redazione il torinese

I “Discorsi per il Natale” di Olivetti

Discorsi per il Natale”, agile e interessante pubblicazione delle Edizioni di Comunità, raccoglie e propone tre testi di Adriano Olivetti scritti per le feste di fine anno tra il 1949 e il 1957

 

 I discorsi fotografano tre dei momenti più importanti della storia della fabbrica di Ivrea e rendono, in una mirabile sintesi, il profilo dell’autore che va annoverato – a tutti gli effetti – tra le figure più singolari e straordinarie del ‘900. Le idee innovative e comunitarie in campo sociale di questomprenditore e intellettuale  – ancor oggi  attualissime –  ne testimoniano pienamente la capacità visionaria. Adriano Olivetti fu  capace di portare l’ azienda di famiglia a competere alla pari con i giganti del mercato mondiale della sua epoca, trasformando la città del Castello “dalle rosse torri” nella capitale dell’informatica. Un sogno industriale, il suo, che logicamente mirava al successo e al profitto, ma proponeva anche un progetto sociale che implicava una relazione del tutto nuova e compartecipativa tra imprenditore e operai, oltre a un rapporto qualitativamente alto e molto stretto tra quella che era stata la “fabbrica in mattoni rossi” e la città, capoluogo del Canavese. Tornando al libro, nel primo discorso, datato 24 dicembre 1949, l’imprenditore racconta i primi anni del dopoguerra per condividere il sollievo e l’orgoglio della compiuta ripresa dell’azienda dopo la difficile esperienza del fascismo e del conflitto mondiale. Nel secondo, sei anni dopo, il 24 dicembre 1955, Adriano Olivetti rievoca proprio quel discorso per ripercorrere i nuovi traguardi della fabbrica, che ha assunto ormai una dimensione internazionale ma non ha mai perso di vista le proprie radici morali, memore degli insegnamenti del fondatore Camillo. E dice, tra le altre cose: “Tutta la mia vita e la mia opera testimoniano anche – io lo spero – la fedeltà a un ammonimento severo che mio padre quando incominciai il mio lavoro ebbe a farmi: “Ricordati” – mi disse – “che la disoccupazione è la malattia mortale della società moderna;perciò ti affido una consegna:devi lottare con ogni mezzo affinché gli operai di questa fabbrica non abbiano a subire il tragico peso dell’ozio forzato, della miseria avvilente che si accompagna alla perdita del lavoro”. Una grande lezione morale alla quale, nei fatti, accompagnò il suo agire concreto  di imprenditore illuminato. In questi discorsi di Natale emerge la volontà di ringraziare tutti i lavoratori della fabbrica per la loro partecipazione a qualcosa di più grande, a una comune dimensione di riscatto del lavoro che, per usare le stesse parole di Olivetti, “non si esaurisce semplicemente nell’indice dei profitti”. Nell’ultimo discorso della breve raccolta, pronunciato in occasione del Capodanno del 1957, alla vigilia del cinquantenario della fondazione della Olivetti ( datata ottobre 1908) l’augurio dell’imprenditore di Ivrea, ormai all’apice del successo, è quello di non perdere mai di vista, nell’anno e negli anni a venire, il senso di giustizia e di solidarietà umana che è alla base di ogni vero progresso e rappresenta il valore più profondo e ultimo di tutta l’esperienza olivettiana. Vi è l’orgoglio per quello che lui stesso definisce “lo spirito della fabbrica” e una potente visione di futuro. Resta, leggendo queste righe, il rammarico per ciò che potevano diventare l’Olivetti , l’industria italiana e il modello sociale del paese se l’utopia di Adriano non si fosse spenta dopo la sua improvvisa e tragica morte, nel febbraio del 1960, quando non aveva ancora compiuto sessant’anni.

Marco Travaglini

Simil-pesto semplice ma gustoso

Lo so, nulla a che fare con il vero pesto ma, e’ una valida alternativa alla pasta in bianco

 

Questa e’ una versione low-cost e super veloce del pesto per le vostre trenette. Non me ne vogliano i lettori liguri…

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Ingredienti:

1 bel mazzo di basilico
1 spicchio di aglio
1 presa di sale
1 pugno di mandorle spellate
1 bicchiere di olio

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Lavare ed asciugare le foglie di basilico. Mettere gli ingredienti nel bicchiere del frullatore con meta’ olio. Frullare ad intervalli per pochi secondi, aggiungere il rimanente olio, aggiustare di sale.
Condire la pasta aggiungendo al pesto un mezzo mestolino di acqua e abbondante pecorino.

