Cosa succede in città- Pagina 17

Francesco Salamano e la moda maschile: l’eleganza al tempo del Vintage

Oggi 26 novembre a Camera la presentazione del libro “Manuale di moda maschile vintage:” di Francesco Salamano con l’accompagnamento di Mario Calabresi.

Si definisce “torinese con la valigia”, ma Francesco Salamano è anche un esperto di comunicazione e docente universitario in istituti come IED e Marangoni dove insegna materie legate alla sua professione, dunque marketing e comunicazione ma anche legate alla moda e alla storia dei costumi. Io l’ho incontrato in qualità di saggista ed esperto di moda vintage maschile dal momento che martedi 26 novembre presenta presso Camera il suo libro “Manuale di moda maschile vintage: guida per avere uno stile perfetto”, edizioni Demetra.

Francesco come nasce la sua seconda anima, quella di esperto di moda.

 

Dal piacere e dall’interesse verso la moda, perché è sempre stata una mia passione sin da ragazzino.  Mi piacevano determinati capi, mi piaceva il vestito in una certa maniera, e negli anni si è sempre più sviluppata questa passione che mi ha portato a ricercare, approfondire, a capire, e poi il mio interesse si è spostato verso il vintage, perché nel vintage c’era anche tutta una parte legata al passato, alla memoria, al ricordo. E tutto ciò è confluito nel mio libro che non è un libro solo di moda, ma è un libro legato alla cultura pop, ai riferimenti culturali legati al concetto di vintage che io sintetizzo in tre parole: etico, estetico ed esclusivo. Etico, perché in qualche modo il vintage si oppone al fast fashion. Lo spreco aiuta a ridurre l’impatto estetico, poiché i capi vintage erano progettati per durare più a lungo, erano realizzati meglio, rifiniti con maggiore cura, e spesso anche più belli dal punto di vista estetico. È talmente vero che molte aziende stanno lavorando volontariamente sul concetto di archivi. Infine, esclusivo, ma non nel senso negativo del termine, bensì come qualcosa che si oppone alla massificazione e all’omologazione, perché ogni capo vintage è unico, irripetibile, e non può essere replicato.

C’era davvero bisogno di un libro sulla moda maschile? Mi consenta la provocazione: ma la moda da uomo è davvero creativa?

Questo libro non è rivolto solo agli uomini né si limita all’eleganza maschile, ma esplora la cultura pop in generale, toccando argomenti come cinema, letteratura e musica. Anche una donna che non sia interessata alla moda maschile potrebbe trovare interessanti leggere storie e curiosità su questi temi. E poi, la moda è una fusione di influenze, anche tra i generi. Molti capi maschili sono diventati femminili e la moda femminile ha attinto dalla tradizione maschile. Esempi noti includono Saint Laurent con lo smoking femminile, Coco Chanel con le giacche in tweed, e Armani con il suo tailleur. Hanno dato vita a una moda elegante che partiva dagli abiti sartoriali maschili. Quindi perché no. Certo, forse adesso che si parla anche di fluidità esasperata dove vedi un Mahmood che va sul palco con la gonna e ormai è normale, forse te lo aspetti di più un manuale di moda anche maschile.

Diciamo che il binomio vintage moda maschile mi ha fatto chiedere se davvero c’è così tanta creatività? A quanto pare sì.

Diciamo che per certi versi la moda maschile è anche più creativa di quella femminile. Mi spiego meglio con un altro esempio: il fishtail parka, quello con le code a pesce, è stato uno dei campi più usati anche dagli stilisti per la moda femminile, o il bomber, altra giacca militare, eppure sono diventati di uso comune anche per le donne,  quindi anche nel casual ci sono state delle contaminazioni molto forti. Ritornando al concetto di creatività, la moda maschile nasce in modo funzionale, da capi nati per la guerra o per il lavoro, uno per tutti il jeans, ma che poi hanno travalicato il loro settore di riferimento finendo in mondi completamente diversi. Questo è creativo e allo stesso tempo disruptive, se ci si pensa.

Quando parla di cultura pop, il primo nome che mi viene in mente è Elio Fiorucci, a cui è stata dedicate una mostra attualmente in corso a Milano.

 

Fiorucci è presente nel mio libro, nel capitolo dedicato al denim dove c’è anche una sua bellissima foto, perché intanto è stato il primo a creare una sorta di concept store. E poi perché è stato lo  stilista-artista pop per eccellenza, accanto a nomi quali Andy Warhol, Keith Haring. Infine per la genialità di uno stilista che è riuscito nell’impossibile, cioè vendere i jeans agli americani.

Dopo anni di loghi in bella vista, oggi, soprattutto su TikTok, la Gen z ha scoperto lo stile “old money” che richiama l’alta società dove eleganza significa sobrietà. Si tratta di uno stile d’altri tempi, che ricorda i Kennedy o gli Agnelli, fatta di capi di ottima fattura, senza loghi, mai sopra le righe. Come se lo spiega?

Ma intanto, corretto o sbagliato che sia, lo stile old money porta con sé un’idea di ricchezza non esibita, e non solo di ricchezza, anche di potere, di successo, perché old money indica coloro che non hanno fatto i soldi, ma che li hanno ereditati. Il concetto dell’old money è anche legato a un’idea di successo che non ha bisogno di dimostrare nulla, quindi quel minimalismo, ma che in realtà non è minimalismo, che sfocia nell’autorevolezza. È un lusso dichiarato senza bisogno di urlare.

Mi sono però persa il passaggio dal capo firmato con il brand ben visibile in modo che sai che quel capo è costoso, alla scelta di abiti o accessori apparentemente anonimi, fatti benissimo, ricercati, ma che se non lo sai, non ti rendi conto del valore che hanno.

Potremmo ragionare sul fatto che lo stile old money vive anche di riferimenti culturali, legati al passato, legati a personaggi, legati a un certo tipo di stile, a un certo tipo anche di accessori, marchi, orologi. Quindi capi ed elementi intrisi di storia che in qualche modo comunicano. La seconda spiegazione è che forse si passa dal bisogno della griffe per comunicare sé stessi alla voglia di comunicare sè stessi e basta. Non serve più un ambasciatore che comunica chi sei, indossi qualcosa che ti permette di comunicare la tua personalità e il tuo io senza intermediari.

Mi fa venire in mente la frase “Vesti male e noteranno il vestito, vesti bene e vedranno la donna” di Chanel, che chissà perché io ho sempre associato all’eleganza di  Armani.

Ti ringrazio del complimento, perché citi Armani, un mostro sacro della moda. Parliamo di uno stilista che ha fatto 122 film, cioè costumi per film, tra cui Intoccabili, American Gigolo a Bastardi Senza Gloria. E nell’Olimpo della moda ci metto anche Ralph Lauren perché mi trovo più nel mondo vintage maschile rispetto a quello di cui stiamo parlando. E in più perché Ralph Lauren ha avuto la capacità di contaminare mondi completamente differenti, dal country americano allo stile inglese, dal mondo dell’etnico allo stile italiano, e questo forse è più unico che raro.

Come si fanno a trovare pezzi vintage da aggiungere al proprio armadio? Da dove parto?

