Cosa succede in città- Pagina 17

Camera, in mostra ‘Henri Cartier Bresson e l’Italia’ e il torinese Riccardo Moncalvo

 

Dopo il successo delle mostre dedicate a due grandi maestri della fotografia italiana e internazionale come Tina Modotti e Mimmo Jodice,  Camera inaugura il periodo espositivo 2025 con le mostre dedicate a ‘Henri Cartier Bresson  e l’Italia’ e “Riccardo Moncalvo. Fotografie 1932-1990”. 

La mostra su Henri Bresson, ‘l’occhio del secolo’, è  curata da Clément Chéroux e Walter Guadagnini in collaborazione con la Fondation Henri Cartier Bresson e propone un racconto dedicato al legame tra il fotografo francese e l’Italia, uno dei Paesi da lui più frequentati e amati. L’esposizione è scandita cronologicamente dai viaggi del fotografo attraverso il territorio, da Nord a Sud , dall’effervescenza che il paesaggio, soprattutto umano, è stata in grado di trasmettergli e dalla ricchezza delle testimonianze documentali, tra giornali, riviste e libri, capaci di raccontare le tappe del rapporto del maestro con l’Italia.

L’esposizione,  promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, presenta160 immagini che si focalizzano su alcuni temi e periodi centrali della carriera del fotoreporter a partire dagli anni Trenta. È  proprio nel corso di questo primo viaggio che il fotografo, ancora giovanissimo, acquisisce nuove consapevolezze sulla sua carriera e definisce la cifra stilistica che lo renderà riconoscibile  in tutto il mondo.

Nato nel 1908 da una famiglia benestante, dopo aver studiato pittura con André Lhote si introduce nel circolo surrealista parigino e nel 1932 visita per la prima volta l’Italia. Nonostante sia all’inizio della sua carriera, è in quel periodo che definisce alcune tematiche che caratterizzeranno tutta la sua successiva produzione artistica, come la straordinaria gestione dello spazio immagine, il rapporto tra realtà e invenzione e la capacità di cogliere l’istante, in particolare all’interno di alcuni paesaggi urbani si nota un processo di geometrizzazione del reale che è testimonianza di un suo uso mentale della macchina fotografica. 

Dopo aver fondato con Robert Capa, David Chim Seymour, George Rodger e William Vandivert l’agenzia Magnum Photos nel 1947, il fotografo torna in Italia nel 1951, in un Paese profondamente cambiato , reduce dalla sconfitta della seconda guerra mondiale e in corso di ricostruzione. In qualità di fotoreporter realizza servizi per diverse testate internazionali concentrandosi soprattutto su Roma e sul Sud Italia, due luoghi che presentano caratteristiche sociali e visive ben riconoscibili. Questi scatti documentano il disagio e le criticità del contesto sociale meridionale e le novità introdotte dalla riforma agraria.

Tra gli anni Cinquanta e Sessanta  Cartier Bresson lavora a numerosi servizi sulle città di Roma, Napoli e Venezia, nei quali ai può apprezzare la sua capacità  di interpretare la vita quotidiana delle città e dei loro abitanti, dall’altro la sua abilità di ritrattista anche degli intellettuali del tempo, come Pier Paolo Pasolini, Roberto Rossellini, Giorgio De Chirico.

L’ultimo periodo italiano risale agli anni Settanta, poco prima di allontanarsi dalla fotografia professionale, quando il fotografo si focalizza sul rapporto tra uomo e macchina e sull’industrializzazione,  in particolare del Sud Italia.

La mostra si chiude idealmente con il ritorno a Matera per raccontare, negli stessi luoghi fotografati vent’anni prima, la nuova realtà che avanza con la modernità,  rimanendo comunque imprescindibilmente legata alla realtà locale.

La Project Room di Camera, fino al 6 aprile prossimo, ospita l’esposizione dedicata a ‘Riccardo Moncalvo. Fotografie 1932-1990’ a cura di Barbara Bergaglio. L’importante fotografo torinese inizia ad approcciarsi al mezzo fotografico appena tredicenne, seguendo le orme paterne. Moncalvo lavora sin da subito a fianco delle massime istituzioni culturali torinesi, il Museo Egizio, l’Armeria Reale, ma anche  a fianco di realtà industriali come Fiat, Pininfarina e Recchi.

Si tratta di attività commissionate, che permettono di instaurare un forte legame con il territorio rendendolo testimone di cambiamenti urbani e sociali. Il fotografo torinese sviluppa, così,  un “linguaggio autonomo” con una particolare sensibilità per la modernità, che lo porta negli scatti tra fine anni Trenta e fine anni Quaranta ad accostarsi al linguaggio della Nuova Visione.

A questa attività Moncalvo affianca quella della ritrattistica che lo vede immortalare momenti privati e pubblici di tante famiglie torinesi dell’aristocrazia e della grande borghesia.

