redazione il torinese

Crostata sorrentina, dolce raffinato

La crostata che vi presento e’ assolutamente da non perdere! Buonissima, profumata, friabile e raffinata e’ un dolce davvero speciale . Un guscio di frolla che racchiude una cremosa farcia avvolgente di crema, amaretti e amarene, un dessert indimenticabile.
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Ingredienti
Per la frolla:
300gr. di farina 00
80gr. di zucchero semolato
130gr. di burro
1 uovo e 1 tuorlo
2gr. di lievito per dolci
Buccia grattugiata di mezzo limone
 
Per la farcia:
 
400ml. di latte intero
80gr. di zucchero semolato
3 tuorli
30gr. di maizena
24 amaretti
Amarene Fabbri q.b.
Liquore Alchermes q.b.
Zucchero a velo
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Impastare nel mixer farina, burro tagliato a tocchetti, zucchero, uova, lievito e la buccia grattugiata del limone. Formare una palla, volgerla nella pellicola e riporla in frigo per almeno un’ora. Preparare la crema pasticcera, lavorare i tuorli con lo zucchero, aggiungere la maizena e versare a filo il latte bollente, cuocere a bagnomaria, sempre mescolando, per 7/8 minuti. Lasciar raffreddare. Dividere la pasta frolla a meta’, stenderla con il mattarello e trasferirla in una teglia da crostata da 24cm. di diametro rivestita di carta forno, bucherellare il fondo con una forchetta. Spennellare il fondo con lo sciroppo di amarena, aggiungere le amarene e 2/3 amaretti sbriciolati. Coprire con la crema pasticcera e livellare bene. Posare sulla crema gli amaretti precedentemente bagnati con un pennello nell’Alchermes. Stendere la rimanente frolla sugli amaretti, chiudere bene i bordi. Cuocere in forno preriscaldato a 180 gradi per 45 minuti. Lasciar raffreddare nella teglia, prima di servire cospargere di zucchero a velo.

Paperita Patty

Il Duca d’Aosta a vent’anni

I monumenti di Torino  / La statua in bronzo fu  trasportata, nel giugno del 1900, dalle fonderie Sperati (corso Regio Parco) al Parco del Valentino e per compiere quel tragitto di circa tre chilometri furono necessarie più di sei ore a causa appunto delle ingenti dimensioni del monumento

Il monumento è situato all’interno del Parco del Valentino, in asse con corso Raffaello e nel centro del piazzale nel quale confluiscono i viali Boiardo, Ceppi e Medaglie D’Oro. La statua che raffigura, sul cavallo ritto sulle zampe posteriori, il poco più che ventenne Amedeo di Savoia Duca d’Aosta durante la battaglia di Custoza, è posta su un dado di granito che poggia a sua volta su un basamento contornato da una fascia di coronamento in bronzo,rappresentante (in altorilievo) 17 figure tra cui numerosi personaggi celebri della dinastia sabauda. Ai gruppi di cavalieri si alternano vedute paesaggistiche come la Sacra di San Michele, il Monviso e Torino con il colle di Superga sullo sfondo.Sul fronte del basamento, poggiata sulla chioma di un albero al quale è appeso lo stemma reale di Spagna, un’aquila ad ali spiegate regge tra gli artigli lo scudo dei Savoia.Nato il 30 maggio 1845 da Vittorio Emanuele (il futuro re Vittorio Emanuele II) e da Maria Adelaide Arciduchessa d’Austria, Amedeo Ferdinando Maria Duca d’Aosta e principe ereditario di Sardegna, crebbe seguendo una rigida educazione militare.Nel 1866 gli venne affidato il comando della brigata Lombardia e partecipò alla battaglia di Custoza nella quale, nonostante fosse stato ferito da un proiettile di carabina, continuò a battersi distinguendosi così per il suo coraggio ed il suo valore.In seguito alla rivoluzione del 1868 e alla cacciata dei Borboni, in Spagna venne proclamata la monarchia costituzionale e nonostante la situazione risultasse molto difficile, Amedeo di Savoia accettò l’incarico così, il 16 novembre 1870, venne eletto Re di Spagna con il nome di Amedeo I di Spagna.Ma la situazione politica risultò ancora più instabile di come lui se la fosse prospettata e davanti a rivolte e congiure (nel 1872 sfuggì miracolosamente ad un attentato), nel 1873 abdicò rinunciando per sempre al trono.Tornato in Italia, venne nominato Tenente Generale e Ispettore Generale della Cavalleria; si spense il 18 gennaio 1890 a causa di una incurabile broncopolmonite.

