Cosa succede in città- Pagina 55

RivestiTO: innovazione tecnologica e trasparenza per una moda circolare

È stata lanciata, in occasione del Circolar Monday, la sperimentazione per rendere sostenibile e trasparente la raccolta del tessile a Torino. Ogni anno i cittadini e le cittadine europee acquistano quasi 26 kg di prodotti tessili e ne buttano via circa 11.

Una volta dismessi, tuttavia, anche quando vengono smaltiti attraverso la raccolta differenziata, abiti e tessili post consumo sono spesso di bassa qualità e molto difficili da riciclare, rendendo complicato trovare per ciascun capo la giusta destinazione. La maggior parte viene così destinata in Sud America, dove soffocano la produzione artigianale locale e finiscono bruciati, dispersi nei mari o in discariche a cielo aperto. Una situazione che va affrontata, rendendo la raccolta differenziata del tessile nelle nostre città più sostenibile, utile e trasparente, riducendo la portata di questi rifiuti. La Città di Torino ha accolto questa sfida nel quadro di Clima Borough, un progetto finanziato da CINEA e dall’Unione Europea, all’interno della missione “Cento Climate Neutral and Smart Cities”, che coinvolge dodici città europee nella sperimentazione di soluzioni innovative, di pianificazione urbana per la transizione ecologica e digitale verso la neutralità climatica.

Ideato da Atelier Riforma, Mercato Circolare e Huulke, a Torino è nato il progetto RiVestiTO, presentato alla cittadinanza durante il Circular Days, il festival della circolarità di Greenpea lanciato lunedì 25 novembre in occasione del Circular Monday, il movimento internazionale che promuove pratiche di riuso e consumo responsabile. Il progetto si pone di rendere trasparente ed efficiente la raccolta dei prodotti tessili dismessi nella città di Torino, indirizzandoli verso le modalità di valorizzazione più idonee e sostenendo pratiche di riuso, incentivando un circolo virtuoso di economia circolare.

“In un mondo in cui le risorse sono limitate è assolutamente urgente mettere in atto strategie per sfruttare al meglio i prodotti tessili già esistenti, con pratiche virtuose di economia circolare – dichiarano Elena Ferrero e Nadia Lambiase, amministratrici di Atelier Riforma e Mercato Circolare – RiVestiTO è una sperimentazione ambiziosa, volta a portare un cambiamento sostanziale nell’attuale modalità di gestione dei tessuti usati, afflitta da sprechi, inquinamento, poca trasparenza verso i cittadini, e da una normativa con diverse zone grigie”.

Il progetto si distingue per l’utilizzo di strumenti tecnologici innovativi:

-Re 4 Circular – sviluppato da Atelier Riforma, un’applicazione che attraverso l’IA aiuta gli enti che raccolgono vestiti usati a classificarli e digitalizzarli per poi ridestinarli a professionisti e aziende che praticano il riutilizzo upcycling e il riciclo di tessili.

-App Mercato Circolare – mette in connessione utenti e realtà che pensano e operano secondo i principi dell’economia circolare, incentivando una rete virtuale in cui domanda e offerta si incontrano. Il progetto mapperà e individuerà le realtà del territorio che raccolgono indumenti e tessuti usati, a cui sarà fornito lo strumento tecnologico Re 4 Circular. La piattaforma di quest’ultimo è collegata a un Marketplace B2B che mette in contatto chi raccoglie il materiale tessile con le imprese, artigiani e artigiane disponibili a utilizzarlo e valorizzarlo. Un capo perfetto sarà destinato a negozi di vintage o seconda mano, uno con piccoli difetti, cosiccome tessuti di rimanenza di aziende tessili, potrà essere trasformato da artigiani, artigiane e sartorie attraverso l’upcycling. Uno molto danneggiato, ma idoneo al riciclo tessile, sarà destinato a ottenere nuovi filati e tessuti, mentre i materiali non recuperabili potranno essere indirizzati ad aziende specializzate nella produzione di prodotti isolanti per l’edilizia o altro. Tutto in completa trasparenza, tracciando ogni materiale.

 

Gian Giacomo Della Porta

La gentilezza digitale

Serena Fasano, delegata per il Piemonte e la Valle D’Aosta di UNA, Aziende per la Comunicazione Unite, e partner della agenzia Instant Love ci parla di educazione in rete.

Il 13 novembre scorso è stato il giorno della gentilezza, un tema di cui si parla molto con l’obiettivo di contrastare questo clima di discordia, ma anche di ingiurie e violenza verbale, facilmente riscontrabile sui social media o in televisione, che rappresenta lo specchio di un fenomeno proprio della mondo reale odierno.

Perchè si parla sempre di più di gentilezza, anche al mondo digitale?

Il tema della gentilezza si sta affacciando in maniera piu’ consistente all’interno del mondo della comunicazione, se ne parla maggiormente perchè ci si è resi conto che è necessario sempre di più educare e rendere consapevoli le persone di tutta una serie di regole e di condotte proprie della relazione, sia nel mondo reale che digitale. Il fine è di contrastare l’attuale approccio caratterizzato da una forte attitudine all’egoismo, all’individualità e soprattutto al conflitto, spesso spietato; è come se si fosse sviluppata nel tempo una grande angoscia che impedisce un confronto sano con gli altri, si pensa a difendere il proprio spazio, le proprie idee, anche con veemenza.

La gentilezza rappresenta ancora un valore?

Attualmente purtroppo modi garbati e buone maniere sono associati, spesso, alla debolezza, soprattutto nei confronti di noi donne. È necessario credere, invece, che un approccio cortese non corrisponde ad una mancanza di fermezza, non è fragilità, è un metodo che facilita le relazioni, il lavoro e lo scambio. Non è sempre spontaneo applicarla, a volte bisogna fare uno sforzo perchè è più facile usare toni duri e arrabbiarsi, ma impegnarsi ad essere cordiali e anche empatici è determinante, migliora noi stessi e l’ambiente circostante. Questo vale anche per il digitale dove i dialoghi aspri sono molto frequenti soprattutto sui social come Facebook, che ha avuto una evoluzione negativa: all’inizio era una magia, un luogo dove ritrovare persone e pubblicare belle immagini iconiche, in seguito si è trasformato in una piattaforma per polemizzare e discutere, è diventato una sorta di sfogatoio oltre ad un veicolo di fake news. Ora sta affrontando un nuovo passaggio legato alle creazione di community intorno ad interessi specifici: speriamo che questa possa essere un’evoluzione più pacata.

