redazione il torinese

Il Primo Maggio a menu fisso e la sindrome dell'arto fantasma

MAGGIO 1AVVISTAMENTI

Per fortuna questo è pur sempre il Paese di Crozza, con le sue imitazioni. E non la Russia, Cuba o la Cina, Paesi che tuttora celebrano il Primo Maggio, Giorno Internazionale dei Lavoratori, con grandi parate militari. Ché quei Paesi, si sa, di diritti dei lavoratori se ne intendono

 

 

Il corteo del primo maggio sta alla società italiana come la sindrome dell’arto fantasma sta agli amputati: il cervello avverte stimoli nervosi da una parte del corpo che non esiste più da tempo, almeno non nelle forme in cui si ripropone, anno dopo anno, una festa dei lavoratori immutabile e scolpita nel tempo. Per fortuna questo è pur sempre il Paese di Crozza, con le sue imitazioni, e non la Russia, Cuba o la Cina, Paesi che tuttora celebrano il Primo Maggio, Giorno Internazionale dei Lavoratori, con grandi parate militari, ché quei Paesi, si sa, di diritti dei lavoratori se ne intendono. Anche a Torino, sarà tutto come da copione: Triplice e PD che fanno finta di litigare, sulle note di “vengo anch’io, no, tu no”, una scimmiottatura delle rivendicazioni di “autonomia del sindacato” di cui si faceva interprete Ottaviano Del Turco, allora vicino a Craxi, per allentare la presa del Pci-Pds sulla CGIL. 

 

Prevedibile il solito pubblico di teste canute, vero zoccolo duro del sindacato, insieme al comparto della scuola e della sanità pubblica; prevedibili i fervorini dei leader sindacali sulla solidarietà (quest’anno il tema è “la solidarietà fa la differenza”, ammiccando astutamente un po’ alla nostra coscienza sporca per la tragedia dei barconi, un po’ al pauperismo descamisado di Papa Francesco), prevedibili le contestazioni dei No-Tav più o meno pesantemente armati, prevedibili le cariche della polizia, prevedibile la presenza di esponenti non-di-sinistra alla Giampiero Leo  in cerca di martirio pubblico e della corrispondente notorietà. ( astenersi israeliti di religione, ebrei di cognome e amici di Israele, ché da tempo l’antisemitismo di sinistra è stato stralciato per via di giurisprudenza del Decreto Mancino)

 

Tutto questo in una città che continua a celebrare i fasti del Fordismo, mentre di fatto la principale industria si è già internazionalizzata, è uscita da Confindustria e ha abiurato i sacri dogmi della concertazione; la contrattazione aziendale si fa strada come può, ma prima o poi ce la imporranno i Lavoromercati e l’Unione Europea, come si farebbe con un Varufakis qualsiasi. Intanto, la realtà del sindacato si è convertita in un apparato che organizza turismo per anziani, concerti e fiere, consulenza fiscale, e soprattutto lobbying politico, e non soltanto per lanciare carriere in Parlamento o creare partiti-non partiti alla Landini. Giacché a Torino vige una peculiare regola secondo cui nelle aziende pubbliche (partecipate municipali, ASL, ma soprattutto tra il personale degli Enti), i dirigenti provengono quasi tutti dal sindacato, cioè dall’altra parte del tavolo. Un esito esemplare di una carriera in un sindacato che si vorrebbe ancora unico interprete di salariati metalmeccanici in tuta blu; e che è diventato un’altra cosa: un arto fantasma.

 

fv

Uncem, a maggio il congresso: "Nuovo dialogo con il Governo"

uncem

“Abbiamo bisogno di un generale rilancio delle politiche regionali e nazionali per le Terre Alte”

 

Lido Riba, Consigliere comunale di Ostana, è stato eletto presidente regionale dell’Uncem dall’assemblea congressuale riunita nei giorni scorsi a Torino, al centro congressi dell’Hotel Fortino. Inizia così il suo terzo mandato alla guida della Delegazione piemontese dell’Unione dei Comuni, delle Comunità e degli Enti montani. Ex Consigliere regionale e già presidente dell’Ipla, Riba ha confermato nella relazione di apertura il grande impegno per un nuovo percorso di lavoro, una fase di crescita delle politiche per la montagna, all’interno di nuove strategie regionali e nazionali in favore delle Terre Alte e degli Enti locali, grazie al lavoro con i 553 Comuni montani e le 41 Unioni montane. Il Congresso Uncem ha anche eletto i 78 componenti del Consiglio regionale, due Consiglieri nazionali e i Delegati al Congresso nazionale che si terrà a Torino l’8 e 9 maggio.