Il riconoscimento internazionale arriva negli anni Cinquanta, quando viene selezionato dall’Agfa- Gevaert per apprendere il nuovo metodo di stampa a colori: da lì seguirà l’adozione delle pellicole negativo/positivo, della ferraniacolor arrivando nel 1958 a essere il primo in Italia autorizzato da Kodak all’uso delle sue pellicole.

La mostra di Camera raccoglie cinquanta stampe vintage, in bianco e nero e a colori, provenienti dall’Archivio Riccardo Moncalvo e altri materiali originali provenienti da collezioni private, che ripercorrono quasi sessanta anni di carriera.

In occasione dei Giochi Mondiali invernali Special Olympics Torino n. 2025 una sezione della  mostra sarà ospitata a Sestrieres: venti scatti iconici di Riccardo Moncalvo racconteranno le evoluzioni del campione di sci alpino Leo Gasperl.

Camera, Centro Italiano per la Fotografia 

Via delle Rosine 18

Henri Cartier Bresson e l’Italia dal 14 febbraio al 2 giugno 2025

Riccardo Moncalvo Fotografie 1932-1990  dal 14 febbraio al 6 aprile 2025

Mara   Martellotta

Torino, Città degli Innamorati: Itinerari tra Passione e Storia

SCOPRI – To  ALLA SCOPERTA DI TORINO 
Torino offre agli innamorati scorci affascinanti e atmosfere uniche in ogni angolo della città, racchiudendo un pezzo di storia e un tocco di romanticismo.
Cominciamo con alcuni degli itinerari romantici presenti in questa splendida città sabauda, una passeggiata nel cuore del centro storico partendo da Piazza Castello con i suoi eleganti portici e i palazzi storici, la bellezza regale del Palazzo Reale e di Palazzo Madama crea un’atmosfera senza tempo, attraversando poi Via Po si arriva fino a Piazza Vittorio Veneto una delle piazze più grandi d’Europa con vista sul fiume più lungo d’Italia, il lungo Po che rappresenta uno dei luoghi più suggestivi della città, perfetto per lunghe passeggiate mano nella mano, il Ponte Vittorio Emanuele I° conduce alla chiesa della Gran Madre e alla salita verso il Monte dei Cappuccini uno dei punti panoramici più spettacolari di Torino dove ammirare il tramonto sui tetti della città e la magia delle luci che si accendono rende questo luogo una tappa obbligata per chi cerca momenti romantici.
Continuiamo con i Giardini Segreti e i romantici parchi.
Torino è una città verde ricca di giardini e parchi ideali per chi desidera un momento di tranquillità immerso nella natura come il Parco del Valentino che è senza dubbio il più iconico con i suoi viali alberati, le panchine appartate e il suggestivo Borgo Medievale che ricrea un’ambientazione ed un’atmosfera da favola; camminare lungo il fiume tra alberi secolari e fontane consente di ritagliarsi attimi di dolcezza lontano dalla frenesia urbana. All’interno del parco si trova il Giardino Roccioso,  un angolo incantato con ruscelli e ponticelli perfetto per una dichiarazione d’amore. Un altro paio di luoghi speciali sono il Parco della Tesoriera con il suo elegante viale centrale e la villa storica che lo rende uno dei giardini più romantici della città e, per chi desidera un’atmosfera ancora più esclusiva, vale la pena scoprire il Parco del Nobile sulla collina torinese un’oasi poco conosciuta, ma ricca di fascino ideale per un picnic al tramonto o una passeggiata tra i sentieri alberati.
Dulcis in fundo occorre scoprire i luoghi perfetti per una Cena Romantica e un Brindisi d’Amore.
Per concludere una giornata all’insegna del romanticismo Torino offre una vasta scelta di ristoranti e caffè storici perfetti per una cena a lume di candela; il Caffè Fiorio in Via Po con la sua atmosfera d’altri tempi è l’ideale per gustare un “bicerin” torinese tra arredi eleganti e specchi dorati. Per chi cerca un ristorante con vista può optare per i locali sulle colline torinesi come Villa Somis o il Ristorante del Cambio che unisce storia e raffinatezza; la tradizione gastronomica piemontese offre piatti ricchi di sapore da gustare accompagnati da un buon bicchiere di Barolo o Nebbiolo mano nella mano.
Per chi preferisce un’esperienza più informale ma altrettanto romantica il Quadrilatero Romano è il quartiere perfetto con le sue piazzette illuminate e i locali intimi dove sorseggiare un cocktail e condividere un momento speciale con la propria dolce metà.
Un’alternativa che è anche un ultimo tocco di magia ed un salto nel passato può essere quella di cenare in alcuni particolari tram storici che attraversano il centro di questa splendida città sabauda scoprendo scorci serali magnifici e permettono di degustare cene decisamente romantiche ed indimenticabili a lume di candela, .
e suggellare una giornata speciale magari  con una promessa d’amore.
NOEMI GARIANO

