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Arsivòli, cosa significa questa parola piemontese?

Rubrica a cura del Centro Studi Piemontesi

La parola la troviamo per lo più nell’espressione “guardé j’arsivòli”, essere distratto, trastullarsi, guardare in aria. Il vocabolario del Gribaudo, lo traduce con “Archivolti”; il REP né propone una etimologia complessa. A noi piace citare la traduzione poetica che ne dà Riccardo Massano nel commentare la poesìa Arsivòli del nostro più grande poeta del Novecento Pinin Pacòt (1899-1964), Voli di sogno. Arsivòli è termine intraducibile che vale genericamente Fantasie, Fantasticherie. La parola figura in piemontese (almeno nella lingua parlata e nella tradizione scritta) solo al plurale nel sintagma guardé j’arsivòli […] e significa “guardare in aria oziando e fantasticando” (Vedi Pinin Pacòt, Poesìe e pàgine ’d pròsa, ristampa anastatica dell’edizione del 1967, prefazione di Gustavo Buratti, con l’aggiunta a postfazione di un ritratto critico di Riccardo Massano, Pinin Pacòt artista e poeta, Torino, Centro Studi Piemontesi-Ca dë Studi Piemontèis, 1985, pagg. XVI-445. Nuova ristampa nel centenario della nascita del poeta, a cura di Renzo Gandolfo e Albina Malerba (2000)

 

I biscotti di Halloween con farina di zucca della Cuoca Insolita

Rubrica a cura de La Cuoca Insolita 

Visto che quest’anno sarà difficile bussare alla porta dei vicini di casa per fare “Dolcetto o scherzetto”, almeno consoliamoci con dei dolcetti davvero unici. Questi biscotti di Halloween senza glutine con farina di zucca sono speciali per tanti motivi: sono molto leggeri, con il 70% in meno di zucchero, preparati con la farina di zucca partendo dalla zucca fresca, per ottenere una polvere quasi dorata che darà un meraviglioso colore arancio all’impasto. Fare a casa qualcosa di davvero unico per i vostri bimbi (e non solo) è tutta un’altra storia. Mettiamoci subito al lavoro!

Tempi: Preparazione (30 min); Cottura (10 min).

Attrezzatura necessaria: Stampini per biscotti di Halloween (meglio se a stantuffo – io li ho trovati su Amazon), mattarello, due sacchetti gelo grandi o un sacchetto e un tappetino di silicone, teglia da forno grande, carta da forno.

biscotti di halloween presentazioneIngredienti (per circa 500 g di biscotti di Halloween)

  • Farina di riso integrale – 120 g
  • Fecola di patate – 100 g
  • Farina di mandorle – 65 g
  • Farina di zucca fatta in casa– 25 g (2 cucchiai)
  • 2 Uova intere
  • Eritritolo– 3 cucchiai colmi (65 g)
  • Zucchero bianco – 2 cucchiai colmi (45 g)
  • Stevia essiccata in polvere– 1,5 cucchiaini (1,7 g)
  • Olio semi girasole o oliva – 4 cucchiai (40 g)
  • Scorza di 1 limone grande
  • Vanillina – quasi 1 bustina (0,4 g)
  • Lievito per dolci – 1/4 cucchiaino (1,5 g)

Perché vi consiglio questa ricetta?

  • Valori nutrizionali: Grassi saturi -80%, zuccheri -70% rispetto alla pasta frolla tradizionale fatta con fatta con burro, solo zucchero, latte intero, farina 00.
  • Questi biscotti sono senza glutinesenza latte né burro.
  • Adatti anche in caso di diabete, sono preparati con eritritolo  e stevia, due dolcificanti a zero calorie e zero zuccheri. Il nostro cervello ha bisogno di zucchero, ma il fatto di ridurlo un po’ permette di limitare il picco glicemico, che dopo qualche ora darebbe origine al classico calo di zuccheri che fa perdere la concentrazione. Sapevate che è possibile preparare a casa la stevia in polvere in modo naturale?
  • La farina di zucca fatta in casa ha un sapore e un colore che non hanno nulla a che vedere che quella che si potrebbe trovare in commercio. E in più è ricchissima di fibre

Preparazione dei biscotti di Halloween

Fase 1: LA PASTA FROLLA E LA FORMA DEI BISCOTTINI

Mescolate nella terrina tutti gli ingredienti e lavorate con le mani, fino ad ottenere un impasto che non si appiccica alle mani. Se non avete avuto tempo di preparare in casa la farina di zucca, non preoccupatevi: i biscottini verranno bellissimi e buonissimi ugualmente. Se l’impasto è troppo farinoso, aggiungete una piccola quantità di succo di mela (o latte di riso, o di mandorle). Se invece è troppo morbido, aggiungete un poco di farina di riso. Chiudete nella pellicola e lasciate riposare a temperatura ambiente mezz’ora.

Stendete la pasta frolla con il mattarello ad uno spessore di 4-5 mm circa. Per evitare che l’impasto resti attaccato al mattarello o al piano di lavoro (e per non aggiungere altra farina), io mi trovo molto bene appoggiando la pasta tra un tappetino di silicone leggermente infarinato (sotto) e un sacchetto gelo che ho completamente aperto con delle forbici  (sopra) o, ancora meglio tra due sacchetti gelo aperti (uno sotto all’impasto e uno sopra). In questo modo il lavorerete molto più velocemente. Sollevate quindi la pellicola del sacchetto gelo e infarinate (con farina di riso) solo leggermente, quindi tagliate le formine sulla pasta frolla stesa (grazie alla piccola quantità di farina non si attaccheranno agli stampini) e trasferite sulla teglia da forno, rivestita di carta da forno.

FASE 2: LA COTTURA

Cuocete in forno ventilato a 160° C per 10-15 minuti. La temperatura va tenuta bassa per evitare che i biscotti si scuriscano. Sfornate e lasciate raffreddare almeno 15 minuti. Spolverate con lo zucchero a velo (io uso l’eritritolo polverizzato come zucchero a velo, per non aggiungere calorie ai biscotti).

CONSERVAZIONE

A temperatura ambiente o (meglio) in frigorifero, in un barattolo chiuso: anche una settimana

Nel surgelatore: fino a 6 mesi

Chi è La Cuoca Insolita

La Cuoca Insolita (Elsa Panini) è nata e vive a Torino. E’ biologa, esperta in Igiene e Sicurezza Alimentare per la ristorazione, in cucina da sempre per passione. Qualche anno fa ha scoperto di avere il diabete insulino-dipendente e ha dovuto cambiare il suo modo di mangiare. Sentendo il desiderio di aiutare chi, come lei, vuole modificare qualche abitudine a tavola, ha creato un blog  e organizza corsi di cucina. Il punto fermo è sempre questo: regalare la gioia di mangiare con gusto, anche quando si cerca qualcosa di più sano, si vuole perdere peso, tenere a bada glicemia e colesterolo alto o in caso di intolleranze o allergie alimentari.

Tante ricette sono pensate anche per i bambini (perché non sono buone solo le merende succulente delle pubblicità). Restando lontano dalle mode del momento e dagli estremismi, sceglie prodotti di stagione e ingredienti poco lavorati (a volte un po’ “insoliti”) che abbiano meno controindicazioni rispetto a quelli impiegati nella cucina tradizionale. Usa solo attrezzature normalmente a disposizione in tutte le case, per essere alla portata di tutti.