 

“Abbiamo bisogno di un nuovo dialogo con il Governo, di vedere approvata in Parlamento la legge sui piccoli Comuni e la Montagna – ha affermato Lido Riba – Abbiamo bisogno di un generale rilancio delle politiche regionali e nazionali per le Terre Alte. Servono strategie. Uncem può contribuire a individuarle e concretizzarle. La formazione è alla base di questo percorso. Formazione del personale tecnico e politico, assolutamente necessaria in Piemonte. Dobbiamo puntare sulle nuove generazioni, sulla loro necessità di vivere e lavorare nelle aree montane ma anche di impegnarsi in politica e nelle istituzioni”. Uncem proseguirà, nei prossimi anni, un lavoro intenso sui temi dello sviluppo: agricoltura multifunzionale, nascita di Sistemi turistici locali, miglioramento delle reti di trasporto, rivitalizzazione dei Borghi alpini grazie ai fondi europei, produzione di energia rinnovabile, programmi per l’innovazione e la riduzione del digital divide.

 

Poi, una serie di vertenze da aprire. “Come quella sui canoni idroelettrici – ha evidenziato Riba – La montagna genera con l’acqua e la sua forza di gravità un gettito di 1 miliardo e 200 milioni di euro grazie alla produzione energetica. Tornano al territorio le briciole, solo 12 milioni di euro. Non possiamo permetterlo. Servirà un nuovo impegno istituzionale, per combattere questa sperequazione drammatica. Andranno in scadenza le concessioni delle dighe e le gare dovranno riequilibrare il rapporto tra montagna che produce risorse e la città che consuma. Vale per acqua, clima, foreste e tutti i beni eco-ambientali che devono avere un valore, riconosciuto e restituito. Ancora una volta, la montagna ribadisce che non vuole assistenza, ma con un forte impegno politico e istituzionale, la possibilità di usare le sue grandi risorse”.

Comune, equilibrio di bilancio garantito

ARCHITETTURA

Ampia maggioranza in Sala Rossa

 

Ventuno voti favorevoli e tre contrari. Con un’ampia maggioranza l’amministrazione di Piero Fassino “incassa” dal consiglio comunale l’approvazione della delibera che garantisce e preserva gli equilibri di bilancio nel corso dell’esercizio provvisorio 2015. Il consiglio comunale di Torino che dovrà approvare il bilancio preventivo 2015 ha dunque votato una delibera per razionalizzare e contenere le spese. La delibera, che è stata presentata in aula dall’assessore al bilancio Gianguido Passoni prevede, oltre al limite di un dodicesimo mensile, uno ulteriore costituito dalla misura massima del 70% su base mensile delle Somme stanziate a bilancio 2014
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Massimo Iaretti

Senzatomica è anche un festival

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Gli ultimi appuntamenti sono previsti venerdì 1 maggio, alle ore 20,  con le “Passioni rock” e la musica degli Zona Rock (Angela Caramellino, Livio Piermaria, Davide Vinci, Werther Ferrari, Giorgio Debernardi), sabato 2 maggio con le “Canzoni di pace”

 

All’ombra della storica rocca, Verrua Savoia ha promosso,  oltre alla esposizione Senzatomica (di cui Il Torinese ha recentemente scritto) anche un Senzatomica Festival, tanta musica nel nome della pace a partire dal 19 aprile. Gli ultimi appuntamenti sono previsti venerdì 1 maggio, alle ore 20,  con le “Passioni rock” e la musica degli Zona Rock (Angela Caramellino, Livio Piermaria, Davide Vinci, Werther Ferrari, Giorgio Debernardi), sabato 2 maggio con le “Canzoni di pace” a cura di Fabrizio Zanotti, voce e chitarra. Il festival chiude i battenti domenica 3 maggio, sempre alle ore 18,con l’Offerta al Maestro (si tratta nientemeno che di un omaggio a Bach).

