Il voto del 4 marzo, piaccia o non piaccia, ha modificato in profondità la geografia politica del nostro paese. A partire, appunto, dal protagonismo dei nuovi soggetti risultati vittoriosi nella politica italiana
Ora, per non far di tutta l’erba un fascio, credo sia abbastanza oggettivo, nonché realistico, che qualunque alternativa alla maggioranza di governo giallo/verde o qualsiasi alternativa riformista e di centro sinistra alla potenziale maggioranza di centro destra non possono certamente passare attraverso la riproposizione del simbolo del Pd quale partito cardine della coalizione dell’ex centro sinistra. Quel simbolo, seppur nel pieno rispetto dei reduci che partecipano con ammirazione e devozione alle feste della ex Unità, non è più un elemento aggregante. E non lo dicono solo tutti i sondaggi, ma è appena sufficiente ascoltare la cosiddetta pubblica opinione nella sua multiforme e variegata composizione per rendersene conto. È un simbolo che ormai appartiene al passato.
Un simbolo logorato e stantio che certifica il fallimento di un progetto politico. O meglio, il suo
superamento nell’attuale contesto politico italiano. Fuorché qualche simpaticone, come l’attuale
segretario di quel partito, pensi che la Lega di Salvini e il partito di Casaleggio e Grillo si sciolgano
come neve al sole nell’arco di pochi mesi per l’inconsistenza dell’azione di governo. Come tutti
sanno, tutto ciò semplicemente non accadrà. Ma, al contempo, esiste ancora un elettorato – non si sa quanto vasto, ma comunque esiste – riconducibile al cosiddetto “popolo di centro sinistra” che chiede una nuova e piu’ efficace rappresentanza politica. Certo, un popolo che difficilmente si riconoscerebbe sotto il simbolo del Pd renziano, tra l’altro in perenne conflitto tra le varie bande interne, ma che forse è disponibile a spendersi per una alternativa realmente e autenticamente democratica, riformista e di governo. Purché si tratti di un esperimento politico ed organizzativo che non scimmiotti le nefandezze del passato recente e meno recente del Pdr, il partito di Renzi.
Ecco perché il recente appello di Massimo Cacciari di dar vita ad una nuova lista per le europee e,
di conseguenza, ad un nuovo contenitore che sia in grado realmente di ripartire con una nuova
classe dirigente, un nuovo linguaggio e un nuovo progetto politico non è affatto da scartare. Anzi,
forse resta l’ultima occasione per un popolo oggi radicalmente sbandato e disorientato – anche tra
gli stessi reduci delle feste della ex Unità – che chiede, a ragione, di riappassionarsi per una
speranza e una prospettiva politica che non siano solo funzionali al consolidamento di un potere
nelle mani dei soliti noti.