Sogni fatti in grande, quando Dante Ferretti incontrò Pasolini

La prima volta che l’ho visto era di spalle, se ne era appena uscito dal parrucchiere di via Ripetta dove era solito andare lui”. È il primo ricordo, di un giovanissimo Dante Ferretti oggi fresco e divertito (è riuscito allegramente persino a disegnarsi la prossima sua sede al Verano) ottantaduenne, che dà il via a tutti gli altri disseminati nel piccolo volume, un centocinquanta pagine per una decina di capitoli, “La bellezza imperfetta. Io e Pasolini” che il maestro della scenografia cinematografica ha scritto con David Miliozzi per le edizioni Pendragon e presentato al Circolo dei Lettori in compagnia di Giulio Base, effervescente direttore del TFF. “Io e Pasolini avremmo poi fatto otto film insieme, siamo partiti dal “Vangelo secondo Matteo” sino a “Salò”, nel ’75. Alle prime dei film, tutti, c’era sempre sua madre Susanna, le interessava conoscere le reazioni del pubblico. Invece per “Salò” non c’era nessuno, in una sala di Parigi, Pier Paolo se n’era andato, ucciso quel due novembre, proprio due settimane prima”, il 2 quando Ninetto Davoli fu condotto all’Idroscalo di Ostia a riconoscerne il corpo e quel viso semicoperto dal fango. “È stato il poeta per eccellenza del cinema italiano”.

Otto film insieme, un buon tratto di vita. Ma il libro è anche la storia di un ragazzo di Macerata, per cui qualcosa stava già scritto nelle stelle se scampa alle incursioni degli aerei inglesi, al riparo di un grande mobile nella casa che non esiste più, se passata la paura la prima parola che pronuncia è “ciac”, se all’indomani degli esami di stato, dopo un percorso scolastico ingeneroso e semicatastrofico in cui anche la ginnastica faceva acqua – impiegato quasi ogni giorno a scappare al cinema Italia, per uno due tre film, con i soldi fregati la notte prima – ed un brillante esito, conseguito con grande onore, dopo un tour de force per lui non indifferente, chiedeva al padre, proprietario di una piccola falegnameria, il permesso di andare a Roma a frequentare l’Accademia di Belle Arti. Ad avvicinarsi al mondo del cinema il passo è breve, l’architetto Aldo Tomassini lo promuove sul campo assistente scenografo: e sono subito due peplum, dove la costa e le alture del Conero sono reinventate a luoghi avventurosi dei Caraibi. Poi arriva il grande cinema, ma arriva con la figura spesso ingombrante di Luigi Scaccianoce, impiegato nel ’64 su differenti set, indifferentemente, con Luigi Vanzi che sta girando “Sette a Tebe” e con Maselli del certo più quotato “Indifferenti” e con “Amori pericolosi” della coppia Questi/Giannetti. Nel “Vangelo” di Pasolini, appunto. In un continuo spostarsi e andare e venire, con Scaccianoce che arrivava ed era assente, c’era parecchio da fare per il Ferretti poco più che ventenne.

E sarà un’altra promozione, conquistata a testa alta. Arrivano “Uccellacci e uccellini”, una esplosione per Totò, un quasi canto del cigno, “Edipo re” e finalmente “Medea”, definitivamente suo, dall’a alla zeta, senza più intermediari o doppie firme o qualcuno da rimpiazzare questo o quel giorno, per questa o quella scena. Inizia un completo lavoro insieme, una quotidianità e un confronto, un rispetto e un’amicizia, la devozione di un allievo verso chi è stato il suo primo maestro e la gratitudine (“ma ci siamo sempre dati del lei”), ogni attimo nelle pagine di “Bellezza imperfetta”, fatte altresì di ricordi come di schizzi e bozzetti e fotografie: “Le cose fatte bene – nel ricordo di Ferretti le parole del grande intellettuale italiano, perennemente critico, perennemente acuto osservatore, perennemente capace di sopravanzare ogni cosa con un pensiero – sembrano finte, l’imperfezione è necessaria perché appaia la verità”. Il ricordo di una ripresa a Napoli, dietro la chiesa di Santa Chiara, per il “Decamerone”, un gioco tra ragazzi, la “scivolarella” ambientata tra un insieme di angoli medievali e già rinascimentali: anche quella era una imperfezione che raggiungeva la bellezza, “le cose giuste sono sempre le cose sbagliate”. Asprezze e verità incanalate, trasmesse dentro una filmografia che ha portato tra gli altri ai mondi pieni d’incanto di Scorsese, di Burton e di Minghella (“anche a quelli inventati per “Le avventure del barone di Munchausen” che i critici americani hanno osannato come le più belle scenografie della storia del cinema”) e a tre premi Oscar, a quattro BAFTA e altrettanti David di Donatello e a dieci Nastri d’argento, una bella esposizione sui ripiani della casa romana (sarebbe sufficiente ricordare quelle per “Gangs of New York” – sono state “una enorme falegnameria” e nella fiumana di ricordi che Miliozzi e Base cerca di incanalare a volte a fatica va ancora il grazie alla squadra di attrezzisti, falegnami, pittori, stuccatori che diedero vita a un capolavoro – che giacciono a Cinecittà, all’aperto, viste da chi scrive questa nota in un giorno di dicembre di pioggerella e melmoso, mentre andrebbero senza dubbio conservate in un museo).