 

Calendario corsi di cucina ed eventi con La Cuoca Insolita alla pagina.

Chi è Erica Azzoaglio, Presidente del CdA di Banco Azzoaglio

Rubrica a cura di ScattoTorino 

A volte i sogni sono migliori della realtà. Lo dimostra la storia del Banco Azzoaglio, fondato a Ceva in provincia di Cuneo nel 1879 dall’omonima famiglia di imprenditori che da sempre lo gestisce con serietà, trasparenza e passione. Il risultato di tanto impegno è dimostrato quotidianamente nelle 19 filiali ubicate tra la provincia di Cuneo, Savona, Imperia e a Torino, l’ultima ad essere stata inaugurata. La banca privata, che fa capo alla famiglia Azzoaglio è partecipata dalla Banca Passadore di Genova, banca di cui a sua volta detiene una quota. La banca è indipendente e fortemente legata ai valori del territorio, si rivolge a famiglie, imprese, giovani e investitori: realtà con le quali l’istituto si pone sia come interlocutore attento alle singole esigenze, sia come partner attivo nei progetti legati alla collettività. Dall’epoca del bisnonno Paolo, che fondò il Banco ai tempi della migrazione degli abitanti di Ceva verso la California, alla quarta generazione composta da Simone ed Erica Azzoaglio, rispettivamente Presidente del Comitato Esecutivo e Presidente del Consiglio di Amministrazione, l’istituto ha dimostrato di essere un player sempre più importante nel settore. Ma i sogni non sono ancora finiti e la Famiglia di banchieri guarda al futuro puntando sulle nuove tecnologie e sulla volontà di creare un forte legame con la comunità in cui opera. Valori condivisi dai 140 addetti dislocati nella sede e nelle filiali e dai circa 32.000 clienti.

Enrica Azzoaglio Banco AzzoaglioIl vostro istituto ha una lunga tradizione famigliare. Ce la racconta?

“Il Banco è nato 141 anni fa ed è stato fondato dal mio bisnonno Paolo. Negli Anni ‘60 prima mio padre Paolo e dopo mio zio Francesco hanno iniziato ad aprire le prime filiali a Garessio e a Niella Tanaro e poi in Val Bormida. Ad oggi ne abbiamo 19 in provincia di Cuneo, Savona, Imperia; da poco più di un anno abbiamo inaugurato l’ultima nata a Torino. Il 10% dell’istituto è in mano alla genovese Banca Passadore. La nostra caratteristica è che siamo una realtà privata e indipendente, che è cresciuta grazie alla fiducia di chi ha creduto in noi. A nostra volta, da sempre offriamo alla clientela un insieme di servizi e opportunità in costante evoluzione cercando di anticipare ogni giorno le esigenze di privati, famiglie, aziende e investitori”.

Cosa vuol dire, oggi, essere una banca del territorio?

“Significa avere un legame di fiducia con i clienti e con le istituzioni con le quali interagiamo quotidianamente perché per noi la banca è “nostra” ovvero della nostra famiglia, ma anche dei collaboratori, delle persone e delle imprese con le quali lavoriamo. Siamo infatti convinti che solo condividendo lo stesso percorso si possa crescere e migliorare. La dimostrazione più recente risale al periodo del lockdown. Durante la pandemia, infatti, abbiamo potenziato la nostra struttura per rispondere ai bisogni della comunità in tempi celeri, accordando moratorie ed erogando prestiti immediati a chi ne aveva bisogno”.

Innovazione per voi significa?

“Il nostro claim è Moderni per tradizione. La tradizione, infatti, non ha valore se non è innovativa. In caso contrario diventa arroccamento. Noi rispettiamo il nostro passato, ma il futuro è fondamentale e per me si lega al concetto di sostenibilità. Credo che un modello di business si debba basare non solo sul profitto, ma sull’equilibrio tra dimensione economica, sociale e ambientale. Le nuove generazioni sono sensibili a questi temi e Banco Azzoaglio vuole proseguire su questa via”.

sede Banco AzzoaglioQuali gli obiettivi futuri?

“Vogliamo impegnarci per essere davvero un’azienda sostenibile e per diffondere il più possibile i valori legati alla sostenibilità sul territorio in cui operiamo.

In tal senso stiamo lavorando per diventare società benefit, ovvero una società riconosciuta a livello di ordinamento italiano. È un passo importante che ci prepariamo ad affrontare, che avrà impatti significativi sulla nostra struttura a partire dalla governance e pensiamo possa avere riflessi positivi su tutti i nostri stakeholder. Questo è possibile perché la nostra realtà è coesa e motivata e ha una forte vocazione imprenditoriale, caratteristica che ci permette di interloquire senza difficoltà con le imprese clienti. I valori di sostenibilità sociale e ambientale ispirano tanti nostri progetti. Ad esempio, siamo diventati un acceleratore di start up ed aziende innovative. In questo modo attiriamo giovani talenti sostenendo business plan credibili ed orientati al futuro. Un altro tema che si basa su questi valori è l’idea di creare una scuola innovativa nei nostri territori perché è fondamentale l’educazione delle nuove generazioni per un’azienda che guarda al futuro”.

Dopo 140 anni, Banco Azzoaglio ha aperto una filiale a Torino

“Per noi si è trattato di un passo importante, ha significato iniziare un’attività per certi versi nuova. Fino ad oggi, nelle filiali storiche abbiamo sempre avuto una fetta grande di un mercato piccolo, mentre nelle filiali di più recente apertura, Cuneo e soprattutto Torino, abbiamo una fetta piccola di un mercato che è molto grande. Saremo sempre più consulenti per esigenze anche complesse e strutturate di investitori ed aziende, fornendo soluzioni customizzate.   Sempre nel rispetto di valori condivisi”.

Torino per lei è?

“Sono nata a Torino, mia mamma e i miei nonni erano di Torino e ho fatto l’università qui. Per me Torino è un punto di riferimento importante”.

Un ricordo legato alla città?

“I festeggiamenti dei 140 anni di Banco Azzoaglio nella sede della Nuvola Lavazza. Ci fu una partecipazione superiore alle aspettative e ho percepito nei Torinesi la voglia di conoscere questa realtà nuova e particolare per la città: una banca in mano a una famiglia.

Un ricordo più intimo, invece, è legato all’infanzia. Mia madre spesso la domenica portava me e mia sorella a pranzo dai nonni. La nonna era una bellissima donna americana che per amore del nonno cuneese aveva imparato a cucinare l’arrosto”.

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto

Il Centro Cicogne Racconigi, un’oasi naturale piemontese

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Il Centro Cicogne di Racconigi (CN), una delle oasi naturalistiche più amante del Piemonte, raccontato dalle foto di Mario Alesina.

Il Centro Cicogne e Anatidi si trova in Piemonte a Racconigi, in provincia di Cuneo, ed è aperto ai visitatori tutto l’anno. Nato nel dicembre del 1985 con l’obiettivo di reintrodurre e salvaguardare in Italia la specie estinta della cicogna bianca.

Sfogliate la gallery per guardare le splendide foto.

Protagoniste di Valore: Monica Cerutti e il social First Life

Protagoniste di Valore LogoProtagoniste di Valore, rubrica a Cura di ScattoTorino

 

Torinese amante della propria città, Monica Cerutti ha speso parte della propria vita nell’impegno politico e si è dedicata con passione alle tematiche femminili. Nel 1997 è stata Consigliera della Circoscrizione 10 dove ha avviato il progetto Spazio Donna 10, nel 2001 è stata eletta Consigliera Comunale di Torino e nel 2010 Consigliera Regionale. Nella sua carriera ha sempre operato con etica e sensibilità, occupandosi – tra gli altri – della tutela dei diritti degli animali e adoperandosi contro il loro maltrattamento nei circhi. Attenta alle politiche femminili è stata Presidente di Emily Torino, l’associazione che sostiene la presenza delle donne nella vita pubblica come valore portante della democrazia. La sua carriera l’ha vista ricoprire, dal 2014 al 2019, il ruolo di Assessora Regionale in Piemonte con delega alle Pari Opportunità, Diritti Civili, Diritto allo Studio, Politiche giovanili, Immigrazione, Cooperazione decentrata e Diritti dei Consumatori. Al termine del suo mandato Monica Cerutti, laureata in Scienze dell’Informazione e con un master in Informatica e Telecomunicazioni conseguito al Politecnico di Torino, è tornata a svolgere il lavoro di analista nel settore delle telecomunicazioni in Telecom Italia. Tuttavia non ha abbandonato il suo impegno nel sociale e ha attivato una collaborazione con il Dipartimento di Informatica dell’Università di Torino per l’attività di ricerca Progettare l’inclusione sociale con FirstLife, un social network “civico” pensato per le città il cui fine è incentivare la progettazione partecipata a scala locale, stimolare iniziative di auto-organizzazione, sviluppare pratiche collaborative tra gli attori territoriali pubblici e privati.

Monica Cerutti First LifeUn suo giudizio sulla parità di genere nel nostro paese?

Purtroppo le problematiche che erano presenti e si volevano affrontare 20 o 30 anni fa continuano ad essere le stesse anche oggi e questo è un aspetto su cui forse non si riflette a sufficienza. In Italia sono stati fatti dei passi avanti rispetto alla segregazione orizzontale e verticale e abbiamo figure femminili di eccellenza ai vertici aziendali e in ambito politico, ma la loro percentuale non è così elevata. Inoltre il tasso di occupazione femminile in questo preciso periodo storico sta retrocedendo, per cui è chiaro che la crisi economica che stiamo vivendo purtroppo ha impatti importanti sulle situazioni più fragili e in questo senso le donne giocano un ruolo significativo. Sarebbe utile che ci fosse una consapevolezza diffusa capace di colmare il divario di genere con un aspetto di equità e di sviluppo per l’intera comunità. Oggi c’è ancora scarsa consapevolezza, forse anche da parte delle stesse donne. Una società più equa offrirebbe una leva di sviluppo per tutti e le donne potrebbero portare una visione diversa in ambito sociale e professionale”.

Parliamo di inclusione?

“Dovrebbe essere una delle priorità in una comunità che voglia valorizzare i suoi componenti. Ho lavorato e continuo a tenere presente il fatto che in una società le diversità tra uomo e donna, le differenze di età, di provenienza o quelle legate a fragilità temporanee o permanenti, come la disabilità dovrebbero venir considerate elementi che la comunità stessa deve valorizzare per essere coesa e guardare al futuro con ottimismo. Dobbiamo prendere in considerazione sia gli aspetti pratici sia ciò che è intangibile per lavorare sull’inclusione e provare a costruire relazioni, così da creare tutti insieme una comunità unita. La pandemia ha fatto emergere alcuni aspetti negativi nelle persone e il termine stesso di distanziamento sociale determina paure e timori. L’Organizzazione Mondiale della Sanità sostiene infatti che vada superato il concetto di distanziamento sociale a favore del distanziamento fisico”.

L’Information and Communications Technology, oggi, prende in considerazione le differenze e l’inclusione?

“Mai come in questo momento nell’ICT e nell’intelligenza artificiale c’è l’esigenza di tenere presente questi aspetti perché, data la scarsa presenza delle donne nelle discipline STEM, il rischio è che non partecipino ai progetti di intelligenza artificiale per cui il mondo proposto non include le sensibilità e le conoscenze al femminile. Un mondo, tra l’altro, che taglia fuori coloro che provengono da quei paesi che non stanno lavorando su questo argomento. Ad esempio, gli algoritmi attuali di riconoscimento facciale tendono a non riconoscere le donne di colore.  A causa della pandemia abbiamo una digitalizzazione molto spinta, ma non possiamo tralasciare una parte di umanità nel costruire i nuovi algoritmi. Unendo gli obiettivi di parità di genere e di un mondo più inclusivo, c’è bisogno di una partecipazione più ampia e di una maggiore attenzione alle differenze diversamente declinate anche nell’ambito dell’Information and Communications Technology e dell’intelligenza artificiale perché questi aspetti riguarderanno tutti e tutte”.

Che cos’è FirstLife?

“Si tratta di un social network civico e gratuito che vuole costruire relazioni all’interno di una comunità perché, a differenza di altri social, non valorizza il singolo ma la collettività. Ideato dal Dipartimento di Informatica dell’Università degli Studi di Torino, si basa su una mappa interattiva i cui contenuti riguardano le attività e i progetti associati ai luoghi. Su FirstLife si può interagire con gli altri utenti partecipando a discussioni, gruppi tematici ed eventi; inoltre si possono aggiungere luoghi, racconti e notizie sulle aree di proprio interesse. La piattaforma è stata utilizzata nelle scuole per accompagnare i ragazzi a conoscere meglio il proprio territorio, ha partecipato a progetti come Adotta un monumento ed ha avuto applicazioni in ambito culturale, ad esempio per Piemonte dal vivo e Torino a cielo aperto. Dato il suo valore, ci stiamo adoperando per farla utilizzare in diverse amministrazioni locali”.

Donna per lei significa?

“Vuol dire prendersi cura delle persone e dell’altro a 360 gradi”.

IL FOCUS DI PROGESIA

I Valori del progetto FirstLife, il social network civico sono:

  • Sviluppo sostenibile – sostenibilità ambientale, sociale e di governance.

Costruire relazioni all’interno della comunità

La piattaforma FirstLife mette a disposizione dei cittadini e delle cittadine un nuovo modo per far crescere la partecipazione e la collaborazione attiva, attraverso sette principali attività che possono essere fatte su questo social network civico: la ricerca di informazioni su scala locale, la condivisione di notizie ed esperienze tra utenti, la valorizzazione delle risorse locali attraverso la mappatura di luoghi, attività, progetti e storie, la scoperta di novità del proprio quartiere e della propria città, il poter documentare le proprie attività, la possibilità di organizzare gruppi di lavoro sul territorio e la gestione e promozione di progetti ed eventi.

A differenza dei social più conosciuti, FirstLife vuole essere un centro virtuale in cui far emergere contenuti di valore per tutti, un luogo in cui valorizzare le attività e le azioni dell’intera comunità e non della singola persona, come invece siamo abituati a vedere in altri social network. Si tratta quindi di “un social network orientato ai bisogni della comunità” come afferma Monica Cerutti, che ha l’obiettivo di avvicinare le istituzioni ai cittadini e alle cittadine, coinvolgendoli attivamente”.

A differenza degli altri social, FirstLife è un luogo virtuale in cui non ci sono fakenews, che lascia il posto all’informazione e dove vige la regola della comunicazione educata, gentile e appropriata.

FirstLife, le prossime azioni

La piattaforma a disposizione di cittadini e cittadine è sempre in evoluzione e segue le innovazioni tecnologiche. Monica Cerutti, infatti, conferma che “sono previste novità dal punto di vista delle funzionalità con lo scopo primario di costruire un servizio sempre più vicino ai cittadini, in linea con i loro bisogni e le loro esigenze”. Un altro obiettivo dell’introduzione di nuove funzioni è quello di raggiungere un numero sempre maggiore di utenti, perché in questo modo sarà possibile favorire una più ampia partecipazione e coinvolgimento di persone nei progetti e nelle attività del territorio.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto
Focus: Antonella Moira Zabarino

 

Fé l’erlo, un’espressione piemontese inconsueta

Rubrica a cura del Centro Studi Piemontesi

Una amica mi ha chiesto se sapevo cosa vuol dire fé l’erlo? Era da tanto tempo che non sentivo usare questa espressione che mi fa piacere condividere con i nostri lettori: possiamo tradurlo con “fare il bullo”, “fare il furbo”, “fare lo smargiasso”. Ma Èrlo è lo “smergo maggiore/Mergus merganser merganser”, maschio dell’oca.

Per saperne di più vedi al solito il REP (Repertorio Etimologico Piemontese, Centro Studi Piemontesi-Ca dë Studi Piemontèis, 2015).

Chi è Dario Casalini, AD di Maglificio Po s.r.l. – Oscalito

Rubrica a cura di ScattoTorino 

La qualità va oltre il tempo e le mode e diventa essa stessa un trend. Lo testimonia Oscalito, il marchio fondato nel 1936 da Osvaldo e Lino Casalini, specializzato nella produzione di linee di intimo e maglieria per uomo, donna e bambino. Superato il periodo bellico i due fratelli hanno incrementato la produzione dei capi in cotone e lana per lui e per lei e verso la fine degli Anni ’60 è entrato in azienda Andrea, figlio di Lino che dopo aver studiato presso il College of Textile Art and Technology di Leicester, ha iniziato a sperimentare disegni su macchine tessili wild pattern che hanno conquistano gli States. Nel tempo il brand ha raggiunto quella fama internazionale che lo caratterizza ancora oggi e che, per 8 anni consecutivi, dal 2013 ad oggi gli è valso il titolo di Best seller maglieria in Italia e in Francia nella linea intima. Oscalito produce nel rispetto dell’ambiente e delle persone, utilizza solo fibre naturali o di origine naturale, seleziona fornitori geograficamente vicini e investe importanti risorse per abbassare l’impatto ambientale delle proprie lavorazioni. Inoltre acquista direttamente il filato e lo trasforma fino ad arrivare al prodotto finito. Un prodotto totalmente Made in Italy, certificato da Italcheck e di qualità superiore che viene realizzato con lentezza per esaltare le caratteristiche del tessuto e regalargli il giusto equilibrio di morbidezza ed elasticità.

ScattoTorino ha incontrato Dario Casalini, Amministratore delegato di Maglificio Po s.r.l. – Oscalito, che ha abbandonato la cattedra di Diritto pubblico e amministrativo che aveva presso la Facoltà torinese di Economia per dirigere l’azienda di famiglia.  Una missione, ma anche una passione, che lo hanno portato ad essere Presidente del Consorzio Italian Lingerie Export, l’ente che rappresenta e promuove il settore dell’intimo italiano nel mondo.

OscalitoOscalito non è un brand. È una filosofia

“Sin dal 1936 impieghiamo solo fibre naturali, perfette per regolare la temperatura corporea e garantire uno stato di benessere in ogni stagione. Ai tempi in cui mio nonno fondò l’azienda era necessario l’uso di queste fibre perché producevamo intimo, ma anche oggi che realizziamo sottogiacca puntiamo sul confort e sulla qualità. Ad esempio, usiamo il cotone egiziano che è il 3% della produzione mondiale, la lana merinos extrafine australiana che è l’1 per mille e la seta cinese leggera che è resistente, a parità di peso, più dell’acciaio. La lavorazione si svolge a Torino per cui la filiera è molto corta e ci permette di controllare tutto: dal filo al capo finito. Abbiamo una produzione verticale di eccellenza e i filati sono italiani in quanto vogliamo premiare il territorio, impiegando il know-how locale. Inoltre ci avvaliamo della tecnologia RFID che, applicata all’etichetta, permette la tracciabilità completa di tutta la filiera per ogni singolo capo così da assicurare un controllo capillare in ogni fase e garantire spedizioni puntuali e precise”.

Che cosa ispira le vostre creazioni?

“Abbiamo due anime: Oscalito e Natyoural. La prima, essendo legata all’underwear, ha uno stile raffinato e punta sui pizzi, sui grafismi, sulle ispirazioni floreali e sugli ideogrammi. Uno stile che ha consentito ai miei genitori, già negli Anni ’90, di passare dall’intimo all’outwear. Qualche anno fa, dalla collaborazione con lo stilista Giorgio Spina è nato Natyoural, un marchio di maglieria legato ai concetti di pulizia e rigore, che ha un’identità di stile e si ispira all’arte contemporanea: usiamo pennellate di colore, intarsi e jacquard grafici. Voglio sottolineare però che entrambi i brand condividono la stessa filosofia, ovvero l’armonia con la natura”.

Sostenibilità ambientale per voi significa?

La sostenibilità è un concetto che nasce nelle tradizioni precolombiane. È un tema ancestrale che caratterizza molte culture e che a noi piace perché è in linea con la nostra filosofia. Oscalito infatti nasce con l’impegno di creare i presupposti per una crescita sostenibile rispetto all’ecosistema, una crescita integrata e rispettosa dell’ambiente sociale e territoriale. Per questo abbiamo declinato 7 punti della sostenibilità tra i quali la salubrità di ciò che si indossa, la filiera che rispetta l’ambiente e il lavoratore, la durabilità del capo. Le aziende che collaborano con noi garantiscono inoltre performances dei materiali come la facilità di riciclo o di rigenerazione e la biodegradabilità, in modo da assicurare la massima sostenibilità ambientale dei prodotti nel loro intero ciclo di vita e il minor impatto sull’ambiente. A conferma di quanto detto, durante la pandemia abbiamo prodotto mascherine di cotone e dispositivi medici certificati con un filtro removibile (www.opmask.it). Un prodotto in cotone e dunque salubre, durevole perché in tessuto, in cui si cambiano solo i filtri, che sono in poliestere e quindi riciclabili”.

La vostra è una produzione slow. Una controtendenza che premia?

“Noi abbiamo delle macchine circolari di tessitura datate in quanto, utilizzando filati fini, abbiamo bisogno che i macchinari girino con una certa lentezza in modo che non stressino o rompano la fibra. Oggi la tecnologia nel tessile punta sulla velocità, sulla quantità e su filati facili da trattare, quindi sintetici. La fibra naturale, invece, va lavorata con lentezza, rispetto e delicatezza”.

Oscalito Un altro vostro brand è Natyoural

Il marchio nasce nel 2016 come collezione di maglieria caratterizzata da una propria identità stilistica. La sua filosofia è però la stessa di Oscalito, come rivela il nome Natyoural che invita ad essere naturali e in armonia con l’ambiente che ci ospita: usiamo fibre naturali e, solo ove necessario, il sintetico riciclato o biodegradabile. Selezioniamo fornitori italiani e certifichiamo le diverse fasi produttive, con filiera verticalmente integrata dal filato al capo finito. Le macchine che usiamo sono di ultima generazione, ma rispettiamo sempre la qualità in modo da garantire un prodotto di eccellenza. A dicembre apriremo un negozio monomarca Natyoural all’interno di GREEN PEA, il nuovo progetto di Oscar Farinetti interamente dedicato a prodotti sostenibili, il cui slogan “from duty to beauty” mira proprio a rendere bello e ”di moda” il consumo che rispetta l’ambiente. Si tratta per noi di un importante riconoscimento di quella che è da sempre la nostra visione di impresa sostenibile”.

Torino per lei è?

“Mi affascina per il suo understatement. Qui abbiamo creato il cinema, l’automobile e altre grandi eccellenze eppure non ci vantiamo. Torino fa ed è, però lo comunica poco. A me piace la sua sostanza, il fatto che voglia essere scoperta più che mettersi in mostra. Non è superba, ma punta sulla concretezza”.

Un ricordo legato alla città?

“Le nonne che da piccolo mi raccontavano fatti avvenuti nei luoghi in cui eravamo. Mi affascina immaginare che i posti in cui viviamo quotidianamente siano così ricchi di storia. La dimensione temporale è sempre presente in loro”.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto

Protagoniste di Valore: Elena Miroglio, Presidente di Miroglio Fashion

Protagoniste di Valore LogoProtagoniste di Valore, rubrica a cura di ScattoTorino

Cuore e testa. Questa, in sintesi, Elena Miroglio, una donna eclettica che dai viaggi trae ispirazione per il proprio business e che ama le espressioni artistiche come stimolo per promuovere la creatività e favorire la crescita nell’azienda e i temi di sostenibilità e salvaguardia dell’ambiente. Dopo la laurea in Economia e Commercio presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ha studiato Business and Management all’Università della California di Santa Barbara ed ha iniziato la carriera nell’area prodotto e retail di un’azienda di abbigliamento di Los Angeles. Rientrata in Italia si è occupata della divisione Fashion del Gruppo Miroglio ed ha lavorato prima nell’area design e sviluppo prodotto e successivamente nel retail, nel marketing e nella comunicazione. Presidente di Miroglio Fashion, con il fratello Giuseppe – che è Vice Presidente del Gruppo – e con l’AD Alberto Racca e il Consiglio d’Amministrazione contribuisce a definire le strategie aziendali di questa realtà che è nata alla fine del 1800 come attività commerciale, che nel 1947 si è trasformata in industriale e che oggi è presente in 22 paesi con 37 società e 4 insediamenti produttivi per portare la moda made in Italy alle donne di tutto il mondo.
Cuore e testa, dicevamo. Due cardini che caratterizzano la vita personale e quella professionale di Elena Miroglio, una persona sensibile che per le sue qualità nel 2007 è stata nominata Cavaliere della Repubblica per il contributo dell’azienda all’emancipazione femminile da un modello estetico costrittivo: la sua è infatti la prima impresa italiana a dedicare particolare attenzione a tutte le donne, al di là delle forme e degli stereotipi. A conferma del suo impegno, la Presidente di Miroglio Fashion sostiene il bando lanciato della Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche che ha portato all’assegnazione di sette borse di studio riservate ad infermiere che hanno conseguito la laurea magistrale con lode e che hanno scelto di iscriversi ad un master di II livello nelle aree specialistiche di maggior rilievo infermieristico.

Miroglio FashionMiroglio fashion significa?

La società opera lungo tutta la filiera della moda femminile e del retail e i suoi brand sono distribuiti tramite i nostri negozi e clienti multimarca. Curiamo il prodotto, lo stile, la catena del valore e in funzione del marchio alcune attività sono fatte in outsourcing. Abbiamo tre brand italiani di fast fashion: Motivi, Oltre e Fiorella Rubino che vengono distribuiti principalmente nei centri commerciali italiani e che si rivolgono a target con stili di vita differenti. C’è poi Elena Mirò che ha un posizionamento premium ed è distribuito in negozi diretti presenti nei centri storici delle principali città italiane, oltre che tramite negozi multimarca; è distribuita all’estero, in particolare in Spagna ed in Russia. Ci sono poi altri brand, come Caractère, rivolti principalmente al mercato italiano. Infine, da alcuni anni, abbiamo una join venture in Turchia con la Famiglia Ayaydin e firmiamo tre brand rivolti al mercato locale, all’Asia Centrale e al Medio Oriente”.

Ripercorriamo la vostra storia?

“Siamo nati come azienda tessile per poi svilupparci nel settore dell’abbigliamento con la produzione di capi rivolti ad una clientela indifferenziata. In seguito abbiamo sviluppato i marchi, grazie anche alla collaborazione con stilisti e la creazione di capsule specialistiche. Oggi abbiamo diversi team di stilisti interni, ognuno dei quali dedicato al proprio marchio. Con i cambiamenti del mercato ci muoviamo verso un modello organizzativo più evoluto che metta sempre più al centro i bisogni delle clienti. Ciò richiede anche un cambio culturale e la capacità di raccogliere, segmentare ed interpretare un gran numero di informazioni – big data – per soddisfare le esigenze della clientela e addirittura realizzare il prodotto partendo dalle richieste concrete delle consumatrici attuali e potenziali. Gli investimenti nell’e-commerce e nei progetti di Customer Relationship Management sono utili anche per questi scopi”.

Come avete reagito al Covid-19?

“La pandemia ha colpito molto il settore del fashion: pur non cambiando la nostra visione, abbiamo studiato un protocollo per la riapertura degli show room e dei negozi già prima di maggio, integrando le attività digitali con quelle della rete fisica. Abbiamo puntato sull’experience, intesa come relazione umana con la cliente, e sulla sicurezza: due bisogni importanti per ognuno di noi. Sull’online, in particolare su Elena Mirò, abbiamo sviluppato attività per mantenere un rapporto umano: ad esempio con appuntamenti per avere una consulenza immediata sull’acquisto digitale e abbiamo creato delle Smart box ovvero una selezione di abiti inviati alla consumatrice conosciuta dalla Store manager che sceglie comodamente da casa ciò che le piace e ci rinvia quello che non vuole tenere. Attualmente il traffico dei negozi è inferiore rispetto al 2019 a causa del Covid e le leve che funzionano sono le promozioni. Stiamo individuando altre iniziative per rispondere sia alle esigenze del mercato sia per far nascere nella clientela la necessità di andare in negozio”.

Elena Miroglio_2Il vostro business si svolge nel rispetto dell’ambiente. Quali processi produttivi vi caratterizzano?

“Premetto che l’abbigliamento purtroppo non è uno dei settori più sostenibili per caratteristica insita.Avere molti fornitori e una catena del valore lunga rende più complesso il controllo di ogni fase. Nella moda sono tanti i paesi coinvolti e ognuno ha regolamenti diversi. Ci sono però dei protocolli internazionali ai quali ci dobbiamo attenere. La nostra produzione è in Cina, Est Europa, Nord Africa e Turchia, tranne il 20-30% che è realizzata in Italia. Per questo facciamo firmare dei protocolli rispetto all’ambiente lavorativo, al lavoro minorile, alle sostanze tossiche ed effettuiamo dei controlli sulle materie prime, sugli stabilimenti e sui capi di abbigliamento. Abbiamo firmato il protocollo Detox di Greenpeace che punta alla riduzione di sostanze dannose per l’ambiente. I requirement richiedono un cambiamento non solo nel nostro settore, ma anche in quello chimico. Stiamo lavorando per ridurre la plastica, gli imballaggi e i rifiuti: abbiamo progetti in divenire sull’economia circolare per eliminare gli sprechi e rimettere nella catena del valore la rimanenza. Ad esempio, diamo i capi di scarto alla ong Oxfam che si occupa di prelevarli e venderli nel proprio canale di charity. Il nostro marchio Oltre a breve uscirà con una capsule di prodotti made to order, ovvero capi che vengono ristudiati dagli stilisti partendo dalle rimanenze. In questo modo tutti, anche le clienti, si sensibilizzano al tema del non spreco. Stiamo anche lavorando per la riduzione dell’emissione di CO2, con diverse iniziative, tra cui la sostituzione, nei negozi, dell’illuminazione con led a basso consumo energetico. Effettuiamo tante piccole azioni concrete che sono tangibili: un percorso che si articola in più step e in più aree: supply chain, processi produttivi, miglior benessere delle persone in azienda attraverso la flessibilità e dei programmi di formazione che puntano alla soddisfazione dei singoli dipendenti. Crediamo nei giovani e vorremmo inserirne sempre di più in organico perché sono la risorsa per traghettarci nel post Covid. Grazie al nostro AD Alberto Racca, puntiamo sui nuovi talenti e sulle risorse che, come noi, pensano che per trovare le soluzioni serva il lavoro di squadra”.

Durante l’emergenza sanitaria siete stati tra i primi a convertire parte della produzione per fornire mascherine

“All’inizio è stata una conversione in emergenza, oggi invece le produciamo presso Sublitex che è la società del gruppo leader mondiale nel settore della stampa transfer, una tecnologia water free. Oggi produciamo mascherine chirurgiche anche stampate.

In ambito filantropico, quali sono le finalità della Fondazione Elena e Gabriella Miroglio?

“La Fondazione è nata negli Anni ’50 quando ancora in Italia non esisteva il welfare aziendale. Mio nonno, che era un uomo illuminato già all’epoca, ha fondato un asilo ed ha messo a punto una serie di attività per i dipendenti. Oggi la Fondazione è radicata sul territorio e si occupa dei collaboratori e delle loro famiglie. Accanto all’asilo abbiamo sviluppato anche delle attività per i nostri senior”.

Donna per lei significa?

“Essere donna è un percorso: penso che ogni 10 anni potrei rispondere in maniera diversa. Amo viaggiare perché mi offre la possibilità di conoscere persone e imparare da culture diverse. Nei miei viaggi ho incontrato donne che mi hanno aiutata ad abbattere gli stereotipi. Adoro la diversità in quanto è una risorsa e una forma di creatività. Essere donna significa avere la libertà di essere se stesse e vivere la parte emozionale in modo più aperto perché con l’emotività si possono cogliere le sfumature e si può sviluppare quell’empatia necessaria per creare rapporti durevoli e concreti”.

IL FOCUS DI PROGESIA

Il Sistema di Valori di Miroglio Fashion comprende:

  • Sviluppo sostenibile;
  • Politiche aziendali Human Centric;
  • Valorizzazione dei dipendenti e delle dipendenti;
  • Iniziative di conciliazione famiglia e lavoro e agevolazione della gestione del tempo in azienda.

L’esperienza del cliente sempre al centro

Per Elena Miroglio il contatto umano con ogni cliente è un elemento imprescindibile negli store come nell’esperienza online. Per questo motivo l’azienda ha puntato su una strategia omnichannel, offrendo alle clienti un’esperienza d’acquisto individuale e personalizzata, indifferentemente dal canale di interazione con cui si avvicinano ai loro brand preferiti.

In Miroglio Fashion l’impatto del Covid ha per necessità dato una spinta rapida ed efficace alla sperimentazione di nuove tecnologie e nuovi processi in linea le esigenze della clientela. Tutti i progetti realizzati, tra cui la vendita in streaming, le smart box e l’assistenza alla vendita a distanza, sono stati un modo per valorizzare il rapporto “umano” con ogni singola cliente all’interno dell’ambiente virtuale.

L’accurato studio delle informazioni quantitative, i big data, integrati all’analisi dei dati comportamentali, gli small data, raccolti dalle addette alle vendite che sono sempre in prima linea, hanno permesso alla Miroglio Fashion di effettuare scelte strategiche importanti e sviluppare nuovi progetti che presto saranno sperimentati sul campo, il cui filo conduttore è la sicurezza e l’autenticità del rapporto con le clienti.

Nell’ambito delle strategie adottate per rendere unica l’esperienza delle clienti, Miroglio Fashion ha puntato sulla formazione degli store manager e delle addette vendite. Inoltre, uno strumento che si è dimostrato molto funzionale per le addette alla vendita è il WorkPlace di Facebook, una piattaforma che permette loro di accorciare le distanze (sono circa quattromila in tutta Italia) condividendo consigli, idee e soluzioni in gruppi specifici suddivisi per brand o per obiettivi. Un’opportunità per confrontarsi sulle esperienze vissute negli store e per mettere in pratica best practice per migliorare la customer experience.

L’orientamento al futuro e l’importanza delle radici

“La nostra cultura aziendale è orientata al futuro ma sempre nel rispetto delle nostre radici” afferma Elena Miroglio, raccontando come l’azienda stia puntando sull’innovazione, senza però allontanarsi dai valori che hanno guidato fino a oggi le azioni di Miroglio Fashion. In particolare, i giovani sono per Miroglio un valore aggiunto all’interno della realtà organizzativa, in quanto la loro visione sulle nuove tecnologie e la loro attitudine a essere propositivi possono supportare l’azienda ad affrontare il rapido e continuo cambiamento di questo settore.

“È importante che le persone siano felici di lavorare con noi” sostiene Elena Miroglio, e l’attenzione verso il personale è dimostrata attraverso diverse azioni positive realizzate dall’azienda per favorire la conciliazione dei tempi tra famiglia e lavoro, nonché survey periodiche finalizzate a rilevare il clima aziendale. L’attenzione ai dipendenti e alle dipendenti è storica, come dimostra l’asilo aziendale creato dal nonno di Elena Miroglio negli anni ’50 per supportare le famiglie.

L’approccio con il personale di Miroglio Fashion è basato sulla corresponsabilità tra azienda e dipendenti, in cui tutti sentono propria la realtà organizzativa, intervenendo attivamente nel trovare le soluzioni alle complessità e agendo in modo coerente alla mission aziendale per raggiungere gli obiettivi.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto
Focus: Antonella Moira Zabarino

 

Chi è Cristina Guidetto, Pink Ambassador Torino 2020

Rubrica a cura di ScattoTorino

image9 pink ambassadorLo scorso 6 ottobre il Parco Dora di Torino è stato la cornice del passaggio del testimone della Staffetta Pink che coinvolge 14 città lungo tutta la penisola per un totale di 2.100 Km. Le Pink Ambassador di ogni area urbana corrono la staffetta per unire simbolicamente l’Italia e il 18 ottobre parteciperanno al Pittarosso Pink Parade percorrendo gli ultimi 5 Km tutte insieme. Negli anni scorsi l’evento era una mezza maratona, ma il Covid ha impedito il regolare svolgimento dei programmi ed è stata quindi organizzata una staffetta nazionale. Perché, dicono le ambasciatrici, nulla le ferma, nemmeno la pandemia!

Il progetto Pink is Good Running Team, che si svolge ad ottobre perché è il mese della prevenzione del tumore al seno, gode dell’appoggio delle istituzioni delle città coinvolte in questa importante iniziativa il cui scopo è sostenere la ricerca scientifica contro i tumori femminili. Pink is good è un progetto di Fondazione Umberto Veronesi nato nel 2013 per sostenere il lavoro dei ricercatori impegnati nella lotta alle neoplasie dell’universo femminile e per educare alla prevenzione. All’interno di Pink is good è stato creato il Pink is good running: un team di donne che hanno affrontato la malattia e che, mettendosi in gioco nella corsa, dimostrano che la vita continua. Grazie al loro entusiasmo, dall’inizio dell’anno le oltre 200 Pink Ambassador italiane hanno raccolto oltre 90 mila € tramite la pagina di Rete del dono.

Il team torinese è nato nel 2018 e da allora ha riunito sempre più donne operate di tumori femminili che hanno vinto la loro battaglia con coraggio e determinazione. Il Running Team sabaudo selezionato per il 2020 è allenato da Ana Capustin e Nicola Giannone ed è composto da Antonietta Fabrizio, Belinda Mariani, Carla Zannino, Cristina Guidetto, Fabiola Vitale, Luciana Brilli, Luisa Marsaglia: un concentrato di energia, entusiasmo e tenacia. Un esempio per tutti noi. ScattoTorino ha incontrato la runner Cristina Guidetto.

Essere Pink Ambassador significa?

“Vuol dire essere testimonial della Fondazione Umberto Veronesi che è ideatrice del progetto, ma significa anche dimostrare alle donne che stanno vivendo la malattia che si può tornare alla vita normale facendo sport. Secondo numerosi studi scientifici, infatti, fare movimento in modo costante nel tempo riduce il rischio di recidive e favorisce il recupero psicofisico dei pazienti oncologici. L’iniziativa è nata a Milano nel 2014 e attualmente comprende 12 città italiane: Milano, Torino, Genova, Verona, Bologna, Firenze, Perugia, Roma, Napoli, Bari, Catania, Cagliari. Essere Pink, infine, significa condividere la propria esperienza e dimostrare l’importanza della diagnosi precoce e dei corretti stili di vita nella lotta contro i tumori”.

Che cos’è Pink is Good Running?

“È l’insieme dei gruppi di runner donne che sono stati creati nelle diverse città italiane. A Torino esiste dal 2018 e all’inizio era composto da 15-20 persone; quest’anno, anche a causa del Covid-19, abbiamo partecipato alla staffetta solo in 7. Ogni team viene seguito da medici, nutrizionisti, psicologi e allenatori che ci portano a diventare delle atlete. Si tratta di esperti che conoscono le nostre problematiche e sanno come supportarci e farci rendere al meglio durante la corsa. In particolare gli allenatori Nicola Giannone e Ana Capustin con pazienza e professionalità infinite hanno trasformato noi donne un po’ acciaccate e arrugginite in runner entusiaste. Ricordo che lo scorso anno, durante una riunione di presentazione, una Pink si è definita divanista, invece poi ha corso la mezza maratona. Lei è un esempio di come con impegno e dedizione si possono raggiungere risultati incredibili”.

Da chi si compone il team torinese?

“Siamo sette donne che si sono conosciute durante gli allenamenti e che, grazie anche allo sport, hanno saputo creare una sorellanza incredibile. Una Pink non lascia mai sola un’altra Pink: infatti durante gli allenamenti ci aspettiamo e ci supportiamo. Alla staffetta torinese, inoltre, le runner dello scorso anno sono venute a darci supporto perché una Pink rimane Pink per tutta la vita”.

Come ha partecipato la città all’iniziativa?

“La Vicepresidente del Consiglio Comunale di Torino Viviana Ferrero è venuta a presenziare alla staffetta e i Sindaci delle 14 città italiane coinvolte nell’iniziativa hanno indossato la nostra maglietta rosa. Anche alcune boutique cittadine ci stanno supportando vendendo, per tutto il mese di ottobre, delle borracce il cui ricavato viene devoluto alla Fondazione Umberto Veronesi”.

Come è possibile sostenere Pink is good?

image5 pink ambassador“Attraverso la Rete del dono: una raccolta fondi attivata da ogni Ambassador il cui link è https://www.retedeldono.it/it/progetti/fondazione-umberto-veronesi/le-pink-ambassador-running-team-2020 oppure tramite il sito della Fondazione Umberto Veronesi. Chi desidera approfondire l’argomento o effettuare delle donazioni può utilizzare il link

https://www.fondazioneveronesi.it/progetti/pink-is-good”.

Torino per lei è?

“Una città bellissima che, essendo canavesana, sto vivendo appieno solo negli ultimi anni. Torino ha molte risorse, ma forse non sempre vengono valorizzate al massimo. Grazie agli allenamenti per la Staffetta Pink ho avuto modo di conoscere Parco Dora, un luogo scenografico che per certi versi ricorda New York: quasi un’installazione a cielo aperto, affascinante nel silenzio del mattino, così come alla sera quando si trasforma un luogo che pullula di giovani e di vita notturna”.

Un ricordo legato alla città?

“Il piacere di fare shopping per le vie del centro. Mi piace guardare Torino con gli occhi di una turista e spesso mi soffermo ad ammirare i portoni, i cancelli e i cortili dei palazzi storici che hanno una bellezza austera e raffinata”.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto

Protagoniste di Valore: Stefania Doglioli, co-fondatrice di SAFE

Protagoniste di Valore LogoProtagoniste di Valore, rubrica a cura di ScattoTorino

Stefania Doglioli, sociologa specializzata in statistica, vive di passioni. Prima per lo studio, poi per il lavoro. A 20 anni, studentessa, collabora con l’Università di Trento e successivamente studia in Inghilterra, finanziata dall’ateneo. Dopo il dottorato insegna statistica a Milano, in Politecnico e in Bicocca, ma rifiuta la carriera universitaria per vivere una realtà diversa. Prima si occupa di biodiversità, poi collabora con importanti centri di ricerca di Milano e Torino e con altre prestigiose realtà cittadine. Sempre all’ombra della Mole si occupa di formazione professionale ed educazione per entrare appieno nella materia perché conoscenza e azione per lei sono la chiave per capire a fondo ciò di cui si occupa. Con il Centro Studi di Torino realizza il primo profilo nazionale di formazione professionale per operatrici di servizi anti violenza e il progetto oggi è parte integrante della Legge Regionale come obbligo formativo per tutti gli sportelli che si occupano di violenza alle donne. Poiché la violenza di genere ha profonde radici culturali, Stefania Doglioli decide di dedicarsi agli aspetti culturali utili a generare il cambiamento.L’intrepida impresa, come la chiama, la porta a licenziarsi da un impiego sicuro e a fondare SAFE, un progetto di innovazione sociale oltre che la prima agenzia nazionale di fundraising per l’educazione contro la violenza di genere. Alla guida ci sono un gruppo di donne illuminate composto da Ferdinanda Vigliani, Natascia de Matteis, Giulia Piantato, Elisa Forte, Emiliana Nardin, Silvia Marino, Chiara Zoia e naturalmente da lei. Il valore di SAFE è saper creare connessioni tra profit e non profit per alimentare un fondo e garantire ad una rete di nodi territoriali presenti in Italia gli strumenti utili a realizzare interventi educativi di prevenzione alla violenza di genere nelle scuole e nei luoghi di aggregazione.

safe_logo_Qual è la mission di SAFE?

“Offrire i supporti finanziari, di networking, comunicativi, didattici, di ricerca e sviluppo alla rete che si occupa di educazione alla violenza di genere nelle scuole e nei luoghi di aggregazione. Lavoriamo come un’impresa e abbiamo un modello organizzativo il più snello possibile. Il nostro catalogo spiega ciò di cui ci occupiamo e qual è il budget necessario per raggiungere un obiettivo in modo da agire nella trasparenza più completa. Il 70% dei fondi raccolti è destinato alla rete, che viene selezionata per l’altissima qualità, in modo da garantire competenza e serietà, il 10% alla comunicazione, il 5% alla ricerca e il 15% alla raccolta e gestione dei fondi”.

Il progetto a chi si rivolge?

“Essendo un ponte, ha diversi interlocutori: i finanziatori, le università che hanno sviluppato le metodologie e che compongono il comitato scientifico, le associazioni di categoria, autorevoli testimoni del mondo della cultura aziendale e naturalmente i fruitori finali”.

Voi avete diversi supporter: qual è il loro ruolo?

“I supporter firmano un contratto con SAFE e si impegnano a sostenere e a diffondere le nostre iniziative in base al tipo di skill. Per quanto riguarda le aziende e le associazioni di categoria, abbiamo un rapporto diretto e creiamo progetti concreti che siano davvero utili”.

Stefania Doglioli SafeLa governance di un’organizzazione come dovrebbe agire per la parità di genere?

“Servirebbe un patto organizzativo all’interno delle aziende in cui tutte le componenti siano coinvolte in un comune sistema di valori. Il tema è profondamente culturale per cui la legislazione non basta. Bisognerebbe creare dei modelli di leadership e di organizzazione che superino quelli tradizionali e che spesso invece sono di tipo maschile perché un tempo le donne non partecipavano al momento decisionale dell’impresa. Ciò che occorre è il coinvolgimento dei dipendenti e delle dipendenti e la condivisone dei valori”.

Donna per lei significa?

“È un dato culturale. Sono nata biologicamente donna e sono stata cresciuta come una femmina. Crescendo sono tornata ad essere donna. Per me vuol dire ricondurre la cultura condivisa alle vere potenzialità che può esprimere una donna e che non sono quelle dell’assegnazione di ruoli costrittivi. Siamo cresciute per millenni con determinati modelli, ma esiste una cultura alternativa che possiamo portare avanti solo se acquisiamo consapevolezza su cosa significhi essere portatrici di differenza per diventare un volano per il cambiamento. Essere donna vuole dire avere grandi opportunità e un’incredibile responsabilità che possiamo gestire con la ricerca della consapevolezza”.

Il FOCUS DI PROGESIA

Le aziende che sostengono il progetto SAFE attuano le seguenti best practice:

  • Impatto Sociale d’Impresa;
  • Politiche aziendali Human Centric;
  • Valorizzazione delle dipendenti e dei dipendenti;
  • Valorizzazione di competenze e carriere femminili.

“Lavoriamo come un’impresa”

Il percorso di sviluppo del progetto di innovazione sociale SAFE è stato molto simile alla realizzazione di un progetto imprenditoriale. Fin dall’inizio sono stati definiti obiettivi e pianificate azioni, puntando sulle competenze e sulla professionalità delle persone coinvolte. L’associazione è stata da subito vissuta come un’organizzazione a cui dedicare totalmente impegno ed energie e non come un hobby a cui riservare ritagli di tempo. Dalla fase iniziale il progetto è stato supportato da manager e consulenti con competenze specifiche, in quello che Stefania Doglioli definisce “un processo di apprendimento” che ha permesso al gruppo di lavoro di dotarsi di strumenti e metodi utili a programmare obiettivi a breve e a lungo termine. Questo ha consentito a SAFE di arrivare a essere a livello nazionale una voce autorevole nell’educazione contro la violenza di genere e contestualmente di valorizzare la dimensione locale lavorando con le singole comunità. Le parole di Stefania Doglioli “lavoriamo come un’impresa”, infatti, riflettono la realtà SAFE: l’associazione è riuscita a raggiungere importanti obiettivi relativi alla prevenzione della violenza di genere, attraverso un’organizzazione tipicamente aziendale che prevede l’ampliamento del network, un centro di ricerca e sviluppo e più sedi operative distribuite su tutto il territorio nazionale.

I benefici per le imprese

“Le persone veicolano i valori. Se un’impresa punta sui valori coinvolgendo le persone che vi lavorano, allora quella è un’azienda che veicola valori” afferma Stefania Doglioli sottolineando l’importanza della presenza delle imprese nel progetto. SAFE lavora accanto alle scuole per educare i bambini e le bambine, i giovani e le giovani a comprendere gli stereotipi, gli atteggiamenti, il linguaggio e i comportamenti nocivi in ottica di prevenzione della violenza di genere e allo stesso modo lavora accanto alle aziende, dove lavorano i genitori di queste nuove generazioni, in modo da costruire una rete di relazioni che possa contribuire ad abbattere i fenomeni di discriminazione e di violenza.

Collaborare con SAFE può essere per un’azienda una grande opportunità per trarre benefici per la sua organizzazione e per i propri stakeholders. Gli studi confermano infatti che i dipendenti che sentono di condividere gli obiettivi e i valori della propria azienda sono più coinvolti, più proattivi e di conseguenza più produttivi. Inoltre, riconoscersi nei valori dichiarati da un’azienda è importante anche per il cliente, perché attualmente chi acquista non sceglie più solo il prodotto o il servizio, ma decide basandosi sull’insieme delle esperienze e dei valori condivisi con il marchio o il brand. Lo stesso vale per i fornitori, oggi molto più attenti a far parte di una filiera che veicola valori condivisi. Infine, un beneficio che un’azienda può trarre a lungo termine è quello di riuscire a costruire intorno a sé, a livello locale, una comunità sostenibile in cui si possa lavorare in sinergia favorendo il benessere di tutti.

In questo contesto, hanno un ruolo fondamentale le associazioni di categoria, che si sono dimostrate subito molto disponibili alla sensibilizzazione delle imprese, soprattutto delle piccole e medie aziende, ossia quelle più difficilmente raggiungibili. Infatti, mentre le grandi imprese per loro impostazione riconoscono il valore di queste azioni, le piccole aziende hanno bisogno di acquisire consapevolezza. “Grazie al supporto delle associazioni di categoria” – afferma Stefania Doglioli – “siamo riusciti a costruire un ponte raggiungendo centinaia di piccole aziende oggi attive nel progetto SAFE”.

 

Coordinamento: Carole Allamandi
Intervista: Barbara Odetto
Focus: Antonella Moira Zabarino