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Signorilmente affabile con tutti, sempre pronto a prodigarsi per il bene della sua amata città, fu (anche durante il periodo della sua sovranità in Spagna) un personaggio molto popolare e ben voluto tanto che, neanche una settimana dopo la sua morte, la città di Torino costituì un comitato promotore per l’erezione di un monumento a lui dedicato, sotto la presidenza del conte Ernesto di Sambuy. Venne aperta una sottoscrizione internazionale alla quale, la stessa città di Torino, partecipò con la somma di L. 25.000 e in seguito, il 6 marzo 1891, venne bandito un concorso tra gliartisti italiani per stabilire chi sarebbe stato l’autore dell’imponente opera. Tra i ventinove bozzetti presentati ne furono scelti sei che vennero esposti nei locali della Società Promotrice di Belle Arti, in via della Zecca 25 ed in seguito, tra i sei artisti vincitori, venne bandito un nuovo e definitivo concorso che vide come vincitore (nel dicembre del 1892) Davide Calandra. La decisione, secondo le parole della Giuria, fu motivata “dal poetico fervore immaginoso della concezione, dall’eleganza decorativa dell’insieme, dalla plastica efficacia del gruppo equestre e dalla vivace risoluzione del difficile motivo della base“. Inizialmente l’ubicazione del monumento avrebbe dovuto essere, secondo la proposta del Comitato Esecutivo approvata dalla Città di Torino nella seduta del Consiglio Comunale dell’11 giugno 1894, il centro dell’incrocio dei corsi Duca di Genova e Vinzaglio, ma a causa delle dimensioni maestose del basamento si decise che fosse necessario uno spazio più ampio per ospitare l’opera. Dopo avere effettuato delle prove con un simulacro di grandezza naturale in tela e legname (costato alla Città la somma di L. 2480), si decise di collocarla nel Parco del Valentino sul prolungamento dell’asse di Corso Raffaello, presso l’ingresso principale dell’Esposizione Generale Italiana tenutasi del 1898: il 9 novembre 1899 il ConsiglioComunale approvò la scelta della Giunta di tale ubicazione.

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La statua in bronzo fu dunque trasportata, nel giugno del 1900, dalle fonderie Sperati (corso Regio Parco) al Parco del Valentino e per compiere quel tragitto di circa tre chilometri furono necessarie più di sei ore a causa appunto delle ingenti dimensioni del monumento. Il monumento venne inaugurato il 7 maggio 1902, in occasione della Prima Esposizione Internazionale di Arte Decorativa e Moderna di Torino, durante la quale lo scultore fu anche premiato per aver inserito nell’opera elementi di “Art Noveau”. Nel corso dell’inaugurazione il conte Ernesto di Sambuy, a nome del Comitato, consegnò l’opera al Sindaco di Torino. Originariamente il monumento venne circondato da una cancellata in ferro dell’altezza di circa 130 centimetri, disegnata dallo stesso Calandra, che venne rimossa probabilmente a causa delle requisizioni belliche durante la Prima Guerra Mondiale. Nel 2004 il monumento è stato restaurato dalla Città di Torino. Per fare un piccolo accenno al Parco del Valentino, di cui certamente parleremo in modo più approfondito prossimamente, bisogna ricordare che ilmonumento ad Amedeo di Savoia è situato nell’area nella quale, fra Ottocento e Novecento, si tennero a Torino alcune tra le più importanti rassegne espositive internazionali. Nel 1949, proprio a fianco del monumento, sorse il complesso di Torino Esposizioni, un complesso fieristico progettato da Pier Luigi Nervi che, durante le Olimpiadi Invernali di Torino 2006, ha ospitato un impianto per l’hockey su ghiaccio dove sono state giocate circa la metà delle partite dei tornei maschili e femminili. Al termine delle Olimpiadi, la struttura è tornata all’originario uso abituale ripredisponendo un padiglione come palaghiaccio per i mesi invernali. Cari lettori anche questa ennesima passeggiata tra le “bellezze torinesi” termina qui. Mi auguro che il monumento equestre ad Amedeo di Savoia vi abbia incantato ed incuriosito proprio come ha fatto con me; nel frattempo io vi do appuntamento alla prossima settimana alla scoperta o meglio “riscoperta” della nostra città.