Poi i nomi di Petri e di Ferreri, poi molti altri, poi il pianeta Fellini, raggiunto soltanto nel ’78 con “Prova d’orchestra”. “Dantino” il regista di Rimini lo aveva già chiamato all’indomani di “Medea” ma lui non si sentiva pronto, “tra dieci anni, maestro, e io arrivo”. E così era stato, si era sentito pronto, “Prova” e “La città delle donne”, “E la nave va” e “Ginger e Fred” sino all’ultimo “La voce della luna”, a creare anch’essi, insieme, mondi nuovi e sogni, mentre negli anni a venire avrebbero trovato posto – con la puntuale collaborazione della moglie Francesca Lo Schiavo – le altissime prove dell’”Età dell’innocenza” e di “Ritorno a Cold Mountain”, tra i tanti tantissimi titoli. Sogni fatti a volte di niente: come quell’inizio che stava prendendo forma, impercettibile, e sistemandosi le pieghe di un immaginario abito, quando sul set di “Fellini Satyricon”, ancora sotto l’egemonia di Scaccianoce, il Ferretti di ventisei anni venne come “scoperto” dal regista, “ma lei chi è?”, “io sono qui sul set con lei da settimane”, mentre prendeva da terra un pezzo di cartone che aveva proprio quella nuance che faceva comodo al regista per un intonaco. Scaccianoce si vide azzerato quel contratto che aveva al 50%, non più rinnovato, Ferretti un riconoscibile nome nei titoli di coda. E l’altro 50% del contratto.

Di Caprio ha detto che “Ferretti è lo scenografo più emblematico del cinema italiano”, per correggersi immediatamente, “Ferretti è lo scenografo più importante della storia del cinema”. Oggi, nella sala del Circolo piena di pubblico, a noi Ferretti continua a ripetere “Pier Paolo mi ha inventato, mi ha creato per quello che sono”. E il pubblico guarda al genio, mentre si mette in fila per il firmacopie.

Elio Rabbione

San Valentino, un cuore speciale batte in piazza Castello

Betulla, garofani e cymbidium per un San Valentino intenso, profumato ed elegante. I fiorai di Torino invitano gli innamorati a lasciare un messaggio d’amore nella buca da lettere realizzata per l’occasione.

Torino, 12 Febbraio 2025  – Un cuore speciale batte nel centro di Torino per celebrare l’amore. In piazza Castello, fino al 17 febbraio, un’opera d’arte naturale, realizzata dall’Associazione Fiorai di Ascom con oltre 300 fascine di rami di betulla intrecciati, simbolo di connessione e armonia, accoglie gli innamorati e tutti coloro che vogliono lasciarsi avvolgere dalla magia di San Valentino.

Non solo betulla, ma anche fiori preziosi dai colori e dai profumi avvolgenti. Centinaia di garofani e cymbidium, inseriti tra i rami intrecciati, aggiungono eleganza e intensità: il garofano, con i suoi petali ricchi e vibranti, simboleggia la passione; il cymbidium, raffinato ed esotico, rappresenta la forza e la bellezza duratura dell’amore.

Diventato uno dei momenti più instagrammati della vita cittadina, il cuore di fiori si arricchisce quest’anno di una scultura creata per l’occasione dal giardiniere Rodolfo Marasciuolo, che rappresenta una giovane ragazza intenta a leggere una lettera d’amore accanto a una buca delle lettere. Gli innamorati potranno scrivere e imbucarvi il proprio messaggio, lasciando una traccia del loro amore. Le lettere più belle saranno pubblicate.

«L’amore è un legame che si intreccia, cresce e resiste nel tempo, proprio come i rami di betulla di questa installazione – sottolinea Maria Luisa Coppa, presidente di Ascom Confcommercio Torino e provincia –. Anche quest’anno, grazie alla creatività e alla passione dei fiorai torinesi, offriamo alla città un simbolo iconico per questa festa. Un luogo in cui fermarsi, riflettere e condividere un momento speciale».

San Valentino è una ricorrenza che i fiorai vivono con passione, un’occasione per affidare al profumo e alla bellezza dei fiori la profondità dei sentimenti amorosi. «I fiori non sono semplici regali, ma messaggi sussurrati con i colori e il profumo della natura – osserva Cecilia Serafino, presidente dell’Associazione Fiorai di Ascom –. Hanno il potere di rendere visibile ciò che a volte le parole non sanno dire, di raccontare emozioni, di fermare il tempo in un gesto sincero e prezioso. È meraviglioso vedere quante persone scelgano di affidarsi ai fiori per esprimere l’amore, la gratitudine, l’affetto: ogni mazzo, ogni intreccio, porta con sé una storia».