Lo so, nulla a che fare con il vero pesto ma, e’ una valida alternativa alla pasta in bianco.

 

Paperita Patty

Petto di pollo al limone: semplice e gustoso

Una ricetta appetitosa, sorprendentemente profumata che vi stupirà per la sua leggerezza, morbidezza e bontà

 

La carne di pollo apprezzata per le sue propreita’ nutritive e’ adatta a tutta la famiglia. Pochi semplici ingredienti per una ricetta appetitosa, sorprendentemente gustosa e profumata che vi stupira’ per la sua leggerezza, morbidezza e bonta’.

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Ingredienti:

1 Petto di pollo intero

1 bicchiere di vino bianco secco

1 limone non trattato

1 spicchio di aglio

Olio,sale,pepe, rosmarino q.b.

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In una pentola scaldare l’olio con l’aglio e il rametto di rosmarino. Rosolare a fuoco vivace il petto di pollo, salare, pepare e sfumare con il vino bianco, abbassare la fiamma, lasciare insaporire e cuocere coperto per circa un quarto d’ora. Lavare il limone e con un rigalimoni o un coltellino affilato, prelevare stiscioline di scorza sottilissime da aggiungere al pollo poi, aggiungere tutto il succo filtrato del limone. Lasciar cuocere lentamente per circa mezz’ora aggiungendo, se necessario, un mestolino di acqua calda. Lasciar consumare la salsa, affettare la carne e servire caldo.

Paperita Patty

I “chiodini” intelligenti della Quercetti

Ovviamente i giochi si sono evoluti, ma quel che conta e che fa la differenza è che l’impronta è la stessa data dal fondatore 67 anni fa. Giochi tradizionali, manuali, intelligenti

 

Caro Alessandro, i “plonini” hanno compiuto sessantacinque anni. Sette in più del tuo papà, più del doppio dei tuoi. Ma sono sempre quelli, di plastica colorata, che infilavi nei buchi per disegnare figure”. Così scriverei a mio figlio, in una ipotetica lettera, ricordando il tempo in cui giocava con i chiodini della Quercetti. Sì, erano quelli i “plonini” ( i bimbi tendono a reinventarsi i nomi; anche Snoopy era diventato “Stuyng” e i Puffi si erano ritrovati come d’incanto ad essere dei “fuppi” ) che nel 1950 uscirono dalla fabbrica torinese di Corso Vigevano,25. Esattamente 67 anni fa, Alessandro Quercetti, diede vita a uno fra gli esempi più longevi dell’industria del giocattolo in Italia. E, nonostante il paese sia cambiato dall’inizio del secondo dopoguerra e almeno tre generazioni di italiani hanno giocato con quei chiodini di plastica, sembra che per la “Quercetti & C.” il tempo si sia fermato. Certo, la fabbrica è più grande, moderna e tecnologica, ma il nome sulla porta è sempre lo stesso ed a  guidarla è sempre la stessa famiglia: Andrea, Alberto e Stefano Quercetti, i figli di Alessandro. L’azienda torinese rappresenta uno degli esempi più longevi dell’industria del giocattolo in Italia, un comparto che, nella maggior parte dei casi, ha dovuto arrendersi allo strapotere dei produttori asiatici.

Ovviamente i giochi si sono evoluti, ma quel che conta e che fa la differenza è che l’impronta è la stessa data dal fondatore. Giochi tradizionali, manuali, intelligenti. E il “pezzo forte” dell’azienda è sempre lui, il mitico “Chiodino“, intuizione straordinaria che ha reso il marchio “Quercetti” e i suoi giochi riconoscibili in tutto il mondo. La gamma dei giochi nel tempo è decuplicata, e sono cambiati materiali e tecnologie produttive: ai chiodini, si sono aggiunti biglie, costruzioni, aerei, magneti. Ma ogni pezzo viene realizzato ancora oggi in Italia, nello stabilimento di Torino, dove la Quercetti  può vantare di essere una delle pochissime realtà con un controllo diretto dell’intera filiera produttiva. Tutto il lavoro, a partire dalla progettazione del giocattolo fino al confezionamento del prodotto finito è interamente realizzato in Corso Vigevano. L’intero ciclo di produzione, dall’idea al prototipo, dallo sviluppo del prodotto alla costruzione degli  stampi, dallo stampaggio al confezionamento fino alla spedizione è svolto in Italia, sviluppando un indotto sul territorio. Così, nel tempo, la Quercetti  ha mantenuto la sua identità e non è mai scesa a compromessi. Perché per fare giocattoli, per essere in grado di offrire ai bambini una ricca gamma di esperienze, per realizzare un prodotto che non si limiti ad attrarre ma che stimoli l’intelligenza dei bambini. Rispettandola e coltivandola nel tempo, chiodino dopo chiodino.

