“Il Comitato regionale per i diritti umani promuove con questa iniziativa l’avvio di un percorso a tutela dell’infanzia, affinché i diritti acquisiti siano preservati e difesi mentre quelli negati siano conquistati. Dobbiamo trattare i minori non come problema ma come risorsa, se vogliamo sperare in un mondo realmente migliore e per questo motivo diventa essenziale investire sulla loro educazione”. Così Mauro Laus, presidente del Consiglio regionale e presidente del Comitato regionale per i Diritti umani, ha introdotto la presentazione di I diritti dei bambini in parole semplici. La pubblicazione, a cura dell’Unicef, è stata ristampata in 4mila copie dal Consiglio regionale per celebrare con un gesto tangibile la Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 20 novembre. L’opuscolo, che verrà diffuso nelle scuole, attraverso parole, colori e disegni, parla in modo efficace ai più piccoli per spiegare i loro diritti inviolabili riconosciuti dalla Convenzione internazionale approvata dall’Onu nel 1989. Il mondo viene così rappresentato attraverso gli occhi dei più piccoli, secondo il loro punto di osservazione affinché sia chiara l’azione che si intende promuovere, quella di costruire un mondo a misura di bambino. “Mi auguro che questo libretto passi nelle mani di più persone possibili, che se ne parli a scuola e in famiglia perché ritengo essenziale che si creino occasioni per diffondere la conoscenza dei diritti dei bambini e soprattutto che i bambini stessi siano consapevoli dei diritti riconosciuti loro dalla Convenzione Onu”, ha affermato Enrica Baricco, vicepresidente del Comitato regionale per i diritti umani. A ricordare i diritti dei bambini ancora troppo spesso negati è stata Rita Turino, garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza, citando le violenze fisiche e psicologiche di cui l’infanzia è ancora vittima, così come gli effetti altrettanto negativi della violenza assistita. La promozione della conoscenza della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza rappresenta, peraltro, uno dei compiti del garante, una figura istituita in Piemonte con la legge regionale 31/2009, due anni in anticipo rispetto all’istituzione dell’omologo garante nazionale, avvenuta nel 2011. L’importanza di diffondere in modo capillare la Convenzione Onu nel linguaggio semplice e diretto utilizzato da questo opuscolo è stata sottolineata da Maria Costanza Trapanelli, presidente del Comitato provinciale di Torino per l’Unicef, che ha ribadito come molto ci sia ancora da fare: sono infatti 385 milioni i bambini nel mondo in povertà estrema e 264 milioni non hanno ancora accesso all’istruzione. Ci sono tuttavia anche buone notizie, dato che, grazie ai vaccini, solo nel 2016 sono stati salvati 56 milioni di bambini. Alla conferenza stampa erano presenti anche Giampiero Leo, vicepresidente del Comitato regionale per i Diritti umani e Stefania Batzella, presidente della Consulta delle Elette.
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Il Consiglio regionale celebra la Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che ricorre lunedì 20 novembre, con una serie di iniziative.
di Pier Franco Quaglieni
da piemontesi trapiantati in Liguria. Ad oltre 90 anni fece partorire una giovane donna, in mancanza dell’ostetrica che era rimasta bloccata a casa. Ne scrisse anche “La Stampa”. Era un uomo dell’Ottocento, medico colto che, anche a tanti anni di distanza dagli studi nel liceo classico di Saluzzo, ricordava perfettamente il latino e il greco, apprezzava la pittura e l’arte in generale. Magrissimo, amava anche la buona tavola e ricordo i pranzi alla “Corona grossa” e alla “Luna” di Saluzzo e a Moretta all’”Italia” dal mitico Remigio Calandri che meriterebbe di essere ricordato. Era sposato con una farmacista ,una donna speciale che a cinquant’anni coronò il sogno della sua vita, vinse la farmacia a Casteldefino in montagna ed affrontò una vita di disagi. Questa signora amava produrre liquori, in particolare il cynar. Era sempre gentile. Un volta lo offrì a mio madre che, non riuscendolo a bere, cercò di liberarsi del liquido versandolo nel vaso di una pianta della casa. La dottoressa si accorse di quel gesto davvero poco gentile e subentrò il gelo che si protrasse per anni. Il dottor Mogna si limitò a dire che capiva mio padre meglio di ogni altro, senza aggiungere altro. Era venerato nel paese. Tutti si rivolgevano a lui per un consiglio, una parola, aveva fatto nascere più generazioni. Mi regalò il suo elmetto da ufficiale nella Grande Guerra che conservo gelosamente. Un gesto d’affetto per un giovane che amava la
storia com’ero io. Mi disse che era partito volontario e che non si pentiva di quella scelta perché <<dovevamo completare il Risorgimento iniziato dalla generazione di suo nonno>>. Quando venne con noi in Egitto, aggregato al gruppo del Collegio San Giuseppe di Torino di cui ero allievo, fu lui che mi consigliò -dovendo scegliere – di andare ad El Alamein a rendere omaggio ai 5000 caduti sepolti nel sacrario voluto da Paolo Caccia Dominioni, e non a Luxor. Fummo in pochi a scegliere il sacrario che in quegli anni nessuno conosceva perché della “Folgore” nessuno voleva parlare. Se io mi dedicai allo studio della storia ,lo debbo anche a lui che mi mise sulla buona strada. Uomo semplice, di poche parole, ma quando parlava valeva sempre la pena ascoltarlo.
