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franco tosi

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Le astrazioni pittoriche di Franco Tosi in mostra

“Insight – Inside”, alla torinese Galleria “metroquadro” e presso “NH Hotel Santo Stefano” Porta Palatina

Fino al 18 dicembre / Fino al 9 gennaio 2022

“I miei quadri sono stati dipinti utilizzando la scala dell’esistenza e non quella istituzionale”: così diceva il grande Marck Rotcko, pittore statunitense di origine lettone (morto suicida nel 1970) e padre riconosciuto del “Color Field Painting” – pittura come “campo colorato”. Spazi astratti di colore vibrante in cui non v’è traccia di figure umane, ma solo “estasi” totale. Tragedia ed estasi. Arte come vita. Colori come ali essenziali a viaggi verso emozioni assolute. Parole e dimensioni in cui penso possa ben riconoscersi Franco Tosi, bolognese d’adozione (ma nato a Magenta nel ’62), cui la Galleria “metroquadro” di Marco Sassone dedica oggi in contemporanea, a quattro anni dalla sua ultima personale a Torino, due mostre dai titoli estremamente chiari e significativi: l’una “Insight” ospitata nella Galleria di corso San Maurizio e l’altra “Inside” presso gli spazi dell’“NH Hotel Santo Stefano” di via Porta Palatina. La rassegna si articola in tre sezioni: dalle distese di colore della serie dei “Landscapes”, di grandi dimensioni, ai più piccoli “Scratched Fields” fino alla certosina moltiplicazione cellulare della serie cosiddetta delle “Mitosi”. Scive Marco Sassone: “Le tre serie vivono indipendenti, ma tutte e tre si intrecciano nel tentativo di rappresentare le gioie ed i tormenti di quel mistero che è la vita”. In parete troviamo opere, quasi tutte di grandi dimensioni, votate ad una cifra astratta assolutamente controllata (pur con qualche “sgarbo” emotivo) nei ritmi cromatici, logica e analitica all’eccesso, dai verdi più o meno intensi agli azzurri sfumati in un chiaro-scuro che domina le campiture di colore dilatate sulla totalità della tela. L’artista si è diplomato a Bologna all’Istituto “IASA – Istituto per le Arti Sanitarie Ausiliarie” e proprio questo tipo di studi deve averlo indirizzato a concepire il lavoro pittorico come strumento di indagine introspettiva in grado di avvicinare l’artista all’osservatore, nella comune speranza di trovare un senso all’esistere. Ciò che gli interessa non sono dunque, per citare ancora Rotcko, “i rapporti di colore, di forma o di qualsiasi altra cosa, ma solo esprimere le fondamentali emozioni umane”. Introspezione ed interiorità sono, infatti, il leitmotiv dell’intera mostra. “Un modo differente di guardarsi dentro – racconta lo stesso artista – dove il romanticismo dei landscapes , con campiture graffiate e tenui, a loro volta diventano il fluidificante nel quale nascono e si moltiplicano grappoli di cellule. La parte romantica lascia spazio alla ragione, soggettivo e oggettivo si incontrano in un gioco di ruoli dove nulla è più definito”. E allora quegli indefiniti totalitari spazi cromatici vanno a nascondere una singolarissima analisi interiore. Un gioco non semplice di anima e cuore che tende (ci riuscirà?) a coinvolgere e a concepire in un tutt’uno artista e spettatore. Davanti a uno specchio che spesso riflette “le debolezze dell’Io, in una continua ricerca di sé stessi e la paura, forse, di non trovarsi”. O, peggio di trovarsi.

Gianni Milani

 

“Insight – Inside”

Galleria “metroquadro”, corso San Maurizio 73/F, Torino, tel. 328/4820897 o www.metroquadroarte.com

Fino al 18 dicembre

Orari: dal giov. al sab. 16/19

NH Hotel Santo Stefano, via Porta Palatina 19, Torino; tel. 011/5223311 o www.nhsantostefano@nh-hotels.com

Fino al 9 gennaio 2022

 

Nelle foto

–         “Landscape”, oil on dibond, 2020

–         “Landscape – Azzurro”, oil on canvas, 2013

–         “Mitosi #11”, olio on canvas, 2014

Gianfranco Raffaldi, una splendida carriera. Dai Beatles a Fausto Leali, da Peppino di Capri al Gospel Choir

Armano Luigi Gozzano,noto ricercatore dei documenti  storici di famiglie nobiliari, in particolare dei Gozzano e dei Gonzaga, essendo anche musicista si interessa di argomenti musicali.

In questo caso ripercorre
l’ascesa vertiginosa della vita dedicata alla musica leggera del maestro Gianfranco Raffaldi, monferrino residente a Vignale,dalle
esibizioni senza rivali nel suo primo complesso formato per le gare scolastiche e dalle incredibili immagini della sua collezione
privata.
Il primo ingaggio nel 1957 con la band casalese dei Blue Star,uno dei 70 gruppi nati
nel nostro territorio nei favolosi anni ’60.Nel
1959 nasce con lui il gruppo dei Novelty,
collaborando con il fisarmonicista Giuseppe
Cacciabue, educatore musicale giovanile e
componente dell’operatore radiofonico EIAR di Torino ,oggi RAI,gruppo sciolto nello stesso anno.Nella nuova band si inserisce
Fausto Denis,non ancora con il nome d’arte
Leali, incontrato durante un ingaggio in una
festa patronale di tre giorni come da tradizione dell’epoca.Nel 1962 avvenne il loro
lancio al Principe di Piemonte di Viareggio, ricalcando la musica beat inglese. Iniziarono
le esibizioni al City Club e nei Night Club di Milano,e le prime incisioni con la casa discografica Jolly con due cover dei Beatles.
Leali venne definito “il negro bianco” e nel 1964, ormai affermati in Italia, parteciparono al mitico “Cantagiro” di Radaelli con la canzone “La campagna in città”, gareggiando con Betty Curtis, Lucio Dalla,Gino Paoli e Nico Fidenco.
Pippo Baudo ed Enrico Maria Salerno presentarono l’evento in diretta RAI con la finalissima di Fiuggi.Nel 1965 la grande occasione: arrivarono i Beatles in Italia! Furono scelti come supporters Fausto Leali e i Novelty,i New Dada di Maurizio Arcieri, Guidone e gli amici,i Giovani Giovani e Peppino di Capri.Nel secondo tempo si esibirono i Beatles aprendo lo spettacolo con il celebre “Twist and Shout”.Le tappe dell’unico concerto italiano furono il 24 giugno al Velodromo Vigorelli di Milano,il 26 giugno al Palazzo dello Sport alla fiera del mare di Genova,e il 27-28 di giugno al Teatro Adriano di Roma, purtroppo non registrati e snobbati dalla RAI.I biglietti dei concerti erano reperibili tramite la rivista “Ciao Amici”.
La conferma definitiva avvenne nel 1966
partecipando al “Giro Festival” al seguito del
49° Giro d’Italia con la canzone “Mamma perdonami”,e apparvero in TV durante le tappe di Parma e di Monte Carlo.Furono ospiti della storica trasmissione radiofonica
“Bandiera Gialla” condotta su Radio 2 da Arbore e Boncompagni,e fu in quel momento
che presentarono la famosa canzone “A chi “,
cover della versione USA di Roy Hamilton “Hurt” del 1954 portata alla ribalta dalla cantante italo-americana Timi Yuro.Si esibirono anche in concerti al Bang Bang di Milano con la partecipazione di Teo Teocoli.
In seguito il gruppo cambiò casa discografica, passando dalla Jolly alla Ri.Fi. Records.Il grande risultato arrivò nel
1967 ricevendo sulla Terrazza Martini di Milano il primo disco d’oro per la canzone
“A chi”.Nel 1968 Leali partecipò al Festival di Sanremo con la canzone “Deborah” in coppia con Wilson Pickett,nome attribuito alla figlia
avuta da Milena Cantù,la grande incognita del 45 giri “La ragazza del Clan” di Celentano.
In seguito Leali verrà scelto da Pickett come padrino della figlia anch’essa chiamata Deborah.I Novelty facevano parte del Clan Celentano Center,e con loro eseguirono i concerti nei locali più belli d’Italia ,in primis alla Bussola di Viareggio.Leali nello stesso
anno divorziò dai Novelty,e Raffaldi entrò nel
complesso dei New Rockers di Peppino di Capri, partecipando a tournée negli USA esibendosi al Metropolitan di New York,poi in Canada, Venezuela, Brasile, Australia, Emirati Arabi e in Europa.
Raffaldi collaborò alla celebre composizione “Champagne”,e si esibirono anche nelle sale da ballo di Torino “Arlecchino”e “Le Roi” (sala
Lutrario)progettata dall’architetto Carlo Mollino, progettista del Teatro Regio.Nel 1977 si concluse il suo viaggio musicale intorno al mondo con Peppino di Capri,e rientrò a Vignale per motivi di famiglia, iniziando ad accompagnare con la tastiera il coro parrocchiale durante le celebrazioni religiose.Ma nel 2004,con altri due amici,ebbe una grande idea:prese le redini del coro e fondò il “San Bartolomeo Gospel Choir”dall’omonima chiesa del paese, inizialmente per eseguire musica sacra e profana, proseguendo l’opera della fondatrice
Millina Martinelli.Il coro è composto da 30 cantanti del territorio,guidati ed istruiti dal maestro con la sua esperienza di mezzo secolo.Tra il 2007 e il 2011 si inserì nel coro Armano Luigi Gozzano in qualità di tenore,e conobbe Leali in compagnia del maestro durante una sua esibizione a Trino Vercellese. Durante i concerti l’ensemble esegue brani di gospel, funky,blues e soul a 4 voci, formula alquanto insolita per il gospel.
Nel 2011 Raffaldi e Leali hanno festeggiato a Casale i 50 anni dal loro debutto.Nella sua carriera Raffaldi ha suonato con tastiere Honner,Vox 1,Vox 2 e con il favoloso organo elettrico Hammond,in origine destinato alle chiese in alternativa ai costosi organi a canne.Molto versatile nella musica sacra, gospel e jazz ed in seguito nel rock,fu utilizzato da Gershwin,Doors,Pink Floyd,
Deep Purple e Procol Harum.Il gospel del
coro esprime la gioia di pregare cantando e coinvolgendo il pubblico con la sua capacità
di espressione armonica.Con i sapienti e
competenti arrangiamenti del maestro Raffaldi il divertimento è assicurato!
Giuliana Romano Bussola

