CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 102

“K2”. Settant’anni fa, a luglio, la conquista italiana

E a Torino il “Museo Nazionale della Montagna” dedica alla spedizione italiana una sezione espositiva permanente

E’ il 31 luglio del 1954. E’ un sabato. Mancano pochi minuti alle 18. Un ultimo sforzo e il valtellinese, da Santa Caterina Valfurva, Achille Compagnoni (1914 – 2009) insieme al bellunese, da Cortina d’Ampezzo, Lino Lacedelli (1925 – 2009) arrivano sulla vetta del “K2” (abbreviazione di “Karakorum 2”, al confine fra Cina e Pakistan, conosciuto anche come “Monte Godwin-Austen”, o, in lingua “balti”, come “ChogoRi” o “Dapsang”): sono loro i primi italiani a toccare la cima di un “Ottomila”.  In occasione del 70° anniversario dell’impresa, il “Museo Nazionale della Montagna Duca degli Abruzzi” di Torino ha annunciato nei giorni scorsi l’apertura di una nuova sezione permanente dedicata proprio alla spedizione del “Club Alpino Italiano”L’iniziativa, promossa anche in concomitanza con il 150° anniversario della fondazione del “Museo”, nato nel 1874 da un’idea dei primi soci del “CAI”, propone una narrazione dell’impresa attraverso una vasta ed eterogenea esposizione di attrezzature, documenti, fotografie e iconografie che rappresentano, nel loro insieme, la “più ricca documentazione esistente sul tema”.

Concretizzatasi con il sostegno della “Regione Piemonte” , della “Città di Torino”, della torinese “Camera di Commercio” (e con il contributo di “Vibram”, tra le aziende che hanno supportato la spedizione del 1954, e la partnership tecnica di “Leroy Merlin”), la nuova sezione permanente – frutto del riallestimento di una parte dell’area dedicata all’alpinismo extraeuropeo del “Museo” – spalanca una finestra sul passato e propone il racconto di un’impresa ancora oggi ritenuta mitica, che costituisce il fondamento dell’himalaysmo italiano moderno”, ovvero di quell’approccio alla montagna in gruppi numerosi, mediante l’utilizzo di portatori e con l’uso di mezzi pesanti.

Inutile ricordare quante e quali emozioni e reazioni (ma anche polemiche!) ebbe a suscitare in Italia, e non solo, la scalata alla cima del “K2” da parte di Compagnoni e Lacedelli. Scalata immortalata in sequenze catturate dalla cinepresa (le prime mai realizzate sulla cima di un 8.000), segnando un episodio sportivo e di coraggio umano degno di passare alla storia per i due alpinisti arrivati in vetta, ma anche per i membri della spedizione (compresi i “portatori” del Baltistan) che, guidati da Ardito Desio, resero possibile l’impresa finale. Il successo della spedizione è un “trionfo” per il “Club Alpino Italiano” e per quanti l’hanno sostenuta e il ritorno degli alpinisti in Italia è accolto con un forte interesse mediatico. Ad occuparsene fu anche il cinema, con il docufilm “Italia K2” (1955) del regista Mario Baldi, che portò l’epopea dell’alpinismo Anni ’50 sul grande schermo, mentre la “sigla K2” diventò subito un “motivo di vanto” per numerosi esercizi commerciali e per le aziende che fornirono i loro prodotti alla spedizione.

Sviluppata con il supporto scientifico del giornalista e storico dell’alpinismo, Roberto Mantovani, l’esposizione al Monte dei Cappuccini offre l’opportunità di conoscere l’“equipaggiamento” utilizzato dagli alpinisti e di comprendere le sfide affrontate nell’ascensione del mastodonte del “Karakorum” che, con i suoi 8.611 metri, è la seconda cima più alta della Terra, dopo l’“Everest” (8,848,85 metrie una delle più difficili. La spedizione, forte di un’organizzazione di stampo militare, disponeva di “prodotti d’avanguardia” capaci di resistere alle condizioni estreme delle altissime quote, in un periodo che solo da pochi anni vantava la presenza di attrezzature in nylon e di tessuti sintetici.

Senza trascurare il racconto delle fasi salienti della scalata e la sua tempistica, l’iter espositivo include anche la descrizione della via di salita lungo lo “Sperone Abruzzi” (la cresta Sud-Est), l’improvvisa morte del valdostano Mario Puchoz, il drammatico bivacco all’addiaccio di Walter Bonatti e del portatore “hunza” Amir Mahdi, e infine l’arrivo in vetta.

Per quanto riguarda le “attrezzature” usate nella spedizione, in parte erano già giunte al “Museo” nel 1956, per poi essere integrate nel 1981 dal “CAI” con la donazione del “Fondo Spedizione Italiana al Karakorum – 1954”. A queste si sono aggiunti, negli anni Ottanta, i fondi fotografici e filmici di Mario Fantin, alpinista e operatore ufficiale della spedizione, e nel 2016 l’“Archivio Walter Bonatti”, in cui si trova ampia documentazione sulla salita. La selezione è, infine, arricchita con alcuni beni di recente acquisizione, tra cui le attrezzature di Pino Gallotti e le diapositive di Ugo Angelino (entrambi alpinisti della squadra), insieme alle fotografie di Umberto Balestreri della precedente spedizione del 1929.

Per info: “Museo Nazionale della Montagna Duca degli Abruzzi”, piazzale Monte dei Cappuccini 7, Torino; tel. 011/6604104 o www.museomontagna.org

Gianni Milani

Nelle foto: I componenti della spedizione sul ghiacciaio Baltoro, Fondo “Mario Fantin”; Lino Lacedelli sulla cima del K2, ph. Achille Compagnoni; Al campo base sono giunte 230 bombole di ossigeno a 200 atmosfere, ph. Ugo Angelino

La passione secondo Jaquerio

Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso

Domenica 31 marzo, ore 15

Visita guidata agli affreschi del più grande esponente torinese del gotico internazionale

 

La Salita di Cristo al Calvario è il capolavoro del pittore torinese Giacomo Jaquerio, maggior esponente del gotico internazionale, realizzata nella cappella adibita a sacrestia della Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso nel primo quarto del XV secolo.

