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Clinica dentale Cappellin, prima Società Benefit odontoiatrica

La prima  in Italia, inaugura la sua nuova sede torinese al 12° piano di Palazzo Lancia, con 8 unità operative su oltre 500mq di superficie.

Nel cuore della città sabauda, apre un nuovo centro di riferimento di eccellenza, guidato dal prof. Mario R. Cappellin, dove professionisti si avvalgono delle tecnologie più innovative e all’avanguardia. Il team di lavoro della Clinica può contare oggi su oltre 60 professionisti che lavorano da oltre 12 anni nella sede di Pinerolo (oltre 1.200mq di superficie su quattro piani, con 14 unità operative e un laboratorio in esclusiva con le migliori tecnologie digitali).

La filosofia aziendale è caratterizzata da investimenti costanti per favorire una crescita delle risorse umane, non solo mediante una formazione tecnica che tenda all’eccellenza, ma soprattutto nel creare le condizioni affinché portare il proprio personale contributo di valore per il benessere dell’intero team.

La Clinica dentale Cappellin non è solo un’eccellenza nel campo dell’odontoiatria, è una società Benefit, la prima in Italia del settore. A differenza di una normale società a fine di lucro lo scopo ultimo di una Società benefit non è esclusivamente il profitto, bensì il benessere di chi ne fa parte e ne riceve i servizi: il guadagno non è più il fine della società stessa, ma un mezzo per raggiungere fini sociali, in un delicato e armonico equilibrio fra un’attività economica imprenditoriale e una positiva ricaduta sociale sui dipendenti, sugli utenti e sulla comunità in cui l’azienda è inserita.

Al supermercato per rubare con cappotto, occhiali da sole e cappellino

Effettua un furto ma viene scoperta: arrestata dalla Polizia di Stato

E’ entrata lo scorso venerdì pomeriggio all’interno di un supermercato di via della Robbia, calzando un cappellino di paglia, degli occhiali da sole, la mascherina e un cappotto: Gli addetti dell’esercizio commerciale vedevano la donna prelevare alcuni prodotti dagli scaffali e nasconderli sotto il lungo cappotto; dopodiché, oltrepassava le casse e spostava un espositore piazzandolo dietro di sé al fine di garantirsi la fuga più agevolmente.  Una dipendente del supermercato riusciva, però, a raggiungerla e la invitava a riconsegnare la merce sottratta. La donna, per tutta risposta, dopo aver gettato gli oggetti all’interno di un bidone, la graffiava alle braccia e la spintonava. Un secondo dipendente riusciva a seguire la rea mettendosi in contatto con le forze dell’ordine. Personale della Polizia di Stato della Squadra Volante e del Comm.to San Paolo intercettava la donna in corso Francia angolo Brunelleschi e la fermava. Si tratta di una trentaduenne di nazionalità francese; è stata arrestata per tentata rapina.

Cerca di rubare giubbotto e cappellino: arrestato

È accaduto venerdì pomeriggio, intorno alle 16.30, quando gli agenti della Squadra Volante sono intervenuti alla Rinascente di via Lagrange dopo che un cittadino cinese di 57 anni era stato fermato da personale dell’attività commerciale.

L’uomo era stato notato occultare sotto ai propri indumenti un giubbotto smanicato e un cappellino. Tuttavia, nonostante lo straniero avesse eliminato le etichette e una placca antitaccheggio, superate le colonnine il sistema dei sensori sonori si era attivato, fatto che aveva portato gli addetti alla sicurezza a fermarlo. L’uomo è stato poi arrestato per tentato furto aggravato

Le sere torinesi di Gozzano: la malinconica poesia del quotidiano

Solo Gozzano è riuscito a descrivere Torino come in effetti è. Il poeta parla della sua città natale con una splendida ironia malinconica, prendendola un po’ in giro, ma con garbo e con affetto, esaltandone i caratteri sommessi, le cose quotidiane; del nostro capoluogo sottolinea l’anima altezzosa ed elegante, intellettuale e civettuola, riuscendo a far emergere i tratti che ne contraddistinguono la bellezza e l’unicità, nel presente e nei suoi aspetti “d’altri tempi” con un gusto da stampa antica.

Nel componimento “ Le golose”, Gozzano considera un semplice momento di vita quotidiana, elevandolo a situazione poetica: in questo caso Guido, grazie alla sua vena brillante e ironica, gioca a descrivere il comportamento delle “giovani signore” torinesi all’interno di Baratti, uno dei bar storici della città. Le “signore e signorine”, che subito riusciamo ad immaginarci tutte imbellettate, con tanto di cappellino e veletta, non resistono alla tentazione di assaporare un pasticcino, e, davanti alla invitante vetrina dei dolciumi, indicano con il dito affusolato al cameriere quello che hanno scelto, e poi lo “divorano” in un sol boccone.

È un momento qualsiasi, è l’esaltazione del quotidiano che cela l’essenza delle cose. Nella poesia citata l’eleganza torinese è presa alla sprovvista, colta in flagrante mentre si tramuta in semplice golosità. Ma Gozzano sfalsa i piani e costringe il lettore a seguirlo nel suo ironizzare continuo, quasi non prendendo mai niente sul serio, ma facendo riflettere sempre sulla verità di ciò che asserisce. Se con “Le golose” Guido si concentra su una specifica situazione, con la poesia “Torino”, dimostra apertamente tutto il suo amore per il luogo in cui è venuto alla luce.
Guido Gozzano nasce il 19 dicembre 1883 a Torino, in Via Bertolotti 3, vicino a Piazza Solferino. È poeta e scrittore ed il suo nome è associato al Crepuscolarismo – di cui è il massimo esponente – all’interno della corrente letteraria del Decadentismo. Inizialmente si dedica all’emulazione della poesia dannunziana, in seguito, anche per l’influenza della pascoliana predilezione per le piccole cose e l’umile realtà campestre, e soprattutto attratto da poeti stranieri come Maeterlinck e Rodenback, si avvicina alla cerchia dei poeti intimisti, poi denominati “crepuscolari”, amanti di una dizione quasi a mezza voce. Gozzano muore assai giovane, a soli trentadue anni, a causa di quello che una volta era definito “mal sottile”, ossia la tubercolosi polmonare. Per questo motivo Guido alterna alla elegante vita torinese soggiorni al mare, alla ricerca di aria più mite, (“tentare cieli più tersi”), soprattutto in Liguria, Nervi, Rapallo, San Remo, e anche in montagna. Un estremo tentativo di cura di tale malattia porta Guido a intraprendere nel 1912, tra febbraio e aprile, un viaggio in India, nella speranza che il clima di quel Paese possa migliorare la sua situazione, pur nella triste consapevolezza dell’inevitabile fine (“Viaggio per fuggire altro viaggio”): il soggiorno non migliora la sua salute, ma lo porta a scrivere molto.