Marco Travaglini

Cinghiale in salmì con polenta

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Il cinghiale ha carne magra  dal sapore intenso che si abbina perfettamente con un piatto di polenta

 

 Un piatto rustico e saporito ottimo da gustare negli ultimi giorni freddi prima dell’arrivo della primavera. Il cinghiale ha carne magra  dal sapore intenso che si abbina perfettamente con un piatto di polenta. La carne ha bisogno di una lunga marinatura in un ottimo vino piemontese ed aromi per smorzare il retrogusto selvatico. I tempi sono un po’ lunghi ma il risultato ripaghera’.

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Ingredienti per la marinatura:

1 cipolla, 1 carota, 1 costa di sedano, 5 bacche di ginepro, 2 chiodi di garofano, 2 foglie di alloro, 2 foglie di salvia,1 spicchio di aglio

vino rosso corposo q.b.,1 bicchierino di grappa, sale e pepe q.b.

 

Ingredienti per la polenta:

1 kg. di farina da polenta,2 cucchiai di sale, 2 litri di acqua

 

Ingredienti per lo spezzatino

1 kg. di polpa di cinghiale, le verdure della marinatura, vino rosso ½ litro, olio, farina bianca e sale q.b.

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Tagliare la polpa di cinghiale a bocconcini e metterla a marinare con le verdure e le spezie coperta di vino e grappa per almeno 24 ore. Trascorso tale tempo, scolare la carne e le verdure dalla marinatura. In un tegame, preferibilmente di coccio, versare l’olio e fare rosolare le verdure scolate, aggiungere i bocconcini di carne precedentemente infarinati, lasciar insaporire, versare a poco a poco il vino nero, lasciar evaporare, abbassare la fiamma e lasciar cuocere sino a quando si sara’ formato un sughetto denso (minimo per 2 ore)

Preparare la polenta portando ad ebollizione l’acqua salata, versare a pioggia la farina evitando la formazione di grumi e lasciar cuocere 90 minuni.

Ed ora… tutti a tavola!

Paperita Patty    

Il delicato risotto ai carciofi e funghi

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Poco calorici, saporiti e versatili, ricchi di ferro, hanno proprieta’ toniche e digestive ideali per il nostro organismo

Una ricetta delicata e raffinata con i carciofi che in questo periodo sono nel pieno del loro sapore. Molto amati in cucina, dal tipico sapore amarognolo, i carciofi sono ortaggi che si prestano a gustosi abbinamenti, poco calorici, saporiti e versatili, ricchi di ferro, hanno proprietà toniche e digestive ideali per il nostro organismo.

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Ingredienti:

350gr. di riso per risotti

5 carciofi

15gr. di funghi porcini secchi

1 scalogno (o mezza cipolla)

1 spicchio di aglio

1 ciuffo di prezzemolo

1 bicchiere di vino bianco secco

Brodo vegetale q.b.

Olio evo, burro, sale q.b.

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Pulire i carciofi, lavarli in acqua acidulata con gocce di limone, affettarli grossolanamente. Mettere i funghi secchi a rinvenire in una tazza di acqua calda.

In un largo tegame soffriggere lo scalogno e l’aglio con una noce di burro e due cucchiai di olio evo, versare il riso e lasciare tostare mescolando poi, sfumare con il vino bianco e lasciar evaporare. Unire i carciofi affettati, i funghi strizzati e tritati, salare e versare poco alla volta il brodo caldo sino ad ultimare la cottura. Spegnere la fiamma, mantecare con una noce di burro, cospargere di prezzemolo tritato e servire subito. Delizioso !