Ciò che contraddistingue questa raffigurazione rispetto agli altri affreschi della cappella è la resa dei personaggi che appare più realistica all’interno di una scena drammatica. Per accrescere nei devoti la meditazione e la partecipazione alla sofferenza della Passione di Cristo, Jaquerio ha infatti accentuato i caratteri patetici e drammatici della scena. Lo spazio non è reso con una visione prospettica corretta, ma il senso di profondità è ottenuto disponendo i personaggi ad arco e collocando il volto dei soggetti più arretrati in una posizione più elevata rispetto a quella dei personaggi che sono in primo piano.

Nella folla è evidente la contrapposizione tra il Bene il Male nella scelta di colori e in un certo tipo di gestualità. I personaggi che trattengono la croce o quello che tira Gesù con una corda presentano lineamenti talmente alterati e deformati che sembra abbiano quasi connotazioni non umane. Tra la folla, si riconoscono il fabbro, a cui i giudei si rivolgono per fabbricare i chiodi della croce di Cristo, nell’uomo che tiene in mano tre chiodi e un martello (la sua partecipazione agli eventi della Passione si trova in alcune rappresentazione teatrali popolari diffuse in Francia e Inghilterra) e Giuda con la barba e i capelli rossi (colore che richiama la violenza e le fiamme dell’inferno) e il vestito giallo per evocare il tradimento.

 

INFO

Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso

Località Sant’Antonio di Ranverso, Buttigliera Alta (TO)

Domenica 31 marzo, ore 15

La passione secondo Jaquerio

Costo attività: 5 euro, oltre il prezzo del biglietto

Biglietto di ingresso: intero 5 euro, ridotto 4 euro

Hanno diritto alla riduzione: minori di 18 anni, over 65, gruppi min. 15 persone

Fino a 6 anni e possessori di Abbonamento Musei: biglietto ingresso gratuito

Prenotazione obbligatoria

Info e prenotazioni (dal mercoledì alla domenica):

011 6200603ranverso@biglietteria.ordinemauriziano.it

www.ordinemauriziano.it

Ri-connessioni, alla Sandretto memoria e ricordi dei paesi d’origine

Fino al 14 aprile la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ospita la mostra Ri-connessioni, che nasce dalla collaborazione tra il Comitato regionale per Diritti i Umani e Civili e la Fondazione stessa. La mostra presenta le opere di Arvin Golrokh (Teheran, 1992), Bahar Heidarzade (Teheran, 1981) e Ahmad Nejad (Lahyjan, 1968), artisti e artiste nati in Iran e residenti a Torino.

È accompagnata da un programma artistico ed educativo, da studio visit, visite laboratorio ed è documentata da una pubblicazione. Si propone dunque come una piattaforma, pensata per promuovere azioni volte a offrire occasioni di visibilità, promozione e approfondimento delle ricerche degli artisti e delle artiste, favorendo il coinvolgimento del pubblico torinese e delle comunità di riferimento in città.
“Con questa iniziativa ci poniamo l’obiettivo di ampliare e consolidare l’impegno del Comitato nella promozione e nella tutela dei diritti umani e civili – ha spiegato il presidente del Consiglio regionale e del Comitato, Stefano Allasia –  in particolar modo anche in considerazione dell’attuale periodo storico e dei cambiamenti nel quadro geopolitico internazionale, in cui è sempre più sentita la necessità di far conoscere, rendere effettivi e garantire con maggior forza tali diritti sia in tempo di pace che in tempo di guerra”.
“Da cinque anni il Comitato coinvolge numerosi attori del territorio e ha promosso iniziative con al centro il tema dei diritti negati da regimi illiberali o coinvolti in conflitti e dell’oppressione della condizione femminile. Abbiamo inoltre valorizzato artisti che riscontrano difficoltà a esercitare nei loro paesi d’origine, in cui i diritti umani, il mondo dell’arte e della cultura sono fortemente compromessi”, hanno aggiunto i vicepresidenti del Comitato Sara Zambaia e Giampiero Leo.
La mostra è concepita come uno spazio polifonico, nel quale riflettere sui meccanismi di conservazione e di trasmissione della memoria. Attraverso la pittura e la fotografia, le opere esposte offrono alla sguardo stratificazioni di tempi, luoghi ed esperienze e fanno luce sulla natura del ricordare e sulle sue implicazioni nella vita di tutti i giorni. Tema che accomuna le pratiche artistiche di Arvin Golrokh, Bahar Heidarzade e Ahmad Nejad, è la memoria dei ricordi del paese d’origine, specchio del passato e patrimonio inalienabile di immagini che contribuiscono a connotare l’identità di ciascun artista.
Durante il processo di estrazione del ricordo, le immagini esposte risalgono in superficie e diventano frame nei quali il passato si innesta all’esperienza soggettiva del presente per costruire nuove narrazioni.
Coinvolti in vari di processi elaborazione, manipolazione, sovrapposizione e cesura, i ricordi sono rimodellati alla luce del presente. La nuova città, Torino, diventa un terreno d’incontro tra esperienze quotidiane e passate; ed è proprio in questo scambio che emergono opere che racchiudono vissuto, realtà e nuovi immaginari che raccontano storie intime e al tempo stesso condivisibili da tuttə.

