redazione il torinese

Bandiera rossa sventolerà!

/

Faceva un caldo soffocante sul lago Maggiore in quei giorni di fine luglio del 1965. Le Settimane Musicali di Stresa erano in pieno svolgimento.

Nate quattro anni prima  per iniziativa di un nobile avvocato veneziano, Italo Trentinaglia de Daverio , che aveva una villa a Stresa e  la musica  nel sangue grazie all’insegnamento trasmessogli dal padre Erardo che era stato direttore generale del Teatro alla Scala di Milano e sovrintendente de La Fenice a Venezia.

In poco tempo , la perla del Lago Maggiore divenne sede di uno dei più prestigiosi  festival internazionali di musica classica, presentandosi allo sguardo del mondo con il volto compassato e austero di una località che non aveva perso lo charme degli anni in cui Margherita di Savoia, futura Regina d`Italia, vi soggiornava presso la Villa Ducale o di quando le signore imbellettate potevano guardare dal finestrino del Simplon Orient Express, il treno di lusso della Belle Époque, i paesi e le isole del golfo Borromeo. Nell’auditorium del Palazzo dei Congressi si erano esibiti pianisti affermati come Arthur Rubinstein, Arturo Benedetti Michelangeli, Nikita Magaloff, accanto a  giovani talenti come Maurizio Pollini. Accanto a loro violinisti del calibrodi Isaac Stern e violoncellisti come Mstislav Rostropovich. Il palcoscenico delle “settimane”, oltre all’Orchestra del Teatro alla Scala, aveva ospitato le migliori orchestre del mondo come la Philharmonia di Londra, quelle di Vienna e Los Angeles o la Staatskapelle  di Dresda, una delle più antiche orchestre sinfoniche, diretta anche da Wagner e Strauss. Insomma, nel breve volgere di qualche anno, l’immagine di Stresa venen associata alle arie delle opere di Chopin e Vivaldi, alle sinfonie di Berlioz, Mozart, Beethoven, alle austere sonate di Bach, alle note possenti della wagneriana Cavalcata delle Valchirie o alle frenesie del Guglielmo Tell di Rossini. Di successo in successo si arrivò a quella torrida fine di luglio con un evento più unico che raro: l’esibizione concertistica dell’Orchestra Filarmonica di Mosca. Solitamente, sul pennone antistante il Palazzo dei Congressi, prima di ogni esibizione straniera, in segno d’omaggio, era usanza issare il vessillo della nazione a cui apparteneva l’orchestra. Così, di volta in volta, il cima all’asta, garrivano gli stendardi tedesco o francese, la bandiera a stelle e strisce degli Stati Uniti  o l’Union Jack britannica, e così via. Il problema sorse, gettando l’intera organizzazione nel panico, quando ci si accorse – negli uffici della Direzione – che nessuno aveva pensato di reperire una bandiera del paese dei Soviet. Che fare? Era tardi per farne richiesta al Consolato russo a Milano o a Torino e lo stesso valeva per l’Ambasciata. E poi, diciamola per intero, che figura avrebbero fatto? Era piuttosto sgradevole dover ammettere un errore del genere. Il direttore, disperato, non sapeva più dove sbattere la testa e alla data del concerto mancavano ventiquattr’ore e  in serata si sarebbero svolte le prove d’orchestra. “Una soluzione va trovata in fretta.