Paperita Patty

Il fascino dei Jukebox, costruiti a Torino

Tra i primi in Italia  a costruirli ci fu la Microtecnica di Torino, un’azienda con sede in piazza Arturo Graf, nei pressi  via Madama Cristina

Era un mercoledì, il 22 giugno del 1927. Un giorno apparentemente come tanti altri se non fosse che proprio quel mercoledì vennero messi in vendita i primi Jukebox. E fu una vera e propria rivoluzione per la musica. Bastava introdurre una moneta e girare una manovella per selezionare un disco tra quelli esposti in una vetrina rettangolare. Così funzionavano i fonografi a moneta, antesignani dei jukebox moderni, che furono messi in commercio per la prima volta dalla Ami, un’azienda già nota per la produzione di pianoforti a gettoni, la cui diffusione aveva aperto la strada ai mitici “contenitori armonici” (traduzione letterale del termine). Le prime versioni di jukebox erano in legno e contenevano 12 dischi a 78 giri. I prodotti Ami si affermarono soprattutto in Europa mentre negli Usa conquistarono il mercato marchi come Wurlitzer, Seeburg e Rock-Ola. Tra i primi in Italia  a costruirli – su licenza della Ami – ci fu la Microtecnica di Torino, un’azienda con sede in piazza Arturo Graf, nei pressi  via Madama Cristina, nel rione di San Salvario, specializzata nelle lavorazioni meccaniche di precisione. I cari, vecchi jukebox, hanno sempre esercitato un grande fascino, offrendo la colonna sonora per intere generazioni che si sono incrociate, magari nel lido di una spiaggia o in un bar di uno sperduto paesino. Del jukebox , i meno giovani, rammentano non solo i motivi delle canzoni ma anche il rumore del gettone o della moneta, il clank clank della meccanica che si muoveva per selezionare il disco, il fruscio dei 45 giri di vinile suonati decine di volte al giorno. In Italia il jukebox divenne celebre grazie al Festivalbar, trasmissione che premiava la canzone più “gettonata” nei jukebox di tutto il paese. Non si contano i film dove i  jukebox accompagnano le scene, come in Grease ma non vi è dubbio che una delle figure mitiche è stata quella di Arthur Fonzarelli, il “Fonzie” della  famosissima serie televisiva Happy Days, che faceva partire quello del ristorante diArnold’s con un pugno, ascoltando i successi di Elvis Presley. Poi, nel tempo,  sono venuti i mangiadischi (i giradischi portatili), le audio cassette da infilare nel registratore o nell’autoradio,  i cd dei Walkman  e infine i lettori Mp3 e chissà qual’altra diavoleria. Ma il jukebox rimane il jukebox. E niente e nessuno potrà prenderne il posto nella storia.

 

Marco Travaglini

“L’accordatore”, un racconto di Piero Chiara su Tallone a Orta

A Orta, una mattina d’autunno di alcuni anni or sono, di domenica, mentre stavo sotto gli ippocastani già rossi della piazza a guardare il lago e l’isola di San Giulio, vidi scendere, da due automobili giunte a motore spento, un gruppo di sei persone: due donne e quattro uomini, uno dei quali si staccò subito dal gruppo e apparve come colui per il quale tutti gli altri esistevano.

Era un vecchietto, chiuso in un pastrano scuro, con un cappello nero in testa, una sciarpa al collo e ai piedi un paio di scarpe di tela bianca.

Era, come mi sussurrò un barcaiolo, il famoso accordatore Cesare Tallone, che andava a passare la domenica sull’isola di San Giulio”. Così scriveva Piero Chiara nel breve racconto “L’accordatore”, rammentando l’incontro con il maestro Cesare Tallone, detto Cesarino per distinguerlo dal padre pittore. Pubblicato da Biblohaus, a cura di Federico Roncoroni,  con due scritti di Enrico Tallone e Massimo Gatta oltre ad alcune belle foto d’epoca, il racconto “L’accordatore”, come è tipico della narrativa di Piero Chiara, nasce da un fatto di cui è stato testimone con , sullo sfondo, il luogo dell’incontro: l’arrivo di Tallone ad Orta, dove possedeva una dimora sull’isola di San Giulio. Un racconto velato dal mistero, avvolto in quelle nebbie che spesso si trovano tra autunno e inverno sulle acque calme del più romantico dei laghi italiani, meta ideale di artisti e scrittori. Una storia che parla di una straordinaria famiglia – quella dei Tallone – di editori e stampatori, poeti e pittori, architetti e costruttori di pianoforti. Un interessante saggio di Roncoroni aiuta a comprendere il contesto nel quale si colloca il racconto dello scrittore di Luino, mentre  le pagine manoscritte restituiscono la prova più genuina del lavoro di Chiara.