Qual è la strada da percorrere per attuare un cambio di rotta e ripristinare il principio del dialogo sano?

L’educazione digitale e la consapevolezza. Capire le dinamiche che sono dietro al mondo digitale, osservare con un occhio obiettivo il suo funzionamento e capirne le regole aiuterebbe ad utilizzarlo in maniera cosciente. La formazione è uno ausilio essenziale per acquisire gli strumenti per una corretta navigazione: usare toni e parole giusti, non rispondere alle provocazioni, non alimentare polemiche. Sono necessari codici comportamentali che si possono diffondere solo attraverso l’educazione, a cominciare dalle scuole. Le regole delle buone maniere devono avere il sopravvento sugli impulsi più bassi che sul web hanno terreno fertile, è essenziale un cambio culturale.

MARIA LA BARBERA

Francesco Salamano e la moda maschile: l’eleganza al tempo del Vintage

Oggi 26 novembre a Camera la presentazione del libro “Manuale di moda maschile vintage:” di Francesco Salamano con l’accompagnamento di Mario Calabresi.

Si definisce “torinese con la valigia”, ma Francesco Salamano è anche un esperto di comunicazione e docente universitario in istituti come IED e Marangoni dove insegna materie legate alla sua professione, dunque marketing e comunicazione ma anche legate alla moda e alla storia dei costumi. Io l’ho incontrato in qualità di saggista ed esperto di moda vintage maschile dal momento che martedi 26 novembre presenta presso Camera il suo libro “Manuale di moda maschile vintage: guida per avere uno stile perfetto”, edizioni Demetra.

Francesco come nasce la sua seconda anima, quella di esperto di moda.

 

Dal piacere e dall’interesse verso la moda, perché è sempre stata una mia passione sin da ragazzino.  Mi piacevano determinati capi, mi piaceva il vestito in una certa maniera, e negli anni si è sempre più sviluppata questa passione che mi ha portato a ricercare, approfondire, a capire, e poi il mio interesse si è spostato verso il vintage, perché nel vintage c’era anche tutta una parte legata al passato, alla memoria, al ricordo. E tutto ciò è confluito nel mio libro che non è un libro solo di moda, ma è un libro legato alla cultura pop, ai riferimenti culturali legati al concetto di vintage che io sintetizzo in tre parole: etico, estetico ed esclusivo. Etico, perché in qualche modo il vintage si oppone al fast fashion. Lo spreco aiuta a ridurre l’impatto estetico, poiché i capi vintage erano progettati per durare più a lungo, erano realizzati meglio, rifiniti con maggiore cura, e spesso anche più belli dal punto di vista estetico. È talmente vero che molte aziende stanno lavorando volontariamente sul concetto di archivi. Infine, esclusivo, ma non nel senso negativo del termine, bensì come qualcosa che si oppone alla massificazione e all’omologazione, perché ogni capo vintage è unico, irripetibile, e non può essere replicato.

C’era davvero bisogno di un libro sulla moda maschile? Mi consenta la provocazione: ma la moda da uomo è davvero creativa?

Questo libro non è rivolto solo agli uomini né si limita all’eleganza maschile, ma esplora la cultura pop in generale, toccando argomenti come cinema, letteratura e musica. Anche una donna che non sia interessata alla moda maschile potrebbe trovare interessanti leggere storie e curiosità su questi temi. E poi, la moda è una fusione di influenze, anche tra i generi. Molti capi maschili sono diventati femminili e la moda femminile ha attinto dalla tradizione maschile. Esempi noti includono Saint Laurent con lo smoking femminile, Coco Chanel con le giacche in tweed, e Armani con il suo tailleur. Hanno dato vita a una moda elegante che partiva dagli abiti sartoriali maschili. Quindi perché no. Certo, forse adesso che si parla anche di fluidità esasperata dove vedi un Mahmood che va sul palco con la gonna e ormai è normale, forse te lo aspetti di più un manuale di moda anche maschile.

Diciamo che il binomio vintage moda maschile mi ha fatto chiedere se davvero c’è così tanta creatività? A quanto pare sì.

Diciamo che per certi versi la moda maschile è anche più creativa di quella femminile. Mi spiego meglio con un altro esempio: il fishtail parka, quello con le code a pesce, è stato uno dei campi più usati anche dagli stilisti per la moda femminile, o il bomber, altra giacca militare, eppure sono diventati di uso comune anche per le donne,  quindi anche nel casual ci sono state delle contaminazioni molto forti. Ritornando al concetto di creatività, la moda maschile nasce in modo funzionale, da capi nati per la guerra o per il lavoro, uno per tutti il jeans, ma che poi hanno travalicato il loro settore di riferimento finendo in mondi completamente diversi. Questo è creativo e allo stesso tempo disruptive, se ci si pensa.

Quando parla di cultura pop, il primo nome che mi viene in mente è Elio Fiorucci, a cui è stata dedicate una mostra attualmente in corso a Milano.

 

Fiorucci è presente nel mio libro, nel capitolo dedicato al denim dove c’è anche una sua bellissima foto, perché intanto è stato il primo a creare una sorta di concept store. E poi perché è stato lo  stilista-artista pop per eccellenza, accanto a nomi quali Andy Warhol, Keith Haring. Infine per la genialità di uno stilista che è riuscito nell’impossibile, cioè vendere i jeans agli americani.

Dopo anni di loghi in bella vista, oggi, soprattutto su TikTok, la Gen z ha scoperto lo stile “old money” che richiama l’alta società dove eleganza significa sobrietà. Si tratta di uno stile d’altri tempi, che ricorda i Kennedy o gli Agnelli, fatta di capi di ottima fattura, senza loghi, mai sopra le righe. Come se lo spiega?

Ma intanto, corretto o sbagliato che sia, lo stile old money porta con sé un’idea di ricchezza non esibita, e non solo di ricchezza, anche di potere, di successo, perché old money indica coloro che non hanno fatto i soldi, ma che li hanno ereditati. Il concetto dell’old money è anche legato a un’idea di successo che non ha bisogno di dimostrare nulla, quindi quel minimalismo, ma che in realtà non è minimalismo, che sfocia nell’autorevolezza. È un lusso dichiarato senza bisogno di urlare.

