CULTURA E SPETTACOLI- Pagina 102

“Il Giardino magico” di Anja a Bardonecchia. Quadri allegri con tanti o-minuscoli

La pittrice bavarese Anja Langst esporrà dal primo al 30 agosto prossimi a Bardonecchia, nel suo laboratorio “Anja’s Atelier”, in piazza Europa 18, i suoi quadri ricchi di colori e sorprese. Attenzione! I personaggi vogliono uscire dalle tele! La mostra si intitola “Il Giardino magico”.

Anja festeggia così l’anniversario dell’apertura della sua scuola a Bardonecchia, nata negli anni ‘93/94; trenta anni di corsi di decorazione: pittura su seta e stoffa, pasta di sale, decoupage, cartapesta, acquerello, pittura acrilica, pittura a olio, tecniche in rilievo.

La pittrice commemora anche la scomparsa, avvenuta un anno fa, di suo marito Benny Naselli, fumettista, caricaturista e ritrattista – molto popolare a Bardonecchia per i suoi ritratti in pubblico e lezioni di disegno.

In Germania Anja ha studiato psicopedagogia a Augsburg, ha lavorato come assistente di Emilio Vedova alla Giudecca a Venezia e si è poi trasferita nel ’72 a Torino, dove si è iscritta al corso di decorazione di Enrico Paolucci all’Accademia Albertina di Belle Arti.

Al Bureau International du Travail ha trovato un lavoro come illustratrice di manuali didattici e ha continuato questo lavoro anche a Ginevra. Qui ha disegnato vignette per il quotidiano “La Suisse”, partecipato a tante mostre sull’umorismo: le donne-umoriste sono una specie rara!

Nell ’84 è tornata in Italia per seguire la figlia sciatrice a Bardonecchia, e ha collaborato con le “Editions Soleil” per illustrare tanti libri in chiave umoristica e testi di medicina alternativa fino al ’93, quando ha aperto il suo laboratorio.

Il suo magico giardino fantasioso è pieno di vegetali, fioriture ingigantite e personaggi ridimensionati per mostrare la Grandezza della Natura e la piccolezza dell’Umanità che qui si perde e sogghigna dietro il denso fogliame, là fuori spesso si perde, distrugge, annienta…

Questo mondo della Fantasia, di Sogni, di Creatività è quasi da vedere con la lente di ingrandimento per scoprire esserini visibili e nascosti, omini-formichine, fate fantastiche e spazza-anime…

Qui regna il Colore, la Pazienza, il Sorriso!

MARA MARTELLOTTA

Mostra “ Il Giardino magico” Mostra di quadri di Anja

Con il ricordo di Benny

presso “Anja’s Atelier” piazza Europa 18, interno cortile Bardonecchia

apertura 1 – 31 agosto 2024

10.00 – 12.00 e dalle 15.00 -19.00 chiuso il lunedì

Inaugurazione sabato 3 agosto 2024 ore 17.00

Patrocinio Comune di Bardonecchia

L’isola del libro

RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

 

 

 

Dörte Hansen “Al mare” -Fazi Editore- euro 18,50

E’ il terzo romanzo della scrittrice tedesca nata nel 1964 in un paese vicino a Husum, nella Frisia settentrionale; autrice poliedrica che ha studiato all’Università di Amburgo svariate lingue (incluse gaelico, finlandese e basco) conseguendo un dottorato in Linguistica. Inoltre ha lavorato come autrice per la radio e la stampa.

Al mare” è un romanzo che fa venire voglia di andare alla scoperta del Mare del Nord, tanto è perfetto il clima magnifico, maestoso e struggente descritto in queste pagine. Raccontano il microcosmo di una piccola isola e i suoi abitanti che da secoli sfidano il grande gelo e le tempeste del mare. Lì non è possibile avere segreti, tutti si conoscono da generazioni e sanno ogni cosa l’uno dell’altro.

In particolare scopriamo la famiglia Sander che sull’isola vive da almeno trecento anni, nella casa diventata un prezioso scrigno di ricordi, cimeli e memorie di tanti uomini di mare.

Hanne Sander sull’isola ha cresciuto da sola i tre figli, dopo essere stata abbandonata dal marito Jens. Donna attivissima e indomita che coglie al volo l’occasione del progressivo cambiamento dell’isola che nei mesi estivi si trasforma in ricercata meta turistica.

Lei mette a disposizione la sua casa per i vacanzieri e li ospita nelle stanze dei figli. Inoltre si dedica alle attività del museo locale.

Sono affascinanti anche le personalità e i destini dei suoi 3 rampolli.

Ryckmer è un marinaio alle prese con l’alcolismo che lo ha fatto retrocedere da esperto uomo di mare di lungo corso nella plancia di una petroliera a semplice marinaio di coperta su un barcone adibito a pompe funebri. Lui riceve i parenti in lacrime per la perdita di una persona cara che ha scelto la dispersione delle ceneri al largo di quel mare freddo e inospitale. Le pagine più belle, malinconiche ed intense sono proprio quelle dedicate alle sepolture in mare delle quali Ryckmer è il sensibile e apprezzato cerimoniere. Inoltre conosce tutte le saghe leggendarie che ammantano l’isola di ulteriore fascino.