Intanto documentarsi aiuta perché aiuta a capire, a scegliere, perché almeno uno non sceglie solo il proprio stile, ma anche i propri riferimenti culturali e ciò in cui desidera riconoscersi. Poi, io credo in un vintage, passami l’aggettivo, democratico. Io vedo molto spesso influencer che mostrano un vintage molto poco accessibile, fatto per pochi, ma in realtà, partendo da un certo tipo di ricerca, anche un certo tipo di buon gusto, il vintage può essere estremamente accessibile. Il che non vuol dire, a rovescio, che visto che il vintage è estremamente di moda si debba giustificare quei mercatini dove si compra a kilo, dove paghi poco ma compri anche male. Poi se sei fortunato lo trovi anche un pezzo, è capitato anche a me. Tornando alla domanda, trovi il vintage nei mercatini, anche col divertimento e la voglia di scoprire e poi c’è il web che ti permette di cercare in tutto il mondo. Uno degli ultimi capi che ho preso, l’ho comprato da un venditore thailandese. Si tratta di una giacca double face anni ‘50 che appunto ho trovato in Thailandia.

E a Torino dove possiamo cercare?

C’è Piazza Benefica, ogni tanto c’è il mercato della Gran Madre, ma diciamo che io, forse anche per la tipologia di capi, che sono più internazionali, pesco molto all’estero, sia nei mercati delle città che visito, perché, come sempre, il viaggio è nell’accezione larga, non soltanto del viaggio stesso, ma di tutto quello che l’esperienza del viaggio ti porta. E quindi, anche i mercatini in giro nel mondo, per esempio in America, le vendite nei cortili, in certe scuole, sono estremamente affascinanti. Anche perché lì trovi veramente l’inaspettato.

Quali sono i pezzi must-have da uomo o da donna? Quali sono i capi da cercare per costruire il nostro archivio personale? 

Per l’uomo, secondo me, direi un giaccone militare, che può essere di tanti generi, dall’M65 classico, al parka, alla giacca da ponte della Marina Americana, puoi scegliere quello che preferisci ma sicuramente un giaccone militare è un capo che va su tutto. Ed è talmente vero che io oggi sono in abito formale e ho una giacca militare degli anni 50. Poi, direi un giubbotto in pelle, il chiodo che va bene sia per l’uomo che per la donna, il cardigan, che è un altro di quei capi pieni di storia, rassicurante e senza tempo. Pensa che nasce come capo maschile e militare, dal Conte di Cardigan, durante la guerra in Crimea, e diventa poi capo femminile con Coco Chanel, a proposito di femminilità e moda che si contamina. E ancora il jeans, sembra banale dirlo, ma quale capo più rivoluzionario e che ha cambiato maggiormente le nostre vite del jeans?

 

E da donna?

Come ho già detto il chiodo, e se parliamo di qualcosa di assolutamente trasversale direi un cappotto ampio da uomo. Cito il cappotto di cammello che mi fa pensare a Marlon Brando in Ultimo Tango a Parigi e che io trovo su una donna estremamente sexy, magari oversize.

 

Trovo insolita questa scelta. Mi sarei aspettata il little black dress, il tubino nero, per una donna.

 

Ma io uscirei un po’ dallo stereotipo della femminilità, come dire, che ti aspetti. In realtà la femminilità, come tu sai molto bene è un’attitudine, quindi è quello che indossi che fa la differenza. Ci sono uomini che riescono ad essere completamente ineleganti, pur essendo vestiti perfettamente, perché sono, passami il termine, finti. Allo stesso modo una donna può essere estremamente sexy in t-shirt e jeans, che sono due capi all’origine molto maschili, e non esserlo in tubino nero.

Se dovesse nominare un torinese elegante, a chi penserebbe? 

È difficile, molto difficile. E poi, come sempre, mi metteresti in difficoltà perché sai che i torinesi sono anche molto permalosi, per cui rischierei di offendere qualcuno. Sinceramente non farei nomi perché il gentleman non dovrebbe esserlo solo per l’estetica e l’educazione, ma anche per l’approccio che ha rispetto alla vita.

Questa è una risposta molto elegante e molto torinese.

(Salamano scoppia a ridere) Hai ragione! Lasciami però aggiungere che io non sono affatto giudicante. Non ho la pretesa che la gente si vesta come piace a me. Piuttosto mi infastidisco davanti all’ostentazione della ricchezza, dello status symbol perché è l’antitesi di ciò che vedo e comunico. Io ritengo ognuno debba esprimere la propria personalità e la propria attitude, altrimenti si rischia l’omologazione al contrario, la sterilizzazione culturale.

È un bel messaggio quello lasciato da Salamano che ci fa comprendere come lo stile è qualcosa che ci creiamo, pescando tra mode che travalicano i confini del tempo e dello spazio. Lui sembra girare con una valigia invisibile piena di ricordi e aneddoti, gli stessi che ha cercato di comprimere nel suo libro. E questo libro arriva come una bella strenna natalizia da regalare a chi ha già tutto ma che ogni volta che apre l’armadio esclama: non ho niente da mettermi.

Lori Barozzino

Angelina Jolie conquista Torino

La diva si è prestata con gentilezza all’assedio dei fan concedendo autografi ieri alla Cavallerizza. Angelina Jolie ha conquistato Torino in occasione della sua partecipazione al Torino Film Festival.

Tra giornalisti e fotografi è stata accolta dal direttore  del Tff Giulio Base dal presidente Enzo Ghigo e dal direttore Carlo Chatrian del Museo del Cinema.

Lo scrittore Alessandro Baricco le ha consegnato il premio Stella della Mole. Al Cinema Ideal  l’attrice ha presentato il suo film Without Blood, tratto dal romanzo dello stesso Baricco Senza sangue

Su Instagram del “Torinese” il video della Jolie  tra i fan torinesi. Niente selfie come da sua richiesta ma un bagno di folla e tanti autografi.

25 novembre, Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne: le iniziative a Torino

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La Città di Torino, costantemente impegnata nel promuovere e sostenere iniziative di prevenzione e contrasto alla violenza di genere, anche quest’anno aderisce alla “Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”, ricorrenza internazionale istituita nel 1999 dalle Nazioni Unite.

Per celebrare l’importante appuntamento del 25 novembre, l’amministrazione comunale, attraverso il Servizio Pari opportunità della Città e in collaborazione con le associazioni e gli enti aderenti al Coordinamento Contro la Violenza sulle Donne (CCVD), realizzerà alcune attività di informazione e sensibilizzazione.

“La libertà è in piazza. Contro la violenza di genere nello spazio pubblico” è il titolo del seminario dedicato ad approfondire il tema della diffusione delle molestie e della violenza contro le donne nello spazio pubblico, e di come la pianificazione urbana, unita ad iniziative e progetti mirati, possano contribuire a ridurre la paura delle donne nell’attraversare questi spazi. L’incontro si svolgerà lunedì 25 novembre, dalle ore 9.30 alle 12.30 nella Sala Conferenze del Museo Egizio, in via Maria Vittoria 3M. La partecipazione è gratuita, previa prenotazione tramite il portale di Eventbrite e fino ad esaurimento posti. A sostegno dell’evento è stata predisposta una campagna di comunicazione con manifesti e locandine elettroniche visibili sui mezzi di trasporto pubblico di superficie di GTT.