Mi sono però persa il passaggio dal capo firmato con il brand ben visibile in modo che sai che quel capo è costoso, alla scelta di abiti o accessori apparentemente anonimi, fatti benissimo, ricercati, ma che se non lo sai, non ti rendi conto del valore che hanno.

Potremmo ragionare sul fatto che lo stile old money vive anche di riferimenti culturali, legati al passato, legati a personaggi, legati a un certo tipo di stile, a un certo tipo anche di accessori, marchi, orologi. Quindi capi ed elementi intrisi di storia che in qualche modo comunicano. La seconda spiegazione è che forse si passa dal bisogno della griffe per comunicare sé stessi alla voglia di comunicare sè stessi e basta. Non serve più un ambasciatore che comunica chi sei, indossi qualcosa che ti permette di comunicare la tua personalità e il tuo io senza intermediari.

Mi fa venire in mente la frase “Vesti male e noteranno il vestito, vesti bene e vedranno la donna” di Chanel, che chissà perché io ho sempre associato all’eleganza di  Armani.

Ti ringrazio del complimento, perché citi Armani, un mostro sacro della moda. Parliamo di uno stilista che ha fatto 122 film, cioè costumi per film, tra cui Intoccabili, American Gigolo a Bastardi Senza Gloria. E nell’Olimpo della moda ci metto anche Ralph Lauren perché mi trovo più nel mondo vintage maschile rispetto a quello di cui stiamo parlando. E in più perché Ralph Lauren ha avuto la capacità di contaminare mondi completamente differenti, dal country americano allo stile inglese, dal mondo dell’etnico allo stile italiano, e questo forse è più unico che raro.

Come si fanno a trovare pezzi vintage da aggiungere al proprio armadio? Da dove parto?

Intanto documentarsi aiuta perché aiuta a capire, a scegliere, perché almeno uno non sceglie solo il proprio stile, ma anche i propri riferimenti culturali e ciò in cui desidera riconoscersi. Poi, io credo in un vintage, passami l’aggettivo, democratico. Io vedo molto spesso influencer che mostrano un vintage molto poco accessibile, fatto per pochi, ma in realtà, partendo da un certo tipo di ricerca, anche un certo tipo di buon gusto, il vintage può essere estremamente accessibile. Il che non vuol dire, a rovescio, che visto che il vintage è estremamente di moda si debba giustificare quei mercatini dove si compra a kilo, dove paghi poco ma compri anche male. Poi se sei fortunato lo trovi anche un pezzo, è capitato anche a me. Tornando alla domanda, trovi il vintage nei mercatini, anche col divertimento e la voglia di scoprire e poi c’è il web che ti permette di cercare in tutto il mondo. Uno degli ultimi capi che ho preso, l’ho comprato da un venditore thailandese. Si tratta di una giacca double face anni ‘50 che appunto ho trovato in Thailandia.

E a Torino dove possiamo cercare?

C’è Piazza Benefica, ogni tanto c’è il mercato della Gran Madre, ma diciamo che io, forse anche per la tipologia di capi, che sono più internazionali, pesco molto all’estero, sia nei mercati delle città che visito, perché, come sempre, il viaggio è nell’accezione larga, non soltanto del viaggio stesso, ma di tutto quello che l’esperienza del viaggio ti porta. E quindi, anche i mercatini in giro nel mondo, per esempio in America, le vendite nei cortili, in certe scuole, sono estremamente affascinanti. Anche perché lì trovi veramente l’inaspettato.

Quali sono i pezzi must-have da uomo o da donna? Quali sono i capi da cercare per costruire il nostro archivio personale? 

Per l’uomo, secondo me, direi un giaccone militare, che può essere di tanti generi, dall’M65 classico, al parka, alla giacca da ponte della Marina Americana, puoi scegliere quello che preferisci ma sicuramente un giaccone militare è un capo che va su tutto. Ed è talmente vero che io oggi sono in abito formale e ho una giacca militare degli anni 50. Poi, direi un giubbotto in pelle, il chiodo che va bene sia per l’uomo che per la donna, il cardigan, che è un altro di quei capi pieni di storia, rassicurante e senza tempo. Pensa che nasce come capo maschile e militare, dal Conte di Cardigan, durante la guerra in Crimea, e diventa poi capo femminile con Coco Chanel, a proposito di femminilità e moda che si contamina. E ancora il jeans, sembra banale dirlo, ma quale capo più rivoluzionario e che ha cambiato maggiormente le nostre vite del jeans?

 

E da donna?

Come ho già detto il chiodo, e se parliamo di qualcosa di assolutamente trasversale direi un cappotto ampio da uomo. Cito il cappotto di cammello che mi fa pensare a Marlon Brando in Ultimo Tango a Parigi e che io trovo su una donna estremamente sexy, magari oversize.

 

Trovo insolita questa scelta. Mi sarei aspettata il little black dress, il tubino nero, per una donna.

 

Ma io uscirei un po’ dallo stereotipo della femminilità, come dire, che ti aspetti. In realtà la femminilità, come tu sai molto bene è un’attitudine, quindi è quello che indossi che fa la differenza. Ci sono uomini che riescono ad essere completamente ineleganti, pur essendo vestiti perfettamente, perché sono, passami il termine, finti. Allo stesso modo una donna può essere estremamente sexy in t-shirt e jeans, che sono due capi all’origine molto maschili, e non esserlo in tubino nero.

Se dovesse nominare un torinese elegante, a chi penserebbe? 

È difficile, molto difficile. E poi, come sempre, mi metteresti in difficoltà perché sai che i torinesi sono anche molto permalosi, per cui rischierei di offendere qualcuno. Sinceramente non farei nomi perché il gentleman non dovrebbe esserlo solo per l’estetica e l’educazione, ma anche per l’approccio che ha rispetto alla vita.

Questa è una risposta molto elegante e molto torinese.

(Salamano scoppia a ridere) Hai ragione! Lasciami però aggiungere che io non sono affatto giudicante. Non ho la pretesa che la gente si vesta come piace a me. Piuttosto mi infastidisco davanti all’ostentazione della ricchezza, dello status symbol perché è l’antitesi di ciò che vedo e comunico. Io ritengo ognuno debba esprimere la propria personalità e la propria attitude, altrimenti si rischia l’omologazione al contrario, la sterilizzazione culturale.