Non possiamo cadere su di un particolare così importante, rischiando un incidente diplomatico”,  disse, rosso in volto, il direttore ai suoi collaboratori, davanti ad un caffè al banco del Bar dell’Imbarcadero. La discussione, ad alta voce, venne udita da Raimondo Lupini, barcaiolo ed ex partigiano della Valtoce, nonché esponente di spicco della locale sezione comunista. Il “Mondo”, con in testa il suo inseparabile cappello da cowboy, era un tipo gioviale, allegro. Rivolgendosi al direttore, che conosceva da una vita, disse: “Mi scusi se m’intrometto, ma una soluzione al vostro problema ci sarebbe. A dire il vero non è proprio ortodossa, come cosa da fare, ma può ben andare considerate le circostanze”. E, senza tanti giri di parole, esternò la sua idea. Il direttore delle Settimane Musicali e i suoi collaboratori restarono a bocca aperta, attoniti. La proposta del “Mondo” li aveva lasciati lì, secchi come dei baccalà: innalzare sul pennone la bandiera rossa della sezione. Non quella della “festa”, con i fronzoli dorati e le lettere ricamate “Pci di Stresa”, che non sarebbe andata per niente bene. L’altra bandiera, quella che usavano ai cortei, rosso fuoco con falce, martello e stella di un bel giallo paglierino. “Una volta su, chi potrà dire che non è quella dei moscoviti? E poi non c’è quasi vento in questi giorni ed è prevista ancora bonaccia, quindi non sventolerà più di tanto e il trucco può funzionare”, aggiunse il Lupini. Convinti o no, direttore e assistenti, dovettero far buon viso a cattivo gioco. Non c’erano alternative se non quella di lasciare il pennone vuoto e sarebbe stata la scelta peggiore. Quindi, senza tanto clamore, la bandiera fornita dal “Mondo” salì in alto, più in alto dei tetti degli edifici circostanti, quasi a voler dominare dall’alto l’intera cittadina. L’assenza di vento consentì di confondere alla vista le differenze con la bandiera sovietica e la cosa finì lì. Tutti, in fondo erano soddisfatti. Gli orchestrali, piuttosto indifferenti, a dire il vero, si esibirono e lasciarono Stresa alla volta di Ginevra. Il direttore salvò la faccia e ringraziò “Mondo” che, a sua volta, informò della cosa – in via riservata – i suoi compagni che salutarono l’evento con una bella bevuta alla Bocciofila di Vedasco. L’unico che, all’oscuro di tutto, la prese davvero male fu Don Gerlando Gabbìa che quasi quasi stramazzò per terra dallo spavento quando vide il vessillo rosso. “Dio mio, i comunisti hanno preso il potere!”, gridò prima di chiudersi a doppia mandata in sacrestia. Ci volle un po’ di tempo e tanta pazienza da parte di Carlo Brovella, impiegato delle poste e aiutante delle Settimane musicali, per rassicuralo e convincerlo che non era successo nulla e che la bandiera era tornata a riposare nella cassapanca del “Mondo”.

Marco Travaglini

Quando la radio si fece piccola e portatile

Nell’agosto del 1955, venne commercializzata la piccola, mitica, radio portatile TR-55, interamente a transistor. Era una rivoluzione che avrebbe cambiato il mondo della radio e il costume. Sfortunatamente il TR-55 fu prodotto in piccola quantità e solo per il mercato interno

 

Non ho idea se vi è capitato di vedere “1941 – Allarme a Hollywood”, un film del 1979, diretto da Steven Spielberg  e interpretato, tra gli altri,  da John Belushi e  Dan Aykroyd.  Un bel film comico, che a suo modo narra la follia della guerra e, volutamente, mette in ridicolo l’esercito americano e prende di mira i valori della società a stelle e strisce. A dire il vero la comicità del film non è venne apprezzata dal pubblico statunitense, senza dimenticare che la ferita per la sconfitta in Vietnam ( appena quattro anni prima)  era ancora fresca e il pubblico sentiva il bisogno di vedere i propri valori esaltati e non sbeffeggiati. Fatto sta che la trama si svolge sei giorni dopo l’attacco di Pearl Harbor (7 dicembre 1941), con la California in preda dell’isteria, perché teme di essere la prossima vittima dei giapponesi. Un sommergibile nipponico, al largo delle coste statunitensi, ha come obiettivo colpire il simbolo dell’America: Hollywood. Ma quando la bussola e parte dei macchinari si rompe, i giapponesi devono catturare un americano per farsi dire l’esatta direzione per Hollywood. Così, rapiscono un certo Hollis P. Wood. Cosa accadrà, tra scene grottesche, le esilaranti gag di John Belushi ( il capitano Wild Bill Kelso) e la “missione” impossibile del sommergibile, non lo svelerò perché il film è da vedere. Una scena però è utile ad introdurre ciò che accadde sessantaquattro fa, il 7 di agosto del 1955. Ed è quella del tentativo,da parte dei marinai del Sol Levante, di far entrare nella torretta dello scafo la grande radio che il signor Wood portava con se. Non riuscendo nell’impresa, uno dice, sconsolato: “ricordiamoci di farle più piccole”. Così, film a parte, nel 1955, i fondatori della giapponese Sony,  Masaru Ibuka e Akio Morita,s’impegnarono a costruire una radio utilizzando un transistor, un nuovo straordinario dispositivo semiconduttore di proprietà dell’azienda americana Western Electrics. Ibuka e Morita si recarono più volte negli Stati Uniti, ma l’ambizioso progetto dei due non riuscì a persuadere i vertici della Western Electrics, piuttosto scettici. Nel libro che ha scritto, “ Made In Japan”, Morita affermò: “I responsabili di Western Electrics mi dissero che se avessimo utilizzato un transistor in un prodotto di consumo, l’unico dispositivo che avremmo potuto realizzare sarebbe stato un apparecchio acustico“.Malgrado i pareri degli esperti, i due giapponesi – determinati e testardi – non si lasciarono scoraggiare e continuarono a perseguire il proprio obiettivo. Così, dopo ricerche, sperimentazioni e analisi, con l’aiuto del fisico Leo Esaki e di un grande team di ingegneri, i due fondatori della Sony coronarono il loro sogno, riducendo sensibilmente le dimensioni del transistor e creando una radio che, nelle parole di Morita, “era più che portatile: era tascabile”. Così, nell’agosto del 1955, venne commercializzata la piccola, mitica, radio portatile TR-55, interamente a transistor. Era una rivoluzione che avrebbe cambiato il mondo della radio e il costume. Sfortunatamente il TR-55 fu prodotto in piccola quantità e solo per il mercato interno, tant’è che risulta oggi praticamente introvabile.  In Europa arrivò poco dopo il modello TR-63 a batteria da 9V dal costo di circa quaranta dollari. La  prima, piccola radio a transistor, da quel giorno ci accompagnò con notizie e musica. Con la certezza che, dalla torretta alla pancia del sommergibile, la TR-55 sarebbe scivolata dolcemente in giù, senza opporre resistenza.