“La violenza contro le donne è un fenomeno profondo e diffuso, radicato nella cultura patriarcale, che trova nel femminicidio la sua forma più drammatica, ma si manifesta quotidianamente in atti e parole di abuso, sia dentro che fuori le mura domestiche – afferma Jacopo Rosatelli, assessore ai Diritti e alle Pari opportunità della Città di Torino -. Per contrastarlo, è necessario un impegno continuo, in cui istituzioni, movimenti femminili e femministi e servizi specializzati collaborano insieme. È fondamentale, quindi, il lavoro culturale, l’attenzione al dibattito pubblico e la creazione di un immaginario libero da stereotipi. In questa direzione va il lavoro dell’amministrazione, che ha già creato una rete di servizi per supportare le donne vittime di violenza e aiutarle a percorrere strade di autonomia, e che continuerà ad impegnarsi per rendere sempre più efficace e consapevole l’azione dei servizi comunali coinvolti. Ne è un esempio la formazione in corso su 450 dipendenti amministrativi neoassunti della Città, inerente proprio il benessere organizzativo e la violenza di genere”.

Nel pomeriggio del 25 novembre la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne vedrà poi un momento di celebrazione istituzionale nella Sala Rossa di Palazzo Civico, prima dell’inizio della consueta seduta del Consiglio Comunale.

A partire dalle 14.30 sarà il turno di un’altra iniziativa, anch’essa ospitata dal Museo Egizio, a cura del Comitato Unico di Garanzia (CUG) della Città di Torino e in collaborazione con la Rete Cittadina dei Comitati Unici di Garanzia e con la Divisione Cultura della Città, rivolta alla sensibilizzazione del personale del Museo stesso e a quello dei Comitati dei 15 enti appartenenti alla Rete.

Sempre il 25 novembre la Bottega InGenio, che dal 2001 fa da vetrina esponendo e raccontando le opere d’arte e d’ingegno realizzate da persone con fragilità nei laboratori di attività dei servizi gestiti dal Comune di Torino, ospiterà l’artista Grazia Inserillo. L’appuntamento vedrà la realizzazione simbolica di un arazzo in lana rossa e nera del diametro di circa un metro e mezzo, che sarà assemblato in modalità corale assieme a tutti i cittadini che con questo gesto vorranno dire “No” alla violenza sulle donne, e che sarà esposto per tutta la giornata nella vetrina della Bottega in via Montebello 28/b.

Il servizio Passepartout, che raccorda le iniziative a favore dei cittadini con disabilità fisico-motoria, ospiterà poi nel pomeriggio un aperitivo informativo. L’evento prevede interventi di esperti, testimonianze e performance teatrali e musicali. L’appuntamento è alle ore 18 in via San Marino 22.

La sera del 25 novembre, a chiudere la Giornata di celebrazione, sarà cura invece di Iren l’illuminazione della Mole Antonelliana, che si tingerà di arancione in adesione della Città di Torino alla campagna internazionale “Orange the World”, promossa dall’Onu contro il fenomeno della violenza di genere: un segnale per ribadire, attraverso il suo monumento simbolo, che Torino è presente in questa battaglia di diritti e giustizia.

A queste iniziative se ne aggiungono alcune che, già sperimentate negli anni passati, vengono riproposte per mantenere un’elevata visibilità e raggiungere quante più persone possibile. Tra queste l’adesione alla campagna “Posto Occupato”, che si realizzerà posizionando in luoghi ad alta frequentazione di pubblico un cartello su una sedia vacante per ricordare l’assenza di una donna vittima di femminicidio: è quanto avverrà, ad esempio, su una delle poltrone in ognuna delle sale di proiezione del Torino Film Festival, dove sarà tenuto anche un breve discorso sul tema e che quest’anno ha aderito alla Giornata Internazionale su impulso dell’Ufficio Pari Opportunità della Città di Torino.

Ricchissimo anche il calendario delle proposte delle associazioni aderenti al CCVD e non solo, che sul territorio organizzano momenti di approfondimento e confronto, raccolti in un unico opuscolo disponibile online e in continuo aggiornamento.

È tempo di scacchi sotto la Mole

 

di Giuseppe M. Ricci

 

È tempo di scacchi a Torino, dove tra il 26.11 e il 7.12 si svolgerà la più importante manifestazione dell’anno per l’Italia, il Campionato Assoluto 2024 (https://www.ciascacchi2024.it/).

Accade tuttavia che in questo mese di Novembre si avvicendino nella nostra Città, sempre più glamour, attrattiva e dunque amata, eventi di grande importanza e risalto come le ATP Finals e la 42a edizione del Torino Film Festival. Inutile dire che non c’è competizione… ma mettere insieme è meglio che dividere o contrapporre. E dunque, dopo l’abbinamento tra tennis e scacchi (https://www.ciascacchi2024.it/2024/11/14/tennis-e-scacchi-2024-strategie-a-confronto-nelle-atp-finals-e-nel-campionato-italiano-assoluto-di-torino/) ecco questa volta, a riprova di quanto gli scacchi siano trasversali, qualche appunto sul legame tra cinema e scacchi, sicuramente affascinante e ricco di sfumature.

Entrambi sono forme di espressione intellettuale e artistica, capaci di esplorare le profondità della mente umana e di raccontare (e, prima ancora, vivere nella realtà o sulla scacchiera) storie avvincenti di strategia e creatività.

Gli scacchi nel cinema

Gli scacchi hanno spesso trovato spazio nel cinema come metafora di sfide esistenziali, conflitti psicologici o battaglie morali e di riscatto, come nel film The Dark Horse (2014), ispirato alla vita di Genesis Wayne Potini, che lottando col suo bipolarismo aprì in Nuova Zelanda un circolo per i bambini disagiati col motto che “ogni giorno è un buon giorno per imparare”.

Ma la partita a scacchi per antonomasia e rimasta a tutti nella memoria è nel film Il settimo sigillo del Maestro Ingmar Bergman (1957), quando il cavaliere Antonius Block di ritorno dalle Crociate nelle sue varie peripezie si ritrova a giocare una partita a scacchi con la Morte, in una scena che è diventata iconica per la sua intensità simbolica.

Un altro bellissimo film è Sotto scacco (Searching for Bobby Fischer del 1993), basato sulla storia di un giovane prodigio degli scacchi, Joshua Waitzkin, dove si esplora la complessità del talento precoce e le pressioni di varia natura associate al successo, un tema che ritroviamo in molte altre storie anche di sport o di musica.

E poi, ovviamente, The Queen’s Gambit (2020), la serie televisiva che, grazie anche alla splendida interpretazione di Anya Taylor-Joy, ha determinato un nuovo “big-bang” per gli scacchi, quale non si ricordava dai tempi della sfida di Reykjavik tra Fisher e Spassky. La storia di Beth Harmon, la giovane scacchista che lotta contro dipendenze e convenzioni sociali negli anni ’60, ha infatti riportato gli scacchi al centro dell’attenzione globale, ispirando migliaia di nuovi adepti.

