Amnesty International Italia è impegnata ormai da quasi tre anni nella richiesta di verità dopo la sparizione e l’uccisione a Il Cairo di Giulio Regeni. Il 3 febbraio 2016 è stato trovato senza vita e con evidenti segni di tortura il corpo del giovane ricercatore italiano e dottorando presso l’Università di Cambridge, scomparso a Il Cairo il 25 gennaio 2016. Ad oggi non c’è verità sulla tortura e sull’uccisione di Giulio Regeni. In occasione del terzo anniversario della scomparsa, Amnesty International, ascoltando l’intenzione della famiglia, propone su tutto il territorio nazionale ancora un momento condiviso di richiesta di verità. A Torino, proprio perché Giulio era ricercatore universitario, l’appuntamento è venerdì 25 gennaio, alle 17, al Campus Luigi Einaudi, aula B3. Sono previsti interventi di Amnesty International, Antigone e Associazione Dottorandi. Alle 19/19,30 presidio con fiaccolata all’esterno del Campus.
VERO, FALSO, QUASI VERO MA NON TROPPO
Con Walter Quattrociocchi, Antonio Scalari e Antonella Vicini
Ne sono state vittime politici, imprenditori e personalità influenti di ogni tipo… Le fake news sono bugie virali ma non hanno affatto le gambe corte, spesso vengono progettate nei dettagli per influenzare le grandi masse e a volte possono avere gravi conseguenze. L’avvento di Internet, e soprattutto dei social network, ha facilitato l’accesso a una grande quantità di informazioni senza mediazioni e ha generato l’illusione che questa porta d’ingresso possa condurre a conoscenze finora riservate alle élite. La rete però sta tradendo le aspettative di molti, producendo, più che un’intelligenza collettiva, una disinformazione pericolosa (e spesso strumentalizzata) accompagnata da una grave radicalizzazione nell’opinione pubblica. E così, a colpi di paradossi e cortocircuiti, il World Economic Forum nel 2013 ha inserito la disinformazione tra le minacce globali, e oggi molte di quelle minacce sembrano aver preso forma: nel 2016 per l’autorevole Oxford Dictionary, «post-truth» è stata la parola dell’anno. Walter Quattrociocchi, direttore del laboratorio di Scienza dei dati e complessità all’Università Ca’ Foscari di Venezia e grande esperto di fake news a livello internazionale, Antonio Scalari, biologo di formazione con master in giornalismo e comunicazione all’università di Ferrara e blogger di Valigia Blu, e Antonella Vicini, giornalista professionista, sono i relatori del sesto appuntamento presentato da GiovedìScienza.
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GiovedìScienza è uno degli appuntamenti italiani più importanti dedicati alla divulgazione scientifica, un ciclo di incontri per parlare di scienza con i più grandi esperti in maniera semplice, alla portata di tutti.
Un progetto multimediale per ricordare e spiegare alle nuove generazioni in modo innovativo una delle pagine più nere della storia. Nasce così “Auschwitz dall’alto”, iniziativa che verrà presentata giovedì 24 gennaio alle 17 nella sala delle Bandiere di Palazzo Lascaris. Fulcro del progetto è il plastico del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau che verrà esposto nel cortile della sede del Consiglio regionale, una riproduzione in scala realizzata in parte a mano, in parte con tecnologie laser e in 3D. Questo scenario sarà animato da una serie di proiezioni multimediali di vita vissuta, interpretate dagli attori dell’Associazione “I Retroscena” che hanno tratto i testi dal libro “L’istruttoria” di Peter Weiss. Suoni, foto, animazioni, parole concorrono a illustrare ciò che accadeva nel campo attraverso un linguaggio di forte suggestione. Il plastico rimarrà esposto fino al 1° febbraio e le proiezioni avverranno dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13, con ingresso libero per il pubblico. Il progetto è a cura dell’Associazione culturale e teatrale “I Retroscena” e del Club modellistica “296 Model Venaria”, con il patrocinio del Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio regionale del Piemonte, dell’Aned di Torino e dell’Anpi di Venaria Reale e il contributo di Avis Venaria Reale e di The lighting projection player. Alla presentazione del 24 gennaio interverranno Nino Boeti, presidente del Consiglio regionale e del Comitato Resistenza e Costituzione, Monica Vietti, presidente dell’Associazione “I Retroscena”, il regista Marco Perazzolo eNino Ciotola, presidente del Club modellistica “296 Model Venaria”.
