e come moderatori partecipano Luigia Gallo, Claudio Sturiale e Marco Nuzzo. Ingresso libero fino ad esaurimento posti e diretta facebook.

Un gustoso approfondimento dedicato alla produzione letteraria di qualità – dichiara l’assessore alla Cultura Laura Pompeo – Si tratta di autori radicati nel nostro territorio e giustamente valorizzati nell’ambito di una proposta editoriale, quella di Pathos, originale e fuori dagli schemi”.

Angelo Arlunno

Quanto è vicina la felicità?

Il romanzo narra la vita di Maria, attraverso le trasformazioni del nostro Paese, dal dopoguerra ai giorni attuali. Narra dei suoi giorni di bambina, poi ragazza, donna, e infine nonna, tra le vicissitudini di una Italia in preda agli sconvolgimenti della guerra. La felicità va conquistata, è un lavoro continuo su di sé e sul mondo, di comprensione e accettazione degli eventi, ai quali mai dovrà rassegnarsi, qualsiasi cosa accada. Quel consiglio di suo padre, quando ancora era bambina, le tornerà più che mai utile.

Celeste Di Gregorio

Non fasciarti la testa. Non posso cambiare le cose. Solo decidere come viverle

Durante il percorso universitario in Biotecnologie mediche, i temi studiati da Celeste nei diversi anni, si riversano su di lei costringendola a vivere in prima persona tutto ciò che aveva sempre studiato. Celeste aveva mille progetti, tra cui la laurea che è riuscita a conseguire tra una chemioterapia e l’altra, tirando fuori quella forza e dinamismo che non pensava neanche di avere. Inizia così una lunga tappa della sua vita tra visite, biopsia, interventi e terapie.

Anna Rita Sena

Donne. Vita, amori e speranze

La prima pubblicazione della poetessa Anna Rita Sena si presenta come un involucro di immagini vibranti che esprimono sentimenti ed emozioni universali, nelle quali il lettore può riflettere se stesso e le proprie vicende esperienziali. Lo stile proposto è costruito in una forma semplice che arriva dritto al cuore e riflette pienamente la sua personalità. Gli argomenti trattati esprimono l’importanza che l’autrice avverte nei confronti dell’universo femminile in tutte le sue forme e sfaccettature.

Mario Barale

Il raspio della Strega

In una notte stellata del 1669 Domiziana, una giovane fiorentina figlia del popolo, sale di nascosto alla Rocca di Sangrimale, si spoglia e posa per Marta Signorelli, una valente pittrice che rende immortale il suo corpo acerbo, comprando da lei silenzio e sofferenza in cambio di poche monete d’argento. Quando il desiderio di vedersi ritratta si scontra con il diniego dell’artista, la curiosità spinge Domiziana ad infrangere il patto stipulato, scoprendo un segreto mortale.