Nel ricucire i passaggi della propria storia, ciascun artista declina quest’intreccio tra memoria e vita quotidiana secondo logiche diverse. Ahmad Nejad predilige un approccio processuale e astratto. Attraverso il suo lavoro rielabora storie, leggende e tradizioni della cultura del suo Paese, trasmettendo emozioni e atmosfere senza rivelare esplicitamente la fonte. Alcune opere di Nejad, come la serie Prime tracce (2023-2024), svelano la lenta preparazione del supporto pittorico con la stratificazione del colore come metafora del processo di emersione mnemonica. In altri lavori, come Una porta sull’Altrove (2023), una trama intricata di forme, materiali e colori ha il potere di richiamare ricordi e visioni oniriche.
Bahar Heidarzade alterna la dimensione pittorica astratta all’intervento su materiale fotografico. Le tele della serie Dieci Anni (2019-2021), realizzate con acrilici e smalti, ripercorrono emozioni associate a traumi ed eventi taciuti, depositate negli strati più profondi della memoria e resi secondo un codice cromatico. Nella serie Memoria (2018- in corso), sviluppata a partire da fotografie di persone sconosciute reperite in vari angoli della città, l’artista rinviene tracce della propria infanzia all’interno di immagini di altre persone. Le fotografie sono così in grado di risvegliare nell’artista sensazioni assopite e di ricostruire un passato nostalgico.
Arvin Golrokh produce immagini ancorate alla memoria sociale dell’Iran. Evitando rappresentazioni dirette e didascaliche, le sue tele di grande formato Gli arroganti (2023) e Profeti Svergognati (2023) scompongono e frammentano le forme in immagini vivide e non immediatamente riconoscibili. Così elaborata, la figurazione appare svincolata da specifici contesti politico-sociali che tuttavia rappresentano la fonte di ispirazione dei lavori.

In dialogo tra passato e presente, Ri-connessioni si presenta come un’occasione per avviare una riflessione critica. I lavori esposti sono punti di snodo tra memoria individuale e memoria pubblica, e invitano chi guarda a esplorare e riconsiderare il proprio rapporto con il passato e con le narrazioni storiche.

Fondazione Sandretto Re Rebaudengo / Bookshop via Modane 16, Torino www.fsrr.org Ingresso gratuito Giovedì: 20-23, da venerdì a domenica 12-19

Dal seno al “ventre” per amarsi di più: una serata a teatro per le donne operate alla mammella

Appuntamento con GADOS e la Silvan School Dance

Sabato 30 marzo andrà in scena a Torino Dal seno al “ventre” per amarsi di più, spettacolo di danza del ventre, a supporto dell’Associazione GADOS – Gruppo Assistenza Donne Operate al Seno.

«La danza del ventre può aiutare le donne ad amare il proprio corpo anche quando non è perfetto. Supportare le donne nel raggiungimento di questo obiettivo è anche ciò che vuole fare l’Associazione GADOS, affiancando le pazienti operate alla mammella e sostenendo il loro reinserimento familiare e sociale in un momento in cui, molto probabilmente, non amano più il loro corpo», dice Maddalena Bellissimo, insegnante di danze orientali alla Silvan School Dance di Nichelino.
Il ricavato è destinato al “Fondo Aiuta Donne”, un progetto di GADOS che sostiene le donne in difficoltà economica che devono affrontare una serie di spese richieste dalle terapie oncologiche. Non è scontato che chiunque possa permettersi l’acquisto di un reggiseno post intervento, una parrucca, un turbante, interventi di estetica oncologica, tatuaggi al capezzolo o creme adatte a radioterapia e cicatrizzazione; eppure, sono ausili necessari. GADOS con questo progetto si impegna a renderli più accessibili.


Qualche anticipazione sulla serata? «Con questo spettacolo si potranno percorrere le strade dell’Egitto, passando attraverso le sue regioni e conoscendo i vari stili che le caratterizzano, dal folklore alla danza orientale più classica. Sul palco ci saranno ballerine giovanissime (bambine delle elementari, adolescenti e teen), mamme giovani che balleranno con le loro bambine e danzatrici adulte, che grazie alla danza del ventre hanno riscoperto il loro corpo in età matura e si sono innamorate del palco», racconta Maddalena Bellissimo.
«È un luogo comune che la danza del ventre sia per donne belle, vestite in modo succinto che ancheggiano; questa idea è tipica di coloro che non la conoscono e, purtroppo, rischia di allontanare da questo stile di danza le donne che hanno poca autostima», spiega ancora l’insegnante.

La danza del ventre può diventare uno strumento importante per tutte le donne, perché aiuta a riscoprire e “sentire” la propria femminilità, condizione fondamentale per il benessere emotivo di chi affronta un’operazione al seno.
«Questo tipo di danza offre alle donne uno spazio per esprimersi, connettersi sia fisicamente che emotivamente e riscoprirsi. Può essere utilizzata come una forma di terapia ed essere un completamento prezioso alle terapie tradizionali per migliorare il benessere psico-fisico delle donne, come forma di rilassamento e conseguente benessere generale, tonificazione e flessibilità, espressione emotiva e senso di comunità. Ecco perché questa forma di danzaterapia e la lotta contro il tumore al seno possono congiungersi in modo significativo per offrire supporto alle donne che affrontano questa sfida», dice Rossella Noto, Presidente dell’Associazione GADOS.

La serata permetterà di supportare la causa di GADOS e riscoprire una cultura intrisa di significati, messaggi e valori che decostruiscono i pregiudizi su una forma d’arte che non è unicamente bellezza e apparenza.