 

Marco Travaglini

Cartoccio di pesce al forno, sano e gustoso

/

Eccovi una proposta per un secondo profumato ed appetitoso

Ricco di importanti proprieta’ nutritive, buono e gustoso, il pesce e’ uno dei protagonisti della dieta mediterranea. Fritto, a vapore, al forno puo’ essere preparato in tanti modi diversi, ma se cercate una ricetta semplice, veloce e dietetica che racchiude il sapore del mare eccovi una ricetta per un secondo profumato ed appetitoso.

***

Ingredienti per una persona:

1 trancio di pesce a piacere

1 patata

1 carciofo

4 pomodori datterini

capperi, olive taggiasche denocciolate, pinoli q.b.

1 cucchiaio di olio evo

1 pizzico di timo

sale q.b.

***

Tagliare la patata a rondelle e il carciofo a fettine, sistemarli a strati su di un foglio di carta forno, aggiungere il trancio di pesce, coprire con i capperi, le olive tagliate a meta’, i pinoli e i pomodorini a pezzi. Cospargere il tutto con un pizzico di timo, poco sale, l’olio evo. Chiudere il cartoccio con uno spago da cucina, appoggiarlo su una teglia da forno e cuocere a 200 gradi per 20 minuti circa. Servire caldo.

 

Paperita Patty

Avete provato le crespelle ai formaggi?

Simbolo della cucina d’Oltralpe, le crespelle hanno origini antichissime, nate come alimento corroborante a base di latte e uova per sfamare i pellegrini francesi giunti a Roma. Oggi, squisite cialde dorate e sottili dal cuore morbido e filante; una ricetta golosa, sempre gradita a tutti. Un primo piatto che fa subito festa.
 ***
Ingredienti
 
100gr. di farina 00
2 uova intere
250ml. di latte intero
25gr. di burro
200gr. di formaggi a piacere
50gr. di grana grattugiato
Un pizzico di sale
***
Preparare l’impasto per le crespelle lavorando le uova con la farina e il sale, mescolare bene poi, aggiungere il latte e il burro fuso facendo attenzione che non si formino grumi. Lasciar riposare la pastella per mezz’ora. Preparare le crespelle utilizzando un pentolino. Con l’aiuto di un piccolo mestolo, distribuire la pastella su tutta la supeficie, lasciar cuocere sino a quando i bordi si increspano poi, girare la crespella con una spatola e continuare la cottura per mezzo minuto. Proseguire sino ad esaurimento della pastella. Distribuire su ogni crespella ottenuta i formaggi ridotti a dadini, arrotolare le crespelle e disporle in una pirofila da forno unta di burro. Spolverizzare con abbondante grana e infornare a 180 gradi per 20 minuti poi, per altri 5/10 minuti sotto il grill per la doratura. Servire subito.
 