Al ritorno redige su vari giornali, tra cui La Stampa di Torino, alcuni testi in prosa dedicati al viaggio recente, che verranno poi pubblicati postumi nel volume “Verso la cuna del mondo” (1917). A parte l’ampio poema in endecasillabi sciolti, le “Farfalle”, essenziali per comprendere la nuova poesia di Gozzano sono le raccolte di versi “La via del rifugio” (1907) e “I colloqui” (1911), il suo libro più importante. Questo è composto da ventiquattro componimenti in metri diversi, legati tra loro da una comune tematica e da un ritmo narrativo colloquiale, con, sullo sfondo, un giovanile desiderio di felicità e di amore e una struggente velatura romantica. Intanto il poeta scopre la presenza quotidiana della malattia (“mio cuore monello giocondo che ride pur anco nel pianto”), della incomunicabilità amorosa, della malinconia. Egli ama ormai le vite appartate, le stampe d’altri tempi, gli interni casalinghi, ma, dopo aver esaltato le patetiche suppellettili del “salotto buono” piccolo borghese di nonna Speranza con “i fiori in cornice e le scatole senza confetti, / i frutti di marmo protetti dalla campana di vetro”, non esita a definirle “buone cose di pessimo gusto”. Di contro al poeta vate dannunziano, all’attivismo, alla mitologia dei superuomini e delle donne fatali, egli oppone la banale ovvietà quotidiana, alla donna-dea oppone “cuoche”, “crestaie” (“sognò pel suo martirio attrici e principesse, / ed oggi ha per amante la cuoca diciottenne”), alla donna intellettuale contrappone una donna di campagna (“sei quasi brutta, priva di lusinga/ …e gli occhi fermi e l’iridi sincere/, azzurre d’un azzurro di stoviglia”). Si tratta di Felicita che, con la sua dimessa “faccia buona e casalinga” , gli è parsa, almeno per un momento, l’unico mezzo per riscattarsi dalla complicazione estetizzante.

Eppure non vi è adesione a questo mondo, mondo creato e nel contempo dissolto, visto in controluce con la consapevolezza che a quel rifugio di ingenuità provinciale il poeta non sa ne può aderire e, tra sorriso, affetto e vigile disposizione ironica, si atteggia a “buon sentimentale giovane romantico”, per aggiungere subito dopo: “quello che fingo d’essere e non sono”.
Oltre che per questa nuova e demistificante concezione della poesia, l’importanza di Gozzano è notevole anche sul piano formale: “egli è il primo che abbia dato scintille facendo cozzare l’aulico col prosaico” (osserva Montale), e che, con sorridente ironia, riesca a far rimare “Nietzscke” con “camicie”. Gozzano piega il linguaggio alto a toni solo apparentemente prosastici. In realtà i moduli stilistici sono estremamente raffinati. E la sua implacabile ironia non è altro che una difesa dal rischio del sentimentalismo. La consapevolezza ironica abbraccia tutto il suo mondo poetico, le sue parole, i suoi atteggiamenti, i suoi gesti.

Avviciniamoci ancor di più al letteratissimo poeta torinese disincantato e amabile, e cerchiamo di approfondire il suo contesto familiare. Guido nasce da una buona famiglia borghese.
Il Dottor Carlo Gozzano, nonno di Guido, amico di Massimo D’Azeglio, appassionato di letteratura romantica del suo tempo, presta servizio come medico nella guerra di Crimea. Carlo Gozzano, borghese benestante, possiede ampie terre nel Canavese. Il figlio di Carlo, Fausto, ingegnere, porta avanti la costruzione della ferrovia canavesana che congiunge Torino con le Valli del Canavese. Fausto si sposa due volte, dalla prima moglie ha cinque figli; dopo la morte della prima consorte, Fausto incontra nel 1877 la bella diciannovenne alladiese Diodata Mautino, che sposa e dalla quale ha altri figli, tra cui Guido. La donna ha un temperamento d’artista, ama il teatro e si diletta nella recitazione, ed è altresì la figlia del senatore Massimo, un ricco possidente terriero, proprietario della villa del Meleto, ad Agliè (la villa prediletta dal poeta).

Guido frequenta dapprima la scuola elementare dei Barnabiti, poi la «Cesare Balbo», avvalendosi anche dell’aiuto di un’insegnante privata, poiché il piccolo scolaro è tutt’altro che ligio al dovere.
Da ragazzo viene iscritto nel 1895 al Ginnasio-Liceo Classico Cavour di Torino, ma la sua svogliatezza non lo abbandona, egli viene bocciato e mandato a recuperare in un collegio di Chivasso; ritorna a studiare nella sua Torino nel 1898, poco tempo prima della morte del padre, avvenuta nel 1900 a causa di una polmonite. Le difficoltà scolastiche del futuro poeta lo costringono a cambiare scuola ancora due volte, finché nel 1903 consegue finalmente la maturità al Collegio Nazionale di Savigliano. Le vicissitudini tribolanti degli anni liceali sono ben raccontate da Guido all’amico e compagno di scuola Ettore Colla, scritti in cui si evince che il giovane è decisamente più interessato alle “monellerie” che allo studio.

Nel 1903 vengono anche pubblicati sulla rivista torinese “Il venerdì della Contessa” alcuni versi di Gozzano, di stampo decisamente dannunziano (qualche anno dopo, in un componimento del 1907 “L’altro” il poeta ringrazia Dio che – dichiara – avrebbe potuto “invece che farmi Gozzano /un po’ scimunito ma greggio / farmi gabrieldannunziano /sarebbe stato ben peggio!”). Guido si iscrive poi alla Facoltà di Legge, ma nella realtà dei fatti frequenta quasi esclusivamente i corsi di letteratura di Arturo Graf. Il Professore fa parte del circolo “Società della cultura”, la cui sede si trovava nella Galleria Nazionale di via Roma, (poi spostatosi in via Cesare Battisti); anche il giovane Gozzano entra nel gruppo. Tra i frequentatori di tale Società, nata con lo scopo di far conoscere le pubblicazioni letterarie più recenti, di presentarle in sale di lettura o durante le conferenze, vi sono il critico letterario e direttore della Galleria d’Arte Moderna Enrico Thovez, gli scrittori Massimo Bontempelli, Giovanni Cena, Francesco Pastonchi, Ernesto Ragazzoni, Carola Prosperi, il filologo Gustavo Balsamo Crivelli e i professori Zino Zini e Achille Loria; anche Pirandello vi farà qualche comparsa. Nell’immediato dopoguerra vi parteciperanno Piero Gobetti, Lionello Venturi e Felice Casorati.

