Anna Alberghina e Bruno Albertino portano a Verona gran parte della loro collezione di arte africana in una mostra intitolata “La danza degli spiriti – Arte africana tra tradizione e modernità”, evento inserito nel programma del 38° Festival di Cinema Africano che si svolge nella città scaligera. La mostra, corredata da un catalogo, edito da Effatà Editrice, ricco di notizie e materiale illustrativo, sarà inaugurata sabato 6 ottobre prossimo alle ore 18 e terminerà il 9 dicembre. La sede è quella del Museo africano, nato nel 1938, una collezione permanente promossa e formata dal Missionari Comboniani, un allestimento ampliato e aggiornato di recente secondo i canoni più attuali, che vede l’uso anche di contenuti video
multimediali ad illustrare e riflettere intorno a momenti e problematiche della vita del continente, a quanto è ancora intimamente legato alle antiche tradizioni come a quel che ci possa essere di più diretto verso la modernità. Attività educative e interculturali all’interno del Museo promuovono nuove strade di conoscenza, che felicemente sboccano in una rete di eventi – visite guidate, degustazioni di cibi di diversa provenienza, promozione della cultura africana, proiezioni di film, concerti, spettacoli. I due collezionisti, già li abbiamo conosciuti su queste stesse pagine negli scorsi mesi, più o meno recenti, per le altre occasioni in cui hanno messo a disposizione dei visitatori – a Cherasco, a Carmagnola, a Rivoli e Oderzo, a Milano e a Spoleto, a Biella – il loro personale patrimonio artistico (composto attualmente di circa 400 pezzi, dei più differenti materiali, tra i quali quelli lignei, appartenenti a tutte le principali etnie del continente, datano dalla metà dell’800 alla prima metà del secolo scorso), sono medici e viaggiatori torinesi, che condividono da oltre trent’anni la passione per quel continente, per i suoi luoghi e i paesaggi, le culture e i riti, per le sue persone. Un patrimonio raccolto attraverso i viaggi e le acquisizioni, attraverso collezioni private e aste in gallerie europee e statunitensi e la ricerca continua sul campo, anche in angoli tra i più strani e impensati, appartati e lontani dai grandi itinerari, una passione via via cresciuta che li ha portati allo studio sempre più approfondito dell’arte del grande paese, con la cura di molte mostre di settore e la pubblicazione di svariati libri sull’argomento, tra i quali “Maschere d’Africa”, “African Style” e “Mama Africa”.
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A Verona, oggi, “La danza degli spiriti” apre un dialogo tra le sculture dell’Africa sub-sahariana e le opere di vari artisti africani contemporanei, in un continuo confronto tra passato e presente: dove il percorso di approfondimento è corredato da testi che accompagnano questo collegamento tra le tradizioni animiste, caratterizzanti le sculture di Otto-Novecento, e i riferimenti a questi contesti che possiamo trovare nel panorama delle arti contemporanee africane. Un dialogo che coinvolge maschere, feticci, figure di maternità e di antenato che popolano il complesso mondo religioso del continente, mai creati per un puro ed esclusivo fine estetico ma per consolidare il legame esistente tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti. Questi temi, fondamentali per l’arte africana, si ritrovano immutati, seppur arricchiti di nuovi contenuti, in quella degli artisti contemporanei. Che è composta da nomi per molti sconosciuti, racchiusi in una nicchia di esperti e appassionati, ma che occupa ormai da alcuni decenni l’attenzione del mercato non soltanto europeo. Colpisce lo stile surreale di Camille-Pierre Bodo, scomparso nel 2015, uno dei maggiori esponenti della pittura congolese, legato alla street art e alla pubblicità, mentre Moke fils affronta con ironia e il tratto della caricatura i personaggi e le strade di Kinshasa. Legate al mondo naïf le opere di Kamau “Cartoon” Joseph (nato nel 1976), estremamente colorato, con al centro la donna colta nei diversi momenti della vita. Tanti i rappresentanti della Scuola Tingatinga, nata in Tanzania nella seconda metà del XX secolo, nell’area di Dar es Salaam, artisti che nelle loro opere, in prevalenza rivolte a soggetti animali, utilizzano la sovrapposizione di strati di vernice industriale smaltata non diluita, raggiungendo una pittura lucida dove i contorni delle figure sono del tutto netti. E poi George Lilanga, anch’egli proveniente dalla Tanzania, che più di ogni altro ha saputo concretizzare la propria pittura sul mercato internazionale e che altrettanto più di ogni altro ha posto nei suoi quadri in equilibrio il bene e il male del continente, tra zone oscure e una fantasiosa voglia di vivere. Per finire con la istintiva pittura di Mohamed Tabal, di origini marocchine, coltivata a esprimere un universo onirico legato al mondo dell’infanzia e alla riscoperta di una religiosità che l’ha accompagnata. Ricordiamo in ultimo che sabato 10 novembre alle ore 16 verrà proposta una visita guidata alla mostra con la presenza dei curatori e collezionisti, mentre il giorno successivo (ore 11) gli stessi narreranno al pubblico le loro esperienze di viaggio.
Elio Rabbione
Le immagini:
George Lilanga, “Dall’alto si vede più lontano”, acrilico su masonite, 60 x 60 cm, 1987
Camille-Pierre Bodo, “Hommage à la maman”, acrilico su tela, 69,5 c 49,5 cm, 2008
Particolare di statua Deblé femminile Senoufo, Costa d’Avorio
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