Massimo Iaretti

La Grande Guerra raccontata dai fotografi al fronte

guerra 23 soldati
La mostra è ospitata dal Museo Nazionale del Cinema di  Torino

 

Al Fronte. Cineoperatori e fotografi raccontano la Grande Guerra è la mostra  che fino al 3 maggio sarà ospitata dal Museo Nazionale del Cinema di  Torino per celebrare il centenario della Grande Guerra. All’inaugurazione le curatrici Sarah Pesenti Campagnoni e Roberta Basano, hanno illustrato il percorso che si snoderà sulla scala elicoidale e che attraverso 160 fotografie racconta una guerra invasiva e piena di contraddizioni, combattuta in trincea e documentata attraverso fotografie e documentari da cineoperatori e da soldati che hanno combattuto in prima linea. Luis Bogino, fotografo dell’Esercito Regio Italiano, è il principale autore della maggior parte di fotografie che compongono la mostra e che fanno parte del fondo fotografico del Museo Nazionale del Cinema che Maria Adriana Prolo, fondatrice del Museo, ha acquisito nel corso della sua vita.

 

Per la prima volta cinema e fotografia dialogano insieme per documentare, seppure con un linguaggio di propaganda, un evento bellico che mai prima di allora era stato registrato dai due media.Accanto alle fotografie sarà possibile visionare filmati d’epoca, grazie agli schermi dislocati lungo il percorso, e filmati di finzione che hanno avuto per oggetto la Grande Guerra. Completano il percorso le video installazioni degli artisti Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi e le fotografie scattate oggi nei luoghi di guerra da Paola De Pietri per riflettere su come la natura abbia trasformato il paesaggio bellico. Oltre alla mostra, al catalogo che ripropone la maggior parte delle fotografie esposte, e ai percorsi dedicate alle scuole, nel corso delle prossime settimane saranno proiettati al cinema Massimo molti film sulla Grande Guerra, tra i quali l’ultimo restauro del Museo Nazionale del Cinema, presentato nella scorsa edizione della Mostra del Cinema di Venezia, Maciste Alpino (di L.Maggi e L.Borgnetto,1917).

 

Cristina Colet

P. Tosetto: "Resistere e testimoniare pensando a Voltaire"

VOLTAIRE“Non ho la velleità di parlare per altri. Di rappresentare. No, in questa sede desidero solo testimoniare. Saranno piccole verità di parte. Piccole verità che vorranno contribuire, non essere il tutto”

 

Da oggi collaboro fattivamente con “il Torinese”. Scriverò riprendendo il vecchio “vizio” di scrivere. Cercherò d’assolvere a questo compito d’osservazione, d’analisi ed in alcuni casi di critica verso chi ci amministra. Sapendo che questo è un compito difficilissimo, sopratutto in questi tempi che forse passeranno alla Storia come il “medio Evo” della nostra epoca. Ero indeciso. Preoccupato di cadere nella piaggeria. Ma mi sono convinto che tra i nostri “doveri morali” c’è anche quello di resistere. Resistere per un futuro possibile. E il Futuro riguarda in particolare i nostri figli, anche nella sua accezione collettiva. Solo piccole verità: non ho la velleità di parlare per altri. Di rappresentare. No, in questa sede desidero solo testimoniare. Saranno piccole verità di parte. Piccole verità che vorranno contribuire, non essere il tutto. Cercare di contribuire innanzitutto nel capire. E difenderò queste mie idee sempre pronto a cambiarle quando i fatti dovessero contraddire le mie ipotesi. Ma determinato e testardo quando i fatti  le confermeranno. Cercando di partire da ciò che vediamo, da ciò che capiamo, da ciò che elaboriamo. Viviamo in un mondo globalizzato. Dove è esponenziale l’aumento della popolazione. Quasi impossibile ridurre e controllare flussi migratori. Dove la soluzione, o il semplice controllo di problemi risulta talmente difficile che rasenta l’impossibilità. Eppure, mentre scrivo penso alla famosa frase di Voltaire : non sono assolutamente d’accordo con quello che voi dite, ma darei la vita affinché lo possiate dire. Tolleranza: 250 anni fa ed è ancora un precetto valido. Questa convinzione ci aiuta nel resistere. A chi avrà compiacenza di leggere l’ultimo giudizio. Per il sottoscritto sarà il tentativo d’essere all’altezza del compito assegnatomi.