(foto: il Torinese)
La memoria della deportazione incisa nella pietra. Per il quinto anno saranno accolte a Torino le pietre d’inciampo (Stolpersteine) di Gunter Demnig. Martedì 22 gennaio dalle 9.30 alle 16 verranno posate 15 pietre in 10 luoghi diversi della città, dedicate ad altrettante vittime della deportazione nazista e fascista. Il presidente del Consiglio regionale e del Comitato Resistenza e Costituzione, Nino Boeti, parteciperà alla posa pubblica della pietra d’inciampo dedicata a Vittorio Staccione alle ore 12-12.15, in via San Donato 27 (Circoscrizione 4). Il progetto, patrocinato dal Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio regionale, è promosso dal Museo Diffuso della Resistenza di Torino in collaborazione con la Comunità Ebraica di Torino, il Goethe Institut Turin e l’Associazione nazionale ex deportati (Aned) sezione Torino. Gli Stolpersteine sono un monumento diffuso e partecipato, ideato e realizzato dall’artista tedesco Gunter Demnig per ricordare le singole vittime della deportazione nazista e fascista. L’artista produce piccole targhe di ottone poste su cubetti di pietra che sono poi incastonati nel selciato davanti all’ultima abitazione scelta dalla vittima. Ogni targa riporta “Qui abitava…”, il nome della vittima, data e luogo di nascita e di morte o scomparsa. In tutta Europa sono state posate più di sessantamila pietre; a Torino, con le pose di quest’anno, saranno presenti nel territorio cittadino 108 pietre.
Delle caratteristiche, note e meno note, alla base di un fenomeno sociale e culturale ancora in buona parte da scoprire, si parlerà al MEF di Torino
“Costruire, valorizzare, gestire una collezione sono le tappe principali del percorso di un collezionista”: ad affermarlo, con ragionata coscienza di causa, è Andrea Busto, direttore del MEF – Museo Ettore Fico di Torino. Sarà lui a condurre l’incontro sul tema de “Il collezionismo privato”, in programma il prossimo mercoledì 23 gennaio, presso il Museo torinese di via Cigna 114, a partire dalle ore 18,30 e a ingresso libero. L’iniziativa è inserita nell’ambito dell’enciclopedica mostra “100% Italia, Cent’anni di capolavori” promossa dallo stesso MEF fino al prossimo 10 febbraio e dedicata –in sette sedi espositive dislocate fra Torino, Biella e Vercelli– a raccontare gli ultimi cento anni dell’arte made in Italy e dei movimenti artistici che, lungo tutto il “secolo breve”, più hanno influenzato le estetiche mondiali. E sarà proprio partendo da questi movimenti – dal Futurismo alla Metafisica e al Realismo Magico, via via fino all’Astrazione all’Informale alla Pop Art per arrivare all’Arte Povera e Concettuale e alle Transavanguardie – che Andrea Busto coinvolgerà in un dibattito all’ultima parola collezionisti e appassionati d’arte fra i più accreditati a livello nazionale, e non solo. I loro nomi: Giuseppe Iannaccone (Collezione Iannaccone, Milano), Giorgio Fasol (Collezione AGI, Verona) e Eva Brioschi (Collezione La Gaia, Busca). “Con loro – sottolinea il direttore del MEF – indagheremo anche le ragioni da cui muove questo interesse per il collezionismo di arte moderna e contemporanea: investimento, realizzazione e visibilità sociale, mecenatismo”. Di tutto un po’. E tutto è lecito, purché non si trascuri il valore assoluto che l’opera d’arte (quand’é vera arte) custodisce in sé.
Per info: MEF – Museo Ettore Fico, via Cigna 114, Torino; tel. 011/853065 o www.musefico.it
g.m.