degli Anni 60. A tenere su lo spettacolo erano Mario Ferrero, la sua mimica, le sue battute in piemontese (il muscolo del braccio era il “marciapé” e la fetta di gorgonzola una “slepa ‘d gurgu”). Faceva spesso la parte del metalmeccanico della Fiat, indossando la tuta blu,ma certo non era un operaio sindacalizzato, ma spiritoso e bonario che manifestava il suo disagio di torinese con frasi di buon senso e qualche lamentazione bonaria e scherzosa. Una sorta di Gianduia in tuta. L’autunno caldo era lontano. Molti immigrati meridionali andavano a vederlo e alla fine della spettacolo i suoi affezionati spettatori lo acclamavano : Maiu! Maiu! Si passava un’ora e mezza di allegria spensierata. Non mi vergogno di dire che, ragazzo, andavo a sentirlo al “Maffei” e persino all’”Alcione”. Una Torino semplice che univa torinesi vecchi e nuovi in nome del buonumore. Come sarebbe utile in questa Torino livida e incapace di sorridere un Mario Ferrero! L’”autunno caldo” del ‘69 decretò la fine di questa teatro popolare.
rivelano come Fassino ,prima di essere un politico, sia un intellettuale a pieno titolo. Analizzando il Novecento ,lo definisce secolo in cui la sinistra è stata egemone <<comprese le tragedie>>.Questa egemonia Fassino la considera finita e il passaggio di secolo obbliga a misurarsi con sfide nuove senza ricorrere pigramente alla <<cassetta degli attrezzi ideologici del Novecento>>. Le scorie radioattive delle ideologie non hanno lasciato segno nel pensiero di Piero. Le culture storiche del secolo scorso, secondo lui, sono spiazzate perché c’è stata la fine del rapporto politica-cittadini instaurato in passato. C’è, secondo l’autore, un disagio, una solitudine, un sentimento di esclusione, un impoverimento generalizzato che creano ansia. <<L’urlo lacera l’aria-scrive Fassino- poi torna il silenzio>> e c’è chi intende cavalcare il malessere . Parlando di immigrazione, egli evidenzia com’essa generi d’istinto paura per gente straniera diversa da noi. Siamo anni luce dalla demagogia dei migranti visti come risorse. Bisogna pensare – afferma l’autore – ad un’accoglienza sostenibile e diffusa che non generi il rigetto. Ma Fassino evidenzia anche che occorre <<la disponibilità a lasciarsi integrare>>,ponendo un problema che appare di difficile soluzione non solo per l’elemento religioso islamico. E’ un libro,ripeto, che val la pena di leggere. Se la sinistra desse retta a Fassino, sarebbe davvero diversa.
Beppe Fassino, il liberale vecchio Piemonte
Erano degli scettici blu, a voler essere eleganti. Fassino tento’ un chiarimento, offrendo a tutti uno splendido pranzo a Centallo al quale mi presentai accompagnato da un avvocato. Si mangiò e si bevve, ma non si parlo ‘ dei problemi legati alla rottura dei rapporti. Fassino alla fine invito ‘ a stringerci tutti la mano e a brindare , passando sopra al passato. Erano dissensi insuperabili perché il dissenso si era trasformato in disprezzo ,almeno da parte mia. Infatti , il giorno successivo la morte di Fassino ,gli scettici blu cuneesi si esibirono in un volgare e inqualificabile attacco personale nei miei confronti.
L’oratore e patriota Carlo Delcroix
iniziò come Fulcieri Paulucci de Calboli, altro grande invalido, i suoi discorsi appassionati ai soldati delle trincee per esortarli alla resistenza sul Piave. Amico di mio nonno al fronte, ebbi il piacere di ascoltare più volte i suoi discorsi. Nessun oratore della storia italiana del Novecento ebbe la sua efficacia appassionata e suggestiva. Il mio compagno di scuola Giovanni Minoli , quando lo sentì casualmente in piazza San Carlo, mi disse che era un uomo eccezionale, indimenticabile. Ed era proprio così.
LETTERE
ammalato di protagonismo e pretendendo che il Consiglio regionale si uniformi ai suoi ordini, sia pure per una causa meritevole come la lotta al gioco d’azzardo, stravolge il senso del rapporto istituzionale tra Giunta e Consiglio Regionale. Il Piemonte non è una repubblica presidenziale e le ragioni dell’assemblea legislativa regionale vanno oltre quelle del presidente della giunta.
vogliono tante luci per rendere allegro il clima natalizio, ma le luci in più occorrono anche tutto l’anno per la sicurezza. Quelle luci d’artista saranno anche suggestive, ma sono assolutamente inadatte ,persino inquietanti. Ovviamente non bastano le luci a rendere sereno e piacevole il Natale, sarebbe necessaria una luce ,anche piccola , se ci accendesse dentro di noi.