Per tutti la serie è nota come La regina degli scacchi, ma in effetti il titolo italiano è rubato ad un altro bel film del 2002 di Claudia Florio con Barbora Bobulova, che narra il dramma di una ragazza adottata tra ossessione per gli scacchi e ricerca della madre naturale.

Attori scacchisti

Molti attori e attrici sono stati appassionati di scacchi trovandovi una fonte di relax, stimolo mentale e ispirazione creativa. Tra tutti spicca la leggenda di Hollywood Humphrey Bogart, che aveva imposto la sequenza di una partita in “Casablanca” (1942 e v. https://unoscacchista.com/2017/09/21/maestro-humphrey-bogart/). Bogie (il nickname affibbiatogli da Spencer Tracy) frequentava l’Hollywood Chess Club ed era anche un forte giocatore. Si ricorda una sua patta con il GM Samuel Reshevsky, sia pure in simultanea, disponibile al link https://www.chess.com/blog/ThummimS/humphrey-bogart-and-chess. Qui sotto, l’attore con gli amori della sua vita…

Un altro grande appassionato è Woody Harrelson, noto per il suo talento istrionico e film come “Proposta indecente”, “Non è un paese per vecchi” dei fratelli Cohen, la serie di “Hunger Games”. Harrelson adora essere coinvolto in eventi scacchistici, inclusa l’inaugurazione di partite durante tornei internazionali.

Anche Rachel Weisz, vincitrice dell’Oscar per “The Constant Gardener” (2005), ha dichiarato di amare gli scacchi. La moglie di Daniel Craig ritiene – giustamente – il gioco degli scacchi come un esercizio mentale perfetto per stimolare la creatività.

Infine, chi direbbe che ad Arnold Schwarzenegger piace alternare la lotta a cazzotti con sfide mentali, ma non meno accese e accanite sulla scacchiera? Eppure, si giura che è stato visto giocare a scacchi con i colleghi sul set e spesso ha espresso la sua predilezione per gli scacchi che rifletterebbe il suo approccio strategico e per così dire muscolare alla carriera e alla vita.

Il fascino di una sfida senza tempo

Insomma, scacchi e cinema condividono un linguaggio universale, destinato a piacere senza pregiudizi di barriere culturali o sociali. Entrambi propongono un equilibrio tra disciplina e immaginazione, tra intuizione e logica, che ne rappresentano il fascino. Questa affinità spiega perché il gioco degli scacchi sia stato così spesso rappresentato nelle storie cinematografiche e perché molti attori vi trovino un passatempo gratificante.

Che si tratti di una partita simbolica tra la vita e la morte o di un torneo in cui si giocano i destini personali, gli scacchi continueranno a ispirare anche registi e attori, dimostrando che l’arte e il pensiero strategico possono convergere in modi straordinari.

E se non vi sentite abbastanza bravi? Beh, non dimenticate che anche Woody Allen (nei panni di Alvy Singer in “Io e Annie”) era stato escluso dalla squadra di scacchi per la sua statura…

Un master internazionale per attori e attrici

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Per la direzione artistica di Marco Lorenzi e la direzione organizzativa di Marco Babuin e di Santibriganti Teatro

 

Al via il secondo anno de LoStudio, il master internazionale per attori e attrici, che ha la direzione artistica del regista Marco Lorenzi della compagnia teatrale Il Mulino di Amleto.

Dopo il successo internazionale del primo anno de LoStudio, che si è concluso con lo spettacolo ‘La notte della Repubblica’, ispirato al Giulio Cesare di Shakespeare, torna il bando di selezione per accedere al Master internazionale per attori e attrici, che partirà a gennaio 2025, protraendosi fino a ottobre 2025, riconfermando anche quest’anno la sua vocazione internazionale.

Fra i docenti che si avvicenderanno durante l’anno accademico ricordiamo Massimiliano Civica, Gabriele di Luca di Carrozzeria Orfeo, Michela Lucenti e Francesco Gabrielli di Balletto Civile, Daniel Bausch dell’Accademia Dimitro di Verscio, Marco Lorenzi, Barbara Mazzi, Angelo Tronca e Yuri d’Agostino de Il Mulino di Amleto, Thea Dellavalle e Irene Petris, Bruno De Franceschi, Nicole Kehrberger, Beppe Rosso, Rebecca Rossetti, Lorenzo De Iacovo. Un gruppo nutrito di docenti che metterà al centro la formazione degli artisti, in quanto performer unici nella loro individualità. Lo Studio 2025 riconferma la direzione artistica di Marco Lorenzi e de il Mulino di Amleto e la direzione organizzativa di Maurizio Babuin e di Santibriganti Teatro.

Il master 2025 sarà composto da un semestre di alta formazione, un Summer Camp di approfondimento e in autunno la preparazione e la restituzione dello spettacolo finale. Le lezioni si terranno nella sede del Dravelli di Moncalieri. Nella prima parte ogni docente si alternerà in residenza continua per due settimane accompagnando i partecipanti per tutta la durata del percorso. Sono previste restituzioni di lavoro e aperture verso l’esterno. Il Summer Camp sarà un periodo di lavoro estivo che si svolgerà a San Pietro in Vincoli, nel centro di Torino, in cui i partecipanti lavoreranno a stretto contatto con l’Ensemble de Il Mulino di Amleto. Lo spettacolo andrà in scena per più repliche sempre nel teatro di San Pietro in Vincoli, all’interno della stagione gestita da A.M.A Factory e Fertili Terreni Teatro.

“la mia professione – spiega Marco Lorenzi – è il regista e con il tempo sono sempre più convinto che la pedagogia sia parte del lavoro del regista in modo gioioso e inscindibile.

Per questo, anche quando lavoro ad una regia, le mie domande sono sempre rivolte anche alla pedagogia… Penso che la formazione sia essenziale per la vita del teatro. L’educazione del regista, l’educazione dell’attore e l’educazione degli spettatori. Ciò che può garantire un futuro al teatro è sicuramente l’educazione. A questo proposito ho la sensazione che stiamo smarrendo qualche cosa di molto importante, la formazione sta perdendo sempre di più la sua caratteristica principale: la qualificazione. Oggi in Italia la formazione è diventata superficiale, troppo veloce, espressa per tutti, non più capace di selezionare le persone adatte a questo tipo di professione dalle altre”.