Gozzano diviene il capo di una “matta brigada” di giovani, secondo quanto riportato dall’amico e giornalista Mario Bassi, formata tra gli altri dai letterati Carlo Calcaterra, Salvator Gotta, Attilio Momigliano, Carlo Vallini, Mario Dogliotti divenuto poi Padre Silvestro, benedettino a Subiaco e dal giornalista Mario Vugliano.
Va tuttavia ricordato che per Guido quel circolo è soprattutto occasione di conoscenze che gli torneranno utili per la promozione dei suoi versi, egli stesso così dice “La Cultura! quando me ne parli, sento l’odore di certe fogne squartate per i restauri”. Con il passare del tempo, matura lentamente in lui una più attenta considerazione dei valori poetici della scrittura, anche grazie (ma non solo) allo studio dei moderni poeti francesi e belgi, come Francis Jammes, Maurice Maeterlinck, Jules Laforgue, Georges Rodenbach e Sully Prudhomme.
Da ricordare è anche la tormentata vicenda amorosa (1907-1909) tra Gozzano e la nota poetessa Amalia Guglielminetti, una storia destinata alla consunzione, caratterizzata da momenti di estrema tenerezza e molti altri di pena e dolore.

Ma torniamo a Torino, la sua città natale, la amata Torino, che è sempre nei suoi pensieri: “la metà di me stesso in te rimane/ e mi ritrovo ad ogni mio ritorno”. Torino raccoglie tutti i suoi ricordi più mesti, ma è anche l’ambiente concreto ed umano al quale egli sente di appartenere. Accanto alla Torino a lui contemporanea, (“le dritte vie corrusche di rotaie”), appare nei suoi scritti una Torino dei tempi antichi, un po’ polverosa che suscita nel poeta accenti lirici carichi di nostalgia. “Non soffre. Ama quel mondo senza raggio/ di bellezza, ove cosa di trastullo/ è l’Arte. Ama quei modi e quel linguaggio/ e quell’ambiente sconsolato e brullo.” Con tali parole malinconiche Gozzano parla di Torino, e richiama alla memoria “certi salotti/ beoti assai, pettegoli, bigotti” che tuttavia sono cari al per sempre giovane scrittore. “Un po’ vecchiotta, provinciale, fresca/ tuttavia d’un tal garbo parigino”, questa è la Torino di Gozzano, e mentre lui scrive è facile immaginare il Po che scorre, i bei palazzi del Lungo Po che si specchiano nell’acqua in movimento, la Mole che svetta su un cielo che difficilmente è di un azzurro limpido.
Il poeta fa riferimento alle “sere torinesi” e descrive così il momento che lui preferisce, il tramonto, quando la città diventa una “stampa antica bavarese”, il cielo si colora e le montagne si tingono di rosso, (“Da Palazzo Madama al Valentino /ardono l’Alpi tra le nubi accese”), e pare di vederlo il “nostro” poeta, mentre si aggira per le vie affollate di dame con pellicce e cappelli eleganti, e intanto il giorno volge al termine e tutti fanno ritorno a casa.

Gozzano, da buon torinese, conosce bene la “sua” e la “nostra” Torino, di modeste dimensioni per essere una grande metropoli, e troppo caotica per chi è abituato ai paesi della cintura, un po’ barocca, un po’ liberty e un po’ moderna, stupisce sempre gli “stranieri” per i “controviali” e i modi di dire. Torino è un po’ grigia ed elegante, per le vie del centro c’è un costante vociare, ma è più un chiacchiericcio da sala da the che un brusio da centro commerciale, è piccola ma a grandezza d’uomo, Torino è una cartolina antica che prova a modernizzarsi, è un continuo “memorandum” alla grandezza che l’ha contraddistinta un tempo e che, forse, non c’è più. Di Torino è impossibile non innamorarsi ma è altrettanto difficile viverci, e, se uno proprio non se ne vuole andare, c’è solo una cosa che può fare, prestare attenzione alla sua Maschera: “Evviva i bôgianen… Sì, dici bene,/o mio savio Gianduia ridarello!/ Buona è la vita senza foga, bello/ godere di cose piccole e serene…/A l’è questiôn d’ nen piessla… Dici bene/ o mio savio Gianduia ridarello!…”

Alessia Cagnotto

“Eleganza in uniforme” al Museo della Cavalleria di Pinerolo

“Un racconto di moda e storia militare”

Dal 16 giugno al 14 novembre

Pinerolo (Torino)

La location è un “unicum” nella storia d’Italia: il “Museo Storico dell’Arma di Cavalleria”di Pinerolo, ospitato, in via Giolitti 5, nell’antica Caserma “Principe Amedeo” (poi intitolata al generale Dardano Fenulli) e, sicuramente, uno dei più importanti Musei d’Europa dedicati alla “Cavalleria”, istituito nella sede dell’antica (aperta da Alfonso La Marmora) “Scuola di Cavalleria”  e voluto nel 1961  dall’allora Ministro della Difesa, Giulio Andreotti, con apertura al pubblico nell’ottobre del ’68. Per tutta l’estate e l’autunno – da domenica 16 giugno fino a giovedì 14 novembre– in questi storici spazi si potrà gratuitamente esplorare la “connessione tra moda femminile e uniformi militari dal 1849 al 1943”, attraverso la mostra “Eleganza in uniforme: un racconto di moda e storia militare”, organizzata (con la curatela della storica del costume Laura Tessaris) dal “Consorzio Turistico Pinerolese e Valli”, in collaborazione con il “Comune di Pinerolo” e “Zonta Club Pinerolo”.

Complessivamente, sono una quarantina i capi esposti, ai quali si sommano cappelli, copricapi e corsetti. Obiettivo: “Esplorare – sottolinea la curatrice – non solo le trasformazioni stilistiche ma anche le storie umane che si celano dietro le vesti per un viaggio nella ‘storia del costume’, dalle frivolezze degli abiti da ballo della seconda metà dell’Ottocento al rigore dei completi femminili ispirati alle uniformi negli Anni Quaranta”. E, a leggere fra le righe, la mostra può anche indicarci “rivendicazioni” ante litteram rispetto alla già solleticante voglia di giuste e sacrosante “pari opportunità”. Pur anche nell’abbigliamento. Dicono gli organizzatori: “In un contesto tradizionalmente dominato dalla figura maschile, la mostra ridefinisce e amplia il concetto di partecipazione e contributo femminile in questi ambiti: la figura femminile è accanto alle uniformi maschili, per riconoscere il ruolo attivo e significativo delle donne nella storia della cavalleria, dedicando uno spazio significativo alle amazzoni della ‘Scuola di Cavalleria’, donne coraggiose e abili cavallerizze che hanno sfidato le convenzioni sociali del tempo per seguire la loro passione per l’equitazione e la Cavalleria”.