Saragat, un torinese europeo
Lunedì 21 gennaio alle ore 18, al Centro “Pannunzio” in via Maria Vittoria 35H, Danilo De Masi, Enrico Morbelli,Pier Franco Quaglieni, Piero Craveri e Valter Vecellio parleranno di “Giuseppe Saragat socialista torinese e statista europeo”. Presiede Salvatore Vullo. Nato a Torino nel 1898, e’ stato uno dei più prestigiosi leader socialisti italiani. Antifascista della prima ora a Torino a fianco di Matteotti e Turati, fu esule a Vienna e a Parigi. Rientrato in Italia dopo la caduta del fascismo, venne arrestato e imprigionato insieme a Sandro Pertini, riuscendo ad evadere da “Regina Coeli”. Fu Presidente dell’Assemblea Costituente nel 1946 , Ambasciatore d’Italia a Parigi, più volte vice presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro degli Esteri.Fu eletto Presidente della Repubblica nel 1964 e rimase in carica fino al 1971. Mori’ a Roma nel 1988. L’evento si tiene a trent’anni dalla morte e cento vent’anni dalla nascita dello statista torinese.
Allo Spazio Don Chisciotte di Torino una mostra di Mario Lattes sulla Shoah e la presentazione di un progetto degli studenti del Liceo “Gioberti”
E’ un doppio appuntamento, quello con cui la Fondazione Bottari Lattes – in occasione del “Giorno della Memoria”, celebrata il 27 gennaio di ogni anno – intende ricordare giovedì prossimo 24 gennaio, presso lo Spazio Don Chisciotte di Torino tutte le vittime dell’Olocausto. A partire dalle ore 17,30 nei locali di via della Rocca 37/b (tel. 011/ 1977.1755), si terrà infatti l’inaugurazione della mostra “Mario Lattes. Non dimenticare”, che propone opere inedite (appartenenti alla Fondazione, nata nel 2009 a Monforte d’Alba, e agli eredi dell’eclettico artista torinese di origine ebraica e fra le figure di maggior spicco nel mondo artistico e culturale del secondo dopoguerra), seguita dalla presentazione al pubblico della ricerca “Non dimenticare” realizzata da un gruppo di studenti del subalpino Liceo Classico “Gioberti” e mirata a verificare le conseguenze che le famigerate leggi razziali del 1938 ebbero su alunni e docenti della scuola di via Sant’Ottavio (fra i più antichi Licei d’Italia), con un approfondimento particolare sulla storia personale dello stesso Mario Lattes. Ma vediamo nel dettaglio i due eventi.
Mostra “Mario Lattes. Non dimenticare“
Inaugurata il prossimo giovedì 24 gennaio, alle ore 17,30 e in programma fino a sabato 23 febbraio (dal mart. al sab., ore 10,30/12,30 e 15/19), la selezionata rassegna propone alcuni – una quindicina in tutto – fra i più significativi lavori di Mario Lattes ( editore, pittore, incisore e scrittore, ma anche acuto ideatore di prestigiose iniziative culturali, scomparso nel 2001 a Torino, dov’era nato nel 1923) dedicati alla cultura ebraica e alla tragedia inumana della Shoah, con immagini di potente, spesso drammatico, impatto visivo. Immagini come grovigli di segni e colori che raccontano inquietanti realtà confuse fra sogno e memoria, cristallizzate in cifre stilistiche a volte primordiali, mai ripetitive ma libere di affidarsi alle suggestioni di un incidere astratto così come alla vigorosa ridondanza di un visionario e fantastico espressionismo, tale da evocare – come s’è fatto – illustri discendenze da Gustave Moreau o da Odilon Redon fino al “pittore delle maschere”, il belga James Ensor. Ne sono chiara prova le opere esposte, che vanno da un intenso “Giro dei Serafin” del ’58 con quei rossi che scompigliano con forza inaspettata la trama narrativa e che ritroviamo, a quasi trent’anni di distanza, in quell’“Interno di Sinagoga”, olio su tela del 1987, anch’esso carico di inquiete atmosfere; per passare attraverso le pagine non meno turbanti di “Kaddish” e dei “Deportati”, entrambi del ’59, o della “Figura ebraica” a tempera su carta dell’’84. “Lattes – scriveva Marco Vallora – è sempre là dove non te lo attendi, anche tecnicamente”. E l’incontro è sempre di quelli impegnativi. Che ti inducono a mettere in gioco la forza spossante delle emozioni.