 

La domanda di ammissione dovrà pervenire entro il 30 novembre 2024 a didattica.lostudiotorino@gmail.com

 

Mara Martellotta

I primi film in concorso del 42mo TFF. La vendetta cercata di “Nina”, i comunisti di “Europa Centrale”

Con i colori della Spagna, partecipa quest’anno al TFF la regista Andrea Jaurrieta, nata a Pamplona, oggi 38enne, già assistente di Pedro Almodòvar per “Julieta” e gran debutto in patria sei anni fa con “Ana de dìa”. Accompagna “Nina”, storia tutta al femminile di ricordi e di sospirata vendetta, storia di una donna che, dalla capitale dove vive ed è attrice di largo successo, torna nella città sul mare dove è cresciuta armata di un fucile a pompa nella borsa e di un unico obiettivo, quello di chiudere per sempre i conti con Pedro, scrittore di fama che ora tutti festeggiano e acclamano, l’uomo che ha approfittato di lei appena sedicenne. “Con il mio film voglio prima di tutto parlare di abusi e riflettere sui limiti del consenso. Un tema che attraversa le barriere culturali e colpisce tutte le società in modo trasversale. A mio avviso, c’è la necessità di affrontare questo tema da un punto di vista femminile diverso dal solito. Ovvero, non adottando la prospettiva della vittimizzazione ma affrontando la complessità psicologica e sociale che caratterizza questo tipo di relazione.” La vendetta è davvero l’unica via da scegliere? Nella scrittura di Jaurrieta e soprattutto negli sguardi di Patricia Lòpez Arnaiz, pronta a inseguire quel Darìo Grandinetti che fu già attore per Almodòvar in “Parla con lei”, c’è tutta la tragedia che ha segnato una vita, le sensazioni grame, l’infelicità di sé, il negarsi e la consapevolezza della scelta: ma ancora non s’avverte appieno, con i gesti e le parole e le azioni con cui è stato costruito giorno dopo giorno, il sopravvento su una ragazzina indifesa e troppo sognatrice, non si comprendono appieno le intenzioni e la concretezza della volontà della donna. Nelle note di regia, Jaurrieta corre ben oltre il fatto narrato, pone anticamente le radici della vicenda nella Nina e nel Trigorin di Cechov: un amaro retrogusto letterario e legittimo che altro non fa che convincerci, se ancora ce ne fosse bisogno, di quanto il mondo non sia cambiato affatto. E in questo “Nina” riacquista tutta la propria autorevolezza e la propria verità.

Gianluca Minucci è invece nato a Trieste, classe 1987, è laureato in storia e critica del cinema e filmologia alla Sapienza di Roma, proviene da spot pubblicitari e video musicali, insegna Storia e Letteratura italiana nella scuola pubblica, il suo “Europa Centrale”, scritto con Patrick Karlsen è il primo dei due film italiani in concorso. Il film è definito “un kammerspiel metafisico sulla lotta politica”, è ambientato, nell’aprile del ’40, all’interno di un viaggio in treno durante il quale una coppia di fede comunista dovrà portare a termine l’importante missione che le è stata affidata. C’è violenza (anche qui: i selezionatori, giovanissimi ci hanno avvertiti, è possibile che non riescano più a trovare una di quelle Commedie, intelligenti, costruite con spirito, dalla scrittura che ispira sorrisi tutti di testa, sull’orlo dell’allegria che possano mai trovare posto in un concorso?) psicologica e fisica, c’è la chiusura, quasi il soffocamento dentro gli angoli bui di quei vagoni, ci sono passioni e sospetti, la paura circola tra tutti dal momento che tutti non conoscono bene chi sia l’altro, ci sono passati che riaffiorano e identità che si sovrappongono o si sfaldano. C’è la divisione insuperabile, ci sono i comunisti e i fascisti, i fuoriusciti in quella parte del Novecento, c’è chi fa il doppio gioco (ma è vero, o non è vero?), c’è “un dramma profondamente umano” ci dicono ma che non riusciamo davvero a vedere nei racconti frantumati dei personaggi, c’è una storia di spionaggio “dalla regia espressionista” che non riusciamo davvero a vedere. Vediamo eccessi a non finire, un grottesco fuori luogo, un thriller che alla fine non sa ricomporre le proprie carte, una carneficina finale che nella sua disperazione sa persino di ridicolo, una recitazione esagitata e alla fine inconcludente che finisce col coinvolgere malamente due attori come Paolo Pierobon e Tommaso Ragno, una regia che con la asprezza e la spregiudicatezza del racconto, con le immagini strane e sghembe, con certi primi piani che non sai se di terrore o d’effetto sfacciato, con i particolari inaspettati, con le forzature, con le tante giravolte che finiscono con l’essere la bandiera della non chiarezza, rende un cattivo servizio a una storia che doveva essere trattata in tutt’altro modo. E il pensiero corre a un certo Bertolucci, al suo protagonista malato di “conformismo”, all’epoca narrata che collima con quella di “Europa”, alla violenza e a ogni ricordo che erano morbidamente narrati. E che ancora restano nella memoria.

Elio Rabbione

Nelle immagini, Patricia Lòpez Arnaiz interprete di “Nina” e Paolo Pierobon in un momento di “Europa Centrale”.

Le tragiche avventure firmate da Ron Howard e il giallo perfetto di Battiston

Sugli schermi il 42mo Torino Film Festival

 

Arrivati al 42mo appuntamento, continua la Stella del Cinema a sorvolare in gran dinamismo, tra le luci che riempiono la notte, le piazze di Torino e i suoi monumenti, la collina e il fiume e dà inizio a quella che sarà una Festa. Festa del Cinema, dei registi e degli attori, di quanti il Cinema lo pensano e lo fanno, lo costruiscono con gli immancabili quattrini e con le idee, del pubblico che affluisce e colma le sale di proiezioni, che fatiche a trovare posti, che fin dai primissimi giorni, per abbonamenti e sbigliettamento, ha già superato i numeri dello scorso anno, della nuova strada che sembra aver preso, moderna e innovativa, glamour ma non soltanto glamour – quanti ancora vivono nell’indecisione, nella vecchia convinzione di una rassegna che da sempre ha cancellato i tappeti rossi e le vippesche presenze, di un festival vicino alle montagne, più che lodevole ma quasi obbligato a rinchiudersi in una più o meno filosofica nicchia, attendano una settimana e alla fine facciano pollice verso oppure no.

 

Arrivati al 42mo appuntamento, il TFF inaugura alla grande al Regio, tra le poltrone rosse e la volta illuminata di Carlo Mollino in un panorama all stars che allinea Sharon Stone, Ron Howard, Sarah Jessica Parker con il consorte Matthew Broderick, Claudia Gerini, Giancarlo Gianini, Rosario Dawson: e l’elenco potrebbe continuare. Tutti o quasi a ricevere nella serata d’inaugurazione e nei giorni a venire – il pubblico non dimentichi l’ultimo colpaccio del nuovo direttore Giulio Base, ovvero Angelina Jolie alle 17 di domenica 24 al cinema Ideal per presentare “Without Blood” da lei scritto, diretto e prodotto, ricavato dall’omonimo romanzo di Alessandro Baricco, che l’affiancherà nel corso della serata – la Stella della Mole, di cui il cinema d’oltreoceano continua a fare raccolta. 

L’inaugurazione è stata affidata a “Eden” diretto da Ron Howard, ispirato a una storia vera, narrata a suo tempo in due opposte versioni. Tra le due guerre mondiali, giungono all’isola di Floreana, nel gruppo delle Galapagos, il dottor Friedrich Ritter e la sua amante Dore, lui nella convinzione di trovare nuovi sviluppi ai propri studi; a seguire, spinto da quell’esempio, Heinz Wittmer, un ex militare, con la giovane moglie e il figlio, e la Baronessa, avventuriera con al seguito un paio d’amanti, disposti a essere suoi lavoratori, secondo gli umori della donna. Che ha in mente di costruire nell’isola un lussuoso hotel per gente danarosa e con quelle intenzioni pretenderebbe l’isola tutta per sé. Medesima è la volontà di Ritter: inevitabile lo scontro tra quei differenti gruppi, troppo diversi l’uno dall’altro, le conseguenze saranno disastrose nella distruzione di un autentico paradiso terrestre. Grande cast (Jude Law, Vanessa Kirby, Daniel Bruehl e Ana De Armas) e panorami mozzafiato, sospetti e il peggiore vitalismo, il “Dorian Gray” di Wilde posato su un tavolo e le citazioni di Nietzsche, psicologie raccontate con estrema attenzione, un alto senso dell’intrigo sino a fare del film un thriller perfetto e dello spettacolo.