Poi c’è Eske, infermiera in una casa di riposo, donna infaticabile sempre al servizio dei più fragili.

Infine incontriamo Henrik, il più solitario dei tre, nuotatore esperto che ogni mattina raccoglie quello che il mare deposita sulla riva.

L’autrice ci conduce dritti al cuore dei personaggi, alla loro lotta per la vita, scandita dalle maree e dal crescente turismo, tra passioni e tragedie che lasciano il segno. Tutto ambientato in una natura magica oltre ogni dire.

 

 

Azar Nafisi “Leggere pericolosamente”

-Adelphi- euro 20,00

L’iraniana Azar Nafisi, 68 anni, scrittrice ed insegnante di Letteratura Inglese, è figlia della prima donna eletta in Parlamento, e dell’ex sindaco della capitale iraniana, che nel 1979 fu incarcerato dopo la salita al potere dell’Ayatollah Khomeyni.

Anche Azar si oppose al regime, rifiutò di indossare il velo, e nel 1977 fu cacciata dall’Università. Si trasferì a Washington dove oggi vive con il marito e i due figli, ed è diventata cittadina statunitense.

Con questo libro chiude il cerchio della sua quadrilogia che comprende il famoso “Leggere Lolita a Teheran” del 2004. Pagine in cui ribadisce il potere della letteratura contemporanea e sottolinea come leggere sia uno strumento indispensabile per resistere alla crisi della democrazia.

Ha recuperato le parole e le idee di alcuni autori a lei cari –da Platone a Salman Rushdie, da Tony Morrison a David Grossman – e lo ha fatto immaginando di scrivere 5 lettere al compianto padre, col quale aveva condiviso gli stessi valori. Fin da quando aveva 6 anni, si erano scambiati continue missive; abitudine proseguita fino alla morte del genitore. Ora sembra che il dialogo tra loro riesca a scavalcare persino il sonno eterno.

Sottesa a tutta l’opera c’è la convinzione della Nafisi che: «Leggere e scrivere mi hanno protetta nei momenti peggiori della vita, nella solitudine, nel terrore, nel dubbio e nell’angoscia. E mi hanno anche fornito occhi nuovi con cui guardare il mio paese di nascita e quello di adozione».

 

 

Sandra Petrignani “Autobiografia dei miei

cani” -Gramma Feltrinelli- euro 18,00

La giornalista e scrittrice Sandra Petrignani è una delle firme più prestigiose nel panorama italiano, ed ha un’eccezionale capacità: sa ascoltare le voci delle cose e delle case che «dicono sempre la verità su chi le abita».

Lei è strepitosa nel ripercorrere luoghi, interrogare oggetti, immedesimarsi, immaginare e rintracciare così i “fantasmi” letterari preferiti

Questo suo ultimo libro invece vuole essere l’autobiografia degli amati cani che l’hanno accompagnata nel corso della vita. Ma questo l’ha anche costretta a fare i conti con la sua esistenza, a partire dagli anni dell’infanzia, per arrivare a parlare a fondo della scrittura.

I compagni pelosi diventano spunto per mettere a fuoco la personalità e le esperienze dell’autrice.

Oggi splendida 70enne, ha al suo attivo tre matrimoni, un figlio, una nipotina e la dimensione di nonna. Si divide tra Roma e la casa di campagna ad Amelia, in Umbria, dove convive amabilmente con 4 cani; ma nel libro ne compaiono almeno 17.

Tante storie segnate da destini diversi e la morte tragica di due cani di cui parlare le è costato parecchio. Di fatto in ogni riga c’è molto di lei: i suoi amori, gli uomini, i tradimenti, la vita affettiva, i viaggi, i libri scritti e letti, le ricerche, le passioni, la maternità, i traslochi, gli abbandoni e le separazioni.

Emerge a tutto tondo l’autobiografia delicata e intrigante di una donna indipendente e realizzata, dall’intelligenza affilata e aperta, amante della solitudine che stempera con l’amore per il lavoro di scrittrice.

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La costante nella vita della Patrignani è la scrittura, con una predilezione per le biografie di grandi donne legate alla letteratura e ai luoghi in cui sono vissute.

Tra le sue opere consiglio soprattutto “La scrittrice abita qui” e “Marguerite”, viaggio sulle tracce della Duras (che l’ha portata in Vietnam, Cambogia, Normandia, in un’immersione totale nella vita della vincitrice del premio Goncourt).

 

Sandra Petrignani “Il catalogo dei giocattoli” -BEAT- euro 9,00

Poi vale la pena riscoprire questo libro in cui traccia la storia dell’infanzia ricordando i giochi e i giocattoli di quando era bambina. Tanti sprazzi di memoria tra ricordi struggenti di un tempo lontano, intriso di nostalgia per quell’età spensierata da fanciullina.

 

Pagine stupende con tanti capitoli snelli e divertenti, ognuno dedicato a un giocattolo. Excursus di un’epoca e oggetti che oggi magari non sono più in voga; ma che hanno accompagnato l’infanzia di generazioni passate per le quali la fantasia regnava sovrana delle ore ludiche.