Paperita Patty

 

Fusilli con pesto di fiori di zucca e salmone

/

Un primo piatto delizioso, dal tono raffinato e squisitamente delicato. Una magia di colori e sapori. 
***
Ingredienti 

320gr. di pasta tipo fusilli 
8 fiori di zucca 
20gr. di pinoli 
50gr. di salmone affumicato 
1 piccolo scalogno 
Sale, pepe, timo, olio evo q.b. 
***
Pulire delicatamente i fiori di zucca, eliminare il pistillo interno e tagliare a listarelle. In una larga padella soffriggere con poco olio lo scalogno affettato, aggiungere i fiori di zucca, il sale e il pepe. Cuocere per pochi minuti poi frullare con i pinoli, poco olio, ed un pizzico di sale. Nella stessa padella far saltare per pochi minuti il salmone affumicato precedentemente sminuzzato. Cuocere la pasta al dente, scolarla, saltarla in padella con il pesto ed il salmone, mantecare con un mestolino di acqua di cottura e aromatizzare con un pizzico di timo. Servire subito. 

Paperita Patty 

Sapore di mare: gratin di pesce in conchiglia

/

Una preparazione dedicata ad un momento di festa che soddisfera’ anche i palati piu’ raffinati

Eccovi una proposta deliziosa a  base di pesce per  un antipasto originale e d’effetto. Una ricetta delicata, un’armonia di sapori resi ancora piu’ invitanti dalla presentazione in conchiglie di capesante, una preparazione dedicata ad un momento di festa che soddisfera’ anche i palati piu’ raffinati.

 

Ingredienti per 8 persone:

300gr. di filetto di nasello

300gr. di salmone fresco

10 code di gaberoni

250gr. di besciamella

100gr. di parmigiano grattugiato

100gr. di emmenthal

Sale, pepe, prezzemolo q.b.

Cuocere a vapore il nasello, il salmone e le code di gambero, lasciar raffreddare. In una ciotola sminuzzare il pesce, salare, pepare, aggiungere tre cucchiai di parmigiano, l’emmental tagliato a cubetti, il prezzemolo tritato e la besciamella. Mescolare con cura, riempire con il composto ottenuto i gusci delle capesante, cospargere di parmigiano e infornare a 200 gradi per 10 minuti poi lasciar gratinare sotto il grill sino a completa doratura. Servire la conchiglia calda su un letto di insalatina.

 

Paperita Patty

Sapore d’Oriente nel piatto: straccetti speciali di pollo

/

Il piatto non necessita di lunghe cotture ma di una profumata marinatura

 

Un ottimo secondo piatto leggero, fresco e veloce, non necessita di lunghe cotture ma di una profumata marinatura che esaltera’ il delicato gusto del pollo abbinato alla croccantezza delle verdure.

Semplice, dal successo garantito.

 

 Ingredienti:

1/2 petto di pollo intero

2 carote

2 zucchine

1 limone

1 spicchio di aglio

1 cucchiaino di zenzero in polvere

1 cucchiaino di semi di cumino

1 cucchiaino di semi di sesamo

olio evo q.b.

sale, pepe q.b.

Lavare le verdure e tagliarle a bastoncini nel senso della lunghezza.Tagliare il petto di pollo a striscioline, metterlo in una terrina, cospargerlo con le verdure, le spezie, l’aglio a fettine, bagnare il tutto con il limone, l’olio, il sale,e il pepe. Mescolare bene e lasciar marinare in frigorifero per almeno due ore. In una piastra in ghisa rovente, cuocere gli straccetti di pollo con le verdure scolate per circa dieci minuti, mescolare con una paletta e bagnare con la marinatura, lasciar sfumare. A cottura ultimata, servire subito.

Paperita Patty

Delicato e saporito il risotto gamberi e zucchine: un classico

Il riso italiano, altamente nutritivo, digeribile e versatile si presta ad innumerevoli preparazioni

 

Il riso italiano ,“re dei cereali”, e’ tra i migliori al mondo, e’ espressione di cultura e tradizione delle specifiche zone di produzione. Altamente nutritivo, digeribile e versatile si presta ad innumerevoli preparazioni. La ricetta della settimana e’ un primo classico, semplice, che unisce sapori di terra e di mare che si esaltano a vicenda in un dolce e perfetto connubio. Uno degli abbinamenti piu’ amati.

.