È un bel messaggio quello lasciato da Salamano che ci fa comprendere come lo stile è qualcosa che ci creiamo, pescando tra mode che travalicano i confini del tempo e dello spazio. Lui sembra girare con una valigia invisibile piena di ricordi e aneddoti, gli stessi che ha cercato di comprimere nel suo libro. E questo libro arriva come una bella strenna natalizia da regalare a chi ha già tutto ma che ogni volta che apre l’armadio esclama: non ho niente da mettermi.

Lori Barozzino

Angelina Jolie conquista Torino

La diva si è prestata con gentilezza all’assedio dei fan concedendo autografi ieri alla Cavallerizza. Angelina Jolie ha conquistato Torino in occasione della sua partecipazione al Torino Film Festival.

Tra giornalisti e fotografi è stata accolta dal direttore  del Tff Giulio Base dal presidente Enzo Ghigo e dal direttore Carlo Chatrian del Museo del Cinema.

Lo scrittore Alessandro Baricco le ha consegnato il premio Stella della Mole. Al Cinema Ideal  l’attrice ha presentato il suo film Without Blood, tratto dal romanzo dello stesso Baricco Senza sangue

Su Instagram del “Torinese” il video della Jolie  tra i fan torinesi. Niente selfie come da sua richiesta ma un bagno di folla e tanti autografi.

25 novembre, Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne: le iniziative a Torino

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La Città di Torino, costantemente impegnata nel promuovere e sostenere iniziative di prevenzione e contrasto alla violenza di genere, anche quest’anno aderisce alla “Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”, ricorrenza internazionale istituita nel 1999 dalle Nazioni Unite.

Per celebrare l’importante appuntamento del 25 novembre, l’amministrazione comunale, attraverso il Servizio Pari opportunità della Città e in collaborazione con le associazioni e gli enti aderenti al Coordinamento Contro la Violenza sulle Donne (CCVD), realizzerà alcune attività di informazione e sensibilizzazione.

“La libertà è in piazza. Contro la violenza di genere nello spazio pubblico” è il titolo del seminario dedicato ad approfondire il tema della diffusione delle molestie e della violenza contro le donne nello spazio pubblico, e di come la pianificazione urbana, unita ad iniziative e progetti mirati, possano contribuire a ridurre la paura delle donne nell’attraversare questi spazi. L’incontro si svolgerà lunedì 25 novembre, dalle ore 9.30 alle 12.30 nella Sala Conferenze del Museo Egizio, in via Maria Vittoria 3M. La partecipazione è gratuita, previa prenotazione tramite il portale di Eventbrite e fino ad esaurimento posti. A sostegno dell’evento è stata predisposta una campagna di comunicazione con manifesti e locandine elettroniche visibili sui mezzi di trasporto pubblico di superficie di GTT.

“La violenza contro le donne è un fenomeno profondo e diffuso, radicato nella cultura patriarcale, che trova nel femminicidio la sua forma più drammatica, ma si manifesta quotidianamente in atti e parole di abuso, sia dentro che fuori le mura domestiche – afferma Jacopo Rosatelli, assessore ai Diritti e alle Pari opportunità della Città di Torino -. Per contrastarlo, è necessario un impegno continuo, in cui istituzioni, movimenti femminili e femministi e servizi specializzati collaborano insieme. È fondamentale, quindi, il lavoro culturale, l’attenzione al dibattito pubblico e la creazione di un immaginario libero da stereotipi. In questa direzione va il lavoro dell’amministrazione, che ha già creato una rete di servizi per supportare le donne vittime di violenza e aiutarle a percorrere strade di autonomia, e che continuerà ad impegnarsi per rendere sempre più efficace e consapevole l’azione dei servizi comunali coinvolti. Ne è un esempio la formazione in corso su 450 dipendenti amministrativi neoassunti della Città, inerente proprio il benessere organizzativo e la violenza di genere”.

Nel pomeriggio del 25 novembre la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne vedrà poi un momento di celebrazione istituzionale nella Sala Rossa di Palazzo Civico, prima dell’inizio della consueta seduta del Consiglio Comunale.

A partire dalle 14.30 sarà il turno di un’altra iniziativa, anch’essa ospitata dal Museo Egizio, a cura del Comitato Unico di Garanzia (CUG) della Città di Torino e in collaborazione con la Rete Cittadina dei Comitati Unici di Garanzia e con la Divisione Cultura della Città, rivolta alla sensibilizzazione del personale del Museo stesso e a quello dei Comitati dei 15 enti appartenenti alla Rete.

Sempre il 25 novembre la Bottega InGenio, che dal 2001 fa da vetrina esponendo e raccontando le opere d’arte e d’ingegno realizzate da persone con fragilità nei laboratori di attività dei servizi gestiti dal Comune di Torino, ospiterà l’artista Grazia Inserillo. L’appuntamento vedrà la realizzazione simbolica di un arazzo in lana rossa e nera del diametro di circa un metro e mezzo, che sarà assemblato in modalità corale assieme a tutti i cittadini che con questo gesto vorranno dire “No” alla violenza sulle donne, e che sarà esposto per tutta la giornata nella vetrina della Bottega in via Montebello 28/b.

Il servizio Passepartout, che raccorda le iniziative a favore dei cittadini con disabilità fisico-motoria, ospiterà poi nel pomeriggio un aperitivo informativo. L’evento prevede interventi di esperti, testimonianze e performance teatrali e musicali. L’appuntamento è alle ore 18 in via San Marino 22.

La sera del 25 novembre, a chiudere la Giornata di celebrazione, sarà cura invece di Iren l’illuminazione della Mole Antonelliana, che si tingerà di arancione in adesione della Città di Torino alla campagna internazionale “Orange the World”, promossa dall’Onu contro il fenomeno della violenza di genere: un segnale per ribadire, attraverso il suo monumento simbolo, che Torino è presente in questa battaglia di diritti e giustizia.