Simona Pili Stella

Lenticchie saporite (e sane)

Sono un alimento prezioso per la nostra salute, sano e facilmente digeribile

 

Un piatto semplice dall’inconfondibile sapore. Un contorno sano e gustoso, ottimo per accompagnare carni o, per sostituirle grazie al loro alto apporto proteico. Le lenticchie sono un alimento prezioso per la nostra salute, sano e facilmente digeribile.

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Ingredienti:

 

250gr. di lenticchie di Castelluccio secche a cottura rapida

1 piccola cipolla

1 costa di sedano

1 carota

1 spicchio di aglio

1 peperoncino

2 cucchiai di concentrato di pomodoro

Brodo vegetale q.b.

1 foglia di alloro

Sale, olio evo q.b.

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Soffriggere in due cucchiai di olio la cipolla affettata con l’aglio, la carota e il sedano tritati grossolanamente. Aggiungere le lenticchie, precedentemente lavate in acqua fredda e scolate, la foglia di alloro e lasciar insaporire per qualche minuto. Versare il brodo vegetale caldo fino a coprirle completamente. Aggiungere il concentrato di pomodoro,il peroncino sminuzzato, il sale. Mescolare, coprire e lasciar cuocere per 45 minuti a fuoco lento. Servire subito con due fette di cotechino a piacere.

Paperita Patty

I “Discorsi per il Natale” di Olivetti

Discorsi per il Natale”, agile e interessante pubblicazione delle Edizioni di Comunità, raccoglie e propone tre testi di Adriano Olivetti scritti per le feste di fine anno tra il 1949 e il 1957

 

 I discorsi fotografano tre dei momenti più importanti della storia della fabbrica di Ivrea e rendono, in una mirabile sintesi, il profilo dell’autore che va annoverato – a tutti gli effetti – tra le figure più singolari e straordinarie del ‘900. Le idee innovative e comunitarie in campo sociale di questomprenditore e intellettuale  – ancor oggi  attualissime –  ne testimoniano pienamente la capacità visionaria. Adriano Olivetti fu  capace di portare l’ azienda di famiglia a competere alla pari con i giganti del mercato mondiale della sua epoca, trasformando la città del Castello “dalle rosse torri” nella capitale dell’informatica. Un sogno industriale, il suo, che logicamente mirava al successo e al profitto, ma proponeva anche un progetto sociale che implicava una relazione del tutto nuova e compartecipativa tra imprenditore e operai, oltre a un rapporto qualitativamente alto e molto stretto tra quella che era stata la “fabbrica in mattoni rossi” e la città, capoluogo del Canavese. Tornando al libro, nel primo discorso, datato 24 dicembre 1949, l’imprenditore racconta i primi anni del dopoguerra per condividere il sollievo e l’orgoglio della compiuta ripresa dell’azienda dopo la difficile esperienza del fascismo e del conflitto mondiale. Nel secondo, sei anni dopo, il 24 dicembre 1955, Adriano Olivetti rievoca proprio quel discorso per ripercorrere i nuovi traguardi della fabbrica, che ha assunto ormai una dimensione internazionale ma non ha mai perso di vista le proprie radici morali, memore degli insegnamenti del fondatore Camillo. E dice, tra le altre cose: “Tutta la mia vita e la mia opera testimoniano anche – io lo spero – la fedeltà a un ammonimento severo che mio padre quando incominciai il mio lavoro ebbe a farmi: “Ricordati” – mi disse – “che la disoccupazione è la malattia mortale della società moderna;perciò ti affido una consegna:devi lottare con ogni mezzo affinché gli operai di questa fabbrica non abbiano a subire il tragico peso dell’ozio forzato, della miseria avvilente che si accompagna alla perdita del lavoro”. Una grande lezione morale alla quale, nei fatti, accompagnò il suo agire concreto  di imprenditore illuminato. In questi discorsi di Natale emerge la volontà di ringraziare tutti i lavoratori della fabbrica per la loro partecipazione a qualcosa di più grande, a una comune dimensione di riscatto del lavoro che, per usare le stesse parole di Olivetti, “non si esaurisce semplicemente nell’indice dei profitti”. Nell’ultimo discorso della breve raccolta, pronunciato in occasione del Capodanno del 1957, alla vigilia del cinquantenario della fondazione della Olivetti ( datata ottobre 1908) l’augurio dell’imprenditore di Ivrea, ormai all’apice del successo, è quello di non perdere mai di vista, nell’anno e negli anni a venire, il senso di giustizia e di solidarietà umana che è alla base di ogni vero progresso e rappresenta il valore più profondo e ultimo di tutta l’esperienza olivettiana. Vi è l’orgoglio per quello che lui stesso definisce “lo spirito della fabbrica” e una potente visione di futuro. Resta, leggendo queste righe, il rammarico per ciò che potevano diventare l’Olivetti , l’industria italiana e il modello sociale del paese se l’utopia di Adriano non si fosse spenta dopo la sua improvvisa e tragica morte, nel febbraio del 1960, quando non aveva ancora compiuto sessant’anni.