Patrizio Tosetto

(Nel dipinto: lo scrittore e filosofo Voltaire, pseudonimo di François-Marie Arouet)

 

Genitori e figli senza dignità e rispetto

 

Vi racconto una piccola storia di questa nostra città. Ero a pranzo con colleghi di lavoro. Un commensale ha raccontato d’aver passato il sabato notte al pronto soccorso. Il figlio era stato malmenato uscendo da una discoteca. Ho fatto l’ovvia domanda: perché? Le risposte mi hanno “portato” all’interno di una dimensione assurdamente metafisica. Non credevo possibile nella nostra civilissima Torino. Gli aggressori erano giovanissimi, probabilmente minorenni. Lo fanno per gioco. Scusate, non ho capito. Come, non sai? E’ una moda che arriva dagli Stati Uniti! No, non sapevo. Ma ora arriva il “bello”.L’aggredito si rifiuta di sporgere denuncia. Risolve a modo suo. Ricerca su Facebook e riesce a mettersi in contatto con un aggressore. E fissa un appuntamento. Del resto l’aggressore ha ripetutamente chiesto scusa, giustificandosi: eravamo ubriachi e drogati. Oggi l’incontro non c’è stato, complicato da paure di possibili, e quasi ovvie ritorsioni. Lascio a chi legge le valutazioni, anche di ordine morale, del caso. Io mi limito ad una considerazione. Chi sono le famiglie, le famiglie degli aggressori? Penso alla società abbrutita, forse ad una classe politica imbelle. Forse alla povertà, forse al lavoro perso o mai trovato, forse all’inedia. C’è anche, se non soprattutto, la totale perdita di dignità. Questi genitori non avendo dignità non hanno insegnato ai figli il rispetto.

Patrizio Tosetto

30 aprile 1975, quando l'ultimo elicottero americano lasciò Saigon

L’ultimo atto della guerra: la caduta di Saigon e la presa del potere da parte del regime comunista del Vietnam del Nord, che unificò il paese dando vita, il 2 luglio del 1976, alla Repubblica Socialista del Vietnam. Si concluse così uno dei conflitti più feroci del XX° secolo, nel corso del quale vennero usati esplosivi in un numero superiore a quelli utilizzati su tutti i fronti della Seconda guerra mondiale

 

 

vietnam33Il 30 aprile del 1975, quarant’anni fa, cadeva di mercoledì e con il ritiro degli americani da quel paese del Sud-est asiatico, finiva la guerra  in Vietnam. Quando l’ultimo elicottero americano lasciò Saigonsi avvicinava la fine di unodei più sanguinosi conflitti del Novecento, che avrebbe lasciato sul terreno i corpi straziati di tanti innocenti e di giovani soldati mandati a morire senza un perché. Iniziata ufficialmente nel 1955, la guerra in Vietnam aveva visto intensificarsi l’intervento statunitense nel 1964, con bombardamenti a tappeto e attacchi via terra. Teatro degli scontri era stato in prevalenza il territorio del Vietnam del Sud, dove le forze insurrezionali filo-comuniste ( i Viet cong) si opponevano al regime sostenuto dagli USA.La svolta decisiva avvenne nellaprimavera del 1975, con la campagna di Ho Chi Minh (in vietnamita: Chiến dịch Hồ Chí Minh) ,nome in codice assegnato (in onore del leader storico della lotta per l’indipendenza del Vietnam) all’ultima e decisiva offensiva scatenata dall’Esercito regolare del Vietnam del Nord e dalle forze viet cong del Fronte di Liberazione Nazionale.