 

Tenero è il ritrovare le ore trascorse con le prime Barbie comparse nel 1959, portatrici della rivoluzione intrinseca di un nuovo modello non più burroso e materno come i bambolotti che richiamavano al ruolo di mammine in miniatura. Le prime Barbie erano di tre tipologie essenziali legate al colore dei capelli (bionda, bruna e rossa): belle, ricche, indipendenti al confine tra l’infanzia e lo sbocciare di una nuova femminilità adolescenziale. Piccole donne che di fatto erano ispirazione per un futuro aperto su più ruoli femminili.

 

Nel libro anche meraviglie un po’ perse come i caleidoscopi, i primi trenini elettrici, i soldatini e il forte, ma anche gli indiani con cui trascorrere ore di svago. Cavalli a dondolo e case di bambola, corde con cui saltare e pistole giocattolo, pallottolieri e marionette….. Tanti balocchi che la Petrignani racconta in modo intelligente e piacevolissimo.

Rock Jazz e dintorni a Torino. Max Gazzè e i Jungle Rot

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA

Lunedì. Al Comala suonano gli Indianizer.

Martedì. Al parco della Zizzola a Bra si esibisce Max Gazzè. Al Blah Blah è di scena Clarissa Del Santo.

Mercoledì. A Bardonecchia si esibisce Daniele Silvestri. All’Open canta Lepre. A Canale si esibisce Irene Grandi.

Giovedì. Allo Spazio Popolare OST Barriera, suona il Gianluca Gallucci Trio. A Canale Canta Ron. A Verbania si esibiscono gli Inti Illimani. Al Blah Blah suonano i Jungle Rot.

Venerdì. A Piea (AT) si esibisce Pino Scotto. A Rossana (CN) suonano i Modena City Ramblers.

Sabato. A Guarene (CN) è di scena Michael Rosen. A Guarene (CN) suona il Sofia Trio.

Domenica. A Piea (AT) canta Edoardo Bennato.

Pier Luigi Fuggetta

Riapre il Castello di Ivrea

Sui camminamenti del castello si staglia la sagoma del Conte Verde, il prode Amedeo VI di Savoia, che dall’alto del suo maniero controlla i movimenti degli eserciti nemici. Accanto a lui.. i primi numerosi visitatori della fortezza medioevale, riaperta al pubblico nel weekend, dopo quasi dieci anni di chiusura e di restauri. Immaginiamo felice anche l’audace Conte Verde (1334-1383) che volle fortemente il castello ma non lo vide mai perché morì prima della fine dei lavori. Proprio quel Conte Verde che combatte eroicamente contro i turchi nel monumento di fronte al Municipio di Torino. Il Comune aveva promesso di riaprirlo entro luglio e così è stato. Eh sì, il Conte Verde, quello straordinario personaggio chiamato così per il colore delle sue insegne e dell’abbigliamento che usava durante i tornei equestri. Interamente vestito di verde scuro, verde nell’armatura, verdi erano le protezioni del cavallo, bardate di verde erano le sue galee che solcavano i Dardanelli, verde era la tappezzeria delle camere, verdi gli arredi dei suoi palazzi e i vestiti dei suoi scudieri così come rosse erano le torri del castello di Ivrea, realizzate interamente in mattoni, come scrisse il Carducci in “Salve Piemonte”. L’anno è il 1358, nel Canavese i Signori di Valperga combattevano contro i Signori di San Martino, alleati dei Savoia. Ivrea si sentiva minacciata, era indispensabile costruire una fortezza per difendere la cittadina. Bisognava fare in fretta, il Conte Verde coinvolse subito un migliaio di persone nella costruzione dell’edificio e fece venire manodopera qualificata da Ginevra, Milano e Vercelli. Ma ci volle molto tempo per costruirlo, i lavori iniziarono nel 1358 e si conclusero solo nel 1395.
Amedeo di Savoia non fece in tempo ad ammirare il suo castello, morì quasi cinquantenne nel 1383 durante un’epidemia di peste. Eretto sull’altura che domina la città e la strada per la Valle d’Aosta doveva diventare il simbolo del dominio sabaudo e in particolare del Conte Verde su tutta quella zona del Canavese. Quattro imponenti torri circolari alte 34 metri fortificano la struttura, il fossato proteggeva le mura con merlature a coda di rondine, i soldati entravano dal ponte levatoio, da feritoie e caditoie si lanciavano frecce, pietre, pece o acqua bollente per mettere in fuga gli assedianti. Una delle torri, quella di nord-ovest, nel Seicento fece una brutta fine: fu distrutta parzialmente dall’esplosione, provocata da un fulmine, della polveriera. Le vittime furono una cinquantina e la torre crollò restando mozza come la si vede ancora oggi. Nel Quattrocento tornò la pace tra le dinastie in lotta tra loro e il castello divenne la residenza delle duchesse di Casa Savoia tra cui Jolanda di Francia, sorella del re di Francia Luigi XI e Beatrice del Portogallo, moglie del duca sabaudo Carlo II, che si dedicarono allo sviluppo delle arti e della cultura chiamando a corte pittori, poeti e musicisti. Ma la bella stagione durò poco e a causa delle guerre tra francesi e spagnoli nel XVI secolo il castello divenne un presidio militare. Con il trasferimento della capitale del Ducato da Chambéry a Torino nel 1563 iniziò la decadenza politica di Ivrea e del suo castello. L’interno del maniero fu sventrato del tutto quando fu trasformato in un carcere dal 1700 al 1970. Poi fu chiuso per il crollo di tegole e intonaci e le visite furono sospese. Nel 1994 lo Stato l’ha dato in concessione al Comune di Ivrea che lo ha acquisito definitivamente nel 2017. Le porte sono rimaste sbarrate per otto anni e per oltre 12 mesi è stato al centro di una ristrutturazione di ampia portata nell’ambito di un programma di valorizzazione del bene dal grande valore storico e artistico. Le visite sono possibili venerdì alle 17 e alle 18, sabato, domenica e festivi alle 10,30 e alle 11,30 e alle 15, 16 e 17. Il costo dei biglietti, intero 13 euro, 11 euro ridotto.
Filippo Re