Dove: Teatro Provvidenza – Via Vittorio Asinari di Bernezzo, 34/A, 10146 Torino TO
• Quando: sabato 30 marzo, ore 21
• Biglietti: costo a partire da 18 euro. È possibile acquistare i biglietti con bonifico bancario oppure direttamente a teatro presso la biglietteria.
• Per informazioni e prenotazioni: maddy1988@gmail.com / 340 – 8403264

GADOS è un’associazione no profit che opera dal 1984 presso l’ospedale Sant’Anna e da due anni anche presso il Presidio del Mauriziano. Fino ad oggi ha aiutato 25.000 donne e le loro famiglie prima, durante e dopo le terapie oncologiche. Lavora per portare un’informazione chiara e semplice sulla malattia, grazie agli interventi di personale medico e non. Sostiene la donna operata al seno o in attesa di un intervento chirurgico, supporta le pazienti nel decorso della malattia e sensibilizza gli operatori socio-sanitari, le autorità e l’opinione pubblica. Promuove un sano stile di vita e il valore della prevenzione. GADOS è associata a Europa Donna Italia e ha contribuito alla recente formazione della Delegazione Europa Donna Piemonte.

La Asd New Silvan School Dance è un’associazione di ballo e danza nata con una marcata impronta verso i Balli Caraibici; oggi è un centro per la danza a 360°. Insegna dall’Hip Hop alla Danza Classica, dalla Danza Moderna alla Danza del Ventre per passare da Reggaeton, Caraibico e finire al Liscio Tradizionale e Balli da Sala, questa scuola è tra le più conosciute e rinomate del Piemonte per professionalità, eventi e divertimento. Iscritta al CONI, l’ASD New Silvan School Dance appartiene alla Federazione Italiana Danza Sportiva (FIDS).

 

 

Una Pasqua culturale a Sauze d’Oulx

SAUZE D’OULX – Una Pasqua all’insegna della cultura a Sauze d’Oulx. Due gli appuntamenti proposti dall’Associazione “Chambra d’OC”. La domenica di Pasqua 31 marzo, alle ore 18 presso la sala conferenze dell’Ufficio del Turismo in viale Genevris 7 verrà presentato e proiettato il docufilm: “Ambin la roccia e la piuma“ con la regia di Fredo Valla. Un film prodotto da Ines Cavalcanti per Chambra d’Oc, dall’Unione Montana Alta Valle Susa e dalla Regione Piemonte all’interno del progetto “AMB.ENIS – Interreg V-A Italia Francia ALCOTRA”.

Il regista Fredo Valla introduce alla visione del suo docufilm: “Il Massiccio d’Ambin: un acrocoro, un deserto d’alta quota sul confine fra l’Italia e la Francia che l’aridità del mutare del clima colora nei toni dell’ocra. Quindici cime oltre i tremila metri. E laghi e roccia e ghiacciai. Persino di incontro (e scontro) di lingue: d’oc, francoprovenzale, italiano, francese… piemontese”.

L‘Associazione Chambra d’Oc organizza poi per il Lunedì di Pasquetta 1° aprile la presentazione del libro “Riti alpini – Feste patronali in Alta Valle Susa“ di Pierangelo Chiolero. L’appuntamento è per le ore 21 al bar “Scacco Matto” di piazzale Miramonti 9.

Un viaggio all’interno della cultura e delle tradizioni dell’alta Val di Susa, è quello racchiuso in “Riti Alpini”, il nuovo libro di Pierangelo Chiolero. Adatto al pubblico più variegato, dal turista incuriosito fino al ricercatore in cerca di approfondimenti, il libro ripercorre il viaggio del protagonista attraverso nove comuni dell’Unione Montana Alta Valle di Susa. Durante il suo percorso, il protagonista annota su di un taccuino le osservazioni effettuate su questo mondo, fatto di feste patronali, storia, cultura, curiosità e lingue. Il lettore si ritrova così catapultato in una dimensione senza tempo, basata su persone, gesti e ritualità che scandiscono il ritmo delle giornate dell’Unione Montana. La storia inizia proprio con una di queste feste, la festa Patronale di Bardonecchia, in cui tra costumi, simbolismo e tradizioni, collettività e sacro si fondono e prosegue toccando i Comuni di Oulx, Salbertrand, Exilles, Chiomonte, Gravere, Meana, Giaglione e Moncenisio. Ed è proprio grazie alle vicissitudini del protagonista viaggiatore che veniamo a conoscenza di molteplici aspetti culturali dell’Unione Montana, compreso quello linguistico: una Valle che ospita al suo interno ben tre varianti linguistiche (francese, occitano e francoprovenzale).

Intanto prosegue sino a domenica 5 maggio la mostra “Arti e costumi dell’alta Valle di Susa”: Mostra di costumi tradizionali ed oggetti allestita dal “Groupe ‘d Tradisioun Populer Aoute Doueire“ e visitabile tutti i giorni dalle 9 alle 12 e dalle 15 alle 18 presso l’Ufficio del Turismo in viale Genevris 7.

Ritorno a casa. Il cofano ritrova smalto

Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica di Torino attiva dal 28 marzo al 31 dicembre 2024 un’importante campagna di crowdfunding per acquisire cinque smalti di Limoges provenienti dal cofano di Guala Bicchieri, capolavoro identitario del museo.

 

Le cinque staffe – elementi metallici con decoro floreale in smalto champlevé – originariamente decoravano il coperchio o il retro del celebre cofano del cardinale Guala Bicchieri (1160-1227), fondatore dell’abbazia di Sant’Andrea di Vercelli, legato di papa Innocenzo III, diplomatico, bibliofilo e collezionista.

Palazzo Madama conserva il capolavoro delle raccolte artistiche di Guala, il cofano ligneo decorato da medaglioni in oreficeria e smalto, con animali fantastici e scene profane.

Quest’opera, donata dal cardinale per legato testamentario alla sua abbazia, rimase a Vercelli fino al 1824, quindi entrò in una collezione privata e venne infine acquistata da Città di Torino e Regione Piemonte nel 2004.