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

I 70 anni dell’Accademia Italiana della Cucina – Alassio: il Buongoverno e il mitico  Muretto – Lettere

I 70 anni dell’Accademia Italiana della Cucina
In tutta Italia e all’estero il 29 luglio si sono tenuti tantissimi  incontri conviviali per festeggiare i 70 anni dell’Accademia Italiana della Cucina fondata a Milano nel 1953 da Orio Vergani , Dino Buzzati ed altre importanti personalità del giornalismo, della cultura e del mondo imprenditoriale. All’incontro accademico della Delegazione di Albenga e del Ponente ligure, svoltosi nella bella cornice delle Rocce di Pinamare ad Andora ho ricordato insieme al Delegato, il medico – umanista Roberto Pirino, l’anniversario della fondazione, dicendo che settant’anni fa nel “buio degli anni Cinquanta” (un luogo comune sbagliato perché furono anni di ricostruzione fervida e  laboriosa dell‘Italia) si era accesa una stella che continua più che mai a risplendere. Sotto la guida illuminata e autorevole di Paolo Petroni l’Accademia è cresciuta, mantenendo il rigore accademico di una grande istituzione della Repubblica. Essa difende la tradizione gastronomica italiana e contribuisce a farla apprezzare nel mondo, una  sorta di “Dante Alighieri” della cultura eno-gastronomica italiana. L’Accademia rappresenta una élite intellettuale posta a presidio della storia e della cultura del cibo. Oggi, nel piacere di festeggiare i 70 anni di una così prestigiosa realtà, evito  anche solo di citare a cosa nella cronaca italiana sempre più sguaiata e volgare  fa da argine l’Accademia.
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Alassio: il Buongoverno e il mitico  Muretto
Essere ad Alassio ti fa sentire un cittadino rispettato che ha dei diritti e non solo dei doveri. La manutenzione delle strade e del verde pubblico sono esemplari rispetto alla realtà torinese fatta di buche insidiose, di erba alta, di piste ciclabili inutili e velocità a 20 chilometri all’ora. La perla del Ponente ligure  è più che mai splendente per le sue riuscitissime iniziative culturali e di divertimento. Hanno anche aperto un nuovo ampio parcheggio che agevola in modo palpabile i turisti e i residenti. Ma soprattutto ad un torinese condannato a strade sempre più impraticabili balza all’occhio la manutenzione attenta da parte del Sindaco Melgrati e degli assessori della città. La manutenzione a volte non viene notata ed invece è un elemento fondamentale di quello che Einaudi chiamava il buongoverno. Quest’anno si festeggia anche il Muretto creato da Mario Berrino oltre 70 anni fa. Un elemento identitario e storico di Alassio che hanno cercato di imitare da altre parti con esiti ridicoli. Il Muretto attesta con le sue firme illustri cosa è stata e cosa è Alassio dai tempi del Grand Hotel e degli Inglesi  ad oggi.

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Lettere scrivere a quaglieni@gmail.com 

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Il Ponte Garibaldi sullo Stretto

Seguo  con grande interesse le notizie riguardanti la possibile ripartenza del maestoso progetto del Ponte sullo Stretto di Messina ed auguro che questa sia finalmente l’occasione buona per l’apertura dei cantieri. Un’impresa gigantesca di grande prestigio sia per l’Italia, sia per l’Europa. In qualità di Presidente dell’Associazione Nazionale Giuseppe Garibaldi e discendente diretto dell’Eroe dei Due Mondi auspico che si possa con quest’opera completare l’unificazione della Sicilia con l’Italia iniziata durante la gloriosa campagna militare di Giuseppe Garibaldi nel 1860. Oggigiorno il Meridione è logorato da un’arretratezza e da un disaggio sociale tali da mettere perfino in discussione, da parte di ambienti irresponsabili, il progetto unitario stesso, realizzato durante il periodo risorgimentale, ed è urgente una politica che miri ad un nuovo rilancio economico del bacino mediterraneo, all’epoca fiorente e trainato innanzitutto dal commercio coll’Oriente. Il declino in seguito all’apertura del canale del Suez fu inevitabile e finora senza soluzione. Il Ponte dunque rientrerebbe nell’ottica di uno sviluppo del Meridione e ben oltre e simboleggia il superamento delle barriere tra popoli e li unisce. Ma il ponte, per il suo prestigio, avrebbe bisogno di un nome altrettanto prestigioso, che possa rappresentare i valori più altri su cui si fonda l’identità stessa dell’Italia e quale nome più riconosciuto è più idoneo a rappresentare l’unità a partire dalla Sicilia, se non quello di Giuseppe Garibaldi? Esiste già a Laguna, Santa Caterina, Brasile, il Ponte Anita Garibaldi,  inaugurato da poco per il bicentenario della sua nascita, Anita nata a Laguna ed eroina Brasiliana. Ora l’Italia ha un’occasione da non perdere per intestare il Ponte sullo Stretto di Messina in onore del suo più grande eroe. Cordialmente,       Ing. Francesco Garibaldi – Himmert 

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In un paese che disconosce il Risorgimento nazionale l’idea di dedicare il ponte a Garibaldi mi sembra un’ idea da condividere. Una risposta ai nostalgici dei Borbone e  una risposta a chi anche al Nord ha disprezzato il riscatto nazionale di cui Garibaldi fu generoso  e intelligente protagonista.