Chicca fra le molte, un abito da cavallerizza invernale del 1890 (con corpetto beige, gonna e finiture di lana tartan marrone) della Contessa Sofia Cacherano di Bricherasio (1867-1950), pittrice e filantropa. Altro capo di notevole valore, non solo dal punto di vista stilistico ma anche da quello storico-sociale, la toga di Lidia Poet (esposta accanto a due abiti valdesi), prima avvocatessa d’Italia, protagonista di una serie Tv su “Netflix”, originaria del piccolo e vicino Comune di Perrero.

Alcuni dei capi arrivano dall’ “Archivio Aldo Passoni” di Torino, altri appartengono alla collezione unica di Alessandro Ubezio, in arte “Anti Costume”, altri ancora sono stati realizzati dalla stessa curatrice Tessaris, come elementi piacevolissimi di una “passeggiata dove i manichini paiono giocare con l’arredo”. Ecco allora un “corsetto”, realizzato proprio dalla Tessaris grazie a un modello conservato in un archivio di Londra: fedelissimo, è un modello del 1888, con fianchi alti, per andare a cavallo. E se non mancano due abiti da sposa, uno dell’austera “epoca vittoriana”, di colore nero, originale, e l’atro, sua fedele riproduzione, ma firmato da Alessandro Ubezio in bianco, lo sguardo si perde, poi, sugli abiti da sera e da giorno, come sulle giacchee sugli abiti Anni Trenta e Quaranta. Il più fotografato? Un capo blu elettrico, in chiffon e seta leggerissima drappeggiata con una piuma che gira intorno al vestito di perline.

Infine, i cappellini, con una collezione che spazia dagli Anni Venti a creazioni con velluto, pelliccia e piume. Un tocco di eleganza, accanto ad “elmi” e “copricapi” già presenti nella mostra permanente del Museo. Curiosa e saggia miscellanea di stili e costume.

Gianni Milani

“Eleganza in uniforme: un racconto di moda e storia militare”

Museo Storico dell’Arma di Cavalleria, via Giolitti 5, Pinerolo (Torino); tel. 0121/376344o www.museocavalleria.it

Dal 16 giugno al 14 novembre

Orari: mart. merc. giov. 9/12 e 13,30/16,30; domenica 10/12 e 14/18

 

Nelle foto: immagini dell’allestimento della mostra; abito di Sofia Cacherano di Bricherasio (1890); “Corsetto” su modello del 1888, conservato in un archivio di Londra

La piuma di “Forrest Gump” e la scimmia/dessert di “Indiana Jones”, quando il Cinema è arte

Alla Mole, sino al 13 gennaio 2025, “Movie Icons. Oggetti dai set di Hollywood”

Penso che collezionisti si nasca, è una pulsione che si manifesta prepotente, irrefrenabile, che ti spinge a possedere l’oggetto che ti manca, una continua battaglia tra Eros e Thanatos, una sorta di malattia, per fortuna non mortale.” Luca Cableri è un signore giovanile e alto ed elegante, che da sempre coltiva la passione di raccogliere reperti e oggetti, che ragazzino andava lungo la spiaggia per conchiglie e poi le rivendeva ai turisti, che nell’ultima quindicina d’anni ha viaggiato negli States e che in alcuni di essi, il Wyoming ad esempio, ha ritrovato ossa di dinosauro (specifichiamo: dal cranio di triceratopo allo scheletro completo di un Tyrannosaurus Rex) e che non s’è risparmiato dal portare a casa pietre lunari cadute giù da noi. Che ospita in una sorta di Wunderkammer rinascimentale, in uno splendido palazzo aretino quel Theatrum Mundi che è ora la casa di ogni sua scoperta. Oggi – per un lunghissimo periodo che s’allunga sino al 13 gennaio 2025 – alcune, circa centoventi riguardanti esclusivamente il campo cinematografico, definendole “props” e guardando a quegli oggetti di scena che vengono usati dagli scenografi e dagli arredatori, questi suoi fantasiosi quanto curiosissimi reperti, certo affascinanti per quanti amano il cinema, oggetti che Cableri s’affretta definire “opere d’arte” e che come tali devono essere guardati, sono esposti nella mostra “Movie Icons. Oggetti dai set di Hollywood”, curata dallo stesso Cableri e dal Direttore del Museo del Cinema Domenico De Gaetano, con i prestiti altresì della casa d’aste londinese Propstore, nella Sala del Tempio alla Mole dell’Antonelli. Sei vetrine a ospitare al pian terreno il costume esiguo e antico dei militi spartani di “300”, l’abito scuro di “Men in Black”, quelli inventati per “Armageddon”, “Robocop”, “Io Robot” e la Cosa dei “Fantastici 4”; e poi un lungo anello che si snoda lungo la scala a immagazzinare sogni per gli occhi – e per i ricordi – per i tanti e prossimi visitatori, magari sogni sempre accarezzati e ai quali mai s’è potuto dare un corpo.

La mostra che ci porta a presentare questi oggetti meravigliosi – dice a inizio di conferenza stampa Enzo Ghigo, Presidente del Museo – può essere considerata il proseguimento ideale di quella che l’ha preceduta, “Il mondo di Tim Burton”, chiusa con un vero e proprio successo. È il panorama affascinante di una parte del cinema americano di questi ultimi decenni, un panorama costruito con titoli che tutti abbiamo visto, ragazzi e con le fidanzate, con le famiglie, con i genitori e con i figli, che animano ricordi e suscitano emozioni, che fanno rivivere tantissimi momenti della vita che fin qui abbiamo trascorso.” Una mostra per cui, come in poche altre, la parola d’ordine è lasciarsi trasportare, una mostra che piacerà ad adulti e ai giovani, ai cinefili incalliti che hanno saggiato quelle immagini ma che non hanno mai potuto godere, a pochi centimetri dai loro occhi, di tanta meraviglia, di questo o di quell’oggetto, ai tanti curiosi che forse per la prima volta vorranno oltrepassare l’ingresso della Mole. Se mai ancora ce ne sono. “Quando, più di un anno fa – dice De Gaetano -, Cableri mi ha chiamato per propormi la mostra, la proposta mi ha lasciato abbastanza scettico, forse non ci ho visto l’effettiva curiosità, non ho avvertito quel grandioso panorama che in questo momento abbiamo davanti agli occhi. Poi ci ho ripensato, credo quasi immediatamente, ricredendomi ed è nata una vivace collaborazione che guardando all’unione degli oggetti del Theatrum Mundi e di alcuni di proprietà del Museo e ai tesori di Propstore ha dato vita a “Movie Icons”. Si aggiunge Cableri: “Sono felice che gli oggetti di questa mia collezione possano approdare alla Mole, uno di quei luoghi che più non avrei potuto sperare: anche perché sono convinto che ogni collezione debba essere messa a disposizione del pubblico intero, perché tutti ne possano godere. In altre parole, fare cultura, dando la possibilità a tutti di apprezzarli e ammirarli.”