«Per questo – aggiunge Serafino – invitiamo a scegliere fiori freschi, meglio se locali o italiani, e a rivolgersi con fiducia ai fiorai: non siamo solo venditori, ma interpreti delle emozioni. Sappiamo ascoltare, immaginare, creare. Ogni fiore, ogni sfumatura, ogni profumo può diventare il dettaglio che trasforma un pensiero in un ricordo indimenticabile».

Un ringraziamento speciale va a Scultura Fiori, di Maria Cecilia Serafino; Dufour Fiori, di Marco Bonisolo; Petite Fleur, di Lucrezia e Paola; Cristina Franzoso, di Bruino, per l’allestimento e Mario Camoletto, della GCS, per i materiali.

Un San Valentino gioiosamente “eccentrico”

Al subalpino “OFF TOPIC” di via Pallavicino “il più amato cabaret queer” di Torino, con un cast d’eccezione

Giovedì 13 febbraio, ore 20,30

Show dalle mille sfaccettature. Perfetto per una piacevole, diversa ed “eccentrica” serata sotto il segno dell’appuntamento con la sempre gettonata festa di “San Valentino”, festa dell’amore declinato e recepito da ognuno a suo modo e piacere e come più gli / le garba. Dunque, un buon motivo per non mancare, giovedì 13 febbraio (ore 20,30) al richiamo di “The Nerve”, il più amato “cabaret queer” di Torino, sul palco dell’hub culturale “OFF TOPIC” di via Pallavicino.

Di che si tratta? Di uno spettacolo dal vivo sempre diverso, un varietà volutamente “impudente” (come spiega da subito lo stesso titolo “The Nerve”) che racconta diverse forme d’arte e di espressione: dal “drag” (che si tratti di “Queens”, “Kings” o “Things”) alla “danza”, passando per il “canto”, il “circo”, il” burlesque” e la “stand-up comedy”. Sul palco tutti/e sono invitati/e “a raccontarsi attraverso il proprio talento, senza la vergogna o la paura di affrontare temi scomodi in maniera inaspettata”.

Rispondendo al bisogno della città di Torino – sottolineano gli organizzatori – di un intrattenimento consapevole e di rottura, ‘The Nerve’ porta da un anno sul palco dell’ ‘OFF TOPIC’ artisti/e poliedrici/che del territorio e non solo. In ogni sua data, condivide il suo messaggio di accettazione della differenza e dell’altro con il suo pubblico eterogeneo e affezionatissimo, contribuendo a creare un ‘safer space’, uno spazio decisamente più sicuro”. E attirando una notevole attenzione da parte di artisti/e da tutta Italia. Così, in questa occasione, si aggiungono al “cast di resident”, i nomi di Manuela Meloni, Panthera Virus, Lina Galore e Heychardonnay.

 

Cagliaritana, autrice e voce del gettonatissimo “podcast” “Mitologia Gettata” (due serie già on line sulle principali piattaforme audio e la terza in uscita), Manuela Meloni, in arte Manume, racconta le straordinarie avventure dei personaggi della cultura classica con ironia e in modo totalmente attuale, concentrandosi sulla loro tragicomicità. Ecco che i re diventano allora sindaci, Achille un “gym-bro” e Atena “la presidentessa del club delle fighe di legno”.

“Goth sex doll” del panorama “drag” italiano, ciociara di origine e fiorentina di adozione, nonché concorrente di “Drag Race Italia Stagione 2”Panthera Virus è una bambola dannata “con una estetica sensazionalistica”. Attinge da un universo “fetish” e “goth”, e il suo drag è veicolo di protesta contro ogni tabù, con perfomance che esplorano il trauma e l’erotismo. È la musa vivente di  Matteo Carlomustofashion designer del brand “PORN COUTOURE”, che ne muove i fili.

Attuale “Next Drag Superstar” d’Italia, Lina Galore è conosciuta per il sarcasmo, la lingua tagliente e soprattutto per la consapevolezza politica. I suoi outfit e le sue performance sono commenti affilati, che cercano di sensibilizzare sugli argomenti più disparati, attinenti alla comunità “LGBTQIA+ o meno”.

Dulcis in fundo, la stella emergente del panorama drag torinese Heychardonnay, un’artista che si pone l’obiettivo di rompere i luoghi comuni e gli stereotipi attorno alla “drag queen da discoteca”Giovedì 13 febbraio, all’ “OFF TOPIC” presenterà il suo primo singolo “STAAAR”, da lei definito una “caramellina hyperpop e self-empowering”.

Per info: “OFF TOPIC”, via Giorgio Pallavicino 35, Torino; tel. 011/0601768 o www.offtopictorino.it

g.m.

Nelle foto: Panthera Virus, Heychardonnay, Manuela Meloni e Lina Galore

All’ “Environment Park” di via Livorno “Cristallo di Luce” di Diego Scroppo

Una nuova “Luce” per “Luci d’Artista”

Giovedì 13 febbraio, ore 18

E’ stato definito “progetto visionario” per la sua capacità di coniugare mirabilmente materiali come vetro, acciaio ed alluminio, al servizio di una suggestiva rievocazione delle “imponenti forme del paesaggio alpino che caratterizza la ‘landscape’ torinese”. Ad innalzarlo oltre la semplice fisicità del reale, un piccolo (ma neppure tanto) particolare, una “pianta d’ulivo”, simbolo di “resilienza” e “adattamento”, collocata al suo interno quale invito alla riflessione sul rapporto fra uomo e natura.