 

Il 30 aprile, l’ultimo atto della guerra: la caduta di Saigon e la presa del potere da parte del regime comunista del Vietnam del Nord, che unificò il paese dando vita, il 2 luglio del 1976, alla Repubblica Socialista del Vietnam. Si concluse così uno dei conflitti più feroci del XX° secolo, nel corso del quale vennero usati esplosivi in un numero superiore a quelli utilizzati su tutti i fronti della Seconda guerra mondiale. In più, le forze statunitensi, utilizzarono un nuovo tipo di bombe al napalm, contenenti fosforo bianco e per questo in grado di amplificare gli effetti distruttivi sugli esseri umani e sull’ambiente naturale. Il bilancio finale dei morti consegnò numeri drammatici su entrambi i fronti: 4 milioni di civili e un milione di soldati tra i vietnamiti, 58.226 tra i soldati USA. A tutto ciò si aggiunse un numero imprecisato di feriti, in molti casi rimasti mutilati e invalidi per ilvietnam resto della vita. Sul piano economico le operazioni belliche costarono alle casse di Washington circa 165 miliardi di dollari. I racconti dal fronte dei soldati, scioccati dai massacri di civili e dalla violenza dei combattimenti, colpirono profondamente l’opinione pubblica americana (e non solo), alimentando un ampio movimento pacifista e di contestazione alla politica estera aggressiva degli Stati Uniti, che alla fine influì sul corso degli eventi e portò a cambiamenti epocali nella società; su tutti l’abolizione della leva obbligatoria nel 1973. Nell’ottica della “guerra fredda”, l’esito finale del conflitto sancì una sconfitta bruciante per la superpotenza americana e segnò profondamente la politica estera successiva, vincolando i poteri del Presidente di impegnare truppe su un fronte di guerra all’assenso del Congresso.

 

Quarant’anni dopo, all’indomani dell’ultimo attacco aereo, precedente il ritiro statunitense, le ferite sono ancora aperte. L’impiego del napalm passato alla storia per lo scatto da Pulitzer del fotografo vietnamita NickÚt (una bambina di nove anni nuda e gravemente ustionata, in fuga dal suo villaggio che era stato attaccato da un bombardamento)  e la pioggia di bombe sganciate sul paese hanno lasciato tracce indelebili. Da una parte gli ordigni inesplosi: quasi 800.000 tonnellate in tutto il paese, che ancora oggi mietono vittime fra curiosi e cercatori di ferraglie. Dall’altra l’esercito di vittime che, con le loro deformità,  hanno pagato il prezzo del barbaro impiego del cosiddetto “agente arancio”, il terribile “Agent Orange”, nome in codice che indica il diserbante che gli americani utilizzarono per stanare dalla giungla i Viet cong. In un solo decennio, tra il 1961 e il 1971, l’aviazione militare americana scaricò oltre 43 milioni di litri di “agent orange” e 30 milioni di litri di altri erbicidi sulle giungle del Vietnam del Sud per stanare i Viet cong, privandoli del manto vegetale, e distruggere i raccolti. La Croce rossa vietnamita calcola che fino a 3 milioni di persone sono state colpite, tra i quali 150 mila bambini con malformazioni congenite. Quattro decenni dopo la fine della guerra, l’ong Green Cross  – che sostiene il Vietcot (Vietnamese Training Centre for Orthopaedic Technologists), un centro di formazione in ortopedica ad vietnam2Hanoi, dove vengono curati e seguiti bambini colpiti da queste malformazioni – ha stimato che circa 3.500 bambini all’anno nascono ancora oggi in Vietnam con menomazioni ascrivibili alla contaminazione con l’agente arancio. Un’eredità pesantissima del conflitto, che si traduce anche in altre forme come il disagio psichico, la depressione,il panico come quello che  – nel 1973 – aveva indotto un piccolo e suo padre a fuggire a bombe e raid, per rifugiarsi sugli alberi della giungla, vivendo da eremiti per quarant’anni. Un’incredibile storia che fece il giro del mondo ma che, insieme alle altre, ci parla ancora di questa storia tremenda che il Vietnam non potrà forse mai dimenticare.

 

Marco Travaglini

Tumore rarissimo, bimba di sei anni operata: sta bene

regina_margheritaL’intervento, realizzato all’infantile Regina Margherita, è uno dei pochi eseguiti finora al mondo

 

Un intervento  chirurgico davvero eccezionale, effettuato per la prima volta in Italia. E’ stato asportato ad una bimba di  6 anni un nefroblastoma renale destro,  tumore molto raro e ad altissima mortalità, con infiltrazione nell’arteria polmonare. L’intervento, realizzato all’infantile Regina Margherita, è uno dei pochi eseguiti finora al mondo. la bambina ha superato brillantemente l’operazione durata 8 ore e tra pochi giorni potrà tornare alla vita normale.