Non appena uscirà sugli schermi (28 novembre) non lasciatevi scappare “Il corpo”, presentato qui fuori concorso, scritto (con Giuseppe Stasi, le radici stanno nello spagnolo “El cuerpo” di Oriol Paulo) e diretto da Vincenzo Alfieri, presentato al festival fuori concorso, dove un maiuscolo Giuseppe Battiston, messo a troneggiare sul podio più alto, mostra tutta la sua bravura come forse non l’ha mai fatto, uomo di legge che non incappa per nulla nei luoghi comuni e nei tic che gli abbiamo visto coltivare nel recente “Stucky” televisivo, sbiadita copia trevigiana del tenente Colombo. Giallo a tutto tondo, raccontato con un montaggio del tempo presente e di flashback a cui ancora sovrintende il regista decifrando a poco a poco il passato, “Il corpo” è la storia della sparizione del corpo di Rebecca Zuin (Claudia Gerini), una affascinante imprenditrice dell’industria farmaceutica, dalle stanze buie e spettrali di un obitorio, in una città perennemente ripresa sotto scrosci di pioggia senza posa. Per i tanti frammenti che s’inseguono con intelligente velocità, i sospetti cadono immediatamente sul consorte, tolto ai corsi universitari di chimica e coccolato con quozienti alti di sesso, con macchine sportive come continui regali con tanto di fiocco rosso in bella mostra, con case avveniristiche con piscina, accrescendo l’uomo la propria personale ricchezza con relazioni extra che vanno dagli ardori della cognata a quelli di una ragazza incontrata per caso a una festa. Deve assolutamente far luce su tutto quanto l’ispettore Cosser (Battiston), tra considerevoli dosi d’ironia e di acume e di scatti di rabbia che non gli spetterebbero visto l’abito che indossa. Strada tortuosissima quella percorsa da Alfieri, ma pienamente vinta, con un rebus immerso in ambienti eleganti e fatiscenti allo stesso tempo, con dialoghi che mai inciampano nel banale, con piccole disseminazioni che sino all’ultima manciata di minuti lasciano lo spettatore a chiedersi della colpevolezza di quel poverocristo di marito che s’è preso alla fine venticinque anni di carcere. Assolutamente da vedere per chi ama il giallo di casa nostra, maledettamente bel congegnato e con leggi precise tenute con l’occhio del gran maestro.

Tenta il ritratto della natura incontaminata e solitaria, della vecchiaia, del dolore soffocato e della solitudine Charlie McDowell – il figlio del Malcom dell’”Arancia meccanica” kubrikiana – in “The Summer Book”, fuori concorso, tratto dal romanzo del finlandese Tove Jansson. Tenta perché la materia che può trovare liberi spazi in un libro davvero stenta a prendere corpo e spessore se portata sullo schermo. Racconta di Sophia, bambina di nove anni, e della sua nonna, a cui con molte probabilità non resta più molto da vivere. C’è anche il padre di Sophia, rimasto vedovo, tutti si insediano su di una spoglia isola della Finlandia, per parlare di vita e della sua spicciola filosofia, per dare un’occhiata a un vecchio faro e per salvarsi da una tempesta, per rinvigorire qualche albero e per scoprire un piccolo gatto all’interno di una scatola, per cercare quella pace che solo quell’angolo di paradiso può offrire, per trovarsi davanti qualche sconosciuto vicino, per improvvisare una festicciola di mezza estate, per scoprire parole nuove. La materia non è delle più ricche e avvincenti, dopo la prima mezz’ora il gioco, seppur sincero, non regge più e anche Glenn Close viene catturata in un tentativo affatto riuscito.

Elio Rabbione

Nelle immagini, Ron Howard durante le riprese di “Eden”, Giuseppe Battiston in “Il corpo” (foto di Gianfilippo De Rossi) e Glenn Close interprete di “The Summer Book”.

Sotto i portici di via Sacchi il talento contagia

I portici torinesi di Via Sacchi sono tra quelli noti a Torino, una cifra urbanistica e architettonica della città. Via Sacchi è ad un passo dalla Grande Stazione Porta Nuova con una sua storia, in pieno centro ma sulla veloce traiettoria verso Stupinigi. Via Sacchi residenza storica di personaggi famosi, di belle vite. Chi vive lì ha tanto da raccontare e merita un nuovo impulso che durante il giorno restituisca il dinamismo commerciale e culturale appartenuto alla zona in passato.

Con questi obiettivi ecco domenica 24 novembre la seconda edizione di Sacchi di Talento. Un evento, appoggiato fin da subito con calore dall’Assessorato al Commercio, sostenuto dai commercianti della Via –Caffetteria  “artigianale” Donna Rosa e Madama Giancarla in testa e la nota Pasticceria Pfatisch dall’altra lato del percorso , e animato dal talento degli operatori creativi della neo nata Associazione Fatto-a-mano.

Evento culturale sfaccettato e ricco di stimoli proprio per dimostrare quanto straordinario e virtuoso contenitore di talento possano diventare i Portici.  Tra una colonna e l’altra, dalle ore 10 alle 18, esporranno 30 creativi artigianali di vario e differenziato ambito, di qualità. Ed alcuni di loro organizzeranno per adulti e piccoli (perché Sacchi di Talento è pensato anche per loro) laboratori e workshop a tema.

Ma il talento è anche proposto dalla musica dell’eclettico duo acustico Paola & Renata, voce femminile e chitarrrista con un vario repertorio internazionale

E poi ancora libri con la nuova pubblicazione di Francesco Nugnes e Angelo Toppino “Incontriamoci a Torino”: un viaggio nel tempo, nella storia e negli angoli di Torino attraverso parole, documenti, poesie e le fotografie Ana Maria Dinu.

L’Associazione Fatto-a-mano nella mattinata di domenica organizza uno dei suoi tipici Tour  guidati,  che quest’anno prevede la visita di due musei “unicum” della città, un suo vanto di recente apertura: Il Choco Story Museum in Via Sacchi e il piccolo Museo della Scrittura manuale in Via San Secondo. Ci sarà modo di apprezzare anche i primi pannelli del progetto “Arte in transito”, sempre nell’ottica della riqualificazione artistica della via.

A poco tempo dall’appuntamento natalizio, Sacchi di Talento diventa una vetrina anticipata per i regali . Non doni qualsiasi ma pensieri unici, rigorosamente fatti a mano e made in Italy, conattenzione al riciclo e all’impatto ambientale. Per un consumo ed un acquisto consapevole che siamo certi gradirà anche il destinatario del regalo. Perché il talento contagia ed è una catena virtuosa di positività.



“Lapponia”, risate e riflessioni, ovvero si fa in fretta a dire Natale!