A queste iniziative se ne aggiungono alcune che, già sperimentate negli anni passati, vengono riproposte per mantenere un’elevata visibilità e raggiungere quante più persone possibile. Tra queste l’adesione alla campagna “Posto Occupato”, che si realizzerà posizionando in luoghi ad alta frequentazione di pubblico un cartello su una sedia vacante per ricordare l’assenza di una donna vittima di femminicidio: è quanto avverrà, ad esempio, su una delle poltrone in ognuna delle sale di proiezione del Torino Film Festival, dove sarà tenuto anche un breve discorso sul tema e che quest’anno ha aderito alla Giornata Internazionale su impulso dell’Ufficio Pari Opportunità della Città di Torino.

Ricchissimo anche il calendario delle proposte delle associazioni aderenti al CCVD e non solo, che sul territorio organizzano momenti di approfondimento e confronto, raccolti in un unico opuscolo disponibile online e in continuo aggiornamento.

È tempo di scacchi sotto la Mole

 

di Giuseppe M. Ricci

 

È tempo di scacchi a Torino, dove tra il 26.11 e il 7.12 si svolgerà la più importante manifestazione dell’anno per l’Italia, il Campionato Assoluto 2024 (https://www.ciascacchi2024.it/).

Accade tuttavia che in questo mese di Novembre si avvicendino nella nostra Città, sempre più glamour, attrattiva e dunque amata, eventi di grande importanza e risalto come le ATP Finals e la 42a edizione del Torino Film Festival. Inutile dire che non c’è competizione… ma mettere insieme è meglio che dividere o contrapporre. E dunque, dopo l’abbinamento tra tennis e scacchi (https://www.ciascacchi2024.it/2024/11/14/tennis-e-scacchi-2024-strategie-a-confronto-nelle-atp-finals-e-nel-campionato-italiano-assoluto-di-torino/) ecco questa volta, a riprova di quanto gli scacchi siano trasversali, qualche appunto sul legame tra cinema e scacchi, sicuramente affascinante e ricco di sfumature.

Entrambi sono forme di espressione intellettuale e artistica, capaci di esplorare le profondità della mente umana e di raccontare (e, prima ancora, vivere nella realtà o sulla scacchiera) storie avvincenti di strategia e creatività.

Gli scacchi nel cinema

Gli scacchi hanno spesso trovato spazio nel cinema come metafora di sfide esistenziali, conflitti psicologici o battaglie morali e di riscatto, come nel film The Dark Horse (2014), ispirato alla vita di Genesis Wayne Potini, che lottando col suo bipolarismo aprì in Nuova Zelanda un circolo per i bambini disagiati col motto che “ogni giorno è un buon giorno per imparare”.

Ma la partita a scacchi per antonomasia e rimasta a tutti nella memoria è nel film Il settimo sigillo del Maestro Ingmar Bergman (1957), quando il cavaliere Antonius Block di ritorno dalle Crociate nelle sue varie peripezie si ritrova a giocare una partita a scacchi con la Morte, in una scena che è diventata iconica per la sua intensità simbolica.

Un altro bellissimo film è Sotto scacco (Searching for Bobby Fischer del 1993), basato sulla storia di un giovane prodigio degli scacchi, Joshua Waitzkin, dove si esplora la complessità del talento precoce e le pressioni di varia natura associate al successo, un tema che ritroviamo in molte altre storie anche di sport o di musica.

E poi, ovviamente, The Queen’s Gambit (2020), la serie televisiva che, grazie anche alla splendida interpretazione di Anya Taylor-Joy, ha determinato un nuovo “big-bang” per gli scacchi, quale non si ricordava dai tempi della sfida di Reykjavik tra Fisher e Spassky. La storia di Beth Harmon, la giovane scacchista che lotta contro dipendenze e convenzioni sociali negli anni ’60, ha infatti riportato gli scacchi al centro dell’attenzione globale, ispirando migliaia di nuovi adepti.

Per tutti la serie è nota come La regina degli scacchi, ma in effetti il titolo italiano è rubato ad un altro bel film del 2002 di Claudia Florio con Barbora Bobulova, che narra il dramma di una ragazza adottata tra ossessione per gli scacchi e ricerca della madre naturale.

Attori scacchisti

Molti attori e attrici sono stati appassionati di scacchi trovandovi una fonte di relax, stimolo mentale e ispirazione creativa. Tra tutti spicca la leggenda di Hollywood Humphrey Bogart, che aveva imposto la sequenza di una partita in “Casablanca” (1942 e v. https://unoscacchista.com/2017/09/21/maestro-humphrey-bogart/). Bogie (il nickname affibbiatogli da Spencer Tracy) frequentava l’Hollywood Chess Club ed era anche un forte giocatore. Si ricorda una sua patta con il GM Samuel Reshevsky, sia pure in simultanea, disponibile al link https://www.chess.com/blog/ThummimS/humphrey-bogart-and-chess. Qui sotto, l’attore con gli amori della sua vita…

Un altro grande appassionato è Woody Harrelson, noto per il suo talento istrionico e film come “Proposta indecente”, “Non è un paese per vecchi” dei fratelli Cohen, la serie di “Hunger Games”. Harrelson adora essere coinvolto in eventi scacchistici, inclusa l’inaugurazione di partite durante tornei internazionali.

Anche Rachel Weisz, vincitrice dell’Oscar per “The Constant Gardener” (2005), ha dichiarato di amare gli scacchi. La moglie di Daniel Craig ritiene – giustamente – il gioco degli scacchi come un esercizio mentale perfetto per stimolare la creatività.

Infine, chi direbbe che ad Arnold Schwarzenegger piace alternare la lotta a cazzotti con sfide mentali, ma non meno accese e accanite sulla scacchiera? Eppure, si giura che è stato visto giocare a scacchi con i colleghi sul set e spesso ha espresso la sua predilezione per gli scacchi che rifletterebbe il suo approccio strategico e per così dire muscolare alla carriera e alla vita.

Il fascino di una sfida senza tempo

Insomma, scacchi e cinema condividono un linguaggio universale, destinato a piacere senza pregiudizi di barriere culturali o sociali. Entrambi propongono un equilibrio tra disciplina e immaginazione, tra intuizione e logica, che ne rappresentano il fascino. Questa affinità spiega perché il gioco degli scacchi sia stato così spesso rappresentato nelle storie cinematografiche e perché molti attori vi trovino un passatempo gratificante.

Che si tratti di una partita simbolica tra la vita e la morte o di un torneo in cui si giocano i destini personali, gli scacchi continueranno a ispirare anche registi e attori, dimostrando che l’arte e il pensiero strategico possono convergere in modi straordinari.