In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, l’ospedale Mauriziano di Tiorino nel 2017 promuove l’eliminazione della violenza sulle donne con una serie di iniziative
“Una mostra che ha
dimenticasse dell’antico allievo della Facoltà di Lettere Casalegno, che fu professore di liceo e giornalista, autore di migliaia di articoli e di pochi libri. Se le BR non gli avessero stroncato la vita a 61 anni, Casalegno – me lo confidò più volte con speranza per il futuro e rammarico per il passato e il presente – si sarebbe dedicato ad opere storiche che aveva in mente e che allora erano incompatibili con i ritmi di lavoro di un giornalista.
democratico come fondamento delle regole civili che sovrintendono la vita sociale. Egli sentiva il richiamo del Risorgimento liberale e della tradizione subalpina dello Stato, rifiutando con fastidio i contestatori che nel loro velleitarismo ideologico e nel loro richiamo e ricorso alla violenza, non solo verbale, si opponevano a quella civiltà fondata sulla tolleranza, profondamente amata da Casalegno. Spadolini lo definì giustamente un cittadino esemplare dell’«Italia della ragione» . Casalegno ebbe il torto, o meglio, il grande merito e soprattutto il coraggio e la lucidità, di vedere la deriva terroristica anche come frutto dell’estremismo contestatore. E questo sbocco eversivo egli denunciò con fermezza, pagando con la vita. E in quegli anni di piombo rispondere con l’arma della penna a chi usava il mitra per affermare le sue farneticazioni ideologiche fu la scelta di un democratico moderato che rifiutava per cultura, ma prima ancora per scelta morale, la violenza estremista.
Nel 2018 il Comune di Torino bandirà un concorso per vigili urbani. La notizia giunge direttamente dalla sindaca, Chiara Appendino,
L’Azienda Ospedaliero Universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino comunica
donciottismo torinese e non.
Ostia, i giornalisti, i violenti
Mario Altamura liberale d’altri tempi
meglio servire quegli ideali liberali e risorgimentali che sentiva anche come un patrimonio famigliare. Una scelta che fece anche l’altro consigliere monarchico ,il col. Enzo Fedeli, vero leader carismatico dei monarchici piemontesi a cui fu impedito di essere eletto deputato per la discesa in campo dell’imprenditore Piero Ferrari il quale riuscì con i suoi finanziamenti a monopolizzare il partito monarchico in Piemonte .
disposizione per l’associazione Nord Sud la quale ebbe una piccola sede nel cuore di San Salvario, in via Sant’Anselmo .Giacomo Bosso,eletto senatore a Torino centro, stava molto dietro ad Altamura, avendo compreso la sua forza elettorale. In ultimo, anche Zanone e Altissimo che dimostrarono di non amarlo, cambiarono idea su di lui per il consenso che poteva rappresentare, anche se non ebbe mai un riconoscimento adeguato al suo impegno. Significativo che per un suo gesto di coraggio che salvò da morte sicura la vittima di un incendio, non ebbe dal ministro della Sanità Altissimo la Medaglia d’oro per la Sanità come gli sarebbe spettata. La moglie di Altamura era di origini triestine e questo lo rese particolarmente sensibile ai temi delle foibe e dell’esodo giuliano- dalmata in anni in cui neppure i liberali ne parlavano. Molti suoi elettori erano esuli costretti a lasciare tutto per venire in Italia, come molti lavoratori meridionali immigrati fecero per raggiungere il lavoro a Torino.
mezzogiorno alla “Consolata” ,altro aspetto atipico del suo liberalismo che per molti liberali torinesi si identificava in un acceso laicismo o addirittura, come nel caso di Zanone e di altri, nell’ adesione alla Massoneria. Ammalato, andava da solo a sottoporsi alla chemioterapia, nascondendolo alla famiglia, fin quando fu possibile. Un gesto eroico.
Francesco Tabusso piccolo e grande artista
scherno per decenni, la Chiesa li ha condannati, richiamandosi alle pagine della Bibbia. Oggi appare in larga parte tutto cambiato.
Io a priori non ho né simpatie né antipatie preconcette. Quando ho conosciuto la signora Appendino in maggio, ne ho avuto una buona impressione. Molto diversa fu l’impressione quando conobbi il suo capo di gabinetto Giordana. Ho scritto denunciando la sua inesperienza e anche il suo senso di superiorità. Mi sembra che Fassino fosse un sindaco molto migliore. Certi ruoli non si improvvisano e un conto è fare il consigliere comunale di opposizione e un conto il sindaco di una grande città. Specie se dietro il sindaco manca una squadra di gente competente. Affidarsi a Giordana fu, a mio parere, un errore fatale.
di decretare la “finis Italiae” con un arretramento possibile fino a Milano. Furono giorni drammatici.
La considerazione più amaramente realistica la fa il sito filotorinista