Parliamo della grandiosa installazione d’arte pubblica “Cristallo di Luce” creata dall’artista torinese Diego Scroppo e curata dall’Associazione “The Sharing”, nata a Torino nel 2003 da un’originale idea di Chiara Garibaldi e oggi punto di riferimento internazionale per la creazione di contenuti artistici legati all’arte digitale. L’opera di Scroppo verrà presentata ufficialmente, alla presenza delle Istituzioni e dei sostenitori del progetto, giovedì 13 febbraio , alle 18, presso l’“Envi Park” (via Livorno, 60), il “Parco Tecnologico” di Torino, che diverrà la sua sede permanente e casa ideale, in quanto luogo della città dove, da oltre vent’anni, si lavora per supportare “Pubbliche Amministrazioni” e imprese nei loro percorsi di sostenibilità ed innovazione culturale. Non solo. “Cristallo di Luce” entrerà, infatti, a pieno titolo, a fare parte della sezione “Luminarie” della rassegna torinese “Luci d’Artista”, consolidando, ancora una volta, lo stretto legame tra “arte contemporanea” e “sostenibilità urbana”. L’appuntamento rientra nel progetto “Accademia della Luce”, un percorso di iniziative e attività che integrano e accompagnano le “installazioni luminose” sul territorio cittadino sin dal 2018, sottolineando quanto la comunione tra il Cristallo” e “Luci d’Artista” avvenga pienamente all’insegna dell’intento condiviso dalla Città e da “The Sharing” di “mettere sempre di più le opere d’arte in diretta relazione con gli spazi cittadini e i propri abitanti”. Afferma lo stesso Scroppo: “Parte della mia arte è stata privatizzata, tolta al pubblico. Ma l’arte deve sempre essere pubblica; paradossalmente non appartiene nemmeno all’autore”. L’arte, dunque, come “gesto condiviso”. E sempre prodotto sotto il segno della più ampia “sostenibilità”.

Dotata di “tecnologia fotovoltaica”, “Cristallo di Luce”, nello specifico, ha infatti una profonda “anima sostenibile”: è in grado di autoalimentarsi e di generare energia, fornendo circa 900 kWh all’anno, sufficienti per ricaricare in una giornata 4 e-bike, 45 laptop a ricarica completa e 200 smartphone. Con questo progetto, “The Sharing” incontra alcuni importanti punti del Sustainable Development Goals (SDG-ONU): il miglioramento dell’efficienza globale nel consumo di risorse e nel tentare di scollegare la crescita economica dalla degradazione ambientale, la riduzione entro il 2030 dell’impatto ambientale negativo pro-capite delle città e l’implementazione di strumenti per lo sviluppo sostenibile del turismo.

Dopo gli studi alla torinese “Accademia Albertina di Belle Arti”, Scroppo, validissimo erede di una ben solida “tradizione monumentale”, mantiene un modo singolare di “fare arte” attraverso “uno stile – si è scritto – modernissino e arcaico al tempo stesso, al pari delle forme che immagina e dei materiali che usa”. Sono visioni che l’artista elabora, imponendosi di osservare il “reale” senza mai restarne del tutto soggiogato; le sue “creature” volano alto, portandoci non poche volte al confronto con certe atmosfere onirico – surrealiste in cui d’improvviso “cose” e “oggetti” si fanno originale pretesto alla messa in piena libertà di sogni, memorie ed emozioni che faticano a rapportarsi con la stessa monumentalità dei progetti. Per la realizzazione del suo Cristallo di Luce”, Scroppo si è ispirato agli antichi obelischi egizi, richiamando la loro “funzione simbolica e spirituale”. Con i suoi sette metri di altezza, “il ‘Cristallo’ incarna un dialogo tra luce e ombra, tradizione e innovazione, rappresentando un microcosmo delle tensioni e delle bellezze del nostro pianeta”. La base, che riproduce l’ombra tridimensionale del monolite, ospita i pannelli fotovoltaici, creando un “paradosso visivo”: è, infatti, nell’oscurità che la luce viene catturata e trasformata in energia.

Dopo la presentazione ufficiale dell’opera, la serata del prossimo giovedì 13 febbraio, sarà arricchita dalla “performance sonora” interattiva Suoni nella luce”ideata da “Diego Scroppo e Sintetica” e curata da “The Sharing”, che permetterà al pubblico di interagire appieno con l’opera.

Per infowww.toshareproject.it

g.m.