E se non vi sentite abbastanza bravi? Beh, non dimenticate che anche Woody Allen (nei panni di Alvy Singer in “Io e Annie”) era stato escluso dalla squadra di scacchi per la sua statura…

Un master internazionale per attori e attrici

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Per la direzione artistica di Marco Lorenzi e la direzione organizzativa di Marco Babuin e di Santibriganti Teatro

 

Al via il secondo anno de LoStudio, il master internazionale per attori e attrici, che ha la direzione artistica del regista Marco Lorenzi della compagnia teatrale Il Mulino di Amleto.

Dopo il successo internazionale del primo anno de LoStudio, che si è concluso con lo spettacolo ‘La notte della Repubblica’, ispirato al Giulio Cesare di Shakespeare, torna il bando di selezione per accedere al Master internazionale per attori e attrici, che partirà a gennaio 2025, protraendosi fino a ottobre 2025, riconfermando anche quest’anno la sua vocazione internazionale.

Fra i docenti che si avvicenderanno durante l’anno accademico ricordiamo Massimiliano Civica, Gabriele di Luca di Carrozzeria Orfeo, Michela Lucenti e Francesco Gabrielli di Balletto Civile, Daniel Bausch dell’Accademia Dimitro di Verscio, Marco Lorenzi, Barbara Mazzi, Angelo Tronca e Yuri d’Agostino de Il Mulino di Amleto, Thea Dellavalle e Irene Petris, Bruno De Franceschi, Nicole Kehrberger, Beppe Rosso, Rebecca Rossetti, Lorenzo De Iacovo. Un gruppo nutrito di docenti che metterà al centro la formazione degli artisti, in quanto performer unici nella loro individualità. Lo Studio 2025 riconferma la direzione artistica di Marco Lorenzi e de il Mulino di Amleto e la direzione organizzativa di Maurizio Babuin e di Santibriganti Teatro.

Il master 2025 sarà composto da un semestre di alta formazione, un Summer Camp di approfondimento e in autunno la preparazione e la restituzione dello spettacolo finale. Le lezioni si terranno nella sede del Dravelli di Moncalieri. Nella prima parte ogni docente si alternerà in residenza continua per due settimane accompagnando i partecipanti per tutta la durata del percorso. Sono previste restituzioni di lavoro e aperture verso l’esterno. Il Summer Camp sarà un periodo di lavoro estivo che si svolgerà a San Pietro in Vincoli, nel centro di Torino, in cui i partecipanti lavoreranno a stretto contatto con l’Ensemble de Il Mulino di Amleto. Lo spettacolo andrà in scena per più repliche sempre nel teatro di San Pietro in Vincoli, all’interno della stagione gestita da A.M.A Factory e Fertili Terreni Teatro.

“la mia professione – spiega Marco Lorenzi – è il regista e con il tempo sono sempre più convinto che la pedagogia sia parte del lavoro del regista in modo gioioso e inscindibile.

Per questo, anche quando lavoro ad una regia, le mie domande sono sempre rivolte anche alla pedagogia… Penso che la formazione sia essenziale per la vita del teatro. L’educazione del regista, l’educazione dell’attore e l’educazione degli spettatori. Ciò che può garantire un futuro al teatro è sicuramente l’educazione. A questo proposito ho la sensazione che stiamo smarrendo qualche cosa di molto importante, la formazione sta perdendo sempre di più la sua caratteristica principale: la qualificazione. Oggi in Italia la formazione è diventata superficiale, troppo veloce, espressa per tutti, non più capace di selezionare le persone adatte a questo tipo di professione dalle altre”.

 

La domanda di ammissione dovrà pervenire entro il 30 novembre 2024 a didattica.lostudiotorino@gmail.com

 

Mara Martellotta

I primi film in concorso del 42mo TFF. La vendetta cercata di “Nina”, i comunisti di “Europa Centrale”

Con i colori della Spagna, partecipa quest’anno al TFF la regista Andrea Jaurrieta, nata a Pamplona, oggi 38enne, già assistente di Pedro Almodòvar per “Julieta” e gran debutto in patria sei anni fa con “Ana de dìa”. Accompagna “Nina”, storia tutta al femminile di ricordi e di sospirata vendetta, storia di una donna che, dalla capitale dove vive ed è attrice di largo successo, torna nella città sul mare dove è cresciuta armata di un fucile a pompa nella borsa e di un unico obiettivo, quello di chiudere per sempre i conti con Pedro, scrittore di fama che ora tutti festeggiano e acclamano, l’uomo che ha approfittato di lei appena sedicenne. “Con il mio film voglio prima di tutto parlare di abusi e riflettere sui limiti del consenso. Un tema che attraversa le barriere culturali e colpisce tutte le società in modo trasversale. A mio avviso, c’è la necessità di affrontare questo tema da un punto di vista femminile diverso dal solito. Ovvero, non adottando la prospettiva della vittimizzazione ma affrontando la complessità psicologica e sociale che caratterizza questo tipo di relazione.” La vendetta è davvero l’unica via da scegliere? Nella scrittura di Jaurrieta e soprattutto negli sguardi di Patricia Lòpez Arnaiz, pronta a inseguire quel Darìo Grandinetti che fu già attore per Almodòvar in “Parla con lei”, c’è tutta la tragedia che ha segnato una vita, le sensazioni grame, l’infelicità di sé, il negarsi e la consapevolezza della scelta: ma ancora non s’avverte appieno, con i gesti e le parole e le azioni con cui è stato costruito giorno dopo giorno, il sopravvento su una ragazzina indifesa e troppo sognatrice, non si comprendono appieno le intenzioni e la concretezza della volontà della donna. Nelle note di regia, Jaurrieta corre ben oltre il fatto narrato, pone anticamente le radici della vicenda nella Nina e nel Trigorin di Cechov: un amaro retrogusto letterario e legittimo che altro non fa che convincerci, se ancora ce ne fosse bisogno, di quanto il mondo non sia cambiato affatto. E in questo “Nina” riacquista tutta la propria autorevolezza e la propria verità.