Cesare Augusto (“Cesarino”) Tallone, figlio del pittore Cesare e fratello dell’editore Alberto,  apprese il mestiere di liutaio nella fabbrica Fip di Alpignano e poi alla Zari di Bovisio, di cui fu giovanissimo direttore. Gabriele d’Annunzio lo definì “artefice in costruzioni sonore” ed egli divenne accordatore ufficiale del Vittoriale. Perfezionatosi in Germania, negli anni cinquanta iniziò la costruzione dei pianoforti “Tallone” giungendo, dopo dieci anni di studi e sperimentazioni, a produrre il primo pianoforte italiano gran coda da concerto. Grazie al suo infallibile orecchio, la spiccata sensibilità musicale e la perfetta conoscenza dello strumento, fu stimato, fra gli altri, da Ludwig Hofmann, Arturo Toscanini e Arturo Benedetti Michelangeli, che lo volle con sé come tecnico accordatore durante le sue lunghe tournée internazionali. “L’accordatore” è un ulteriore prova dell’impareggiabile istinto e talento narrativo di Piero Chiara, uno degli autori più prolifici e più fortunati della  seconda metà del Novecento.

Marco Travaglini

Susanna: l’importanza di chiamarsi Agnelli

Torino e le sue donne

Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce

Con la locuzione “sesso debole” si indica il genere femminile. Una differenza di genere quella insita nell’espressione “sesso debole” che presuppone la condizione subalterna della donna bisognosa della protezione del cosiddetto “sesso forte”, uno stereotipo che ne ha sancito l’esclusione sociale e culturale per secoli. Ma le donne hanno saputo via via conquistare importanti diritti, e farsi spazio in una società da sempre prepotentemente maschilista. A questa “categoria” appartengono  figure di rilievo come Giovanna D’arco, Elisabetta I d’Inghilterra, EmmelinePankhurst, colei  che ha combattuto la battaglia più dura in occidente per i diritti delle donne, Amelia Earhart, pioniera del volo e Valentina Tereskova, prima donna a viaggiare nello spazio. Anche Marie Curie, vincitrice del premio Nobel nel 1911 oltre che prima donna a insegnare alla Sorbona a Parigi, cade sotto tale definizione, così come Rita Levi Montalcini o Margherita Hack. Rientrano nell’elenco anche Coco Chanel, l’orfana rivoluzionaria che ha stravolto il concetto di stile ed eleganza e Rosa Parks, figura-simbolo del movimento per i diritti civili, o ancora Patty Smith, indimenticabile cantante rock. Il repertorio è decisamente lungo e fitto di nomi di quel “sesso debole” che “non si è addomesticato”, per dirla alla Alda Merini. Donne che non si sono mai arrese, proprio come hanno fatto alcune iconiche figure cinematografiche quali Sarah Connor o Ellen Ripley o, se pensiamo alle più piccole, Mulan.  Coloro i quali sono soliti utilizzare tale perifrasi per intendere il “gentil sesso” sono invitati a cercare nel dizionario l’etimologia della parola “donna”: “domna”, forma sincopata dal latino “domina” = signora, padrona. Non c’è altro da aggiungere.  

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3. Susanna: l’importanza di chiamarsi Agnelli