Al Gioiello, sino a domenica 24

Si fa in fretta a dire Natale. Con tutto il suo carico di buone intenzioni, promesse, sorrisi da ogni parte e abbracci anche a chi non si vede da secoli, e tavole e brindisi e montagne di regali. Un gran bel castello di sabbia – per qualcuno o per molti – che un’onda più grande è lì a rovinare o a distruggere del tutto. Immancabilmente, c’è chi tenta di salvare il salvabile ma i tanti giuochi per rimettere ordine e continuità sono sempre più pericolosi e difficili e troppe volte procurano altri guai. Per le festività corrono al nord della Finlandia, nella bianca e fredda Lapponia, Monica e il marito spagnolo Ramon (che pare uscito mezz’ora prima dall’ufficio) con il loro Giuliano per festeggiare con Silvia, sorella trasmigrata di lei onde sposare il nativo Olavi e mettere al mondo la piccola Aina. Tutto potrebbe o dovrebbe filar liscio tra una mezza dozzina di esseri umani che da un po’ di tempo non si vedono e avrebbero saccate di cose da raccontarsi e spartire: ma lassù tra i ghiacci il truce destino vuole che Aina, prole infervorata e troppo sveglia di quattro anni, racconti solerte al cuginetto che Babbo Natale non esiste, che altro non è che una pura invenzione, una grossa bugia dei grandi per mettere tranquilli i bambini e costringerli a comportarsi secondo le migliori maniere. Mentre la duplice prole se ne sta di là a giochicchiare e a frignare (non li vedremo mai in scena, ne sentiremo di tanto in tanto le voci registrate), attorno al tavolo dei perduti festeggiamenti, davanti alla grande vetrata che riflette un paesaggio di abeti e di neve che più serafico non potrebbe essere, in attesa dell’aurora boreale forse rappacificatrice, iniziano a scannarsi gli adulti, scambiando quell’angolo di paradiso per un campo di battaglia dove viaggiano ormai in piena libertà volgarità con scontri fisici inclusi, avendo a contorno, mettendole allo scoperto, quelle confessioni che nessuno ha mai avuto il coraggio di fare finora. Non è soltanto affrontare il problema se ai due ragazzini siano migliori la verità o le bugie, se sia sempre più lodevole lasciare pieno spazio a quella e a quel carico di magia e di illusioni che queste si portano dietro. Perché sono le tradizioni che se ne vanno, i valori familiari cileccano (perché non mi hai chiamata al capezzale di nostro padre mentre stava per andarsene?), le scoperte improvvise e certo inattese (perché Silvia e Ramon da un po’ di tempo si scambiano mail?), certe paternità non proprio sacrosante da sempre tenute nascoste (visto che anche voi la vostra bella bugia l’avete detta?). E via di questo passo.

Lapponia”, autori Marc Angelet e Cristina Clemente, successo a furor di popolo in Spagna e Sud America, guarda nella versione italiana di Pino Tierno, azzeccatissima e tutta nostra, con i suoi sapori tutti di casa nostra, alla famiglia e al cuore suo più interno con una spregiudicatezza così acida e abbrutita che più non si potrebbe. Attraverso una drammatica quanto divertente scrittura che costruisce situazioni e dialoghi e battute a raffica pronte a squadernare risate su risate, la commedia è anche un bell’esempio da cui tirar fuori riflessioni sui rapporti e sul nostro vivere quotidiano che abbiamo costruito e sulle convinzioni che ognuno porta dentro sé, in opposte posizioni: in fondo, fatti di che? Ironia, divertimento, pensieri che riempiono appieno la serata, in un successo incondizionato.

Per la regia di Ferdinando Ceriani che dà un ritmo ai 90’ minuti della vicenda senza un attimo di tregua e nella scenografia di Pier Paolo Ramassa – le pareti in legno, la grande vetrata, l’ambiente ovattato che dovrebbe esprimere calore, una lode a parte – si muovono i quattro interpreti. Come due farfalle sempre più impazzite le presenze femminili, Miriam Mesturino virago tutta scatti e acidume che tutto ordina e che tutto è convinta d’aver previsto secondo il migliore dei modi, e Cristina Chinaglia, capace di accomodare ma anche di gettare qua e là tizzoni ardenti in mezzo ai familiari. Sergio Muniz ci mette pacatezza e tentativi di quieto vivere mentre Sebastiano Gavasso, il nordico che viaggia per leggi libertarie tutte sue, è il più convincente di tutti, attraversando la storia a suon di piatti finlandesi e invettive in lingua, avventurandosi tra l’altro in massime che iniziano con l’affibbiare un retaggio di bugiarderie a tutto il sud dell’Europa e ritagliandosi un successo personale.

Elio Rabbione

Le foto dello spettacolo sono di Maria Letizia Avato.

Tff al via: oltre ai tanti film, quante stelle sul red carpet torinese

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Una festa per la città, dal 22 al 30 novembre, con la prima volta del direttore Giulio Base

 

Pare proprio che si volti pagina, che il 42mo TFF abbia altre sembianze. Non tanto quella sfrondatura di titoli, da 180 e forse qualcosa di più si passa a 120 e il che non può che fargli bene con quel po’ di spiragli e di respiro offerti nei nove giorni di festival (dal 22 al 30 novembre), ma soprattutto quell’affollato andare e venire sul red carpet di celebrità di casa nostra e di star d’oltreoceano – portati in riva al Po con aerei di linea, si assicura, i jet privati sono ferocemente banditi per non superare quei 2,2 milioni che sono il budget previsto – che se insegue una certa atmosfera capitolina (non dico croisettiana o lagunare) rischia di soffocare o per lo meno mettere a sbiadire, in questo novembre torinese fatto si spera di ultime calde luci e di temperature ancora non proprio troppo fredde, quella certa abituale nicchia di cinefili incalliti, di scopritori di pietre preziose e di rarità su cui poi accanirsi a discutere.

Quel certo raccoglimento sabaudo (?) che da decenni ha impresso una cifra ben precisa alla manifestazione, attraverso altre sigle o etichette, attraverso altri direttori, attraverso altre epoche. Qualcuno ha già arricciato il naso nello spavento di una resa d’identità, evvia, aspettiamo i risultati finali, di partecipazione e di ritorni d’immagini e di quant’altro ci si possa augurare da un nuovo corso. Innegabile che anche soltanto per “vedere” cotante glorie cinematografiche il pubblico crescerà, accalcato e vociante, si spera presente pure alle proiezioni, e interessatissimo.

“La colonna vertebrale del Torino Film Festival – assicura Giulio Base freschissimo direttore, rincuorando tutti – è da sempre cinefila e autoriale e tale rimarrà anche in questa edizione, resterà una proposta di film dallo spirito libero, originale, indipendente, graffiante: la lineaguida principale è infatti proprio quella di un festival che torna allo spirito del Cinema Giovani, contenuto fin dal nome dal principio della nostra storia.” Sei sezioni “ben distinte e di facile fruizione”, tre donne – Margaret Mazzantini, Roberta Torre e Michela Cescon – presidenti delle giurie, particolare attenzione al sociale e riconferma di un impegno alla sostenibilità ambientale. Con première d’eccezione al Teatro Regio madrina Cristina Capotondi e Baratti&Milano che diventa lounge del Festival.