Tuttavia, alcuni degli elementi in rame e smalto che lo impreziosivano in origine risultano oggi mancanti: verosimilmente trafugati durante la permanenza dell’opera nella chiesa di Sant’Andrea di Vercelli, tra il XIII e il XVIII secolo. In particolare sono andati perduti i dieci medaglioni del coperchio, i dieci che ornavano il retro, oltre a diverse staffe e cantonali (elementi in rame e smalto champlevé, anch’essi con decoro floreale, che rivestivano gli spigoli del cofano).

 

Nel 2019 un antiquario di Parigi contatta il Museo del Louvre per sottoporgli i cinque smalti in questione, e subito dopo Palazzo Madama, cui propone in vendita le cinque staffe: uguali per dimensioni, decoro e colori a quelle che decorano il fronte e i fianchi del cofano di Guala Bicchieri e quindi verosimilmente provenienti da quest’opera. Per poter verificare tale ipotesi, il conservatore di arti decorative Simonetta Castronovo si reca in sopralluogo presso la galleria francese per esaminare le opere, e quindi organizza con il Dipartimento di Chimica dell’Università di Torino una campagna di indagini diagnostiche (analisi XRF), per approfondire lo studio scientifico delle staffe: l’indagine XRF, non invasiva, permette infatti di leggere con precisione la composizione chimica dello smalto e le tecniche di lavorazione del vetro.

Le verifiche e le analisi compiute hanno rilevato che le staffe ora in possesso della galleria parigina coincidono esattamente per dimensioni e disegno degli elementi floreali con quelle ancora presenti sul cofano di Palazzo Madama; e che la loro composizione chimica è identica a quella degli smalti del cofano Bicchieri; la quale, a sua volta, è assai particolare e costituisce un unicum nell’ambito della produzione di Limoges. Un insieme di dati che permettono quindi di confermare la provenienza di questi frammenti dal cofano di Palazzo Madama. La loro acquisizione consentirebbe così di ricollocarli sul retro del cofano, oggi spoglio, e di andare a ricomporre il decoro originario dell’opera. Un’operazione di restituzione filologica.

Riprese a questo punto le trattative con Parigi, a fine del 2023, Palazzo Madama ha ritenuto di procedere, per quest’importante acquisizione, con una campagna di crowdfunding, su modello di quella compiuta nel 2013 sul servizio da tè, da caffè e da cioccolata con stemma Taparelli detto“Servizio d’Azeglio”, campagna che ebbe un particolare successo permettendo al museo di raggiungere la cifra richiesta e di acquisire l’opera nell’arco di pochi mesi.

In questa occasione Palazzo Madama si appoggerà alla piattaforma Rete del Dono, attraverso la quale sarà possibile fare le donazioni online.

Oggi, giovedì 28 marzo 2024, viene lanciata la campagna, che si articolerà in conferenze, video,storytelling. La cifra richiesta dall’antiquario è 50.000 € e la scadenza per arrivare a tale importo è fissata a fine dicembre 2024.

 

Dal sito di Palazzo Madama, a partire da oggi, è possibile accedere, tramite apposito link, alla pagina dedicata sulla Rete del Dono. Qui sono assicurate tutte le tipologie di pagamento: carte di credito, bonifici bancari, Pay Pal, Satispay. Rete del Dono emetterà automaticamente le ricevute ai donatori, inviandole via mail. Le donazioni possono inoltre beneficiare dell’Art Bonus: un incentivo fiscale che consente una detrazione, fino al 65%, per chi effettua donazioni a sostegno del patrimonio culturale pubblico italiano.

 

Sono naturalmente previsti reward specifici per tutti i donatori: che vanno dall’iscrizione del nome del donatore sul donor wall del sito di Palazzo Madama, all’emissione di ingressi omaggio in museo, fino alla visita guidata delle collezioni e del palazzo, fuori orario, con il Direttore.

“Ciau Masino”. Capolavori ritrovati della Letteratura

Prende avvio, con la “prima opera compiuta” di Cesare Pavese, la Collana del “Capricorno” tesa a riscoprire i “Classici della letteratura”

“Opera sperimentale”, nasce come ciclo di racconti e poesie che Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo – Cuneo, 1908 – Torino, 1950) scrisse fra il settembre del 1931 ed il febbraio del 1932. Storia non facile, quella di “Ciau Masino” rimasto per lungo tempo inedito e pubblicato, per la prima volta, solo nel 1968 (diciotto anni dopo la tragica scomparsa del grande “cantore di Langa”) da “Einaudi” nel volume dei “Racconti”. Dopo di allora, il silenzio. “Ciau Masino”, come libro autonomo, non venne mai più riproposto. Solo oggi, dopo più di cinquant’anni di assenza dalle librerie, “Capricorno” (nel suo nuovo brand – non più “Edizioni del Capricorno” – più essenziale, moderno ed immediatamente riconoscibile) ripropone la prima affascinante prova narrativa del “giovane” Pavese” nella sua originaria integrità.

Il libro pavesiano, come molti sapranno, si  articola in brevi racconti divisi, due alla volta, da una poesia che “serve ad intercalare e a dare la scansione del racconto”. I protagonisti della narrazione sono Masino, giovane giornalista, e Masin, operaio che arriva a Torino dalle colline della “Granda”. Testo “sperimentale” – si è detto – non solo per quell’insolito alternarsi di racconto e poesia, ma anche per l’utilizzo del dialetto, di un dialetto che non va mai ad intaccare, tuttavia, lo scorrere narrativo e che, invece, fa la sua comparsa solo nelle parti dialogate.

In “Ciau Masino” Pavese traccia “racconti paralleli” in cui già si individuano tematiche che saranno, anni dopo, al centro dei capolavori della maturità: il contrasto fra campagna e città, il desiderio di appartenere a un ambiente sociale cui si è incapaci di aderire e quello di evadere in un altrove mitico. E ancora, la  straordinaria, sobria Torino degli anni Trenta e quelle sue colline di Langa, radicate per tutta la vita nel cuore, nei pensieri e nell’anima dello scrittore. Insomma, con “Ciau Masino” si entra in presa diretta nel “laboratorio fondativo” delle tematiche pavesiane, trovandosi di fronte a un suggestivo “ritratto dell’artista da giovane”.