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

SOMMARIO: Covid e trasparenza – Una piacevole scoperta: Alessio Magaddino – Don Ziggiotti salesiano fuori ordinanza – Lettere

Covid e trasparenza

La Corte europea (che spesso viene chiamata in causa solo quando ci dà ragione) ha sentenziato che sui vaccini Covid non ci fu trasparenza. E’ un fatto grave che più o meno tutti abbiamo percepito, anche in Italia, nei due terribili anni in cui abbiamo vissuto quasi in cattività. Io non ho certezza della realtà perché un conto è vivere certe situazioni e un conto è analizzarle dopo tre anni.

Resto però sostanzialmente convinto che il Governo Conte 2 non sia stato all’altezza del compito che era in ogni caso improbo perché senza precedenti a cui guardare.  Il Covid era un problema internazionale e la Ue non ha saputo agire con l’efficacia necessaria.

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Una piacevole scoperta: Alessio Magaddino

In questa settimana ho avuto molte ore per navigare in Internet in attesa che mi dimettessero dall’ospedale, e ho scoperto i saggi di uno studioso di vaglia e di un uomo coraggioso che onora gli studi storici e letterari: Alessio Magaddino che non è mai banale e scontato e non segue la solita vulgata. Controbatte le tesi di Canfora che pretende di ideologizzare la storia invece di scriverla. Ad un uomo come lui sarebbe spettata una cattedra universitaria, se non ci fossero i veti ideologici che fanno dell’Università un luogo di spaccio del pensiero unico.

Alessio, che fa il libraio in piazza Statuto, scrive di fascismo ed antifascismo, tenendo testa alle banalità degli storici improvvisati che confondono la propaganda con la storia. Il suo è un tentativo di voltare pagina, riannodandosi alla grande lezione defeliciana e anche pavoniana. Cercate su Internet i suoi scritti e vedrete la tempra di un saggista di alto livello meritevole della massima attenzione. E’ stato anche amico non servile di Galante Garrone e di Bobbio. Se Torino ha ancora uomini con lui, c’è ancora da sperare.

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Don Ziggiotti salesiano fuori ordinanza

Don Renato Ziggiotti è stato il quinto successore di Don Bosco come Rettor Maggiore dell’opera salesiana. Lo conobbi quando ero allievo dell’Istituto salesiano “San Giovanni Evangelista”; ascoltandolo, capii il valore dell’uomo di cultura, ancor prima del salesiano votato alla causa di Don Bosco fin dalla più tenera età. Lo ritrovai al Colle Don Bosco Rettore del Santuario che lui stesso volle realizzare. Dopo aver girato il mondo per visitare tutte le comunità salesiane esistenti , decise di lasciare l’alto incarico per dedicarsi al Santuario eretto vicino alla casa natale di Don Bosco. Dal castello di Camerano Casasco i miei facevano arrivare aiuti ai Becchi – dove era nato San Giovanni Bosco – e io presi l’abitudine di tornarvi. Più volte ebbi occasione di parlare con lui: era stato anche ufficiale combattente nella Grande Guerra dove aveva appreso l’arte del comando, e un validissimo docente liceale.

Un prete che aveva vissuto la guerra era anche umanamente un interlocutore eccezionale perché fu un italiano che andò in guerra ,credendo nella Patria con la p maiuscola. Era un latinista splendido e con lui si parlava di Lucrezio ed anche di Catullo. Un grande salesiano aperto al mondo con lo spirito più vero dei salesiani in cui io riconosco anche oggi i miei maestri giovanili: don Dante Bettega, soprattutto, nato a Bressanone ancora sotto la dominazione austriaca, poliglotta, intellettuale di immensa cultura, ma anche uomo semplice che sapeva stabilire con i giovani un rapporto che non ho mai più vissuto. Se io presumo di conoscere il  Latino che ho professato al liceo classico prima di dedicarmi alla storia contemporanea, lo debbo a lui che nella scuola media (non ancora unica) ci immerse nelle traduzioni per farci cogliere la classicità, ma anche la grammatica e la sintassi senza le quali lo studio classico diventa la mera finzione di certi ex ginnasi o di certi licei scientifici odierni.