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Il Polo del ‘900
Ho letto i mastodontici programmi del Polo del ‘900 per un triennio di preparazione agli 80 della Liberazione. Quasi un triduo laico per una data importante, anche se ridurre la storia italiana al solo fascismo e antifascismo mi sembra sbagliato. Mi fa quasi pensare alle grandi iniziative che il Regime fece per il ventennale del 1942. La propaganda politica e la storia sono cose diverse, se non inconciliabili. E quanto costeranno tutte queste iniziative e chi le pagherà?  Sarebbe anche il caso di rendere pubbliche le spese.   Elvio Cassini 
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Concordo con Lei. Io ho denunciato fin dall’inizio che il Polo nasceva con una cultura egemone di sinistra certamente rispettabile, ma chiaramente di parte. Risorse pubbliche per una cultura di parte possono considerarsi non troppo in linea con i principi pluralistici della nostra Costituzione. Fare cultura da quelle posizioni di predominio diventa un privilegio di chi è schierato a sinistra. A prescindere dai  pur  suoi validissimi  presidenti, il Polo è destinato, per il vizio originario del suo concepimento, ad essere tribuna di alcuni chiusa ad un confronto intellettuale a tutto campo. Non voglio farlo, ma potrei rendere pubbliche delle lettere che dimostrano questa tesi.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

Giorgio Cavallo, il Magnifico – Ma Pannella era ben altro – Lettere

 

Giorgio Cavallo,  il Magnifico 
Quest’anno ricorre il centenario della nascita del microbiologo di fama internazionale Giorgio Cavallo che fu Magnifico Rettore dell’Università di Torino e Accademico dei Lincei. Fu un Rettore destinato a restare nella storia dell’Ateneo perché Cavallo con il suo stile elegante ma anche molto fermo e coraggioso seppe guidare l’Universita’ oltre il guado del degrado sessantottino e delle ultime ventate di violenza del 1977.

Anche l’Università era piombata nel clima turbolento degli “anni di piombo”. Alcuni docenti furono nel mirino delle Br .Cavallo fu di esempio a tutti in modo unico ed irripetibile. Sarebbe dovuto essere Ministro della Ricerca scientifica nel Governo Cossiga , ma il suo partito, il PLI , non lo sostenne con la necessaria fermezza anche perché Cavallo non fu mai uno zanoniano devoto. Era un uomo libero ,ma forse proprio per questo non  era simpatico agli apparati di partito. Candidatosi al numero 10 della lista liberale ( lo slogan era” il 10 il miglior voto possibile” ), sarebbe stato eletto brillantemente alla Camera se il gioco delle opzioni non lo avesse ingiustamente penalizzato. Una delle pagine non belle della storia liberale torinese che pure  annovera Cavallo  come uno dei suoi uomini più rappresentativi ed autorevoli. Il suo era un liberalismo che veniva da lontano, dagli anni universitari passati a Napoli durante i quali entrò in rapporto cordiale con Benedetto Croce. Fu anche consigliere comunale di Torino per due mandati come lo fu il suo predecessore in via Po al rettorato, il giurista   Mario Allara: uomini di scienza che sentirono il dovere di stare nella Sala Rossa per rappresentare la Torino civile, malgrado i gravosi impegni universitari .Dei veri studiosi prestati alla politica intesa come disinteressato  impegno etico e civile . Io mi onoro di aver avuto  con lui una lunga amicizia  e non nascondo che ho pianto alla notizia della sua morte .  Fui io a ricordarlo pubblicamente su invito della vedova, anch’essa una persona di straordinarie e coraggiose  virtù intellettuali. Nel  giugno del 2003 Giorgio  mi invitò a cena nella sua bella casa di corso Re Umberto con  altri pochi amici intimi. Fu  l’inconsapevole commiato da lui, già  gravemente ammalato , che si limitò a dire con la solita autoironia: “ Voi andate in vacanza , io quest’anno resto in città“. Si comportò durante la serata con la solita amabilità di sempre, facendomi anche apprezzare i suoi quadri perché Giorgio fu anche pittore. A settembre andammo ai suoi funerali al Mauriziano, nella stessa chiesa in cui avvennero le esequie di mio padre che lui volle ricordare con parole molto affettuose. C’era tutta Torino, compresi quelli che lo osteggiarono. Di  lassù Giorgio vide e non si compiacque, ma si limitò  sorridere, come fece in tante occasioni quando venne in contatto con dei miserabili.

 

Ma Pannella era ben altro

La elezione della nuova segretaria del Pd Elly Schlein ha riportato in auge l’ espressione  sinistra  radicale“, usata ai tempi  di Bertinotti e di Vendola. Ma con il radicalismo storico, come già scrissi parecchi anni fa  sulla “ Stampa “ (che allora  ospitava anche le mie opinioni), non è confrontabile con la realtà odierna.
Da Agostino Bertani a Mario Pannunzio, da Felice Cavallotti  a Marco  Pannella, per non citare i radicali dell’età giolittiana che furono anche al governo come  Luigi Credaro, i radicali non hanno nulla a  che fare con la sinistra radicale che si richiama al marxismo e non certo al liberalismo di cui è acerrima nemica. Io non do’ giudizi sulla nuova segretaria Pd che andrà giudicata dai  fatti , in primis dagli iscritti al Pd che non l’avevano preferita rispetto a  Bonacini, l’usato  sicuro  di seconda generazione. Certo quel “non passeranno” uscito  fuori al  suo primo discorso dopo la sua  elezione non è un bel segno perché evoca una  sconfitta della sinistra spagnola spazzata via da Franco. Quella frase ricorda la passionaria comunista  Dolores Ibarruri, una donna coerente e molto aspra che non ebbe nulla da spartire con il socialismo europeo dei suoi tempi ma fu al servizio di Mosca. I radicali sono compagni di strada dei  socialisti e dei liberali  e sono naturali antagonisti di ogni fanatismo  ideologico,  più o meno dottrinario. I radicali leggevano  “Il Mondo”  dove scriveva Ernesto Rossi e non “Rinascita” dove  scriveva Palmiro Togliatti, alias Roderigo di Castiglia ,che polemizzava con Vittorini e Bobbio ed ironizzava sul pederasta Gide .I radicali sono di animo liberale, libertario e persino libertino come Pannella. La storia  di Emma Bonino è già di per se’ molto diversa, come diversa fu quella, ad esempio, di  suor Marisa Galli diventata sostenitrice dell’aborto. Sono sicuramente tutte  idee rispettabili, ma non identificabili  neppure lontanamente   con il liberalismo, neppure con quello gobettiano tanto caro ad alcuni comunisti come Paolo Spriano. Anche  Calenda non ha nulla a  che vedere con quella storia che gli è quasi  totalmente estranea perché ancora fermo al partito d’azione che fu un fallimento politico e l’ “ ircocervo“ di cui parlava Croce e che Calenda neppure conosce. Paradossalmente quella storia e’ più vicina  al democristiano Matteo Renzi che  qualche venatura  liberale ha sicuramente, malgrado la sua ammirazione per l’ illiberale  Amintore Fanfani. Alla storia liberale sono totalmente refrattari i liberal e i radical -chic a cui Pannella opponeva l’ idea del “radicale da marciapiede “ che critico’ la strage terroristica di Via Rasella, malgrado  i fischi dei militanti comunisti che gli impedirono di parlare.
L’uso improprio del termine “ radicale“ andrebbe evitato ed andrebbero usati altri aggettivi come, ad esempio , neo-comunista .Alla fine di un’ondata liberista molto poco liberale può avere anche un senso il ritorno alle origini di oltre cent’anni fa,  purché non si vogliano spacciare per nuove certe idee. La radicalita’ espressa nel nuovo libro di Carlo De Benedetti appare quasi  una sconcezza politica,  non degna di essere commentata