Progetto “Non dimenticare. Le conseguenze delle leggi razziali del 1938 al Liceo Gioberti“
E all’inaugurazione della mostra di Lattes, seguirà la presentazione della ricerca, raccolta nel volume “Non dimenticare. Le conseguenze delle leggi razziali del 1938 al Liceo Gioberti“, che ha coinvolto trentadue studenti di classi diverse del “Gioberti”, guidati da quattro insegnanti. Alla base del lavoro, incontri con esperti, storici, testimoni e professionisti, nonché l’attento studio dei documenti conservati nell’Archivio storico del Liceo, nell’ “Archivio Terracini” della Comunità ebraica e nell’Archivio di Stato; il tutto alla ricerca dei professori e degli studenti che a causa delle leggi razziali furono allontanati dalla scuola o subirono conseguenze anche gravi, con un approfondimento sulla vicenda personale di Mario Lattes. Tante le storie che affiorano da fotografie, registri di classe, pagelle, lettere, telegrammi e verbali. Come quelle dei due professori sospesi mentre sono in servizio: Marco Levi, che ricopre vari incarichi di responsabilità all’interno della scuola, e Giuseppe Morpurgo, punto di riferimento culturale fuori e dentro l’Istituto. La ricerca studia anche la vita e le famiglie degli studenti definiti di “razza ebraica” a cui è stato impedito di continuare il liceo: oltre a Mario Lattes, Alda Beer, Germana Colombo, Vera Debenedetti, Giuliana Diena, Gastone Guastalla, Lucia e Gabriella Morpurgo,
Giorgio Ovazza, Guido e Sergio Treves. Tra gli altri studenti colpiti in modo più o meno drammatico dalle leggi razziali ci sono Franco Foà, che pur continuando a frequentare il liceo in quegli anni ha preferito assumere il cognome della madre, Bernardi, per non destare sospetti, e Bruno Finzi il cui nome sul registro appare accompagnato dalla scritta in rosso “di razza ebraica”. La ricerca è riuscita anche a individuare le ripercussioni drammatiche delle leggi su alcuni studenti che avevano frequentato il “Gioberti” molti anni prima, come Enrico Anau, studente di I Classico nel 1901-02 a cui nel 1938 viene impedito l’esercizio della professione di medico, o Ugo Segre, studente di I Classico nel 1909-10, morto con il figlio Tullio ad Auschwitz. Ci sono poi le tre docenti sospese mentre prestano servizio in altre scuole, colpite dalle leggi razziali, con differenti conseguenze, a volte drammatiche, che arriveranno al “Gioberti” dopo la guerra e vi rimarranno a lungo, fino alla pensione: Lia Corinaldi, Giuliana Fiorentino Tedeschi e Giorgina Levi Arian.
La pubblicazione è reperibile online all’indirizzo web:
www.liceogioberti.gov.it/wp-content/uploads/2018/05/Non-dimenticare.pdf
g.m.
Foto
Allo Spazio Don Chisciotte di Torino una mostra di Mario Lattes sulla Shoah e la presentazione di un progetto degli studenti del Liceo “Gioberti”
E’ un doppio appuntamento, quello con cui la Fondazione Bottari Lattes – in occasione del “Giorno della Memoria”, celebrata il 27 gennaio di ogni anno – intende ricordare giovedì prossimo 24 gennaio, presso lo Spazio Don Chisciotte di Torino tutte le vittime dell’Olocausto. A partire dalle ore 17,30 nei locali di via della Rocca 37/b (tel. 011/ 1977.1755), si terrà infatti l’inaugurazione della mostra “Mario Lattes. Non dimenticare”, che propone opere inedite (appartenenti alla Fondazione, nata nel 2009 a Monforte d’Alba, e agli eredi dell’eclettico artista torinese di origine ebraica e fra le figure di maggior spicco nel mondo artistico e culturale del secondo dopoguerra), seguita dalla presentazione al pubblico della ricerca “Non dimenticare” realizzata da un gruppo di studenti del subalpino Liceo Classico “Gioberti” e mirata a verificare le conseguenze che le famigerate leggi razziali del 1938 ebbero su alunni e docenti della scuola di via Sant’Ottavio (fra i più antichi Licei d’Italia), con un approfondimento particolare sulla storia personale dello stesso Mario Lattes. Ma vediamo nel dettaglio i due eventi.