Ingredienti per 4 persone:

 

350gr.di riso per risotti

200gr,di piccole zucchine fresche

15 gamberi freschi

1 piccolo porro

1 scalogno o 1 piccola cipolla

1 bicchiere di vino bianco secco

1 litro di fumetto di pesce

1 carota, 1 gambo di sedano,1/2 cipolla, un rametto di finocchietto selvatico (per il fumetto)

burro/olio q.b.

prezzemolo tritato q.b.

sale q.b.

Sgusciare i gamberi (avendo cura di tenere da parte le teste e i gusci), eliminare il filetto nero, lavare velocemente. Preparare il fumetto di pesce, portare a bollore l’acqua con gli scarti dei gamberi,cipolla, carota, sedano e poco sale, filtrare.

Tritare lo scalogno. Lavare e tagliare le zucchine a rondelle sottili. Scaldare l’olio/burro in una larga padella, rosolare lo scalogno e il porro tagliato a rondelle, aggiungere il riso e farlo tostare a fuoco vivace finche’ i chicchi diventano traslucidi. Bagnare con il vino bianco, lasciar evaporare. Aggiungere poco alla volta il fumetto di pesce bollente. A meta’ cottura unire le zucchine e poi aggiungere i gamberi. Aggiustare di sale.Togliere dal fuoco, completare con il prezzemolo, mantecare con una noce di burro, lasciare riposare per due minuti e servire.

 

Paperita Patty

Giacomo e la briscola chiamata

/

Quando il cielo lacrimava e sul lago soffiava quell’arietta fresca che intirizziva, la passeggiata sul lungolago verso la Villa Branca finiva immancabilmente davanti alla porta dell’amico Giacomo dove ci attendevano le sfida a briscola e tresette

 