Marco Travaglini

Simil-pesto semplice ma gustoso

Lo so, nulla a che fare con il vero pesto ma, e’ una valida alternativa alla pasta in bianco

 

Questa e’ una versione low-cost e super veloce del pesto per le vostre trenette. Non me ne vogliano i lettori liguri…

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Ingredienti:

1 bel mazzo di basilico
1 spicchio di aglio
1 presa di sale
1 pugno di mandorle spellate
1 bicchiere di olio

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Lavare ed asciugare le foglie di basilico. Mettere gli ingredienti nel bicchiere del frullatore con meta’ olio. Frullare ad intervalli per pochi secondi, aggiungere il rimanente olio, aggiustare di sale.
Condire la pasta aggiungendo al pesto un mezzo mestolino di acqua e abbondante pecorino.

Lo so, nulla a che fare con il vero pesto ma, e’ una valida alternativa alla pasta in bianco.

 

Paperita Patty

Petto di pollo al limone: semplice e gustoso

Una ricetta appetitosa, sorprendentemente profumata che vi stupirà per la sua leggerezza, morbidezza e bontà

 

La carne di pollo apprezzata per le sue propreita’ nutritive e’ adatta a tutta la famiglia. Pochi semplici ingredienti per una ricetta appetitosa, sorprendentemente gustosa e profumata che vi stupira’ per la sua leggerezza, morbidezza e bonta’.

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Ingredienti:

1 Petto di pollo intero

1 bicchiere di vino bianco secco

1 limone non trattato

1 spicchio di aglio

Olio,sale,pepe, rosmarino q.b.

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In una pentola scaldare l’olio con l’aglio e il rametto di rosmarino. Rosolare a fuoco vivace il petto di pollo, salare, pepare e sfumare con il vino bianco, abbassare la fiamma, lasciare insaporire e cuocere coperto per circa un quarto d’ora. Lavare il limone e con un rigalimoni o un coltellino affilato, prelevare stiscioline di scorza sottilissime da aggiungere al pollo poi, aggiungere tutto il succo filtrato del limone. Lasciar cuocere lentamente per circa mezz’ora aggiungendo, se necessario, un mestolino di acqua calda. Lasciar consumare la salsa, affettare la carne e servire caldo.

Paperita Patty

I “chiodini” intelligenti della Quercetti

Ovviamente i giochi si sono evoluti, ma quel che conta e che fa la differenza è che l’impronta è la stessa data dal fondatore 67 anni fa. Giochi tradizionali, manuali, intelligenti

 

Caro Alessandro, i “plonini” hanno compiuto sessantacinque anni. Sette in più del tuo papà, più del doppio dei tuoi. Ma sono sempre quelli, di plastica colorata, che infilavi nei buchi per disegnare figure”. Così scriverei a mio figlio, in una ipotetica lettera, ricordando il tempo in cui giocava con i chiodini della Quercetti. Sì, erano quelli i “plonini” ( i bimbi tendono a reinventarsi i nomi; anche Snoopy era diventato “Stuyng” e i Puffi si erano ritrovati come d’incanto ad essere dei “fuppi” ) che nel 1950 uscirono dalla fabbrica torinese di Corso Vigevano,25. Esattamente 67 anni fa, Alessandro Quercetti, diede vita a uno fra gli esempi più longevi dell’industria del giocattolo in Italia. E, nonostante il paese sia cambiato dall’inizio del secondo dopoguerra e almeno tre generazioni di italiani hanno giocato con quei chiodini di plastica, sembra che per la “Quercetti & C.” il tempo si sia fermato. Certo, la fabbrica è più grande, moderna e tecnologica, ma il nome sulla porta è sempre lo stesso ed a  guidarla è sempre la stessa famiglia: Andrea, Alberto e Stefano Quercetti, i figli di Alessandro. L’azienda torinese rappresenta uno degli esempi più longevi dell’industria del giocattolo in Italia, un comparto che, nella maggior parte dei casi, ha dovuto arrendersi allo strapotere dei produttori asiatici.