L’opera “ è la più sfaccettata e sfacciata mai scritta da Pavese – scrive Massimo Tallone nella prefazione – ardita nella struttura che allude al caleidoscopio di racconti, tutti autoconclusi e pur concatenati; libera nel palleggio fra prosa e stacchi in versi; sfrontata nell’uso dei dialetti.

“Ciau Masino” è il primo titolo della nuova collana “Capolavori ritrovati della letteratura”, pensata da “Capricorno” per rendere nuovamente disponibili ai lettori scrittori fondamentali e outsider di genio, romanzi imperdibili ma da tempo non più disponibili sugli scaffali delle librerie oppure ingiustamente dimenticati dalla vulgata letteraria. Temi e autori storici della letteratura fra Ottocento e Novecento. In una “Collana” che mette insieme grandi classici, riproposti con lo sguardo degli scrittori di oggi, e gustose (ri)scoperte capaci di stupire il lettore. Libri che da troppo tempo non vengono letti, riportati nel posto che loro compete: il “Gotha” della grande letteratura senza tempo.

Dopo Pavese, seguiranno Guido Gozzano (“L’altare del passato”), Edmondo De Amicis (“Amore e ginnastica”) e Carolina Invernizio (“Nina la poliziotta dilettante”).

Per info: “Capricorno”, via Borgone 57, Torino; tel. 011/3853656 o www.edizionidelcapricorno.com

g.m.

Nelle foto:

–       Cover “Ciau Masino”, “Capricorno – Capolavori ritrovati”

–       Nuovo logo “Capricorno”

–       Massimo Tallone

Le origini di Torino: prima e dopo Augusta Taurinorum

Breve storia di Torino


1 Le origini di Torino: prima e dopo Augusta Taurinorum
2 Torino tra i barbari
3 Verso nuovi orizzonti: Torino postcarolingia
4 Verso nuovi orizzonti: Torino e l’élite urbana del Duecento
5 Breve storia dei Savoia, signori torinesi
6 Torino Capitale
7 La Torino di Napoleone
8 Torino al tempo del Risorgimento
9 Le guerre, il Fascismo, la crisi di una ex capitale
10 Torino oggi? Riflessioni su una capitale industriale tra successo e crisi

1.Le origini di Torino: prima e dopo Augusta Taurinorum

Torino è una città che invita al rigore, alla linearità, allo stile. Invita alla logica, e attraverso la logica apre alla follia. Queste le parole del grande intellettuale Italo Calvino, forse un po di parte, certo, ma non per questo meno veritiere.
Così abituati a guardare lontano, intenti ad indagare il mondo oltre i confini visibili, perennemente alla ricerca di qualcosaltro in un laggiù” di labile definizione, spesso diamo per scontato ciò che ci circonda, e talvolta nemmeno ci impegniamo a conoscere i luoghi a noi più vicini.
Rifletto spesso su tale tematica con i miei studenti a scuola, approfittando delle potenzialità della materia che insegno; quando chiedo ai ragazzi di raccontarmi una loro esperienza riguardo a mostre darte, musei o luoghi culturalmente conosciuti, mi rendo conto di quanto poco conoscano il territorio in cui vivono, è più probabile infatti che essi si siano ritrovati per le strade di qualche capitale straniera e non di aver visitato Palazzo Madama, Palazzo Reale, un qualunque museo torinese di arte contemporanea o qualche luogo cittadino che proprio nulla ha da invidiare all esotico estero.
Non ne faccio loro una colpa, anche io tendo spesso a incappare nel medesimo errore, protesa verso il desiderio di prendere aerei e partire, corro per prima il rischio di tralasciare interessanti occasioni di visita di esposizioni darte di artisti che magari apprezzo particolarmente e che si svolgono proprio a Torino.

È secondo questottica che ho deciso di scrivere tale serie di articoli dedicati alla capitale sabauda, per riscoprire e tentare di approfondire la storia e le vicissitudini di quella che è la mia città natale, la stessa che mi pare così lontana anche se abito nei suoi vicinissimi confini, che talvolta mi ha stancato, che non sempre mi ha accolto o confortato, della quale spesso mi sono dimenticata, ma a cui rimango indissolubilmente affezionata.
Torino è così, una città antica che accetta le sfide della globalizzazione e della multiculturalità, attenta alla qualità ambientale, dove da sempre il saper fare si accompagna al saper pensare, è localitàforte delle proprie radici eppure pronta a fronteggiare le numerose riqualificazioni urbane che nei secoli si sono succedute, invasive e necessarie, le medesime che ora stabiliscono laspetto multiforme di quella che è stata la prima capitale dItalia.
Nel capoluogo popoli, culture, tradizioni e differenti consuetudini si sono stratificate nel tempo, a partire dagli usi e costumi degli antichi romani, fino ai cittadini odierni, autoctoni, migranti e tutte quelle etnie in equilibrio tra il mantenere le proprie usanze e limparare il dialetto locale.
La storia di Torino è qualcosa di tangibile, passeggiando per le vie della città infatti ci si imbatte continuamente in testimonianze del passato: le Porte Palatine, gli edifici di Italia 61, le palazzine barocche e le ville liberty, le chiese ed i monumenti, tutti tasselli di ununica grande vicenda che comincia più di duemila anni fa, ai tempi di un piccolo insediamento chiamato Taurasia, distrutto da Annibale nel 218 a.C.  