Poi si inizia a salire la scala ed è un susseguirsi di preziosità e di ricordi, in un allestimento dove predominano i colori scuri e dove in un alternarsi di manifesti dalla presenza immediata e di più o meno grandi “personaggi” che diventano quasi religiosi simulacri di questo Sancta Sanctorum, si affacciano teche ottimamente illuminate a contenere gli oggetti di una vita cinematografica. il mostro di “Alien vs. Predator”, nella sua altezza, nei suoi artigli e nella completa presa delle fauci, capolavoro dell’artista svizzero H.R. Giger, il costume da extraterrestre inventato per “Incontri ravvicinati del terzo tipo” (il pezzo più antico della collezione: esiste anche quello sempre sfuggito, il costume completo di Darth Vader che dal 1977 riempie “Guerre stellari”), il divertente modello di marziano per stop-motion dovuto alla fantasia di Tim Burton e della sua equipe per “Mars Attaks!” (1996), il macabro orecchio a punta (una protesi auricolare in lattice) del vulcaniano Spock, interpretato per l’intera saga da Leonard Nimoy e una ciocca di pelo di Chewbecca, lo scimmione di “Guerre stellari”.

Puoi finalmente toccare il giubbotto di pelle (marrone) utilizzato da Tom Cruise per “La guerra dei mondi” di Spielberg (nella tasca interna è cucita un’etichetta con la scritta “Tom Cruise, Regular Size”: Ray Ferrier lo indossa per l’intero film, pertanto furono prodotti diversi esemplari che ne attestassero il progressivo deterioramento con l’intensificarsi dell’azione), la testa d’automa di “Hugo Cabret” firmato da Scorsese nel 2011, e fa quasi tenerezza quella piuma bianca che abbiamo visto tante, tante volte all’inizio e alla fine di “Forrest Gump”, accanto al cappellino con il marchio “Bubba Gump Shrimp Co.” e all’immagine del protagonista Hanks con Gary Sinise a reclamizzare il cocktail di gamberi sulla copertina di “Fortune”. E ancora i guantoni di Rocky, la macabra testa di scimmia usata per il dessert di “Indiana Jones e il tempio maledetto” nel palazzo di Pankot, gran finale dopo gli occhi in brodo con questo cervello di scimmia semifreddo servito direttamente dentro il cranio aperto del povero animale, il tricorno posto sulla testa di Johnny Depp nei “Pirati dei Caraibi” e una delle tute di salvataggio di quello strappalacrime che è stato per tutti noi “Titanic”, come – vera opera d’arte vista da vicino, quando già ci aveva entusiasmato al cinema, sofferenza ed emozioni perfette, quasi tre anni di lavoro perché ne uscisse il capolavoro che sarebbe stato, indossato da Doug Jones durante le riprese – la maschera dell’uomo anfibio per “La forma dell’acqua” di Guillermo Del Toro.

Non mancano “I Flintstone” e non manca “Jurassic Park”, non mancano le tavolette di cioccolato della dolce “Fabbrica” narrata da Burton, non mancano i ricordi di Harry Potter, come la sua bacchetta, 28 centimetri che sono l’unione dell’agrifoglio sempreverde e di una piume di fenice che è simbolo di rinascita, come quella di Voldemort nel “Calice di fuoco”. In un incrociarsi di epoche e di stili, di storie e ancora di emozioni, la spada di “Excalibur” e il mitra Thompson tolto dalle immagini che vedevano l’Oscar Sean Connery combattere negli “Intoccabili” l’Al Capone di De Niro e gli altri cattivoni, le fiches e le carte che vedono al tavolo da gioco Bond, James Bond, in Casino Royale, i costumi che tutti abbiamo davanti agli occhi della triade Superman/Matman/Robin per continuare con quello rossoblù di Spider Man. Altro oscarizzabile nel 2004 per i Migliori Effetti Visivi, il tentacolo del dottor Octopus (Alfred Molina) in “Spider-Man 2”, un supplizio di complessivi 45 chilogrammi composto da un corsetto, una cintura di metallo e gomma, una colonna vertebrale in gomma e quattro tentacoli di gommapiuma lunghi circa 2,5 metri. Per tacere del martello di Thor, della mano dell’Incredibile Hulk, dello scudo di Capitan America dai cerchi concentrici di colore rosso e bianco e con al centro una stella bianca su un fondo blu, calcolato il tutto sul mercato per un gruzzoletto che va ben oltre il milione di dollari. Degli artigli di Volverine, del modello di uno dei Gremlins, del modellino dello “Squalo”, della maschera dell’orripilante Hardy Kruger e dell’inquietante modellino, palloncini multicolore in una mano, si Pennywise, alias “It”, che il suo costruttore, Bart J. Mixon, aveva voluto “il più innocuo e amichevole possibile”.

Accanto alle autorità del Museo e al collezionista Luca Cableri, erano presenti in conferenza stampa Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, compagni di vita e di arte, scenografi e molto di più entrambi, sei premi Oscar in due – per “The Aviator” e “Hugo Cabret” di Scorsese e per “Sweeney Todd” di Tim Burton, applauditissimi, la sera avrebbe ricevuto la Stella della Mole e tenuto una Masterclass. Chi stende queste note ha avuto la fortuna di percorrere gran parte del percorso attraverso quelle opere d’arte con la parte femminile della coppia: e tra commenti e sorrisi e ricordi e apprezzamenti, ha visto come un premio Oscar rimanga stupefatta, sempre, in ogni momento, davanti alla magia del cinema. E dei tanti che vi lavorano all’interno.

Elio Rabbione

Nelle fotografie di Stefano Guidi, alcune immagini degli oggetti esposti e dell’allestimento della mostra in questi giorni alla Mole.

La polizia ricostruisce il percorso fino all’auto e scopre il rapinatore

Con il viso reso irriconoscibile da cappuccio, occhiali da sole e una mascherina di tipo chirurgico ha mostrato alla commessa di una panetteria nel centro di Cuneo una pistola facendosi consegnare l’incasso. Grazie alle telecamere di sorveglianza la polizia ha ricostruito il percorso per raggiungere l’auto e ha scoperto che la vettura era stata presa a noleggio da R. P., 40 anni, pregiudicato per reati contro il patrimonio e contro la persona, residente nei pressi di Cuneo. Alcuni giorni dopo la rapina, l’uomo è stato visto dagli agenti  a bordo dell’auto con lo stesso cappellino da baseball e analoghi occhiali da sole scuri. Nel corso di una perquisizione a casa è stata trovata una scacciacani. Il quarantenne è stato denunciato per rapina aggravata e porto di armi e oggetti atti ad offendere.

Primark apre un nuovo negozio a Torino

Investimento pari a 10 milioni di euro

Primark, il retailer internazionale di moda, ha aperto ieri le porte del suo attesissimo nuovo punto vendita nell’urban district ‘To Dream’, a Torino. Con un investimento di 10 milioni di euro, questo negozio è il secondo di Primark in Piemonte, dopo ‘Shopville Le Gru’ di Grugliasco inaugurato nel 2022. L’apertura di questo nuovo store ha creato 150 nuove opportunità di lavoro a livello locale.