Ovviamente i giochi si sono evoluti, ma quel che conta e che fa la differenza è che l’impronta è la stessa data dal fondatore. Giochi tradizionali, manuali, intelligenti. E il “pezzo forte” dell’azienda è sempre lui, il mitico “Chiodino“, intuizione straordinaria che ha reso il marchio “Quercetti” e i suoi giochi riconoscibili in tutto il mondo. La gamma dei giochi nel tempo è decuplicata, e sono cambiati materiali e tecnologie produttive: ai chiodini, si sono aggiunti biglie, costruzioni, aerei, magneti. Ma ogni pezzo viene realizzato ancora oggi in Italia, nello stabilimento di Torino, dove la Quercetti  può vantare di essere una delle pochissime realtà con un controllo diretto dell’intera filiera produttiva. Tutto il lavoro, a partire dalla progettazione del giocattolo fino al confezionamento del prodotto finito è interamente realizzato in Corso Vigevano. L’intero ciclo di produzione, dall’idea al prototipo, dallo sviluppo del prodotto alla costruzione degli  stampi, dallo stampaggio al confezionamento fino alla spedizione è svolto in Italia, sviluppando un indotto sul territorio. Così, nel tempo, la Quercetti  ha mantenuto la sua identità e non è mai scesa a compromessi. Perché per fare giocattoli, per essere in grado di offrire ai bambini una ricca gamma di esperienze, per realizzare un prodotto che non si limiti ad attrarre ma che stimoli l’intelligenza dei bambini. Rispettandola e coltivandola nel tempo, chiodino dopo chiodino.

Marco Travaglini

Cinghiale in salmì con polenta

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Il cinghiale ha carne magra  dal sapore intenso che si abbina perfettamente con un piatto di polenta

 

 Un piatto rustico e saporito ottimo da gustare negli ultimi giorni freddi prima dell’arrivo della primavera. Il cinghiale ha carne magra  dal sapore intenso che si abbina perfettamente con un piatto di polenta. La carne ha bisogno di una lunga marinatura in un ottimo vino piemontese ed aromi per smorzare il retrogusto selvatico. I tempi sono un po’ lunghi ma il risultato ripaghera’.

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Ingredienti per la marinatura:

1 cipolla, 1 carota, 1 costa di sedano, 5 bacche di ginepro, 2 chiodi di garofano, 2 foglie di alloro, 2 foglie di salvia,1 spicchio di aglio

vino rosso corposo q.b.,1 bicchierino di grappa, sale e pepe q.b.

 

Ingredienti per la polenta:

1 kg. di farina da polenta,2 cucchiai di sale, 2 litri di acqua

 

Ingredienti per lo spezzatino

1 kg. di polpa di cinghiale, le verdure della marinatura, vino rosso ½ litro, olio, farina bianca e sale q.b.

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Tagliare la polpa di cinghiale a bocconcini e metterla a marinare con le verdure e le spezie coperta di vino e grappa per almeno 24 ore. Trascorso tale tempo, scolare la carne e le verdure dalla marinatura. In un tegame, preferibilmente di coccio, versare l’olio e fare rosolare le verdure scolate, aggiungere i bocconcini di carne precedentemente infarinati, lasciar insaporire, versare a poco a poco il vino nero, lasciar evaporare, abbassare la fiamma e lasciar cuocere sino a quando si sara’ formato un sughetto denso (minimo per 2 ore)

Preparare la polenta portando ad ebollizione l’acqua salata, versare a pioggia la farina evitando la formazione di grumi e lasciar cuocere 90 minuni.

Ed ora… tutti a tavola!

Paperita Patty