La nascita e lo sviluppo della città sono indissolubilmente legati alla posizione geografica che essa occupa: Torino sorge sulla sponda occidentale del Po, nella regione chiamata Pedemontium ossia la terra ai piedi delle montagne, uno strategico crocevia assai significativo  per i commerci, sia via terra che via acqua. Fin dai tempi antichi eserciti, mercanti e pellegrini erano costretti ad attraversare il fiume in quel preciso punto geografico, laddove sorgeva il piccolo villaggio Taurasia. Nei secoli sono molti coloro che ambiscono al controllo dello stabilimento, rilevante scalo tattico e commerciale, nonché snodo significativo posto sulla via che collega il Sud della Francia e il Nord dellItalia.
Tuttora Torino sorge lungo la principale articolazione stradale e ferroviaria dellarea alpina, su un percorso che da sempre è ritenuto di considerevole importanza, da qui infatti sono passati, secondo gli studiosi, dapprima Annibale, nella sua marcia verso Roma e successivamente, nel 773, lesercito di Carlo Magno, durante la calata in Italia.
Il tempo conferma la centralità della posizione strategica dellantica Augusta Taurinorum, abbracciata dai fiumi e protetta dal duplice ruolo delle montagne, da una parte le Alpi, dallaltra i Colli del Monferrato, che sia mettono in comunicazione la città con i comuni limitrofi, sia fungono da barriera protettiva naturale; gli stessi Savoia, i custodi dellItalia approfitteranno dellubicazione dellurbe per gestire i propri poteri.
La natura dunque favorisce la nascita di un insediamento destinato ad ingrandirsi nei secoli, ma se da subito le condizioni di vita paiono favorevoli per la cittadinanza, sarà necessario attendere diversi secoli prima che la Storia si accorga della bella Torino, relegata per tempo immemore alla condizione di cittadina di provincia, adombrata dalle limitrofe Asti e Vercelli, infatti solo verso la fine del Cinquecento, grazie ai Savoia che qui sposteranno la propria corte, al capoluogo viene riconosciuto peso politico e comincia a brillare di luce propria.
Ma andiamo per ordine, poiché assai remote sono le origini della nostra città; larea appare abitata fin  dallepoca tardo paleozoica, come testimoniano i numerosi ritrovamenti di utensili in pietra.
Allepoca la regione doveva essere ricoperta di foreste e acquitrini, tuttavia già i coltivatori delletà neolitica erano intervenuti a favore di una repentina trasformazione del paesaggio, processo che continueràattraverso diverse azioni di bonifica dalletà medievale fino alletàmoderna.
I primi abitanti del Piemonte sono i Celto-Liguri, gruppi migranti celtici che mentre si spostano verso il Nord della Penisola si fondono con alcune tribù liguri già presenti sul territorio.
Si tratta di popolazioni dedite allagricoltura, con un livello di organizzazione politica e culturale non molto sviluppata, vivono sparsi per le radure tra le foreste, coltivano segale e granaglie e allevano pecore e maiali. Nello specifico sono gli Insubri e i Taurini ad occupare le sponde del fiume Po.
Come è noto, il destino di Torino risulta legato almeno a livello di nomenclatura-  ai Taurini, da cui deriva lappellativo Augusta Taurinorum, dallanimale totemico attribuito alla tribù, ossia il taurus, -che tuttoggi rimane simbolo indiscusso della moderna cittàpiemontese-.
Ben poco sappiamo di tale popolazione, se non che compare negli annali nel 218 a.C., quando tenta invano di fermare la discesa di Annibale, per poi entrare a far parte delle tribù inglobate nella sfera culturale e politica di Roma che,  a partire dalla metà del II secolo a.C., colonizza la zona subalpina nordoccidentale per aprirsi una piùfacile via verso la Gallia.
Lo spirito decisamente concreto e pratico dei romani fa sì che le cittàfondate nel territorio piemontese rispondessero a precise funzioni: si tratta di avamposti militari  e centri di governo che favoriscono il controllo e la comunicazione lungo il tragitto verso le Alpi.