 

LETTERE scrivere a quaglieni@gmail.com

Piazza Arbarello
Il sindaco di Torino ha inaugurato l’inutile, immotivata e costosa isola pedonale di piazza Arbarello, eredità grillina. Il sindaco ha detto che le pedonalizzazioni sono il cardine  della sua amministrazione. Mi sembra una scelta sbagliatissima  in linea con Foglietta sostenitrice Schlein che vuole obbligare i torinesi ad andare a piedi o in bicicletta.   Anna Empoli
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Concordo totalmente con Lei. L’isola pedonale di piazza Arbarello è una colossale spesa inutile. Con le piazze Appendino non è stata né felice né fortunata.

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La Malfa a Firenze
Cosa pensa di Giorgio La Malfa che partecipa alla manifestazione antifascista di Firenze ?  E’ molto ondivago da sinistra a destra e ritorno. Ugo, il padre , si sarebbe vergognato. Ugo Finacci
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Conosco La Malfa figlio come conobbi La Malfa padre che fu fieramente antifascista negli anni in cui costava esserlo  a regime imperante. L’antifascista a costo zero di oggi  non ha valore. Giorgio La Malfa, ormai anziano, doveva stare a casa. Non dimentichiamo che fu anche ministro di Berlusconi.  La sinistra ha ingigantito la scazzottata di Firenze per rilanciarsi. Su questo episodio di violenza attendiamo la conclusione delle indagini. Condanniamo la violenza di ogni estremismo ed evitiamo la retorica strumentale che ha fatto vincere la Meloni.

 

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

Costanzo, il grande intrattenitore – Mario Bonfantini dimenticato  – Lettere 

Costanzo, il grande intrattenitore
E’ mancato Maurizio Costanzo che qualcuno impropriamente ha subito definito grande giornalista e persino grande scrittore, forse ricordando che Tolstoi diceva che tutti i morti sono belli. I grandi giornalisti scrittori furono Montanelli, Buzzati, Guareschi Bettiza, Ronchey, Pansa, Bocca e pochi altri. Al massimo, potrebbe essere confrontato con Biagi che comunque come giornalista fu molto superiore a Costanzo. Costanzo in effetti è stato un grande parolaio prima in radio e poi in Tv, esponente di spicco del politicamente corretto. E’ stato  direttore di un quotidiano, “L’occhio” che non ebbe lettori e fallì miseramente. Fu senza ombra di dubbi un massone della P2 di Gelli e non ebbe la carriera stroncata come accadde all’editore Angelo Rizzoli jr. Fece il fiancheggiatore del PCI nelle reti Rai, salvo poi passare con Berlusconi a Canale 5 dove mantenne sempre posizioni dichiaratamente di sinistra. Fu anche un professionista dell’Antimafia, per dirla con Sciascia.

Fu un abilissimo intrattenitore, ma non andò mai oltre l’intrattenimento. La cultura non era affar suo: infatti diede spazio al peggior Sgarbi che augurava la morte al suo maestro. La sua Tv può salvarsi solo se paragonata con quella di oggi, la Tv spazzatura che ci impedisce di continuare a guardare la televisione. Le celebrazioni che ho letto mi sembrano esagerate e del tutto fuori luogo. Io lo ricordo, quando nel 1968 lo ascoltavo in radio viaggiando in macchina ,esaltatore acritico della contestazione come tanti altri suoi colleghi e compagni. I suoi libri sono anch’essi semplice intrattenimento destinato a perire. In realtà in questo Paese finiscono di essere celebrati i trasformisti disposti ad ogni accomodamento. E’ tristissimo,  ma è così. Tanto per citare un solo esempio, a Guido Ceronetti nessuno ha riservato lo spazio concesso a Costanzo a cui non è stata chiesta ragione di alcuni aspetti della sua vita che ad altri non sarebbero mai stati perdonati. I funerali in diretta televisiva appaiono del tutto fuori luogo.

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Mario Bonfantini dimenticato  

Mario Bonfantini (Novara 1904 – Torino 1978), grande francesista del secolo scorso, scrittore, giornalista, antifascista intransigente, combattente nella Resistenza, è’ stato via via dimenticato. E’ stato un grande spirito libero, laico e socialista, capace di andare controcorrente. Lui e la sua famiglia, in particolare il fratello Corrado comandante generale delle Brigate Matteotti e parlamentare socialista, il fascismo lo avevano combattuto per davvero, non come la preside fiorentina oggi esaltata impropriamente che fa delle circolari l’arma del suo antifascismo a rischio zero. Bonfantini rischiò invece di finire in Germania e il suo ardimento lo portò a gettarsi dal treno in corsa in cui era stato rinchiuso dai tedeschi dopo il campo di Fossoli. Mario fu anche ministro dell’istruzione della Repubblica partigiana dell’ Ossola. Come studioso professò in modo impareggiabile la letteratura francese a Napoli e a Torino. Allievo di Ferdinando Neri all’Università di Torino con Mario Soldati ( di cui fu l’amico più fidato) fu anche un italianista raffinato che amava l’Ariosto i cui versi aveva studiato a memoria in carcere e che ricordava ancora perfettamente oltre i settant’anni. Io lo ricordo una sera a cena nella casa di Arrigo Olivetti ad Ivrea che scivolò da un seggiolone in cui volle sedersi. Come un giovane bersagliere si rimise in piedi cosi rapidamente che stupì tutti i presenti e riprese la conversazione parlando del grande amico comune Valdo Fusi. Candidato del PSI alle elezioni del 1975 ,fu battuto da persone come Moretti e Cardetti che profittarono del suo prestigio intellettuale. Traduttore di Proust e di Baudelaire e di Rabelais ( la sua traduzione italiana del “Gargantua e Pantagruel” e’ un classico insuperato e forse insuperabile), era anche un uomo che amava le donne e il buon vino. Citava spesso Baudelaire che esaltava la lussuria sfrenata che i corpi di un uomo e una donna scatenavano e lui stesso amava vivere senza false ipocrisie la vita nel senso più pieno. Quando si vedeva con Soldati e altri amici, concludeva le cene dicendo a voce alta, ridendo, “viva la figa“. Fu anche, prima di Soldati, Presidente del Centro “Pannunzio” negli anni di piombo.  Una malattia improvvisa ne stroncò la vivacità e poi la vita.  Fui io a recargli l’estremo saluto ai funerali civili all’Università insieme al rettore Cavallo e al preside Quazza. E’ stato un grande piemontese dimenticato in primis da quelli che dovrebbero ricordarlo. Mi riferisco in particolare all’ Istoreto e al Polo del ‘900.

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quaglieni penna scritturaLETTERE  scrivere a quaglieni@gmail.com

Carta d’identità, desiderio impossibile?
L’assessore allo Stato civile Tresso che penso’ addirittura di candidarsi sindaco di Torino, non ha praticamente fatto nulla per superare lo scandalo grillino delle carte d’identità che richiedono mesi e mesi di attesa. Adesso sembra essersi svegliato ed ha dichiarato che spera di ridurre ad un mese l’attesa per ottenere il documento. Cosa ne pensa? Gino Arnaldi

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Non conosco l’assessore Tresso e non credo che stia stato particolarmente brillante. Quando quell’ assessorato era considerato poca cosa dai partiti e veniva assegnato a consiglieri di serie b o politicamente scomodi, la carta d’identità si otteneva seduta stante in pochi minuti.