Giacomo Verdi, detto “balengo” perché amava spingere la sua barca a remi tra le onde del lago in tempesta, infischiandosene dei rischi, da un bel po’ di tempo era costretto a stare in casa. Un brutta sciatalgia e i reumatismi rimediati  nel far la spola tra le due sponde del lago e le isole, gli impedivano di stare troppo in piedi. E allora, con la scusa di andarlo a trovare, ingaggiavamo delle tremende sfide all’ultima mano. “ Ah, amici miei, sapeste che rottura di balle dover star qui recluso. Per uno come me che non trovava mai terraferma e che fin da piccolo stava con la faccia contro vento, star qui costretto tra seggiola e divano, tra poltrona e letto, è proprio una gran brutta cosa. Quelle volte che non sento il cambio del tempo e riesco a metter il naso fuori dall’uscio, è una tal festa che non mi potete credere. Guardate, è come se fosse un Natale o una Pasqua fuori stagione. Ah, è talmente bello che mi sento un re”. Ogni volta, prima di tirar fuori il mazzo delle carte dal cassetto, Giacomo –  quasi stesse sgranando un rosario – ci faceva partecipi delle sue lamentele. Ma bastavano due o tre smazzate per sparigliare tutto e come d’incanto si dimenticava di acciacchi e malanni. Faceva smorfie, imprecava, sbatteva le carte sul tavolo. Non nascondeva l’ira o la gioia, a seconda di come gli “giravano” le carte, ma era un’altra persona. Amava quei giochi, vantandosi di essere un grande esperto. A volte ci teneva delle vere e proprie lezioni. “ Vedete, il mazzo con cui stiamo giocando è composto da 40 carte di 4 diversi semi. Ma c’è una grande varietà stilistica nel disegno. In alcune regioni sono diffuse le carte di stile italiano o spagnolo, con i semi di bastoni, coppe, denari e spade e con le figure del fante, del cavallo e del re. In altre si usano le carte con i semi francesi .Sono cuori, quadri, fiori e picche, con le figure del fante, della donna e del re.Ecco, sono proprio queste che stiamo usando per la nostra partita”. Parlava come un libro stampato, in un italiano corretto e persino raffinato. “Fate attenzione a queste.Sono carte bergamasche, tipicamente nordiche.Hanno caratteristiche in comune con le figure dei tarocchi lombardi. L’asso di coppe si ispira alle insegne della famiglia Sforza”. Era capace di andar avanti così per un bel po’ se non cambiavamo discorso. E allora ci raccontava delle sue avventure, partendo sempre da quella volta che aveva portato sull’isolino una contessa ( omettendo di dire chi fosse, precisando “sapete,io sono una persona discreta e non mi piace far nomi” ) che per tutto il tragitto continuò a fargli l’occhiolino. Immaginando una qualche complicità e una sorta d’invito, appena toccato terra, tentò di abbracciarla e baciarla, guadagnandosi una sberla tremenda. “Madonna, che botta mi ha dato! Cinque dita cinque, in faccia, secche come un chiodo. Ero diventato rosso come un tumatis, un pomodoro, restando lì a bocca aperta, come un baccalà”. “ Ah, cari miei, se beccavo quel maledetto Luigino dell’Osteria dei Quattro Cantoni lo facevo nero come il carbone”. Quella storia l’aveva raccontata un infinità di volte ma, per non contraddirlo, ci fingevamo interessati e lo incalzavamo con le solite domande (“Come mai,Giacomo? Cosa c’entrava Luigino?”). E lui s’infervorava. “Cosa c’entrava, quella carogna? Cosa c’entrava? C’entrava che se l’avevo tra le mani gli davo un bel ripassoLo pettinavo per bene quel mascalzone. Mi aveva assicurato che la contessa era una che ci stava, che gli piacevano i barcaioli. Mi disse che se gli fossi piaciuto mi avrebbe fatto l’occhiolino. E me l’aveva fatto, porco boia; altro che se me l’aveva fatto. Ma era per via di un tic nervoso. Altro che starci. Sembrava una iena. E quel saltafossi lo sapeva, capite? Lo sapeva e mi ha tirato uno scherzo”. Sbollita la rabbia per quella brutta figura che ormai faceva parte dei ricordi, ricominciava a giocare, picchiando le carte sul tavolo come se quello fosse la testa pelata di Luigino. Giacomo abitava in una casa che dava su via Domo. Dalla parrocchiale , dove c’è Largo Locatelli, si scendeva verso l’abitazione per una viuzza stretta, tortuosa, lastricata a boccette che finiva nella piazzetta. Lì, al numero 12, in una casa piuttosto bassa, coperta da un tetto di piode, stava il Verdi. Quasi in faccia alla cappelletta che ,si diceva, fosse stata eretta come ex-voto per la liberazione dalla peste. Sotto l’arco s’intravedevano ancora gli affreschi raffiguranti la Madonna con il Bambino e ben due coppie di santi : Giuseppe e Defendente, da una parte;Gervaso e Protaso, dall’altra. Era lì che la povera Marietta posava il cero nei giorni in cui suo marito, quel matto di Giacomo, metteva la barca in acqua incurante del “maggiore” che spazzava le onde, gonfiando minacciosamente il lago. Ora che Marietta era  passata a miglior vita era Giacomo – ormai prigioniero a terra per via dei malanni – a dare qualche soldo a Cecilio, il sacrestano, perché non si perdesse quell’abitudine che – diceva, sospirando – “ in fondo, mi ha sempre portato bene”. Ecco, le giornate più uggiose le passavamo in casa di Giacomo, in uno dei rioni più antichi di Baveno.Lì c’è ,ancora adesso, la “Casa Morandi”, un edificio settecentesco di quattro piani, con scale esterne e ballatoi. È forse l’angolo più apprezzato dai pittori e dai fotografi di tutta la cittadina. Sono in tanti, in Italia e all’estero, a tenere sulle pareti del salotto un acquerello, una china o più semplicemente una foto incorniciata della casa Morandi. Segno inequivocabile che da lì è passata un sacco di gente ,portando con sé la storia, quella vera, quella che si legge sui libri. E magari incrociando le carte con Giacomo.

Marco Travaglini

Vecchio Piemonte: pesche ripiene all’antica

/

Un antico dessert estivo tipico del Piemonte, tutto da gustare. Una preparazione semplice e genuina realizzata con pesche dolci e mature, farcite da un goloso ripieno a base di cioccolato fondente e amaretti, un abbinamento davvero delizioso e irresistibile.

Ingredienti:

6 pesche mature a pasta bianca

80 gr. di amaretti

60 gr.di cioccolato fondente

2 tuorli

30 gr. di zucchero a velo

Poco burro

Lavare ed asciugare le pesche. Tagliarle a meta’ ed eliminare il nocciolo. Scavare un poco la polpa e metterla in una terrina. Preparare il ripieno mescolando la polpa delle pesche tritata con il cioccolato grattugiato e gli amaretti sbriciolati, unire parte dello zucchero a velo e i due tuorli. Disporre le mezze pesche in una pirofila da forno, precedentemente imburrata, riempirle con il ripieno di amaretti ed un fiocchetto di burro. Cuocere in forno a 190 gradi per circa 30 minuti. Servire a piacere tiepide o fredde cosparse di zucchero a velo.

Paperita Patty