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LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com

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Inghilterra e Francia

In Inghilterra le elezioni hanno dato un esito chiaro e il governo è stato subito formato. E’ merito del sistema uninominale, ma è anche merito della Monarchia che resta arbitro imparziale del confronto politico anche più aspro.

Se vediamo la Francia che, sia pure in un regime di Repubblica semipresidenziale, non riesce a trovare un governo anche perché il Presidente più che arbitro e giocatore in proprio qualche riflessione sui Re non è fuori posto. Cordiali saluti.  Nina Pugliatti

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I temi che Lei pone sono reali. Meriterebbero un approfondimento perché non tutto è così semplice, ma certo la monarchia anche oggi non appare essere robaccia da solaio come molti pensano in Italia.
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Università e femminismo

La notizia che le commissioni di concorso universitarie debbano avere obbligatoriamente, con sentenza del Tar di Milano, una presenza femminile al loro interno mi appare folle. Nelle commissioni vale la competenza scientifica relativa al concorso e non l’art. 51 della Costituzione o, meglio, la sua applicazione in chiave ultra femminista.  Prof. Ercole Maggi 

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Caro collega, concordo con te. Le Commissioni vanno formate da docenti che insegnino discipline attinenti al concorso.

Ottimo inserire una donna, se ci sono queste condizioni, ma se non è possibile ,appare assurdo bloccare i concorsi o annullarli. I soli uomini non sono più in grado di provvedervi? L’Universita’ è stata sempre maschile in passato. A Lettere nel 1968 c’era solo la storica Lelia Cracco Ruggini. E ovviamente va detto, esagerando un po’ che i candidati vincenti non potranno mai essere due in nome di una distorta parità di genere che sarebbe lo snaturamento della scienza a favore di un concezione demagogica e delirante. Qualche personaggio come la compianta Murgia magari giungerebbe a teorizzarlo, aggiungendo qualche asterisco.

 

Gran Paradiso dal vivo: “Carillon di fiabe”

CHINA. Dalla rivoluzione culturale alla superpotenza globale

Un affascinante viaggio storico documentato al “Forte di Bard” attraverso i reportages fotografici del francese Marc Riboud e del britannico Martin Parr

Fino al 17 novembre

Bard (Aosta)

La Cina di ieri e la Cina di oggi. Due mondi totalmente diversi e diversificati. Una lunga cavalcata fra stravolgimenti storici e mutazioni politiche, economico-sociali e umane trascorse lasciando segni profondi e drammatici nel “Paese” o “Fiore di mezzo” ( “Zhongguo” o “Zhonghua”) come i Cinesi chiamano la loro Terra. Dalla Cina anni Sessanta, contrassegnata dalla “Grande Rivoluzione Culturale” di Mao Zedong, alla Cina fine anni ’70 di Deng Xiaoping. Fino ad oggi. Fino alla Cina del “Terzo Millennio”, superpotenza globale, seconda economia mondiale dopo gli Stati Uniti e Paese più popoloso al mondo nonché il quarto per estensione territoriale. Ebbene, proprio alla vasta pagina storica che contempla ciò che fu la Cina di avantieri, di ieri e ciò che è la Cina odierna, alle sue trasformazioni sociali ed economiche ed alle sue tante contraddizioni, è dedicata la mostra “China. Dalla rivoluzione culturale alla superpotenza globale”, progetto fotografico inedito curato dal fotografo inglese Martin Parr, promosso dal “Forte di Bard” e dall’“Agenzia Magnum Photos” e allestito nelle “Sale delle Cantine” del “Forte” valdostano fino a domenica 17 novembre.

Più di 70  sono le fotografie, in bianco e nero e a colori, presentate in rassegna, a firma di Marc Riboud  e dell’inglese Martin Parr, due fra i nomi di maggior prestigio dell’“Agenzia” fondata nel 1947 a Parigi da mostri sacri quali Henri Cartier-Bresson e Robert Capa, tanto per citarne alcuni.

Era il 1956, quando Marc Riboud (Saint-Genis-Laval, 1923 – Parigi, 2016) mise per la prima volta piede in Cina, proprio quando la futura “Repubblica Popolare Cinese” stava per cambiare volto sotto la guida di Mao, emergendo sulle ceneri del conflitto tra “comunisti” e “nazionalisti” perpetratosi per vent’anni e trovandosi così a gestire una società profondamente divisa e ferita. Riboud (che in Cina fece ancora ritorno nel ’65, quando stava per essere lanciata la “Grande Rivoluzione Culturale”, negli anni ’70 e tante altre volte ancora fino al suo ultimo soggiorno a Shanghai nel 2010) sottolineava come i Cinesi non fossero per niente intimiditi dall’obiettivo fotografico e come, proprio grazie a questo, riuscisse a immortalare un aspetto della Cina poco conosciuto in Occidente: quello della vita quotidiana. Suo riconosciuto maestro Robert Capa che gli insegnò ad “affrontare gli sguardi sempre più da vicino” per riuscire a realizzare scatti il più possibile “perfetti”.