Addirittura era prevista la consegna a domicilio. Vorrei capire cosa abbia combinato l’assessora grillina che dopo quel disastro venne promossa ministra. Di lì è nato il problema. E mi domando anche cosa ci stiano a fare le costosissime circoscrizioni se non si attivano per dare ai cittadini dei servizi almeno accettabili. Un mese per una carta d’identità resta un’ attesa quasi da terzo mondo. E’ un’offesa a Torino che secondo un vecchio slogan si muove sempre e ai torinesi che hanno diritto ad essere rispettati in queste esigenze minime, ma importanti. L’esempio mai dimenticato dell’assessore Beppe Lodi forse dovrebbe servire a qualcosa. Fece di quel l’assessorato una fucina di iniziative a favore del cittadino. Venne costretto alle dimissioni per coprire altre responsabilità per lo scandalo dei cimiteri, consentendo alla Giunta Chiamparino di andare avanti, come se nulla fosse accaduto.

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La Russa continua a sbagliare
Cosa pensa sulle continue battute fuori luogo della seconda carica dello Stato La Russa, presidente del Senato ? Anna Ugolini

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Le battute su gay e donne “non belle“ sono inopportune. Lui “parla come magna”, ma in pubblico deve usare altri linguaggi, evitando frasi divisive, mantenendo un contegno ispirato alla terzietà. Il presidente del Senato del Regno durante il ventennio Luigi Federzoni potrebbe insegnare a La Russa a fare il presidente del Senato della Repubblica. La sua partigianeria non si concilia con il suo ruolo attuale.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

10 febbraio tricolore –
Aldo Canovari editore liberale – Lettere

10 febbraio tricolore
Il 10 febbraio abbiamo ricordato il giorno delle foibe e mai c’è stato un Giorno del Ricordo così significativo. Palazzo Chigi inondato di luci tricolori, un grande discorso del Presidente Mattarella, persino La Russa non ha debordato. Alla cerimonia al Quirinale non si sono visti esponenti di spicco del Pd. I negazionisti ed i giustificazionisti delle foibe hanno avuto la risposta tricolore che meritavano. I Comuni sono stati spesso latitanti e non hanno promosso iniziative di sorta.  E’ stato bello leggere il paginone su “La Stampa” di Gianni Oliva, lo studioso che per primo ha dedicato un libro coraggioso alle foibe. Un grande e magistrale articolo che spero abbia meditato anche il direttore Giannini. A me piace collegare il 10 febbraio anche con il 10 febbraio 1968 quando morì, dopo breve malattia, Mario Pannunzio, il direttore di “Risorgimento liberale “ che denunciò con coraggio per primo il dramma delle foibe e gli eccessi della Resistenza. Quel giornale ebbe la redazione incendiata , come ci ricordò in un suo bel libro Mirella Serri. Essere favorevoli al Giorno del Ricordo che sembrava essere tornato divisivo a causa di un libretto edito da Laterza,  è  anche un modo per ricordare Pannunzio che,  incarcerato a Regina Coeli, rischiò di morire alle Fosse Ardeatine. Pannunzio incarcerato dai nazifascisti a Roma ,  fu il primo giornalista liberale a scrivere e far scrivere di foibe e di esodo.
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Aldo Canovari editore liberale
Uno dei miei più grandi rimpianti resterà quello di non aver pubblicato un mio libro con Liberilibri di Aldo Canovari ,mancato venerdì. Fu un editore davvero fuori ordinanza, fautore e garante della libertà della cultura. Io ho sempre avuto editori liberissimi che mi hanno pubblicato libri senza mai togliermi una virgola: Gros Pietro, Rubbettino, Caselli, Mogavero, Pedrini e anche altri in passato. Canovari, l’uomo di Macerata, città a cui Flaiano aveva dedicato un aforisma , era tutto fuorché un provinciale perché pannellianamente era l’editore elegante e libero che creava bellissimi libri che andavano intenzionalmente controcorrente. Una specie di Casa editrice Einaudi, esattamente opposta a quella di Via Biancamano diventata il covo di tutti i conformismi di sinistra.
Canovari è stato più di Rubbettino un editore liberale che ha dato spazio a tutte le voci liberali, libertine,  libertarie. A tenere in vita il suo ricordo restano i suoi libri che ho in numero significativo nella mia biblioteca. Eppure in questa Italia scombinata il suo nome resta vergognosamente sconosciuto ai più.
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Esuli e migranti
Il sindaco di Torino Lo Russo ha assimilato gli esuli dell’esodo Giuliano – dalmata con i migranti di oggi. Mi sembra un ragionamento totalmente errato.  Umberto Salerno
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Concordo con Lei. Gli esuli vennero accolti nel modo peggiore e cercarono subito un lavoro e si spezzarono la schiena. Erano poveri e dignitosi. Impossibile paragonarli con chi, tra i migranti,  bighellona tutto il giorno, commette reati, violenta donne, spaccia droga  ecc. Gli esuli dell’esodo avevano tutt’altre caratteristiche e il governo di allora fece assai meno di quanto molti governi di oggi fecero per i migranti economici arrivati senza controlli e senza limiti in Italia che sono un peso, non certo una risorsa.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

 

Il Salone del Libro – Il Museo del Cinema e i nomi delle sale – Lettere

 

Il Salone del Libro 

Scrive l’addetta stampa del Salone del Libro  Paola Galletto: ” Il Comitato Direttivo del Salone Internazionale del Libro di Torino, riunitosi l’11 gennaio , ha definito le linee guida in vista dei passaggi per giungere alla nomina della direzione del Salone del Libro per il triennio 2024-2026. Partendo dall’analisi dei curricula arrivati, gli enti pubblici e i soggetti privati stanno lavorando in piena sintonia per individuare la figura più adatta ad assumere la direzione editoriale del Salone 2024-2026. Un profilo autorevole, che sia riconosciuto e di riferimento per gli editori e apprezzato dalla filiera del libro, nonché dalla comunità letteraria e culturale nazionale e internazionale. Da trentacinque anni, il Salone del Libro riveste un ruolo fondamentale non solo nell’ambito di sua più stretta pertinenza, quello culturale, ma anche nella crescita e nello sviluppo economico, turistico e strategico della città, dell’area metropolitana e della regione, e in questa precisa direzione intende continuare a lavorare.

 

Nel corso degli anni è sempre più cresciuta l’attenzione alle nuove generazioni e ai nuovi linguaggi, e il Salone del futuro continuerà a porre attenzione e a impegnarsi su questo fronte, sintonizzandosi con le esigenze e gli interessi dei più giovani. Consapevole dei complessi scenari futuri, il Salone darà, inoltre, più spazio agli ambiti che afferiscono alla scienza, alla tecnologia e all’ambiente e amplierà sempre di più la sua vocazione internazionale. È bene ribadire che, per raggiungere questi obiettivi, il Salone del Libro può contare al suo interno su una squadra coesa, forte, di provata competenza professionale nei vari ambiti di attività: un management che è garanzia di solidità e continuità del progetto e che agevolerà e accompagnerà il lavoro della futura direzione. La direzione dovrà condividere con il Comitato Direttivo le strategie di sviluppo del Salone del Libro per le edizioni 2024, 2025 e 2026 e dei progetti a esso connessi, lavorando in confronto continuo con i referenti del Salone stesso. Inoltre, affiancherà i consulenti editoriali impegnati nella programmazione e organizzazione della XXXV edizione del Salone, ancora diretta da Nicola Lagioia e attesa a Lingotto Fiere dal 18 al 22 maggio 2023.”