Mostra “Mario Lattes. Non dimenticare“
Inaugurata il prossimo giovedì 24 gennaio, alle ore 17,30 e in programma fino a sabato 23 febbraio (dal mart. al sab., ore 10,30/12,30 e 15/19), la selezionata rassegna propone alcuni – una quindicina in tutto – fra i più significativi lavori di Mario Lattes ( editore, pittore, incisore e scrittore, ma anche acuto ideatore di prestigiose iniziative culturali, scomparso nel 2001 a Torino, dov’era nato nel 1923) dedicati alla cultura ebraica e alla tragedia inumana della Shoah, con immagini di potente, spesso drammatico, impatto visivo. Immagini come grovigli di segni e colori che raccontano inquietanti realtà confuse fra sogno e memoria, cristallizzate in cifre stilistiche a volte primordiali, mai ripetitive ma libere di affidarsi alle suggestioni di un incidere astratto così come alla vigorosa ridondanza di un visionario e fantastico espressionismo, tale da evocare – come s’è fatto – illustri discendenze da Gustave Moreau o da Odilon Redon fino al “pittore delle maschere”, il belga James Ensor. Ne sono chiara prova le opere esposte, che vanno da un intenso “Giro dei Serafin” del ’58 con quei rossi che scompigliano con forza inaspettata la trama narrativa e che ritroviamo, a quasi trent’anni di distanza, in quell’“Interno di Sinagoga”, olio su tela del 1987, anch’esso carico di inquiete atmosfere; per passare attraverso le pagine non meno turbanti di “Kaddish” e dei “Deportati”, entrambi del ’59, o della “Figura ebraica” a tempera su carta dell’’84. “Lattes – scriveva Marco Vallora – è sempre là dove non te lo attendi, anche tecnicamente”. E l’incontro è sempre di quelli impegnativi. Che ti inducono a mettere in gioco la forza spossante delle emozioni.
Progetto “Non dimenticare. Le conseguenze delle leggi razziali del 1938 al Liceo Gioberti“
E all’inaugurazione della mostra di Lattes, seguirà la presentazione della ricerca, raccolta nel volume “Non dimenticare. Le conseguenze delle leggi razziali del 1938 al Liceo Gioberti“, che ha coinvolto trentadue studenti di classi diverse del “Gioberti”, guidati da quattro insegnanti. Alla base del lavoro, incontri con esperti, storici, testimoni e professionisti, nonché l’attento studio dei documenti conservati nell’Archivio storico del Liceo, nell’ “Archivio Terracini” della Comunità ebraica e nell’Archivio di Stato; il tutto alla ricerca dei professori e degli studenti che a causa delle leggi razziali furono allontanati dalla scuola o subirono conseguenze anche gravi, con un approfondimento sulla vicenda personale di Mario Lattes. Tante le storie che affiorano da fotografie, registri di classe, pagelle, lettere, telegrammi e verbali. Come quelle dei due professori sospesi mentre sono in servizio: Marco Levi, che ricopre vari incarichi di responsabilità all’interno della scuola, e Giuseppe Morpurgo, punto di riferimento culturale fuori e dentro l’Istituto. La ricerca studia anche la vita e le famiglie degli studenti definiti di “razza ebraica” a cui è stato impedito di continuare il liceo: oltre a Mario Lattes, Alda Beer, Germana Colombo, Vera Debenedetti, Giuliana Diena, Gastone Guastalla, Lucia e Gabriella Morpurgo,
Giorgio Ovazza, Guido e Sergio Treves. Tra gli altri studenti colpiti in modo più o meno drammatico dalle leggi razziali ci sono Franco Foà, che pur continuando a frequentare il liceo in quegli anni ha preferito assumere il cognome della madre, Bernardi, per non destare sospetti, e Bruno Finzi il cui nome sul registro appare accompagnato dalla scritta in rosso “di razza ebraica”. La ricerca è riuscita anche a individuare le ripercussioni drammatiche delle leggi su alcuni studenti che avevano frequentato il “Gioberti” molti anni prima, come Enrico Anau, studente di I Classico nel 1901-02 a cui nel 1938 viene impedito l’esercizio della professione di medico, o Ugo Segre, studente di I Classico nel 1909-10, morto con il figlio Tullio ad Auschwitz. Ci sono poi le tre docenti sospese mentre prestano servizio in altre scuole, colpite dalle leggi razziali, con differenti conseguenze, a volte drammatiche, che arriveranno al “Gioberti” dopo la guerra e vi rimarranno a lungo, fino alla pensione: Lia Corinaldi, Giuliana Fiorentino Tedeschi e Giorgina Levi Arian.
La pubblicazione è reperibile online all’indirizzo web:
www.liceogioberti.gov.it/wp-content/uploads/2018/05/Non-dimenticare.pdf
g.m.