Nelle foto: “Cristallo di Luce” e Diego Scroppo

Sotto un cielo di stelle: riflessioni sull’inquinamento luminoso a Infini.to Planetario di Torino

M’illumino di meno – XXI Edizione
Anna Pellegrino
Barbara Bordin
Daniele Gardiol
Davide Coero Borga

La Questura commemora Palatucci, Giusto tra le Nazioni

Questa mattina la Questura di Torino ha ricordato Giovanni Palatucci, già Questore di Fiume, con la deposizione di un omaggio floreale ai piedi della targa commemorativa e dell’albero di ulivo collocati, in sua memoria, nel cortile d’onore della Questura.

Nel 1944, Palatucci, dopo aver aiutato numerose persone a sottrarsi al destino riservato loro dalle leggi razziali dell’epoca, venne arrestato dalla Gestapo e deportato nel campo di sterminio di Dachau, dove morì 80 anni fa, il 10 febbraio del 1945.

Nel 1990 è stato riconosciuto come Giusto tra le Nazioni dallo Yad Vashem (Ente nazionale per la memoria della Shoah in Israele) e nel 1995 gli è stata conferita la Medaglia d’oro al merito civile.

Nel 2004 la Chiesa cattolica lo ha proclamato Servo di Dio, titolo attribuito alle persone per le quali è stato avviato il processo di beatificazione.

La cerimonia di oggi, che ha visto la partecipazione di Dirigenti e Funzionari della Questura, è stata preceduta ieri da una Santa Messa in sua memoria presso la cappella femminile del museo Le Nuove, con la collaborazione dell’Associazione “Nessun uomo è un’isola”, per celebrare e ricordare l’esempio di un uomo “giusto”, appartenente alle Istituzioni dello Stato che ha consapevolmente messo a rischio la propria vita per salvare quella di molti innocenti.

“La Cassetta dei Ricordi” al motovelodromo Fausto Coppi

 

A Torino, l’11 febbraio alle ore 17

 

Martedì 11 febbraio, alle ore 17,nella reception del Motovelodromo Fausto Coppi di Torino, in corso Casale 144, verrà posizionata e inaugurata, alla presenza del pubblico interessato, la “Cassetta dei Ricordi”, una sorta ei buca delle lettere in cui i testimoni delle più diverse storie legate allo sport, dal ciclismo al rugby e altre iniziative, dall’opera ai concerti rock, che si sono svolte nel secolo di vita di uno dei più antichi velodromi d’Italia, nonché la più antica struttura sportive del Piemonte, potranno depositare le loro memorie, racconti, fotografie, cartoline e piccoli oggetti d’epoca. L’iniziativa, nata all’interno del progetto “Motovelodromo-il benessere per tutti: persone e ambiente al centro”, progetto di integrazione sociale volto a favorire l’incontro tra generazioni e identità diverse, il senso di comunità, la promozione e diffusione di stili di vita non sedentari avviata nel 2024 da Sport 4 Good Srl, Società benefit di rigenerazione e gestione del motovelodromo di Torino, in collaborazione con la Città Metropolitana di Torino nell’ambito del bando Inno Social Metro. I soggetti promotori sono gli editori Graphot e Scrittura pura, ben radicati a Torino nel quartiere di Madonna del Pilone, in cui visse Emilio Salgari, e dove dal 1920 sorge il motovelodromo, sotto tutela della Sovrintendenza dal 1994.

“La Cassetta dei Ricordi” è pensata in primo luogo per raccogliere in forma cartacea o su chiavetta le vicende delle storie più significative del motovelodromo e al suo contesto, per conservare e condividerle attraverso la pubblicazione di un libro in coedizione delle case editrici indipendenti Graphot e Scrittura pura, che hanno già al loro attivo il volume a doppio marchio dell’opinionista di RAI Sport Beppe Conti, “Storia e leggenda del motovelodromo”.

Per Laura Giachino di Graphot e Stefano Delmastro di Scrittura pura, che seguiranno il lavoro di raccolta, selezione e rielaborazione dei racconti e ricordi per il volume, la cui uscita è programmata per maggio, mese del Salone del Libro e del Giro d’Italia, l’idea è quella di dar vita a un libro di testimonianze, memorie e aneddoti raccontati da chiunque abbia vissuto in qualche modo il motovelodromo, il velò che ha ospitato e generato momenti straordinari che continuano a vivere nei ricordi di molti abitanti del quartiere. Si tratta di un luogo storico e significativo per la città, per gli appassionati di sport in generale e non solo. Basti pensare che, oltre a ciclisti intramontabili come Coppi e Bartali, ci ha giocato il Grande Torino, ha mosso i suoi primi passi la Nazionale di Calcio e si sono ascoltate la Carmen e l’Aida, ma anche i Pooh, Francesco De Gregory e i Roxy Music.