Sono  parole sacrosante ed ampiamente condivisibili. Ma dopo tanti rinvii ci attendiamo ora il nome del nuovo direttore. I candidati ci sono, ma sembra che siano vittime di veti incrociati che paralizzano un voto non espresso con una semplice maggioranza. Tra tutti i candidati noti. Io ritengo che Gianni Oliva per il suo splendido curriculum sia il miglior direttore possibile. Perdere tempo attorno a Culicchia, che ha dedicato un libro al cugino terrorista ed omicida, non mi sembra proprio il caso. Non vorrei che, alla fine, tutta questa incertezza porti ad un ritorno di Lagioia che si  era detto indisponibile ad una conferma.  Ho invece molto apprezzato il rifiuto di Alessandro  Baricco che avrebbe sicuramente tratto vantaggi dalla nomina prestigiosa. Non lo ho amato, questa volta non posso che apprezzarlo.

Il Museo del Cinema e i nomi delle sale    

Il Museo del Cinema è una delle istituzioni culturali che funzionano meglio ed ha raggiunto risultati davvero  ragguardevoli . Il team Enzo Ghigo Presidente e Domenico De Gaetano Direttore funziona molto bene.
Ho ricevuto un invito alla “Sala 3“ del cinema Massimo che mi risultava essere intitolata a Mario Soldati, come le due altre sale sono intitolate a Cabiria e a Gianni Rondolino. Ho guardato su internet e forse per brevità vengono chiamate in effetti sala 1,2,3. Sarebbe bello invece che le denominazioni storiche venissero sempre citate dopo il numero  perché la loro intitolazione non è priva di grandi significati anche per il pubblico. Ricordo, per aver partecipato ad un sondaggio indetto dal “Corriere della Sera” (che si concluse con la netta vittoria di Soldati) che quella scelta evitò in extremis una intitolazione di basso profilo intellettuale, imposta per motivi meramente politici da una lobby che dava a priori per vincente la propria scelta.

 

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I socialisti
Giuseppe Saragat l’11 gennaio 1947 fece la scissione di Palazzo Barberini  spaccando il partito socialista e fece vivere in Italia la socialdemocrazia e sconfisse l’ alleanza social comunista del 1948. Che giudizio storico ne dà?      Vittorino Rumazza
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Saragat fu  statista e politico di grandi capacità, secondo altri tradì il socialismo con la scissione. Il dramma della sinistra italiana è aver avuto troppe scissioni che hanno logorato quei  partiti. I saragattiani diventarono molto clientelari e non riuscirono ad incidere politicamente, se non quando furono guidati da Saragat. Il partito di Longo e Nicolazzi fu in larga misura una congrega di affaristi per lo più di piccolo taglio. Niente a che vedere con la socialdemocrazia tedesca, tanto per essere chiari. Il discorso richiederebbe un ragionamento più complesso sulle scissioni e sulla presenza in Italia di un forte partito comunista arrivato al potere paradossalmente dopo il crollo del Muro di Berlino. Chi proseguì il disegno di Saragat fu Craxi il quale però non ebbe alle spalle  un partito all’altezza.
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Professori come bidelli
Io ricordo la sua ferma battaglia contro l’installazione  della bollatrice per i docenti in un noto liceo classico torinese che così  equiparava il lavoro dei professori a quello dei bidelli.    Lei difese la dignità della funzione docente e minacciò anche di restituire la medaglia d’oro di benemerito della scuola e di impugnare davanti al TAR l’imposizione offensiva e illegittima. Se non ricordo male, la bollatrice venne rimossa poco tempo dopo grazie a Lei che unico  si espose con coraggio. Io non lo ebbi e subii in silenzio.      Rino A.

Grazie per le cose che scrive. Ma lei il coraggio – se posso dirlo – non l’ ha neppure oggi, sempre che opporsi alle cose sbagliate sia un atto di coraggio. Io allora ricevetti centinaia di lettere di docenti da  tutta Italia. Ma non mi faccia  ricordare quei tempi. Quel preside tanto rigoroso con  gli altri fumava nell’ascensore della scuola sfidando i divieti. Si era illuso di essere un piccolo padrone delle ferriere in un istituto scolastico statale dove era solo un burocrate.

 

 

 

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

La marea nera – Il Generale Dalla Chiesa e sua figlia – Lettere

 

La marea nera
Il quotidiano “La Stampa “ha denunciato la presenza di una “marea nera” che invade Predappio, il paese dove nacque e dove è sepolto Mussolini. Di passaggio per andare in vacanza al Conero qualche anno fa mi fermai anch’io a Predappio e andai a visitare la tomba del duce.

Notai le ragnatele alle pareti e come essa fosse mal tenuta. Rilevai la presenza di pochissime persone a visitare la tomba, fra cui qualche turista straniero. C’erano già le botteghe con le bottiglie di vino con l’etichetta riproducente Mussolini e tanti souvenir: tanta paccottiglia di pessimo gusto. Oggi apprendiamo che c’è una marea nera che invade Predappio in occasione del centenario della marcia su Roma. Se questo fatto costituisce apologia del fascismo bisogna porsi alcuni interrogativi:  come mai questo accade? E’ un reato andare a Predappio? Siamo seriamente di fronte ad un pericolo fascista?  Se a cento anni di distanza c’è gente nostalgica della camicia nera, bisogna chiedersi se non abbiano responsabilità dirette e indirette le istituzioni e le scuole che non hanno formato una coscienza democratica adeguata. C’è anche da domandarsi se il mondo antifascista abbia saputo muoversi con accortezza se davvero esiste in Italia un pericolo fascista… Ma se c’è gente che dedica il suo tempo di ferie per recarsi a Predappio non possiamo neppure impedire l’accesso al cimitero dove è sepolto il duce. Forse certi autori come Scurati con le loro esagerazioni politiche e il loro astio pregiudiziale e antistorico hanno contribuito a provocare reazioni opposte a quelle desiderate. In ogni caso se la marea nera e’ un pericolo per la democrazia ci sono molte strade percorribili, dalla legge Scelba alla legge Mancino. Partano le denunce e la Magistratura sanzioni eventuali reati di apologia del passato regime con tutto il rigore necessario. Ma non basterà comunque nessuna repressione a scardinare delle nostalgie che riguardano ormai quasi esclusivamente gente che non ha potuto anagraficamente essere fascista. Forse bisogna interrogarsi se sia lecito pensare in modo opposto o anche solo diverso alla maggioranza degli italiani.  Il diritto a dissentire è una caratteristica di ogni vera democrazia. I reati di opinione in un regime libero non dovrebbero esistere.  Se essi diventano una minaccia alle libere istituzioni, il Governo affronti il rischio di cadere nel ridicolo e faccia controllare Predappio manu militari, se necessario ricorrendo anche alle leggi…fasciste. Se esiste la marea nera che può assediare la Repubblica, non bastano gli articoli di giornali, ma occorre trarne le dovute conseguenze. In ogni caso dei nostalgici del passato ci saranno sempre e non si può obbligare tutti a uniformarsi anche nel modo di pensare perché, se fosse ritenuta necessaria una rieducazione forzata, saremmo già in un regime certamente ne’ libero ne’ democratico.  Non a caso il mondo antifascista più intelligente ed avveduto non ha dato seguito alla denuncia del quotidiano diretto da Giannini che ha stravolto la linea sia pure debolmente liberale del passato, rendendo il giornale assai simile all’”Unita ‘ “ di Pajetta .