Tensioni al cantiere della Torino-Lione

notav ovunqueTrenta  le persone  identificate e  poi rilasciate

 

Ancora tensioni ieri sera al cantiere di Chiomonte. Circa 30 gli antagonisti No Tav che hanno dapprima cercato di forzare i cancelli dell’area ma senza riuscirci, Sono poi stati respinti con il getto d’acqua degli idranti dalle forze dell’ordine. I manifestanti hanno anche fatto esplodere petardi, ai quali la polizia ha risposto col lancio di lacrimogeni. Trenta  le persone  identificate e  poi rilasciate.

 

(Foto: il Torinese)

Da Schumann a Beethoven, il trionfo della musica romantica

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Eccezionale concerto in Germania della Filarmonica del Teatro Regio di Torino che accompagna il pianista Kit Armstrong

 

 

Concerto d’eccezione mercoledì 29 e giovedì 30 aprile, in Germania a Ludwigshafen al Festival BASF,  in occasione del quale la Filarmonica del Teatro Regio  accompagnerà il pianista Kit Armstrong, nell’ambito del Festival Basf-Ludwigshafen. Da oltre novanta anni  Basf presenta, nella sua città natale di Ludwigshafen, artisti di fama internazionale e giovani promesse internazionali. Il programma dei concerti Basf è composto da una sessantina di eventi l’anno, nei settori della musica classica, jazz, rock e pop, e risulta uno dei più interessanti progetti musicali della regione del Reno. Dal lontano 1921 musicisti di livello internazionale si sono esibiti in Ludwigshafen e, nel novembre del 1929, anche Richard Strass partecipò all’inaugurazione della sala Feierabendhaus dell’azienda.

 

Per due serate la Filarmonica del Regio accompagnerà Kit Armstrong nell’esecuzione  del concerto per pianoforte e orchestra di Robert Schumann, sotto la direzione di Yang Yang, che interpreterà anche la Sinfonia n. 6 di Ludwig van Beethoven,  la Pastorale.Il Concerto in la minore per  pianoforte e orchestra di Schumann nasce in un periodo creativo che si colloca tra il 1841 e il 1845, uno dei meno drammatici e tormentati della vita del musicista, che aveva potuto sposare Clara Wieck,  pianista di notevole talento e sua preziosa collaboratrice.  Nel 1841 Schumann scrisse l’Allegro per pianoforte e orchestra con il titolo Fantasia, che di lì a poco sarebbe diventato il primo tempo; quindi, sul consiglio entusiastico della stessa Clara, compose anche un Intermezzo e un Finale, completando il più romantico di tutti i concerti della letteratura pianistica. Il concerto, dedicato a Ferdinand Hiller,  fu presentato per la prima volta a Lipsia nel gennaio 1846 nella interpretazione di Clara Schumann, sotto la direzione dell’orchestra di Mendelssohn,  e fu lo stesso Schumann a dirigere poi a  Vienna e a Praga, suscitando maggiori consensi tra il pubblico che tra i critici.

 

La Sinfonia n. 6 in fa maggiore di Beethoven, meglio conosciuta come Pastorale, fu concepita probabilmente nel 1802, anno in cui era stato eseguito, per la prima volta, l’Oratorio di Haydn.  Beethoven, amante della natura, non si lasciò sfuggire l’occasione di comporre un lavoro a sfondo pastorale, ma alla forma dell’Oratorio preferì invece quella sinfonica, capace di non subire imposizioni dal testo letterario. Beethoven in questa Sinfonia non si limitò a una semplice descrizione della natura, ma si propose di manifestare, grazie alla magia degli strumenti musicali, l’intensità dei sentimenti. Dedicata al principe Lobkowitz e al conte Rasumovsky,  iniziata nell’estate del 1807, ebbe termine nel mese di maggio del 1808. Alcuni ascoltatori lamentarono la lunghezza del concerto, che si spingeva fino a un nono pezzo, una Sinfonia, e al decimo, un Sanctus, preceduti dal gran finale, la Fantasia per pianoforte, coro e orchestra.

 

Mara Martellotta