 

In mostra troviamo esposta anche la sua prima fotografiadella Cina:1956, una donna, vestita di nero e abbracciata a una tristezza senza confini, sul treno diretto a Canton. Nei suoi numerosi viaggi in Cina, il cui ultimo data 2010, Riboud visita gran parte del Paese, scattando suggestive immagini della vita di tutti i giorni del popolo cinese, dal mondo del lavoro a quello del tempo libero. Un mondo silente. Chiuso a speranze e a migliori prospettive, ancora lontane a venire.

Data, invece, al 1985 il primo viaggio cinese di Martin Parr (Epsom, 1952), testimone dunque di una Cina più moderna, profondamente attratta dal “consumismo”, dal lusso di marca occidentale e dalle piacevolezze del “tempo libero”. “Una Cina – sottolineava nel ‘97 – che oggi assomiglia molto a Chicago”. Dodici scatti, in mostra, del suo primo reportage cristallizzano attimi di un mondo completamente diverso, da quello presentatosi a Riboud: triste memoria l’economia comunista mentre spiagge affollate, auto di lusso, ostentazione quasi provocatoria testimoniano un paese profondamente cambiato nella seconda metà del XX secolo. In parete anche scatti dedicati alla vita di alcuni settori economici, come le industrie tessili o di gioielli, così come il mondo del tempo libero, tra esercizi di “Tai Chi” e pause pranzo al “Mc Donald”. Il tutto attraverso scatti in cui Parr gioca a mescolare “realtà” e “artificio”, grazie ad effetti come flash sparati in faccia anche in pieno giorno, giochi di luce e tecniche particolari. Sue e solo sue.

“Un fotografo che viene da un altro pianeta”, diceva di lui Cartier-Bresson. Certo, un fotografo fra i meno “politicamente corretti”, killer di tutte le regole della fotografia moderna, cui s’avvicina con le armi più improbabili di “cinico” sperimentatore ed innovatore.

Gianni Milani

“CHINA. Dalla rivoluzione culturale alla superpotenza globale”

“Forte di Bard”, via Vittorio Emanuele II, Bard (Aosta); tel. 0125/833811 o www.fortedibard.it

Fino al 17 novembre

Orari: mart. – ve, 10/18; sab. dom. e festivi 10/19

Nelle Foto/”Magnum Photos”: Martin Parr “American Dream Park”, Shanghai, 1997; Marc Riboud “In the train …”, 1956 e “An antique shop window”, Beijng, 1965; Martin Parr “Happy Valley Racecourse”, Hong Kong, 2013

Un tempo rack jobbers…

CALEIDOSCOPIO ROCK USA ANNI 60

Gli anni Sessanta video il susseguirsi vorticoso di migliaia di etichette musicali rock grandi, medie, piccole o microscopiche, dalle caratteristiche omogenee, eterogenee, variabili in base alle annate, alcune “conservatrici”, altre decisamente “progressiste”, altre ancora pionieristiche, quasi al limite dell’”autodistruzione” e dell’ostracismo sul mercato.

In alcune lo sviluppo fu lineare, costante e lento, in altre a fiammate, con improvvise impennate ed altrettanto rapide cadute. Determinate etichette invece ebbero un movimento a successive fasi di accrescimento e stabilizzazione, poi ancora crescita e stagnazione, anche in relazione alle figure manageriali che entravano ed uscivano a ritmi talvolta serrati.

La “Palmer” [o Palmer Records o Palmer Records Co.] fu attiva a Detroit tra 1965 e 1972 e rientrava proprio in questa seconda categoria. Nacque come etichetta derivata dall’unione tra The Handleman Co. e Jay-Kay Record Distributing che in precedenza per vari anni avevano incrementato la loro azione nel ruolo di imprese all’ingrosso denominate “rack jobbers”; i rapporti erano stati di concorrenza, fino ad un “armistizio” e ad un accordo commerciale definitivo su Stati Uniti e Canada.

Nella parabola musical-commerciale di “Palmer Records” si rileva una fase apicale tra 1966 e 1967 con il “management” nelle esperte mani di Irving Biegel ed Al Rosner, che seppero dare un’impronta sicura e sempre efficace alle produzioni musicali della casa discografica. Tuttavia svariate vicissitudini successive, legate anche ad una radicale mutazione nei gusti del pubblico e a scelte commerciali e finanziarie un po’ troppo audaci, inaugurarono l’inizio di un declino che condusse la “Palmer” ad estinguersi entro l’estate del 1972.