Il Generale Dalla Chiesa e sua figlia
La Rai avrebbe avuto in programma di mandare in onda una fiction sul Generale Dalla Chiesa a quarant’anni dalla sua uccisione da parte della mafia il 3 settembre 1982. E’ un atto dovuto rendere onore a Dalla Chiesa. L’Università di Roma e l’ Arma dei Carabinieri il 5 settembre ricorderanno solennemente l’uomo che sconfisse il terrorismo armato che stava minando le libere istituzioni. La Rai ha rinviato la fiction in base ad una strana interpretazione della par condicio in seguito alla candidatura della figlia del Generale Rita quasi ci fosse un nesso tra il padre e la figlia che francamente ci sfugge, se non fosse per il fatto che Rita non è stata incoerente come suo fratello Nando buttatosi a sinistra a fianco di Leoluca Orlando Cascio. Se fosse stato candidato Nando Dalla Chiesa sicuramente nessuno in Rai avrebbe rinviato la trasmissione. Il 3 settembre avremo modo di vedere su canale 5 la vecchia serie dedicata a Dalla Chiesa. Forse anche in questo caso ci dovrebbe essere qualcuno a vietare la riproposizione dei filmati per una par condicio tra le reti.

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Vittoria Ronchey
Ho letto il suo ricordo di Vittoria Ronchey, l’autrice di “ Figlioli mei marxisti immaginari” che denunciò con coraggio i terribili anni della contestazione che Capanna definì formidabili. Lei è stato tra i pochi a scriverne, mettendo in luce la coerenza di questa straordinaria donna che fu moglie di Alberto Ronchey. Io ho proposto all’associazione ex allievi del mio liceo di ricordarla, ma temo che anche questa volta il presidente del liceo degli asterischi intitolato a Cavour avrà qualcosa da obiettare anche se e ‘ troppo vecchio per essere stato un sessantottino.      P.E.

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La ringrazio. Io non so cosa faranno altri, ma le assicuro che Vittoria Ronchey verrà ricordata al Centro “Pannunzio”, magari in collaborazione con qualche scuola che non abbia presidi reduci del’68.

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La cultura ad Albenga

Caro professore,
L’ho seguita nel suo tour ligure ed apprezzo sempre le sue conferenze . Peccato che ad Albenga non parli più con la stessa assiduità del passato. Ho letto che l’associazione “Fieui di Carugi “ sembra stia per sciogliersi. Finalmente una forma di arroganza presuntuosa avrà termine. Ad Albenga si sono fatti costruire due – dicasi due – monumenti con la fionda di legno, il simbolo dei teppistelli di provincia che tirano ai lampioni e ai nidi di uccelli. Ogni amministrazione civica e’ stata vergognosamente succuba di questa associazione un po’ populistica e “lobbistica“ che non ha mai varcato la cinta daziaria di Albenga come notorietà. Adesso si lamentano di essere trascurati, mentre sono stato sempre vezzeggiati. Il Dlf di Albenga protagonista vero per tanti anni della cultura ingauna, è stato addirittura multato per i manifesti affissi che annunciavano manifestazioni patrocinate dal Comune, mentre un libretto del portavoce dei Fieui ha potuto essere pubblicizzato di recente in ogni dove. E adesso si sentono anche stanchi e offesi, questi bizzarri personaggini, fans di De André e di don Gallo, quello che esaltava Giuliani.
Hanno portato Albenga in un vicolo cieco nella battaglia per il pronto soccorso che Toti ha chiuso ed oggi restano solo le lenzuola stinte messe in ogni dove che hanno leso l’immagine turistica di Albenga. Un disastro totale per la città delle Torri. Se sono stanchi, si riposino e si tolgano dai piedi con le loro fionde incredibilmente molto simili a delle corna bellicose. Le fionde sono simbolo di violenza, come scriveva il poeta Quasimodo.             Tino Rizzo

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Sono distante da quel sodalizio che alcuni apprezzano e non so darle un giudizio su di loro . Un dato di fatto va comunque ricordato: senza il sostegno di Antonio Ricci che un po’ rimpiange legittimamente la sua giovinezza nei carugi di Albenga ,non sarebbero nulla . Forse ci sarebbe da domandarsi se davvero meritino la stima generosamente riposta in loro dal grande Ricci , un uomo davvero fuori ordinanza. Nella battaglia sul Pronto Soccorso Ricci non li ha sostenuti e questo è un dato significativo. La cultura ad Albenga è l’Istituto di studi liguri fondato da Nino Lamboglia e presieduto dall’avvocato Costa. E’ palazzo Oddo presieduto dal medico umanista Pirino. E ci fermiamo qui.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

Orsini da Turati a Putin – Una mostra importante sull’Esercito nella guerra di Liberazione – Lettere

Orsini da Turati a Putin

Alessandro Orsini, attuale professore associato di sociologia alla Luiss, e’ diventato famoso in Tv per le sue polemiche in difesa di Putin. Il suo non è realismo machiavelliano come vorrebbe far credere, ma sociologismo assai poco scientifico nel quale si confondono le opinioni personali con la scienza politica. Io non intendo unirmi al coro di quelli che hanno richiesto di radiarlo dalla Tv, se non dalla comunità scientifica. In una libera democrazia occorrono gli Orsini perché è l’antitesi che anima il confronto democratico, altrimenti diventa una finzione.  Non ho mai avuto fiducia nella sociologia che per me non e’ una scienza vera. Con il mio amico, il famoso sociologo Filippo Barbano, ne ho discusso spesso, restando fermo nella mia idea. Diffido dei sociologi, gli storici sono incompatibili con certe sbornie sociologiche, come scriveva Francesco Compagna sul “Mondo”.  Le idee di Orsini non hanno un fondamento scientifico. I suoi oppositori intolleranti gli hanno dato una notorietà che forse non avrebbe mai raggiunto.  Ho avuto rapporti cordiali con Orsini nel 2012 quando pubblico’ un libro su Turati e Gramsci che venne boicottato in una maniera indegna. Il suo libro venne pesantemente censurato come solo i gramsciani sanno fare. e fui tra i pochi a scriverne. Il libro metteva in evidenza la figura dimenticata e demonizzata di Filippo Turati, padre del socialismo riformista italiano ,confrontandola con quella di Gramsci che è stata mitizzata e strumentalizzata dal PCI e da Togliatti .Mi domando come Orsini possa aver dimenticato la lezione di Turati ed essersi infatuato di Putin . Fermo restando che difenderò sempre il diritto di Orsini di dire liberamente ciò che pensa.

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Una mostra importante sull’Esercito nella guerra di Liberazione

E’ ancora visitabile oggi, primo maggio, la bella e importante mostra “1943/1945 Dai gruppi di combattimento al nuovo esercito italiano“ organizzata dalla benemerita associazione artiglieri di Torino e dai suoi coraggiosi dirigenti, tra cui voglio citare il Generale Antonio Puliatti, e dal Museo Nazionale di Artiglieria che una parte di Torino forse non sa neppure di avere il privilegio di possedere. Il giornalista Pier Carlo Sommo e’ stato il coordinatore della mostra curata da uno storico militare appassionato, Alberto Turinetti di Priero. Nella mostra è testimoniato l’apporto dei militari alla Resistenza, dal Generale Giuseppe Perotti al colonnello Giuseppe di Montezemolo martire delle Fosse Ardeatine ,dal Comandante Mauri ai soldati del Corpo italiano di Liberazione ai gloriosi gruppi di combattimento che dal Sud risalirono la penisola per liberarla da tedeschi e fascisti. Non ci furono solo i Partigiani, una verità che Mario Soldati, eccezionale corrispondente di guerra, mise in evidenza elogiando i soldati italiani combattenti al fianco degli Alleati. Vi è spazio nella mostra per il Principe Umberto di Savoia che fu partecipe attivo di quella storia anche sorvolando, con grave pericolo personale, territori in mano al nemico. Spiace che la mostra chiuda il 1 maggio. Spero che venga prolungata o ripresa. Si respira, visitandola, un’altra Italia, quella che noi disperatamente continuiamo ad amare.
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Il corporativismo di magistrati e giornalisti
Ho letto la pagina acquistata sui giornali dall’associazione nazionale magistrati per schierarsi contro la riforma della giustizia e ho letto che l’Ordine dei giornalisti si è mobilitato contro la legge che finalmente tutela seriamente la presunzione di innocenza e vieta la fuga di notizie che consentono a certi giornalisti di infangare per sempre chi avesse ricevuto un avviso di garanzia. Sono rimasta senza parole.           