Con una superficie commerciale di oltre 4.500 metri quadrati su un unico livello, il nuovo negozio offre un’ampia gamma di prodotti, spaziando dagli articoli basic per tutti i giorni come la biancheria, ai divertenti articoli in licenza, passando per le ultime tendenze moda donna, uomo e bambino, nonché beauty, lifestyle e articoli per la casa. Tutto a prezzi sempre accessibili.

Inoltre, non manca anche una novità assoluta per Primark in Italia: questo nuovo punto vendita è dotato di casse self-service, oltre alle tradizionali casse. In questo modo, i clienti che hanno poco tempo o effettuano i loro acquisti tramite carta, potranno finalizzare i loro acquisti in autonomia alle case automatiche.

Parallelamente, Primark si impegna a offrire prodotti più sostenibili e accessibili a tutti. Attualmente, infatti, il 55% degli indumenti Primark è realizzato utilizzando materiali riciclati o provenienti da fonti più sostenibili, ma l’azienda si è già impegnata a raggiungere l’obiettivo del 100% entro il 2030.

A ciò si aggiunge il fatto che, appena lo scorso mese, Primark ha annunciato di ridurre i prezzi di centinaia di capi di abbigliamento e accessori basic per bambini, aiutando così le famiglie nella gestione del budget e nella creazione dei guardaroba estivi. Sono stati, infatti, introdotti prezzi più bassi su gamme selezionate per bambini, tra cui magliette, pantaloncini, costumi da bagno, ciabatte e cappellini da baseball in vista dell’aumento delle temperature e dell’inizio delle vacanze estive. Complessivamente, è già il secondo anno consecutivo che Primark si impegna nella riduzione dei prezzi dell’abbigliamento per bambini.

Luca Ciuffreda, Responsabile Primark Italia, ha dichiarato: “Aprire oggi il nostro nuovo negozio Primark all’interno dell’urban district ‘To Dream’ è per noi un momento davvero importante: siamo infatti profondamente orgogliosi di tutti i nostri team che, per renderlo possibile, hanno lavorato incessantemente. Oggi possiamo contare su 150 nuovi colleghi che si sono uniti alla famiglia di Primark Italia e non vediamo l’ora di far scoprire ai nostri nuovi clienti la fantastica gamma di prodotti Primark e offrire loro una fantastica esperienza di shopping”.

Paolo Chiavarino, Assessore al Commercio e ai Mercati del Comune di Torino, ha affermato: “È particolarmente apprezzabile l’offerta di articoli caratterizzati da un’alta percentuale rappresentata da materiali riciclati o realizzati attraverso fonti più sostenibili, coniugata con un’offerta che consente una accessibilità di acquisto per una vasta area della popolazione: sensibilità in linea con il rispetto delle risorse del Pianeta e nel contempo quale concreta risposta all’esigenza di risparmio delle famiglie in un periodo caratterizzato dall’aumento dei prezzi”.

L’anno scorso Primark ha riconfermato il proprio impegno nei confronti dell’Italia annunciando un investimento pari a 50 milioni di euro nella propria rete di negozi sul territorio. In questo contesto, il nuovo store all’interno dell’urban district ‘To Dream’ segna una pietra miliare nei piani di espansione di Primark in Italia, essendo il primo di questi nuovi negozi ad essere inaugurato, oltre a rappresentare il 16° store Primark nel Paese. Proprio la scorsa settimana, infine, Primark ha annunciato di aver firmato l’apertura di un nuovo punto vendita presso il centro commerciale ‘Parma Retail’, portando la sua offerta unica a sempre più clienti.

“Ayrton Senna forever”, la mostra al Mauto

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Dal 24 aprile al 13 ottobre 2024 la più grande e completa esposizione di vetture, memorabilia e libri, scatti fotografici mai realizzata. Nella ricorrenza dei trent’anni della scomparsa di Ayrton Senna, il MAUTO – Museo Nazionale dell’Automobile dedica al pilota brasiliano una grande mostra che, della sua vita, intende approfondire due aspetti: la storia sportiva del campione e quella privata di un uomo che ha conquistato il cuore di milioni di appassionati in tutto il mondo.

Dalle esperienze sui kart fino alle monoposto di Formula 1, la mostra AYRTON SENNA FOREVER – in programma al MAUTO-Museo Nazionale dell’Automobile da mercoledì 24 aprile a domenica 13 ottobre 2024 – raccoglie le auto più significative guidate da Senna nel corso della sua carriera, dalla prima Formula Ford all’ultima Williams. Le vetture saranno corredate da documenti, pubblicazioni e memorabilia: tra questi, la più completa raccolta delle tute da corsa e dei caschi del pilota e un’ampia selezione di tutte le pubblicazioni uscite, nel mondo, su Ayrton Senna. Il filo rosso della carriera sportiva del pilota si arricchisce di elementi intimi e personali, restituiti al pubblico attraverso l’ampia documentazione riunita negli spazi del Museo dell’Automobile. Tra filmati in Super8 e installazioni audiovisive, spiccano le centinaia di fotografie scattate dai più grandi autori dell’epoca che contribuiscono a costruire un ritratto a tutto tondo di Ayrton Senna: dall’amico e fotografo Angelo Orsi a Keith Sutton, da Ercole Colombo a Bernard Asset, da Steven Tee a Rainer Schlegelmilch.

 

E sono già passati trent’anni. Ma il mito di Ayrton Senna è sempre più vivo. Lo riportiamo tra noi con una rilettura monografica di ampia visione curata da Carlo Cavicchi: la mostra, il testo, i talk. AYRTON SENNA FOREVER è un palinsesto narrativo appassionante e rigoroso, che proietta sul MAUTO la storia e le vicende di Ayrton Senna, grande brasiliano, straordinaria e inarrivabile figura, pilota eccezionale e fenomeno mediatico e popolare, divenuto intramontabile soprattutto dopo la sua tragica fine, che lo ha trasfigurato nell’epica icona di sé stesso, proiettandolo nel firmamento delle grandi star della nostra epoca”.

Benedetto Camerana, Presidente Museo Nazionale dell’Automobile

 

È molto emozionante vedere come il popolo italiano ricordi il pilota brasiliano con grande affetto e, oltretutto, gli renda un bell’omaggio come questo“.

Hadil da Rocha-Vianna, Console Generale del Brasile

 

Sono stati otto intensi mesi di lavoro ma il risultato finale credo che possa regalare ai visitatori della mostra un ricordo del grande asso brasiliano davvero esaustivo e coinvolgente. Lui, sempre esigente e pignolo, lo avrebbe voluto così, ed è stato il traguardo che abbiamo cercato sin dall’inizio”.