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La mostra fotografica di Giles Duley per EMERGENCY per la prima volta a Torino
sabato 19 gennaio, alle ore 15, all’Emergency Infopoint di Torino – Corso Valdocco 3 – inaugurerà la mostra fotografica di Giles Duley “Iraq. Una ferita aperta” esposta per la prima volta a Torino.La mostra racconta la guerra vista da vicino, con gli occhi di chi la vive, attraverso quelli di chi la documenta.A febbraio 2017 Giles Duley ha visitato i progetti di EMERGENCY in Iraq con l’obiettivo di mostrare al mondo cosa è successo a Mosul. “In passato ho parlato di come, anche in queste situazioni, io abbia sempre cercato di trovare un barlume di speranza da fotografare, come una risata o l’amore di una famiglia. Ma quello che ho visto a Mosul mi ha spiazzato. Ho capito che a volte un’immagine simile è impossibile da trovare” racconta Giles Duley. L’operazione umanitaria di Mosul è stata una delle più grandi e complesse emergenze del 2017. Per dare assistenza ai feriti in fuga dalla città, EMERGENCY decise di riaprire un ospedale che aveva costruito nel 1998 e aveva poi affidato alle autorità locali nel 2005. Lì, in 7 mesi di attività, EMERGENCY ha assistito oltre 1.400 vittime di guerra. L’impegno per la pace è un impegno di civiltà al quale siamo chiamati tutti, nessuno escluso, la mostra di Giles Duley costringe a guardare negli occhi l’orrore, fermato in una foto e spogliato di ogni speranza, in modo che nessuno di noi, poi, riesca a voltarli da un’altra, qualsiasi, parte. Dall’intensità di queste immagini, sospese tra arte e storia, prende forma un racconto che invita a riflettere sulla fotografia come impegno civile. Dopo aver passato anni a immortale rock star, famoso il suo scatto a Marylin Manson, dal 2000 Giles Duley lavora con diverse organizzazioni non governative documentando storie di vittime di guerra da tutto il mondo. Nel 2011, mentre era in Afghanistan, Duley perse entrambe le gambe e il braccio sinistro a seguito dell’esplosione di una mina. I medici gli dissero che non avrebbe mai potuto tornare a lavorare. Dopo 18 mesi era di nuovo in Afghanistan, con una troupe per girare il documentario Walking Wounded: Return to the Frontline in cui visita il Centro chirurgico EMERGENCY di Kabul e incontra i pazienti ricoverati. In Iraq EMERGENCY continua ad offrire assistenza sanitaria ai profughi iracheni e siriani nel campo di Ashti. Inoltre, gestisce un Centro di riabilitazione e reintegrazione sociale a Sulaimaniya, avviato nel 1998. Morti, feriti, profughi: sono loro l’unica verità della guerra che EMERGENCY conosce e Giles ci mostra senza reticenze. Far conoscere gli effetti delle guerre a tutti è uno dei principali obiettivi di EMERGENCY che da 25 anni offre cure gratuite e assistenza a tutte le vittime di guerra, ma porre rimedio alle conseguenze devastanti dei conflitti non è abbastanza. L’Infopoint è lo spazio culturale dell’associazione Emergency in cui, attraverso le attività e gli eventi che ospita, viene promossa la cultura di pace di cui l’associazione è espressione nel mondo attraverso il suo operato umanitario.
Canzoni dai ghetti e dai campi di concentramento
Canzoni sul razzismo e canzoni in cerca di pace
“Come tedesca, nata dopo la Guerra, sposata ad un uomo ebreo, a New York da 20 anni, sono da sempre legata alla storia, terribile, dell’Olocausto. E’ mia responsabilità e dovere etico onorare la cultura del popolo ebreo e stimolare il dialogo su questo orribile passato.”: così la grande cantante ed artista tedesca Ute Lemper spiega le motivazioni che sono alla base di “Songs for Eternity”, spettacolo costruito sulle canzoni scritte nei ghetti e nei campi di concentramento da musicisti ebrei deportati, molti dei quali morirono nelle camere a gas. Il 31 gennaio e il 1 febbraio Ute Lemper porterà “Songs for Eternity” a Torino e a Cuneo, nell’ambito delle iniziative del Giorno della Memoria 2019.
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Il comunicato del Consiglio regionale: