FRECCIATE
La recente aggressione a un agente della polizia penitenziaria nel carcere “Lorusso e Cutugno” di Torino è solo l’ennesimo episodio di una lunga serie. Sono numerosi infatti gli agenti feriti da inizio anno. Numeri che raccontano un disagio profondo, non più ignorabile.
Il carcere, oggi, è un luogo dove convivono due forme di prigionia, quella dei detenuti, privati della libertà, e quella degli agenti, costretti a lavorare in condizioni di rischio e abbandono. Mentre i primi chiedono diritti, i secondi reclamano sicurezza e nessuno dei due, quasi mai ottiene risposte.
Non si può parlare di civiltà finché il sistema penitenziario resta un girone dantesco per tutti. Restituire dignità ai detenuti e tutela agli agenti non sono obiettivi opposti, ma due facce della stessa giustizia, quella che difende l’uomo, qualunque uniforme o condanna indossi.
Iago Antonelli

d’ormeggio perché era stata annunciata la visita di un pezzo grosso all’hotel Beau Rivage. L’Hotel era proprio lì, dall’altra parte della strada che attraversava il paese. Olimpo, scalpellino nella cava di granito rosa, era finito ai ferri perché reo di aver canticchiato in un’osteria un motivetto che il Podestà aveva giudicato offensivo nei confronti del regime e del Regno. In realtà, il povero tagliapietre – un po’ brillo – aveva improvvisato un’innocua e vecchia tiritera che più o meno suonava così: “Viva il Re, viva la regina e viva la capra della Bettina”, animale reso famoso dall’eccellente e copiosa produzione di latte. Uno scioglilingua che però era stato mal interpretato e così, ai soliti due reprobi si aggiunse pure il terzo. Il problema derivò dal maltempo. Una forte perturbazione stava imperversando tra il lago e le alture del Mottarone e, in poco tempo, le onde s’ingrossarono trasformandosi in schiumosi cavalloni che s’infrangevano sulla massicciata ricavata dalla passeggiata del lungolago. Immaginarsi che inferno anche là sotto, per i tre prigionieri. A tratti le onde li sommergevano per poi ritirarsi, lasciandoli infreddoliti e in balia di altri, gelidi, schiaffi d’acqua. Tutti e tre furono costretti, loro malgrado, a bere quell’acqua dal cattivo sapore. Soprattutto Lucio che, una volta liberato, giurò di non toccar più una goccia di quel liquido tremendo, limitandosi – pur nelle restrizioni dell’epoca – a sorseggiare soltanto vino, compreso quello aspro e ruvido, che legava in bocca, spillato dalla botte dell’osteria della Miniera, su in Tranquilla.