 Tina Paratore

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Anch’io sono senza parole. Non è neppure l’Anm, quella che fu di Palamara, a scrivere proclami, la stessa Magistratura annuncia la propria mobilitazione in prima persona, una cosa che avrebbe fatto inorridire un magistrato esemplare ed eroico come Bruno Caccia. Sull’Ordine dei giornalisti che si tutela ancora una volta in modo corporativo, non mi esprimo perché chi non capisce che un precetto costituzionale come la presunzione di innocenza ha la precedenza su tutto, davvero manifesta limiti vistosi.

La rubrica della domenica di Pier Franco Quaglieni

Guerra e pace – L’esibizione dell’ombelico – Addio al Circolo Ufficiali – Lettere


Guerra e pace

Siamo inondati di commenti televisivi e giornalistici sulla guerra in Ucraina da cui emergono posizioni confuse, contraddittorie o eccessivamente chiare perche‘ legate a pregiudizi ideologici mai scomparsi e riemersi in questi giorni. La stessa figura di Putin, ex ufficiale del KGB, populista e dittatore di matrice nazionalista che vorrebbe ripristinare la vecchia Russia di cui si sente il nuovo zar, leggittima tante idee discordanti. Il dato di fatto è uno solo: la guerra in Europa che potrebbe sfociare in terza guerra mondiale, è una minaccia terribile che toglie ad ognuno di noi quella relativa serenità recuperata dopo che il Covid sembra ridimensionato. Non è il caso di analizzare le colpe di questa situazione allarmante di guerra .Oltre all’aggressore Putin, tutti hanno colpe e inadeguatezze a partire da Biden e dalla Eu. Certi paleo comunisti che imputano alla minaccia della Nato la causa di una comprensibile reazione di Putin sono ridicoli e rivelano la persistenza in Italia di sacche di comunismo cieco e fazioso. Ma oggi bisogna pensare soprattutto alla pace, almeno ad una tregua .Dopo una pandemia che ha mietuto milioni di morti non è tollerabile leggere dei morti ammazzati in Ucraina. Pensare alla pace ovviamente non come ad un cedimento a Putin , ma pensarla nella ferma tutela dell’endiadi” Pace e libertà”.

L’esibizione dell’ombelico
Con tutte le vicende che ci rendono difficile riacquistare dopo due anni un po’ di serenità , appare davvero stucchevole il dibattito infinito sull’ ombelico esibito a scuola. Secondo un piccolo scrittore e politicante come Lagioia, i giovani d’oggi sarebbero esemplari, mentre sarebbero gli adulti,soprattutto se professori, che andrebbero indicati come i colpevoli di tutti i mali. Cent’anni fa un giovanissimo Mario Soldati che si rivelerà un grande scrittore, si gettò sedicenne nelle acque del Po in piena per salvare un coetaneo. Ammesso che Lagioia sappia chi fosse Soldati, indichi ad esempio ai giovani d’oggi il suo esempio, lasciando stare l’eroina romana dell’ombelico. E rispetti i professori che in larga maggioranza fanno un lavoro difficile e mal pagato in condizioni spesso disperate .Se avesse un po’ di equilibrio , dovrebbe lodarli invece di esibire un giovanilismo che rivela la sua scarsa capacità di commentare i fatti. Voglio ricordare che rifiutai un esame ad un candidato presentatosi in calzoni corti, il quale torno’ il giorno dopo vestito decentemente perché aveva capito che, pur essendo luglio, non eravamo al mare. Anche Dacia Maraini a cui raccontai casualmente quell’episodio, si disse d’accordo con me. Ma Dacia appartiene ad una famiglia di principi siciliani, malgrado il suo progressismo. La classe (o anche solo il buon senso) non è acqua.

Addio al Circolo Ufficiali
In corso Vinzaglio a Torino esisteva lo storico Circolo Ufficiali del Presidio di cui conserverò gelosamente la tessera come un ricordo importante della mia vita. In quelle sale storiche ho passato a volte il Capodanno, ho tenuto conferenze, ho promosso iniziative soprattutto con il Gen. Cravarezza che apri’ il Circolo alla città in modo mirabile. Adesso esiste, dopo due anni di chiusura ,il circolo unificato dell’esercito che comprende i sottufficiali che avevano un loro decorosissimo circolo in via Avogadro. Io non commento,capisco che i tempi sono cambiati e che l’esercito deve uniformarsi allo spirito democratico della Repubblica ,come afferma la Costituzione. Addirittura Calamandrei parlava dell’esercito repubblicano come del garibaldino esercito di popolo. Un’idea lontana dal mio modo di sentire e dalla storia della mia famiglia e soprattutto utopistico perché ogni esercito si fonda sulla disciplina e sulla gerarchia. Posso però dire che rimpiango quel Circolo Ufficiali, che rimarrà almeno nella storia della città come un luogo magico in cui si mescolavano ufficiali in servizio e ufficiali in quiescenza e dove si respirava un sincero amor di Patria e uno stile e un’eleganza che aleggiava a Palazzo Pralormo e in pochi altri luoghi torinesi.

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No alla scuola degli asterischi 

Giovedì, insieme ad alcune associazioni amiche, mi sono recato al Ministero dell’Istruzione anche  a tuo nome per incontrare il sottosegretario Rossano Sasso.Ho consegnato direttamente nelle sue mani la tua firma e quelle di più di 20.000 cittadini attivi che hanno voluto alzare la voce assieme a CitizenGO per denunciare gli abusi didattico-educativi di matrice gender promossi in alcune scuole tramite l’approvazione illecita della “carriera alias” e l’inserimento in documenti ufficiali di “asterischi” e “schwa”con il fine di cancellare le desinenze maschili e femminili.

L’introduzione della carriera alias, degli asterischi e della schwa nelle scuole, sulla base del principio di “fluidità del genere” e di “inclusività”, può generare un disastro educativo nei confronti di tutto il corpo scolastico, inducendo i ragazzi e bambini più fragili ad aumentare un’incertezza identitaria.

La teoria gender, infatti, oltre ad essere una teoria antiscientifica, è fortemente ideologica e pericolosa perché promuove l’idea che l’essere maschi e femmine siano convenzioni sociali e che ogni bambino, ragazzo, adulto debba scegliere cosa essere in base a ciò che sente, a come si percepisce..

Ora, immagina quali catastrofiche conseguenze una ideologia folle come questa potrebbe scatenare durante il processo fisiologico evolutivo ed educativo di un bambino o adolescente..

Per questo ci siamo attivati e abbiamo fatto un primo passo importante con il vice ministro Sasso, che mi ha personalmente ringraziato per la campagna che io e te abbiamo portato avanti in queste settimane, sottolineandone soprattutto l’importanza,.

Grazie per tutto quello che fai con CitizenGO. Con il tuo aiuto e il tuo sostegno saremo in grado di vincere anche questa importante battaglia.

Matteo Fraioli

Pubblico molto volentieri questa lettera che condivido nella sua impostazione di fondo. Un discorso coraggioso e controcorrente che anche in questa rubrica ha trovato immediata condivisione. Io rispetto tutti senza riserve, ma le imposizioni  ideologiche non posso proprio  tollerarle.