Si riporta qui di seguito la discografia “Palmer” finora ricostruita, di non facile definizione specialmente dopo il 1968:

– Tobi Lark “I’ll Steal Your Heart / Talk To an Angel” (5000) [1965];

– Girls From Syracuse “Love Is Happening To Me Now / You Could Have Had Me All Along” (5001) [1965];

– Tim Tam And The Turn-Ons “Wait A Minute / Opelia” (5002) [1966];

– Tim Tam And The Turn-Ons “Cheryl Ann / Seal It With A Kiss” (5003) [1966];

– The New Arrivals “Big Time Girl / Somebody Else” (5004) [1966];

– THE SHY GUYS “We Gotta Go / Lay It On The Line” (5005) [c. 1966];

– Tim Tam And The Turn-Ons with The Tim-Tam Brass “Kimberly / I Leave You In Tears” (5006) [1966];

– ME AND DEM GUYS “Black Cloud / Come On Little Sweetheart” (5007) [1966];

– THE SHY GUYS “Where You Belong / A Love So True” (5008) [1966];

– The People’s Choice “Hot Wire / Ease The Pain” (P-5009) [1966];

– THE SHAGGS “Ring Around The Rosie / The Way I Care” (P-5010) [1966];

– Al Williams “I Am Nothing / Brand New Love” (P-5011) [1966];

– The Inside-Outs “Gunfred Goon / My Love (I’ll Be True To You)” (P-5012) [1966];

– Tim Tam [Tim Tam’s] “Don’t Say Hi [voc. / strum.]” (5014) [1966/1967];

– Tommy Frontera “Street Of Shame / Merry-Go-Round” (P-5015) [1967];

– Donna Lynn “Don’t You Dare / It Was Raining” (P-5016) [1967];

– THE CANADIAN ROGUES “Ooh-Poo-Pa-Doo / Keep In Touch” (P-5017) [1967];

– THE TRADEMARKS “I Need You (By My Side) / If I Was Gone” (P-5018) [1967];

– Jimmy Mack “My World Is On Fire / Go On” (P-5019) [1967];

– The People’s Choice “Savin’ My Lovin’ For You / Easy To Be True” (P-5020) [1967];

– J.T. Rhythm “All I Want Is You / My Sweet Baby” (P-5021) [1967];

– Ronnie Gaylord and Burt Holiday “A Place To Hide Away / Love (Where Have You Gone)” (P-5022) [1967];

– Tommy Neal “Goin’ To A Happening / Tomboy” (P-5024) [1967];

– THE GRIFS “Keep Dreaming / Northbound” (5025x) [1967];

– THE MORTICIANS “It’s Gonna Take A While / With Another Guy” (5027) [1967];

– Joey Welz with The New Century Singers “(I’ll Remember) Our Summer Love / What Did She Wear” (P-5030) [c. 1969];

– Joey Welz “Return To Me / Pretty Is The Word For Love” (P-5034);

– Joey Welz “Vintage Ballads To Remember Her By” [LP] (PLP-13401);

– The Joey Welz Bluze Revival “Rock Revival” [LP] (PLP-13402) [c. 1970];

– Joey Welz “Keyboard Electricity” [LP] (PLP-13403) [c. 1971];

– The Joey Welz Rock N’ Roll Revival “Revival Fires” [LP] (PLP13404) [c. 1971].

Gian Marchisio

I sessant’anni di Radio Caroline 

 

Questa è Radio Caroline sul 199, la vostra stazione musicale 24 ore su 24”. Con questo messaggio preregistrato sessant’anni fa, lanciato da una vecchia nave passeggeri danese, la MV Caroline , che stazionava al largo delle coste dell’Essex, a sudest dell’Inghilterra, venne annunciato l’inizio delle trasmissioni della prima radio libera del mondo ( “pirata”, si diceva un tempo), di gran lunga la più famosa. Era il 28 marzo 1964, quasi all’ora di pranzo. I due ragazzi terribili alla consolle, Chris Moore e Simon Dee, sapevano bene che in acque internazionali le leggi inglesi non valevano e che la musica poteva librarsi nell’etere senza ostacoli. La prima canzone che venne mandata in onda fu Not Fade Away dei Rolling Stones. In Gran Bretagna le nuove generazioni impazzivano per la musica dei Beatles e dei Rolling Stones, dei Moody Blues e degli Who che dividevano le scene con gli Yardbirds di Eric Clapton e i Kinks.

Di lì a poco avrebbero fatto la loro comparsa anche i Pink Floyd con le loro atmosfere psichedeliche. Pur in presenza di uno scenario unico e straordinario nella storia della musica pop e rock, le trasmissioni radiofoniche erano dominate dai tre canali radio della BBC, che confinava questi gruppi e le loro canzoni  nello spazio angusto e risicato di pochissime ore la settimana e non voleva saperne di ospitare  le band delle etichette indipendenti, mostrando di subire l’influenza delle grandi case discografiche come EMI e Decca. Quest’approccio piuttosto grigio, in puro stile old british, della radio pubblica e un insieme di regole alquanto strambe che, tanto per fare un esempio, limitavano a cinque ore il  tempo massimo in cui si potevano suonare dischi in diretta  o la scelta di  mandare in onda canzone cantate da altri interpreti o in versioni solo strumentali, fecero guadagnare a Radio Caroline un successo incredibile. L’idea della stazione “galleggiante” era venuta a Ronan O’Rahilly, un ventiquattrenne irlandese che aspirava a diventare un imprenditore musicale, riadattando allo scopo una nave passeggeri danese di 700 tonnellate, la MV Fredericia (formalmente registrata a Panama).