Difficile, se non impossibile, parlare di Torino e non della Fiat.  La vicenda della Fiat inizia l’11 luglio 1899, quando viene fondata la Società Anonima Fabbrica Italiana di Automobili-Torino su iniziativa del Cavalier Giovanni Agnelli. Passa davvero poco tempo e la ragione sociale diventa Fabbrica Italiana Automobili Torino, FIAT, (fortunato acronimo che in latino significa “che sia!”). Il primo stabilimento viene inaugurato nel 1900, nei primi anni la produzione è di poco più di venti automobili all’anno realizzate da circa una trentina di operai, nel 1903 arriva la quotazione in Borsa e inizia la grandezza della storia di una delle industrie più conosciute al mondo. Con il trascorrere del tempo la produzione aumenta, così come le esportazioni all’estero che arrivano fino in Australia e in America. Nel 1926 si avvia la costruzione della fabbrica del Lingotto e si fanno i primi passi verso la produzione di massa. Nel 1930 nasce la Littorina, la prima automotrice di tutto il mondo, nel 1937  viene inaugurato lo stabilimento Mirafiori. Nel 1943 Agnelli si ritira dall’azienda e suo nipote Gianni entra nel Consiglio di Amministrazione. Dopo la crisi della Seconda Guerra Mondiale il gruppo è protagonista del miracolo economico italiano con ben più di quattrocentomila macchine prodotte ogni anno. Nel 1955 viene lanciata la “600”, dopo due anni l’iconica “500”, a cui seguono la “850”, la “124” e la “128”. Negli anni Settanta la società viene convertita in “holding”. Il “boom economico” arriva negli anni Ottanta, segnato dalla mitica “Panda” e da altri successi come la “Uno” e la “Tipo”. Nel 1993 la FIAT accoglie il gruppo Maserati. Altri anni difficili arrivano con il Duemila, quando la crisi si fa sentire di nuovo dopo decenni. Viene avviata l’alleanza con la General Motors che però si conclude dopo poco, Con le morti di Gianni e di Umberto la situazione si complica ulteriormente. Il presidente diventa Luca Cordero di Montezemolo con Sergio Marchionne come Amministratore Delegato. È proprio quest’ultimo a seguire di persona l’accordo con Chrysler, (FCA, Fiat Chrysler Automobiles, nasce il 29 gennaio 2014). Lo stesso Montezemolo viene sostituito da John Elkann. Alla FIAT è legato un altro primato torinese, quello di Ernestina Prola, la prima donna patentata, nel 1907. La più grande industria d’automobili d’Italia segna il destino anche di un’altra donna, quello di Susanna, la quale da subito è conscia del fatto che non potrà mai trovarsi ai vertici della fabbrica del nonno. La chiave dell’esistenza di Susanna è anche legata all’affermazione che le rivolse l’austera istitutrice Miss Parker: “Non dimenticare di essere una Agnelli”, parole che le rammentano costantemente di far parte di una famiglia che decide le sorti di ogni suo componente, esattamente come una dinastia reale.  Susanna Agnelli nasce a Torino il 24 aprile del 1922, da Edoardo Agnelli e Virginia Bourbon del Monte. È la terza di sette figli; insieme ai fratelli Umberto e Gianni, Susanna è stata una esponente di spicco della famiglia torinese proprietaria della FIAT. A vent’anni, durante la Seconda Guerra Mondiale entra nella Croce Rossa per portare il suo aiuto sulle navi che trasportano soldati feriti. Alla fine della guerra sposa il Conte Urbano Rattazida cui avrà sei figli, l’amore però non dura e la coppia divorzia nel 1975 dopo aver vissuto per diverso tempo in Argentina. Dal 1974 al 1984 Susanna si dedica alla politica, diventando sindaco del comune di Monte Argentario (Grosseto). Nel 1976 viene eletta deputato e nel 1983 Senatore nelle liste del partito Repubblicano italiano. Durante la sua carriera politica parlamentare ha ricoperto la carriera di Sottosegretario agli Esteri dal 1983 al 1991 sotto varie Presidenze del Consiglio. Ricopre, inoltre, il ruolo di Ministro degli Esteri (prima e unica donna nella storia italiana ad accedere al Dicastero della Farnesina), durante il governo guidato da Lamberto Dini tra il 1995 1996. Susanna è già laureata in lettere ma nel 1984 riceve una seconda laurea honoris causa in Legge dalla Mount Holyoke University del Massachusetts USA. Nel 1979 viene eletta alle elezioni europee per le liste del PRI, in ambito comunitario è  membro della Commissione per le Relazioni Economiche Esterne. Aderisce al gruppo parlamentare liberal-democratico, rimanendo in carica fino all’ ottobre 1981. Negli anni Settanta è presidente del WWF, negli anni Ottanta è l’unico membro italiano all’ ONU della “Commissione Mondiale per l’ambiente e lo sviluppo” (rapporto Brundtland). Autrice di diversi libri come sc
rittrice e memorialista, tra le pubblicazioni particolarmente importante è la sua autobiografia intitolata “
Vestivamo alla marinara”, testo divenuto un best seller in Italia e all’estero. Il libro racconta della sua infanzia e della sua giovinezza, dalla nascita a Torino fino al matrimonio con Rattazzinel ’45, sono ventitré anni particolari, che coincidono con l’ascesa e la caduta di Mossolini. Cura l’edizione Cesare Garboni, che definisce il lavoro: “la storia di una ragazza e del suo nome”.  Per diversi anni Susanna continua a seguire una rubrica di posta intitolata “Risposte private” sul settimanale Oggi, ed è nominata Presidente del Comitato Direttivo di Telethon onlus sin dai primi anni Novanta, quando la maratona benefica è arrivata in Italia. Nel 1997 fa nascere la fondazione “Il Faro”, organizzazione che ha l’obbiettivo di insegnare un mestiere a giovani italiani e stranieri in difficoltà, consentendo loro di acquisire capacità professionali spendibili sul mercato. Susanna muore a Roma all’età di 87 anni, il 15 maggio 2009, all’ospedale Gemelli, dopo il ricovero per i postumi di un intervento traumatologico subito qualche settimana prima.  Di lei raccontano Thea Scognamiglio, sua nipote, Carlo Scognamiglio, presidente del Senato tra il 1994 e il 1996, Giorgio La Malfa, segretario del Partito Repubblicano dal 1987 al 2001, Ilaria Borletti Buitoni, sua amica dai tempi della prima campagna elettorale del 1976, già Sottosegretario al Ministero dei Beni Artistici e Culturali, Pasquale Terracciano, ambasciatore d’Italia per il Regno Unito, suo stretto collaboratore alla Farnesina, e molti altri. Di lei ha scritto il giornalista Enzo Biagi: “E’ una donna coraggiosa che ha soprattutto un merito, la sincerità”.