Gianluca Minucci è invece nato a Trieste, classe 1987, è laureato in storia e critica del cinema e filmologia alla Sapienza di Roma, proviene da spot pubblicitari e video musicali, insegna Storia e Letteratura italiana nella scuola pubblica, il suo “Europa Centrale”, scritto con Patrick Karlsen è il primo dei due film italiani in concorso. Il film è definito “un kammerspiel metafisico sulla lotta politica”, è ambientato, nell’aprile del ’40, all’interno di un viaggio in treno durante il quale una coppia di fede comunista dovrà portare a termine l’importante missione che le è stata affidata. C’è violenza (anche qui: i selezionatori, giovanissimi ci hanno avvertiti, è possibile che non riescano più a trovare una di quelle Commedie, intelligenti, costruite con spirito, dalla scrittura che ispira sorrisi tutti di testa, sull’orlo dell’allegria che possano mai trovare posto in un concorso?) psicologica e fisica, c’è la chiusura, quasi il soffocamento dentro gli angoli bui di quei vagoni, ci sono passioni e sospetti, la paura circola tra tutti dal momento che tutti non conoscono bene chi sia l’altro, ci sono passati che riaffiorano e identità che si sovrappongono o si sfaldano. C’è la divisione insuperabile, ci sono i comunisti e i fascisti, i fuoriusciti in quella parte del Novecento, c’è chi fa il doppio gioco (ma è vero, o non è vero?), c’è “un dramma profondamente umano” ci dicono ma che non riusciamo davvero a vedere nei racconti frantumati dei personaggi, c’è una storia di spionaggio “dalla regia espressionista” che non riusciamo davvero a vedere. Vediamo eccessi a non finire, un grottesco fuori luogo, un thriller che alla fine non sa ricomporre le proprie carte, una carneficina finale che nella sua disperazione sa persino di ridicolo, una recitazione esagitata e alla fine inconcludente che finisce col coinvolgere malamente due attori come Paolo Pierobon e Tommaso Ragno, una regia che con la asprezza e la spregiudicatezza del racconto, con le immagini strane e sghembe, con certi primi piani che non sai se di terrore o d’effetto sfacciato, con i particolari inaspettati, con le forzature, con le tante giravolte che finiscono con l’essere la bandiera della non chiarezza, rende un cattivo servizio a una storia che doveva essere trattata in tutt’altro modo. E il pensiero corre a un certo Bertolucci, al suo protagonista malato di “conformismo”, all’epoca narrata che collima con quella di “Europa”, alla violenza e a ogni ricordo che erano morbidamente narrati. E che ancora restano nella memoria.

Elio Rabbione

Nelle immagini, Patricia Lòpez Arnaiz interprete di “Nina” e Paolo Pierobon in un momento di “Europa Centrale”.

Le tragiche avventure firmate da Ron Howard e il giallo perfetto di Battiston

Sugli schermi il 42mo Torino Film Festival

 

Arrivati al 42mo appuntamento, continua la Stella del Cinema a sorvolare in gran dinamismo, tra le luci che riempiono la notte, le piazze di Torino e i suoi monumenti, la collina e il fiume e dà inizio a quella che sarà una Festa. Festa del Cinema, dei registi e degli attori, di quanti il Cinema lo pensano e lo fanno, lo costruiscono con gli immancabili quattrini e con le idee, del pubblico che affluisce e colma le sale di proiezioni, che fatiche a trovare posti, che fin dai primissimi giorni, per abbonamenti e sbigliettamento, ha già superato i numeri dello scorso anno, della nuova strada che sembra aver preso, moderna e innovativa, glamour ma non soltanto glamour – quanti ancora vivono nell’indecisione, nella vecchia convinzione di una rassegna che da sempre ha cancellato i tappeti rossi e le vippesche presenze, di un festival vicino alle montagne, più che lodevole ma quasi obbligato a rinchiudersi in una più o meno filosofica nicchia, attendano una settimana e alla fine facciano pollice verso oppure no.

 

Arrivati al 42mo appuntamento, il TFF inaugura alla grande al Regio, tra le poltrone rosse e la volta illuminata di Carlo Mollino in un panorama all stars che allinea Sharon Stone, Ron Howard, Sarah Jessica Parker con il consorte Matthew Broderick, Claudia Gerini, Giancarlo Gianini, Rosario Dawson: e l’elenco potrebbe continuare. Tutti o quasi a ricevere nella serata d’inaugurazione e nei giorni a venire – il pubblico non dimentichi l’ultimo colpaccio del nuovo direttore Giulio Base, ovvero Angelina Jolie alle 17 di domenica 24 al cinema Ideal per presentare “Without Blood” da lei scritto, diretto e prodotto, ricavato dall’omonimo romanzo di Alessandro Baricco, che l’affiancherà nel corso della serata – la Stella della Mole, di cui il cinema d’oltreoceano continua a fare raccolta. 

L’inaugurazione è stata affidata a “Eden” diretto da Ron Howard, ispirato a una storia vera, narrata a suo tempo in due opposte versioni. Tra le due guerre mondiali, giungono all’isola di Floreana, nel gruppo delle Galapagos, il dottor Friedrich Ritter e la sua amante Dore, lui nella convinzione di trovare nuovi sviluppi ai propri studi; a seguire, spinto da quell’esempio, Heinz Wittmer, un ex militare, con la giovane moglie e il figlio, e la Baronessa, avventuriera con al seguito un paio d’amanti, disposti a essere suoi lavoratori, secondo gli umori della donna. Che ha in mente di costruire nell’isola un lussuoso hotel per gente danarosa e con quelle intenzioni pretenderebbe l’isola tutta per sé. Medesima è la volontà di Ritter: inevitabile lo scontro tra quei differenti gruppi, troppo diversi l’uno dall’altro, le conseguenze saranno disastrose nella distruzione di un autentico paradiso terrestre. Grande cast (Jude Law, Vanessa Kirby, Daniel Bruehl e Ana De Armas) e panorami mozzafiato, sospetti e il peggiore vitalismo, il “Dorian Gray” di Wilde posato su un tavolo e le citazioni di Nietzsche, psicologie raccontate con estrema attenzione, un alto senso dell’intrigo sino a fare del film un thriller perfetto e dello spettacolo.