Al varo, con taglio del nastro e bicchierata, della cassetta, martedì 11 febbraio, al motovelodromo , interverranno alcuni scrittori come Maurizio Ternavasio e Marco Balestracci. Laura Giachino e Stefano Delmastro precisano che “La Cassetta dei Ricordi è rivolta a tutte e tutti i potenziali testimoni delle più disparate vicende, dal barbiere di zona agli anziani e le anziane della bocciofila di quartiere, o ai membri delle diverse associazioni e comitati di zona come ‘pezzi di motovelodromo’ e ‘Fiab Torino Bici e Dintorni’, tra cui il signor Mario Bertola, che grazie al motovelodromo conobbe l’attore Tyrone Power, e la signora Angela Bernasconi, segretaria e coordinatrice della squadra di Football Americano dei Tauri. Sono loro la vera memoria storica del luogo, indispensabile per mantenere vive le origini del motovelodromo e del quartiere che da oltre 100 anni lo ospita e trasmetterle alle future generazioni”.

Oltre che tramite carta stampata e chiavetta, la comunicazione di ricordi e racconti potrà avvenire via email fino al 9 marzo all’indirizzo cassettaricordimtv@gmail.com, spazi graditi non superiori a 5 mila, gradite inoltre fotografie del passato accompagnate da una breve spiegazione o didascalia, cartoline e piccoli oggetti d’antan, utili a raccontare pagine del libro che nascerà da questa iniziativa – gli oltre cento anni di vita del motovelodromo.

 

Mara Martellotta

Yto Barrada, Deadhead: sculture, film e tessuti

Fondazione Merz a Torino presenta, da giovedì 20 febbraio a domenica 18 maggio 2025 la mostra dedicata all’artista Yto Barrada intitolata Deadhead, a cura di Davide Quadrio con Giulia Turconi e realizzata in collaborazione con il MAO, Museo di Arte Orientale di Torino.

Il titolo della mostra Deadhead rimanda alla pratica agricola di rimuovere foglie e fiori appassiti da una pianta per stimolare la sua crescita. Riprendendo la metafora di un ritorno all’essenziale per liberare nuove energie, l’esposizione accoglie le opere più rappresentative della ricerca artistica  di Yto Barrada, tra cui film, sculture, installazioni, tessuti e stampe, alcune delle quali appositamente realizzate per l’occasione.

Tra ech8, rimandi e sperimentazioni, Yto Barrada trae ispirazione dalla teoria del coloredell’artista, collezionista e filantropa Emily Noyes Vanderpoel, descritta nel libro Color Problems, a Practical Manual for Lay Student of Color ( New York, 1902). Il volume, pensato per un pubblico femminile,  specialmente sarte, fioriste e decoratrici, mostrava le rivoluzionarie tavole di analisi del colore dell’autrice, dove le immagini degli oggetti sono trasformate e tradotte in griglie geometriche. Attraverso una disposizione sistematica del colore, definita “la musica della luce” Vanderpoel ha creato dei campi relazionali in cui ogni tinta, sfumatura e ombra sono in perfetta relazione con tutte le altre.

Yto Barrada reinterpreta in maniera analoga la storia, attraverso gesti contemporanei legati alla natura degli oggetti esposti. Nella serie Color Analysis, presentata in anteprima al MAO, all’interno della mostra “Trad u/i zioni d’Eurasia 2023/2024”, l’artista propone griglie di velluto tinte a mano in cui applica la tecnica di Vanderpoel, per trasformare immagini che trae dalla collezione personale di Vanderpoel dalle opere selezionate, dalle opere selezionate della collezione d’arte islamica del MAO e da un disegno di Marisa Merz. I pigmenti naturali impiegati nell’opera sono realizzati in “The Mothership”, un progetto artistico ideato da Barrada come un ecocampus femminista per la coltivazione, la produzione e l’apprendimento delle tinture naturali e delle traduzioni indigene radicali perdute, nel suo giardino a Tangeri, in Marocco. La mostra sarà arricchita dalla pubblicazione di un catalogo edito da Hopfulmonster per la Fondazione Merz. La mostra “DEADHEAD” consolida il dialogo tra la Fondazione Merz e il MAO, dove il lavoro di Yto Barrada è stato presentato nell’ambito della mostra collettiva “Trad u/i zioni d’Eurasia 2023/2024”.

Yto Barrada è la quarta artista a ricevere il Mario Merz Prize – Premio Internazionale Biennale ideato con la finalità di celebrare Mario Merz e individuare talenti nell’ambito artistico e musicale attraverso la commissione di un progetto espositivo e di un progetto musicale Alessandro inedito all’artista selezionato per le due categorie di concorso. La stessa edizione ha visto l’assegnazione  per il Premio della Musica a Fusun Köksal, il cui concerto si terrà mercoledì 2 luglio negli spazi della Fondazione Merz.

Il percorso del Mario Merz Prize prosegue con la quinta edizione che, per la sezione arte, ha visto la selezione di 5 finalisti che saranno protagonisti di una mostra collettiva negli spazi della Fondazione, nel giugno 2025. Si tratta di Elena Bellantoni (Italia), Mohamed Bourouissa (Francia-Algeria), Anna Franceschini (Italia), Voluspa Jarpa (Cile) e Agnes Questionmark (Italia).

Yto Barrada è stata recentemente selezionata per rappresentare la Francia alla Biennale di Venezia 2026.

Mara Martellotta