La famiglia di O’Rahilly, piuttosto benestante, era proprietaria di un piccolo porto privato a Greenore, nel nord dell’Irlanda. Le apparecchiature radio vennero installate con l’aiuto dell’ingegnere svedese Ove Sjöström che aveva lavorato in una esperienza simile in Svezia. Per il nome si ispirarono a una delle celebri foto di Caroline Kennedy, ritratta mentre giocava nello Studio Ovale della Casa Bianca ai tempi della presidenza del padre, John Fitzgerald Kennedy. Radio Caroline trasmetteva musica pop tutto il giorno e arrivò a raggiungere, dopo pochi mesi dall’inizio delle trasmissioni, quattro milioni di ascoltatori. Si apriva così una stagione del tutto nuova nel mondo delle comunicazioni e l’esempio di questi ribelli dell’etere generò molte altre radio libere che iniziarono la loro attività al punto che, in un sondaggio del 1966, quasi la metà dei sudditi di Sua Maestà dichiarava di sintonizzarsi regolarmente su una radio pirata o su Radio Luxembourg, potente emittente lussemburghese che era una specie di antenata delle radio pirata. Il governo britannico non stette con le mani in mano e pose di fatto fine all’epoca delle radio libere con il Marine Offences Act, un provvedimento restrittivo che entrò in vigore il 15 agosto del 1967. La legge, tuttora in vigore, “proibisce di trasmettere dalle navi, dalle strutture off-shore e dagli aerei in acque territoriali britanniche, o da navi e aerei registrati nel Regno Unito dovunque si trovino”. Quasi tutte le radio pirata smisero di trasmettere ma il testardo O’Rahilly, da buon irlandese cocciuto, decise di andare avanti e poco dopo la mezzanotte di quel ferragosto informò dai microfoni che la radio Caroline avrebbe continuato la sua attività e mandò in onda All You Need Is Love dei Beatles. Qualche anno più tardi Radio Caroline ripartì a bordo di una nuova nave, l’ex rompighiaccio Ross Revenge, dalle quali le trasmissioni continuarono fino al 1989 quando il ministro inglese Margaret Thatcher ordinò la presa di forza della nave con la successiva chiusura della radio. Ma nemmeno la Lady di Ferro riuscì a zittire l’emittente. Da allora Radio Caroline riprese e interruppe le trasmissioni più volte e ancora oggi è sulla breccia, trasmettendo via satellite.

Marco Travaglini

 

Festival internazionale di musica celtica 

Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso

Sabato 20 luglio, ore 21

 

La voce e l’arpa di Anne Auffret accompagnata dalla chitarra e oud di Florian Baron

 

 

I protagonisti del primo appuntamento, sabato 20 luglio, della XXII edizione del Festival internazionale di musica celtica alla Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso, sono Anne Auffret, accompagnata dalla sua arpa celtica e da Florian Baron alla chitarra e oud (il liuto del mondo arabo-persiano) con un repertorio che va dai canti religiosi e profanigwerzioù e sonioù, testimone della grande vivacità e dell’immaginario della terra di Bretagna.

Il Festival è organizzato dalla Pro Loco di Buttigliera Alta con il patrocinio e il contributo del Comune di Buttigliera Alta.

 

ANNE AUFFRET

Originaria di Bulat-Pestivien alla frontiera tra Trégor e Cornovaglia, fedele alla sua lingua e alla sua cultura, Anne Auffret porta l’eredità musicale di questi luoghi della Bretagna più autentica, veri e propri capolavori di cultura popolare. La sua lunga carriera l’ha portata a collaborazioni con grandi interpreti della musica bretone in tutta Europa, Yann Fanch Kemener una delle più belle voci maschili di Bretagna, gli arpisti Kristen Nogues e Dominig Bouchaud, i sonneurs Bernard Pichard, Daniel Le Féon, Jean Baron et Christian Anneix.

 

FLORIAN BARON

Figlio di Jean Baron, maestro sonneur, Florian ha studiato l’oud in Siria e in Turchia, si approccia alla musica bretone in un modo molto personale, lasciando ampi spazi alle varianti e all’improvvisazione, portandolo a collaborare in duo sia con Anne, che con Erik Marchand e con il violinista Lucas Robin e anche con il quartetto Bamdadan. Questo universo musicale ricco e multicolore si fonde con la voce di Anne, alternando momenti di puro e semplice accompagnamento ad altri di vero e proprio diskaner, diventando cioè la seconda voce di questo stile di canto bretone conosciuto come kan ha diskan.

 

INFO

Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso

Località Sant’Antonio di Ranverso, Buttigliera Alta (TO)

Sabato 20 luglio, ore 21

Festival internazionale di musica celtica

Biglietti: 15 euro. Fino a 8 anni gratuito. Fino a 12 anni ridotto.

Prenotazione obbligatoria

Info e prenotazioni: 388 1881548 prolocobuttiglieraalta@gmail.com