 

Alessia Cagnotto

Le città più colorate

Allegre, eccentriche e piene di personalità

Colori, contrasti, allegria e creatività, diverse sono le città in Europa e nel mondo che si contraddistinguono per le tinte forti ed esuberanti, per il carattere energico e accattivante. Tra le più variopinte spiccano Citta del Capo, in Sud Africa, con il suo quartiere multiculturale Kaap Boo dove casette basse di tutti i colori caratterizzano il panorama urbano spesso utilizzato anche come set fotografico e cinematografico. Breslavia, in Polonia, un’altra città multicolor, soprattutto la piazza centrale del mercato, Rynec, deliziata da decine di palazzi di varie tinte da dove partono graziosissime stradine piene di locali e di vita. Longyearby, piccolissima cittadina Norvegese e centro abitato più a nord del mondo, è molto apprezzata per i colori delle sue pittoresche villette a schiera che hanno come sfondo un magnifico scenario glaciale. E’ il posto ideale dove osservare l’aurora boreale e il più natalizio del mondo considerato che qui si trova la casa di Babbo Natale con la sua gettonatissima buca delle lettere. Buenos Aires, famosissima capitale Argentina, con il suo quartiere la Boca, considerato un museo open air, la via degli artisti con i suoi conventillos, piccolissime case in legno, decorata allegramente, unicamente creativa e dalla storia singolare. Sembra infatti che in passato gli abitanti di questo quartiere, non avendo abbastanza denaro per acquistare un colore unico per le pareti esterne delle case, abbiano chiesto aiuto in giro ottenendo tinte diverse che hanno dato vita a questo originale posto dal gusto un po’ retrò. Poi ancora St. John’s, in Canada, dove le graziose palazzine policrome vengono paragonate alle caramelle gommose Jellybean, Stoccolma con un centro storico antico e coloratissimo, Jodhpur, in India, con i suoi quartieri blu, il colore che un tempo contraddistingueva la casta dei Brahmini, e ancora Santorini, Reykjavík, Galway, Lisbona e Porto. In Italia ne abbiamo moltissime, romantiche, poetiche e festose. Burano è considerata la più variopinta, con i sui deliziosi nidi che si affacciano sui canali, gialli, verdi, viola, azzurri e fucsia. Il paesaggio è spensierato, magnetico e quasi candito , la più famosa e visitata è Casa deo Bepi suà. Le Cinque Terre, in Liguria, ci regalano sfumature radiose e brillanti con Vernazza, Monterosso, Manarola, Corniglia e Riomaggiore, la più cromatica. Procida, incantevole isola del Golfo di Napoli, protagonista e fonte di ispirazione di artisti e scrittori, luogo di magia dove il tempo sembra felicemente immobile. E poi ancora Vipiteno, in Trentino alto Adige, sito fiabesco eletto tra i borghi più belli d’Italia, le intramontabili e uniche Napoli, Positano e Portofino, la adorabile e garbata Comacchio.

Maria La Barbera