Tra questi insediamenti spicca per importanza Augusta Taurinorum.
Le leggende prendono il sopravvento sulle sporadiche fonti accreditate riguardanti le origini di Torino, se diverse sono le versioni fantasiose legate alla fondazione del capoluogo, dallaltra sono poche e controverse le notizie degli studiosi dedicate a tale argomentazione.
Lo stesso appellativo apre a diverse ipotesi interpretative: secondo alcuni Iulia Augusta Taurinorum viene fondata da Giulio Cesare durante le sue campagne militari in Gallia, secondo altri invece il nome della cittadina si rifà allimperatore Ottaviano, meglio noto con lappellativo di Augusto.
Vi è poi la versione di una duplice fondazione, suggerita da diversi studi del terreno, dai quali si denota una lavorazione dei campi limitrofi alla città che suggerisce una edificazione svoltasi in momenti differenti.
Quel che invece è noto riguarda la trasformazione del villaggio tribale prima in colonia militare poi in civitas, ossia una città con una propria struttura amministrativa ben definita; allincirca nello stesso periodo viene fondata Augusta Pretoria, lodierna Aosta, con lo scopo di assicurare il dominio romano sulla vallata circostante e sui valichi del Grande e del Piccolo San Bernardo.
Dalle fonti tuttavia si evince che ledificazione effettiva di Augusta Taurinorum avviene nel corso del I secolo a.C.; i lavori di costruzione seguono lo schema prefissato dalla tradizione romana e la colonia si struttura secondo una griglia rettangolare circondata da una cinta muraria di circa 2,5 km.
Lo spazio interno è diviso da due strade principali, il Cardo e il Decumano le attuali via Garibaldi e via San Tommaso -, rimane invece incerta lubicazione del foro, anche se probabilmente doveva occupare lattuale zona in cui oggi si trova il municipio. Allinterno delle mura, le strade secondarie suddividono lo spazio urbano in insulae, isolati residenziali dotati di fognature sotterranee e pavimentazioni regolari e ordinate.
La nuova colonia viene inoltre dotata di un acquedotto per la fornitura idrica, bagni pubblici, templi e un teatro, le cui fondamenta sono ancora visibili accanto a Palazzo Reale.
Lo schema rettilineo rimane alla base della Torino moderna e resta inevitabile punto di partenza per tutti i successivi sviluppi urbanistici eseguiti fino ai giorni nostri.
Altra questione aperta riguarda gli abitanti: molto probabilmente si tratta di immigrati provenienti direttamente da Roma o veterani dellesercito, solo in una minoranza potevano discendere direttamente dalla tribù dei Taurini.
Limportanza della colonia rimane relegata al transito stradale e alla riscossione dei pedaggi; essa  tuttavia è indicata  nei documenti dellepoca come snodo primario allinterno della grande rete di comunicazione costruita dai Romani  per agevolare il transito di merci, truppe e messaggeri imperiali in tutta lItalia settentrionale.
La situazione muta bruscamente nel III secolo a.C., quando la guerra civile, la recessione economica e le incursioni barbariche minano lesistenza stessa di Roma. La crisi colpisce tutto lImpero, ma sono proprio le colonie sorte lungo le rive del Po che devono fronteggiare in prima linea gli invasori germanici.
Augusta Taurinorum rimane per molto tempo, come le altre province, in una situazione instabile, preda del vuoto di potere dovuto al crollo delle istituzioni governative e politiche romane fino allemergere di una nuova autorità: il vescovo, simbolo della Chiesa Cristiana. Per i secoli a venire è questa la figura essenziale a cui tutta la comunità si rivolge e sulle cui spalle pesa il gravoso compito di organizzare la nuova vita cittadina allalba dellavvento del Cristianesimo.
Non si sa molto riguardo alla diffusione della nuova religione in Piemonte, la tradizione si sofferma sullavvento del culto dei tre martiri (Ottavio, Avventore, Solutore), particolarmente apprezzato proprio a Torino, cerimoniale religioso surclassato poi dalladorazione di Giovanni Battista.
Scarse sono le notizie a proposito del primo vescovo di Torino, probabilmente un certo Massimo, pupillo di Eusebio  e forse anche di Ambrogio, arcivescovo di Milano. Massimo era un buon imprenditore edile, a lui infatti si deve ledificazione del primo edificio ecclesiastico locale, una chiesa probabilmente dedicata al Salvatore, ubicata dove ora sorge il Duomo. Attraverso larchitettura egli ritiene di esorcizzare i demoni pagani che albergano tra le rovine dellantica città romana, costruendo chiese e santuari laddove sorgevano gli antichi templi dedicati agli dei. Inoltre egli riveste la figura del principe-vescovo, così come i suoi contemporanei Ambrogio di Milano, Agostino dIppona e Gregorio di Tours. La sua figura austera, severa e forte si fa punto di riferimento per i suoi successori, i quali come lui si adoperano per difendere la città dai barbari, dare asilo ai profughi e riscattare i prigionieri.
Decisamente interessanti sono i sermoni redatti da Massimo, grazie ai quali ci è possibile immaginare come doveva essere la lontana societàtorinese agli albori della diffusione del Cristianesimo.
Allinterno dei testi spiccano le critiche feroci mosse dal vescovo nei confronti dei cittadini, costantemente invitati al pentimento, ad allontanarsi dai beni materiali, sovente accusati di pigrizia e venalità: della prima comunità torinese ne esce un quadro tuttaltro che edificante.
Eppure tali sono le origini di Torino.
Affondiamo le nostre arcaiche radici in una turbolenta cittadinanza ancora legata ai vecchi culti, che tuttavia con fatica e forza si è poi evoluta fino ai giorni nostri, passando per le guerre contro i barbari, la dominazione sabauda fino a Napoleone e oltre.
Complessa e stimolante è la vicenda di Torino e questo è solo linizio.

Alessia Cagnotto 

In vendita biglietti e carnet “3 Manon” al Teatro Regio

 

 

Da lunedì 25 marzo 2024 è iniziata la vendita dei biglietti al Teatro Regio per “Manon Manon Manon”, un viaggio affascinate che, per la prima volta in Italia, darà vita a una lunga soggettiva dedicata a Manon Lescaut. La vendita dei biglietti e dei carnet “3 Manon” dà la possibilità di scegliere con flessibilità le date preferite e di ottenere uno sconto del 40% rispetto alla somma dei singoli biglietti. È ancora possibile sottoscrivere l’abbonamento con data e posto fisso, che permetterà di godere dello sconto del 40% rispetto alla somma dei singoli biglietti. In questo modo si potrà assistere alle date del turno prescelto dal proprio posto preferito. Sia per l’acquisto degli abbonamenti, sia per il carnet “3 Manon”, è possibile scegliere il pagamento rateizzato. Dal primo al 29 ottobre 2024 il Teatro Regio presenterà infatti “Manon Manon Manon”, un viaggio intorno alla giovane protagonista del romanzo dell’abate Prévost che, a partire dal successo riscosso a metà Settecento, ha ispirato ben tre compositori: Daniel Auber, che ha dato vita a Manon Lescaut nel 1856, Jules Massenet, che compose la sua Manon nel 1884 e Giacomo Puccini, che raggiunse il suo primo grande trionfo con Manon Lescaut nel 1893. Si tratta di tre opere autonome ma complementari. Tra i direttori d’orchestra, tre interpreti per una protagonista unica, tre diversi cast per un inedito trittico, con 21 recite in un mese. Una vera e propria sfida artistica e produttiva capace di mettere in luce le forze del Teatro Regio, nella lettura del regista Arnaud Bernard.

 

Teatro Regio, Piazza Castello 215, Torino

biglietteria@teatroregio.torino.it

011 8815241

 

Mara Martellotta