Carlo Cavicchi, curatore della mostra

 

“Ci auguriamo che questa mostra inedita, colma di oggetti personali, attrezzature e auto preservi la storia e tramandi l’eredità di Ayrton che fino a oggi è stato un’ispirazione sia per gli appassionati che lo hanno visto correre sia le nuove generazioni. Portare una mostra di queste dimensioni ai fan in Italia e nel mondo è una gioia per la nostra famiglia, che ha radici in Italia”.

Bianca Senna, CEO di Senna Brands e nipote del pilota

 

Il Sindaco di Torino Stefano Lo Russo sottolinea come la mostra “Ayrton Senna Forever”, ospitata dal Museo Nazionale dell’Automobile, sia un’occasione preziosa per torinesi e turisti di ripercorrere la storia di un campione che non ha mai abbandonato, anche dopo la sua tragica scomparsa, il cuore di tantissime appassionate e tantissimi appassionati. Il Sindaco ha inoltre ribadito come la mostra si inserisca pienamente nella grande storia di legami profondi tra la città e gli sport motoristici, aggiungendo un tassello ulteriore alla ricca programmazione culturale del Museo Nazionale dell’Automobile e dell’intero territorio.

 

L’ALLESTIMENTO E I MATERIALI ESPOSTI

Uno straordinario allestimento – progettato dall’architetto Francesco Librizzi – si sviluppa su una superficie di 1500 metri estendendosi anche alla Piazza del Museo nella quale campeggia una suggestiva installazione: la pelle vetrata diventa la bandiera del Brasile che sventola tra le mani di Senna dopo ogni vittoria. Il tema visivo che ha ispirato l’allestimento dello spazio dedicato alla mostra è invece quello della griglia di partenza. Le macchine schierate come un esercito di terracotta: possiamo immaginare – intorno a loro – i meccanici, le ombrelline, gli ospiti vip, le pubblicità. L’illuminazione è impattante, predominano fasci di luce bianchi e neri per accentuare la sensazione di partecipare a una gara, con riflessi sulle vetture studiati per farle apparire quasi in movimento come durante una corsa.

 

In esposizione tutte le vetture guidate da Senna: due kart degli esordi nel mondo delle corse (1978-1982); nove monoposto, dalla prima Van Diemen RF82-Ford del 1982 all’ultima Williams FW16-Renault del 1994; la strepitosa Mercedes 190 numero 11 con cui Senna nel 1984 vinse la Race of Champions davanti a Lauda; due showcar, perfette riproduzioni delle originali McLaren MP4/4-Honda e McLaren MP4/6-Honda posizionate fuori dall’ingresso della mostra. Tutte le tute, tutti i caschi, i sottocaschi, i cappellini e i guanti da lui indossati nelle gare di karting, F3 e F1; accessori e parti meccaniche delle sue auto, come pneumatici, flaps, motori, il volante Nardi della McLaren MP4/6 del 1991 e il piantone della Williams Renault del 1994; la moto a lui dedicata dalla Ducati e la bicicletta “Senna” della Carraro. Tra i moltissimi oggetti personali e altre curiosità anche il contratto tra Ayrton Senna e la squadra DAP nel 1978, lettere personali e di auguri, le bottiglie Magnum Moët & Chandon autografate, orologi, coppe, medaglie, il computer per la telemetria e il monitor Williams FW16.

 

L’esposizione prosegue con 114 fotografie, selezionate da Carlo Cavicchi e dal Direttore Lorenza Bravetta tra oltre 12 mila scattate dai più grandi fotografi dell’epoca: Angelo Orsi, Bernard Asset, Ercole Colombo, Martyn Elford, Rainer Schlegelmilch, Steven Tee, Keith & Mark Sutton, a cui si aggiungono quelle degli archivi di Autosprint, Motorsport Images e LAT Images.

 

E poi tutti i libri usciti nel mondo su Senna, in tutte le lingue e ancora 20 corner posizionati in ordine sparso all’interno degli spazi che rappresentano e raccontano episodi meno noti e importanti della vita di Senna, mai inseriti nelle sue biografie e per questo più curiosi, per fornire al visitatore anche un punto di vista sull’uomo e non solo sul campione sportivo.

 

Infine, ad accompagnare la mostra, un importante apparato visivo con 6 grandi pannelli che si articolano lungo tutto il percorso in cui vengono proiettati immagini spettacolari, di cui molte inedite, filmati in Super8, installazioni audiovisive e una multi-proiezione su grande schermo.

 

Una mostra che segna l’inizio di un nuovo corso, nel quale il Museo Nazionale dell’Automobile – che ha celebrato l’anno scorso 90 anni di attività, superando i 300.000 visitatori – intende consolidare il proprio ruolo a livello internazionale quale custode di una memoria storica della cultura automobilistica e istituzione all’avanguardia sui temi della ricerca e della contemporaneità. La mostra che presentiamo oggi, frutto di una lunga e accurata attività di progettazione e produzione, coniuga questi due intenti: rende omaggio a una figura mitica del motorismo sportivo, Ayrton Senna, e lo fa attingendo a una mole impressionante di contenuti e materiali e avvalendosi di un registro espositivo proprio di altri linguaggi, primo tra tutti quello dell’arte contemporanea. la sfida che abbiamo voluto mettere in campo è stata questa: parlare di un’icona pop restituendole, attraverso la curatela e l’allestimento, un’aura di magia e immortalità. Forever”.

Lorenza Bravetta, Direttore Museo Nazionale dell’Automobile

 

IL PUBLIC PROGRAM

Completa l’esposizione il ciclo di cinque appuntamenti di incontro e dibattito che coinvolge piloti, giornalisti, progettisti e amici, gli affetti e i rivali di sempre nella ricostruzione corale della vicenda sportiva e personale del campione.

 

Tra questi, lo speciale evento di mercoledì 1° maggio 2024 con un collegamento live streaming con l’Autodromo di Imola per partecipare alle celebrazioni commemorative sulla curva del Tamburello. Il racconto in diretta da Imola sarà intervallato nel corso dell’intera giornata da approfondimenti di giornalisti, tecnici, e piloti presenti al MAUTO – Museo Nazionale dell’Automobile.

 

Seguiranno i talk del 30 maggio, 20 giugno, 19 settembre e 10 ottobre. Quattro occasioni per ascoltare la storia di Ayrton Senna raccontata dalle voci più autorevoli del giornalismo sportivo, dai piloti che lo hanno conosciuto, dai dirigenti sportivi che lo hanno seguito oppure corteggiato: gli affetti e i rivali di sempre contribuiranno a disegnare un ritratto quanto più completo dell’indimenticato campione. Tante testimonianze di chi lo ha conosciuto e – a vario titolo – ha influito sulla sua strepitosa carriera: tra questi, Riccardo Patrese, Piero Martini, Paolo Barilla, Jean Alesi, Erik Comas, Emanuele Pirro e Andrea De Adamich, oltre a ex manager e ingegneri dei team di Formula 1 come Jo Ramirez, Daniele Audetto, Giancarlo Minardi, Giorgio Ascanelli e Antonio Ghini.