Presenze richiamate dal pacchetto dorato delle Stelle della Mole sono Ron Howard che aprirà con il suo ultimo “Eden”, un drama thriller interpretato da Jude Law e Vanessa Kirby, giorni di paura per una coppia di scienziati tedeschi che alla fine degli anni Venti si trasferiscono alle Galapagos, il nostro Giancarlo Giannini che verrà a raccontarci e a rivedere con noi il suo “Pasqualino Settebellezze”, Rosario Dawson che presenta “Kids” di Larry Clarck e Alec Baldwin a riproporre le immagini di “Caccia a Ottobre Rosso” (stracarico di passaggi televisivi!), Matthew Broderick, in compagnia della consorte Sarah Jessica Parker colonna di “Sex and the City”, a ripensare al suo rapporto (idilliaco? burrascoso?, lo sapremo) con Marlon Brando durante la lavorazione di “Il boss e la matricola”, Vince Vaughn con “Swingers” di Doug Liman e Julia Ormond con “Here’s Yianni” diretto da Christina Eliopoulos, Ornella Muti e Michele Placido ad accompagnare “Romanzo popolare” di Mario Monicelli del 1974, Emmanuelle Béart che presenta il suo documentario “Un silence si bruyant”, diretto con Anastasia Mikova (un’opera per dare voce alle vittime di violenza sessuale, incoraggiandole a superare la vergogna), last but di certo non least Sharon Stone che ci entusiasmerà con tutti i segreti del “suo” – fu interprete e produttrice – “Pronti a morire”, western che vide Sam Raimi dietro la macchina da presa. La chiusura del festival rimarrà in zona, con Billy Zane – il cattivone di “Titanic”, presente in sala – interprete, “con una stupefacente e totale immedesimazione”, di “Waltzing with Brando”, diretto da Bill Fishman, presentato qui in anteprima mondiale, racconto di un progetto dell’attore per la costruzione di un ressort per le vacanze a Tahiti all’inizio dei Settanta.

Chicche preziosissime per questa ventata d’aria nuovissima che il nuovo direttore si è assicurato, accaparrato con viaggi e telefonate lunghissime crediamo, longa manus e contatti coltivati a regola d’arte. Magari qualche insistenza avrà dovuto usarla anche lui ma poi tutto è andato felicemente in porto. Chicca preziosa e doverosa nel centenario della nascita dell’attore – e di questo al direttore sia reso grazie e merito – il ciclo di film che riproporrà la figura e l’arte di Marlon Brando, lui preso a immagine dell’odierno TFF, con quell’angolo di sorriso, intento a sistemarsi il nodo della cravatta rossa, il viso bellissimo, erano le immagini di “Ultimo tango a Parigi”, un omaggio sacrosanto che va dal 1950 al 1994, che non guarda ai capolavori o ai film più che zoppicanti, accettati e fatti per il pagamento delle solite bollette di casa, ventidue titoli tutti insieme, una scorpacciata da non perdere, da far entrare assolutamente tra una proiezione e l’altra del concorso: dal “Tram che si chiama desiderio” a “Giulio Cesare” al “Selvaggio”, da “Fronte del porto” a “Bulli e pupe” ai “Giovani leoni”, da “Pelle di serpente” con Anna Magnani agli “Ammutinati” e “La caccia”, dal “Padrino” ad “Apocalypse Now” a “Missouri”, ogni proposta introdotta da un critico.

120 film scelti sui 5500 titoli pervenuti, 96 lungometraggi e 24 cortometraggi, 23 anteprime mondiali e 22 anteprime internazionali, 13 anteprime europee e 24 anteprime italiane. Tra i sedici film del concorso principale, “Europa Centrale” di Gianluca Minucci, un kammerspiel metafisico sulla lotta politica ambientato nell’aprile del ’40 in un viaggio in treno di una coppia di comunisti (Paolo Pierobon e Tommaso Ragno) a cui è affidata dal Comintern una importante missione, e “N-Ego” di Eleonora Danco, anche interprete travestita da manichino “dechirichiano nei suoi tanti incontri con personaggi che rispecchiano le sue paure e i suoi desideri. Da Tunisia e Argentina, da Ucraina e Belgio e Brasile, da Iran e Danimarca e Stati Uniti tra gli altri in arrivo le altre pellicole, grande attenzione ad argomenti femminili, una nascita inattesa e il desiderio di diventare madri, attrici che riempiono un set di vita reale, insegnanti con la personale infertilità e allieve che rimangono incinte, vendette sull’uomo che fa rovinato una vita, il desiderio di guardare a un futuro o forse la necessità di aggrapparsi ad un passato, la ribellione di una donna e giornalista a un regime che reprime. 

Nella sezione “Fuori concorso” interessanti si preannunciano “Le barbares” di Julie Delpy, una cittadina della Bretagna pronta ad accogliere i rifugiati dell’Est Europa ma qualcosa si guasta allorché ad arrivare sono invece dei profughi siriani; “Il corpo” di Vincenzo Alfieri, con Claudia Gerini, giallo in piena regola per scoprire chi abbia causato la morte di una ricca imprenditrice e la sparizione del suo corpo, “Un natale a casa Croce” in cui Pupi Avati racconta del filosofo e della sua amicizia con Giovanni Gentile, guastata dall’arrivo del fascismo, “Paradis Paris” di Marjane Satrapi, dove un gruppo di parigini, fra cui Monica Bellucci, affronta la morte, “Riff Raff” di Dito Montiel, dove un vecchio criminale dovrà affrontare a Capodanno i vecchi nemici che sono venuti a cercarlo e “The Summer Book” diretto da Charlie McDowell, figlio del Malcom dell’”Arancia Meccanica”, l’ultima estate di una nonna (Glenn Close) che sta per morire, in compagnia della piccola nipote Sophia su un’isola della Finlandia. Altra sezione, “Zibaldone”, altri titoli da tenere d’occhio. Dopo più di vent’anni Maurizio Nichetti torna al cinema in compagnia di Angela Finocchiaro e Serra Yilmaz con “Amichemai”, “From Ground Zero” in cui il regista palestinese Rashid Masharawi raccoglie 22 cortometraggi realizzati da alcuni registi di Gaza, “La musica negli occhi” di Giovanna Ventura sul rapporto di lavoro e di amicizia soprattutto tra Fellini e Nino Rota e tra Ettore Scola e Armando Trovajoli, “Perfect Number” di Krzysztof Zanussi, il giovane David, matematico polacco ha dedicato la sua vita ai numeri sacrificando i propri sentimenti: l’incontro con il cugino Joachim lo costringerà a riconsiderare le sue scelte.

Elio Rabbione

Nelle immagini: Jude Law w Vanessa Kirby sono gli interpreti di “Eden” di Ron Howard, film d’apertura del festival; Marlon Brando e Vivien Leigh in una scena di “Un tram che si chiama desiderio”, inserito nella rassegna sull’attore di cui cade il centenario della nascita; Tommaso Ragno in “Europa Centrale” di Gianluca Minucci e una scena di “N-Ego” di Eleonora Danco, entrambi in concorso per l’Italia.