Non appena uscirà sugli schermi (28 novembre) non lasciatevi scappare “Il corpo”, presentato qui fuori concorso, scritto (con Giuseppe Stasi, le radici stanno nello spagnolo “El cuerpo” di Oriol Paulo) e diretto da Vincenzo Alfieri, presentato al festival fuori concorso, dove un maiuscolo Giuseppe Battiston, messo a troneggiare sul podio più alto, mostra tutta la sua bravura come forse non l’ha mai fatto, uomo di legge che non incappa per nulla nei luoghi comuni e nei tic che gli abbiamo visto coltivare nel recente “Stucky” televisivo, sbiadita copia trevigiana del tenente Colombo. Giallo a tutto tondo, raccontato con un montaggio del tempo presente e di flashback a cui ancora sovrintende il regista decifrando a poco a poco il passato, “Il corpo” è la storia della sparizione del corpo di Rebecca Zuin (Claudia Gerini), una affascinante imprenditrice dell’industria farmaceutica, dalle stanze buie e spettrali di un obitorio, in una città perennemente ripresa sotto scrosci di pioggia senza posa. Per i tanti frammenti che s’inseguono con intelligente velocità, i sospetti cadono immediatamente sul consorte, tolto ai corsi universitari di chimica e coccolato con quozienti alti di sesso, con macchine sportive come continui regali con tanto di fiocco rosso in bella mostra, con case avveniristiche con piscina, accrescendo l’uomo la propria personale ricchezza con relazioni extra che vanno dagli ardori della cognata a quelli di una ragazza incontrata per caso a una festa. Deve assolutamente far luce su tutto quanto l’ispettore Cosser (Battiston), tra considerevoli dosi d’ironia e di acume e di scatti di rabbia che non gli spetterebbero visto l’abito che indossa. Strada tortuosissima quella percorsa da Alfieri, ma pienamente vinta, con un rebus immerso in ambienti eleganti e fatiscenti allo stesso tempo, con dialoghi che mai inciampano nel banale, con piccole disseminazioni che sino all’ultima manciata di minuti lasciano lo spettatore a chiedersi della colpevolezza di quel poverocristo di marito che s’è preso alla fine venticinque anni di carcere. Assolutamente da vedere per chi ama il giallo di casa nostra, maledettamente bel congegnato e con leggi precise tenute con l’occhio del gran maestro.

Tenta il ritratto della natura incontaminata e solitaria, della vecchiaia, del dolore soffocato e della solitudine Charlie McDowell – il figlio del Malcom dell’”Arancia meccanica” kubrikiana – in “The Summer Book”, fuori concorso, tratto dal romanzo del finlandese Tove Jansson. Tenta perché la materia che può trovare liberi spazi in un libro davvero stenta a prendere corpo e spessore se portata sullo schermo. Racconta di Sophia, bambina di nove anni, e della sua nonna, a cui con molte probabilità non resta più molto da vivere. C’è anche il padre di Sophia, rimasto vedovo, tutti si insediano su di una spoglia isola della Finlandia, per parlare di vita e della sua spicciola filosofia, per dare un’occhiata a un vecchio faro e per salvarsi da una tempesta, per rinvigorire qualche albero e per scoprire un piccolo gatto all’interno di una scatola, per cercare quella pace che solo quell’angolo di paradiso può offrire, per trovarsi davanti qualche sconosciuto vicino, per improvvisare una festicciola di mezza estate, per scoprire parole nuove. La materia non è delle più ricche e avvincenti, dopo la prima mezz’ora il gioco, seppur sincero, non regge più e anche Glenn Close viene catturata in un tentativo affatto riuscito.

Elio Rabbione

Nelle immagini, Ron Howard durante le riprese di “Eden”, Giuseppe Battiston in “Il corpo” (foto di Gianfilippo De Rossi) e Glenn Close interprete di “The Summer Book”.

Sotto i portici di via Sacchi il talento contagia

I portici torinesi di Via Sacchi sono tra quelli noti a Torino, una cifra urbanistica e architettonica della città. Via Sacchi è ad un passo dalla Grande Stazione Porta Nuova con una sua storia, in pieno centro ma sulla veloce traiettoria verso Stupinigi. Via Sacchi residenza storica di personaggi famosi, di belle vite. Chi vive lì ha tanto da raccontare e merita un nuovo impulso che durante il giorno restituisca il dinamismo commerciale e culturale appartenuto alla zona in passato.

Con questi obiettivi ecco domenica 24 novembre la seconda edizione di Sacchi di Talento. Un evento, appoggiato fin da subito con calore dall’Assessorato al Commercio, sostenuto dai commercianti della Via –Caffetteria  “artigianale” Donna Rosa e Madama Giancarla in testa e la nota Pasticceria Pfatisch dall’altra lato del percorso , e animato dal talento degli operatori creativi della neo nata Associazione Fatto-a-mano.

Evento culturale sfaccettato e ricco di stimoli proprio per dimostrare quanto straordinario e virtuoso contenitore di talento possano diventare i Portici.  Tra una colonna e l’altra, dalle ore 10 alle 18, esporranno 30 creativi artigianali di vario e differenziato ambito, di qualità. Ed alcuni di loro organizzeranno per adulti e piccoli (perché Sacchi di Talento è pensato anche per loro) laboratori e workshop a tema.

Ma il talento è anche proposto dalla musica dell’eclettico duo acustico Paola & Renata, voce femminile e chitarrrista con un vario repertorio internazionale

E poi ancora libri con la nuova pubblicazione di Francesco Nugnes e Angelo Toppino “Incontriamoci a Torino”: un viaggio nel tempo, nella storia e negli angoli di Torino attraverso parole, documenti, poesie e le fotografie Ana Maria Dinu.

L’Associazione Fatto-a-mano nella mattinata di domenica organizza uno dei suoi tipici Tour  guidati,  che quest’anno prevede la visita di due musei “unicum” della città, un suo vanto di recente apertura: Il Choco Story Museum in Via Sacchi e il piccolo Museo della Scrittura manuale in Via San Secondo. Ci sarà modo di apprezzare anche i primi pannelli del progetto “Arte in transito”, sempre nell’ottica della riqualificazione artistica della via.

A poco tempo dall’appuntamento natalizio, Sacchi di Talento diventa una vetrina anticipata per i regali . Non doni qualsiasi ma pensieri unici, rigorosamente fatti a mano e made in Italy, conattenzione al riciclo e all’impatto ambientale. Per un consumo ed un acquisto consapevole che siamo certi gradirà anche il destinatario del regalo. Perché il talento contagia ed è una catena virtuosa di positività.