 

Al programma di talks – moderati da Carlo Cavicchi – si aggiungerà un ricco calendario di presentazioni editoriali, speciali visite guidate e le proiezioni su maxischermo delle date europee delle gare di Formula1.

 

Accompagnano la mostra un podcast in tre episodi realizzato da Chora Media e il catalogo Skira Arte con i contributi di Carlo Cavicchi, Emiliano Tozzi, Angelo Orsi e Paolo d’Alessio: un’ampia varietà di materiali e documenti storici e le immagini dei fotografi che l’hanno seguito lungo tutta la sua carriera.

‘Ayrton Senna Forever’, al Mauto la mostra che ricorda il grande campione brasiliano

Le auto, le tute e i caschi, tanti documenti, pubblicazioni e memorabilia, filmati Super8 e installazioni audiovisive e ancora centinaia di fotografie che contribuiscono a costruire un ritratto dell’uomo e non solo del pilota: c’è tutto Ayrton Senna – scomparso proprio trent’anni fa il 1° maggio 1994, dopo un incidente nel gran premio di San Marino di Formula 1 a Imola – nella mostra inaugurata oggi al Mauto.

Da domani e fino a domenica 13 ottobre gli appassionati di motori, ma non solo loro, che accederanno agli spazi del Museo dell’Automobile potranno ripercorrere la carriera di un pilota eccezionale e fenomeno mediatico e popolare, divenuto intramontabile soprattutto dopo la sua tragica fine, che lo ha trasfigurato nell’epica icona di sé stesso, proiettandolo nel firmamento delle grandi star della nostra epoca.

Un’occasione preziosa per consentire torinesi e turisti di ripercorrere la storia di un campione che non ha mai abbandonato, anche dopo la sua tragica scomparsa, il cuore di tantissime appassionate e tantissimi appassionati, secondo il Sindaco di Torino che ha anche ribadito come ‘Ayrton Senne Forever’ si inserisca pienamente nella grande storia di legami profondi tra la città e gli sport motoristici, aggiungendo un tassello ulteriore alla ricca programmazione culturale del Museo Nazionale dell’Automobile e dell’intero territorio.

Colma di oggetti personali e attrezzature, la mostra è il frutto di otto intensi mesi di lavoro e, secondo il curatore Carlo Cavicchi, potrà regalare ai visitatori un ricordo del grande asso brasiliano davvero esaustivo e coinvolgente e, secondo la nipote Bianca Senna, tramandare l’eredità di un pilota che fino a oggi è stato un’ispirazione sia per gli appassionati che lo hanno visto correre sia le nuove generazioni.

Una mostra che segna l’inizio di un nuovo corso nel quale il Museo Nazionale dell’Automobile intende consolidare il proprio ruolo a livello internazionale quale custode di una memoria storica della cultura automobilistica e istituzione all’avanguardia sui temi della ricerca e della contemporaneità, secondo il Direttore Lorenza Bravetta che non ha mancato di sottolineare la mole impressionante di contenuti e materiali a quali si è attinto insieme all’utilizzo di un registro espositivo proprio di altri linguaggi, primo tra tutti quello dell’arte contemporanea

Lo straordinario allestimento si sviluppa su una superficie di 1500 metri estendendosi anche alla Piazza del Museo nella quale campeggia una suggestiva installazione dove la pelle vetrata diventa la bandiera del Brasile che sventola tra le mani di Senna dopo ogni vittoria.

In esposizione, tutte le vetture guidate da Senna, tutte le tute, tutti i caschi, i sottocaschi, i cappellini e i guanti da lui indossati nelle gare, accessori e parti meccaniche delle sue auto, come pneumatici, flaps, motori, il volante Nardi della McLaren MP4/6 del 1991 e il piantone della Williams Renault del 1994; la moto a lui dedicata dalla Ducati e la bicicletta “Senna” della Carraro. Tra i moltissimi oggetti personali e altre curiosità anche il contratto tra Ayrton Senna e la squadra DAP nel 1978, lettere personali e di auguri, le bottiglie Magnum Moët & Chandon autografate, orologi, coppe, medaglie, il computer per la telemetria e il monitor Williams FW16.

L’esposizione prosegue con 114 fotografie, selezionate da Carlo Cavicchi e dal Direttore Lorenza Bravetta tra oltre 12 mila scattate dai più grandi fotografi dell’epoca: Angelo Orsi, Bernard Asset, Ercole Colombo, Martyn Elford, Rainer Schlegelmilch, Steven Tee, Keith & Mark Sutton, a cui si aggiungono quelle degli archivi di Autosprint, Motorsport Images e LAT Images.

E poi tutti i libri usciti nel mondo su Senna, in tutte le lingue e ancora 20 corner posizionati in ordine sparso all’interno degli spazi che rappresentano e raccontano episodi meno noti e importanti della vita di Senna, mai inseriti nelle sue biografie e per questo più curiosi, per fornire al visitatore anche un punto di vista sull’uomo e non solo sul campione sportivo.

Infine, ad accompagnare la mostra, un importante apparato visivo con 6 grandi pannelli che si articolano lungo tutto il percorso in cui vengono proiettati immagini spettacolari, di cui molte inedite, filmati in Super8, installazioni audiovisive e una multi-proiezione su grande schermo.

Completa l’esposizione il ciclo di cinque appuntamenti di incontro e dibattito che coinvolge piloti, giornalisti, progettisti e amici, gli affetti e i rivali di sempre nella ricostruzione corale della vicenda sportiva e personale del campione.

Tra questi, lo speciale evento di mercoledì 1° maggio 2024 con un collegamento live streaming con l’Autodromo di Imola per partecipare alle celebrazioni commemorative sulla curva del Tamburello. Il racconto in diretta da Imola sarà intervallato nel corso dell’intera giornata da approfondimenti di giornalisti, tecnici, e piloti presenti al MAUTO – Museo Nazionale dell’Automobile.

Al programma di talks – il 30 maggio, il 20 giugno, il 19 settembre e il 10 ottobre – si aggiungerà un ricco calendario di presentazioni editoriali, speciali visite guidate e le proiezioni su maxischermo delle date europee delle gare di Formula1.

Accompagnano la mostra un podcast in tre episodi realizzato da Chora Media e il catalogo Skira Arte con i contributi di Carlo Cavicchi, Emiliano Tozzi, Angelo Orsi e Paolo d’Alessio: un’ampia varietà di materiali e documenti storici e le immagini dei fotografi che l’hanno seguito lungo tutta la sua carriera.

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